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Autore: Walking_Disaster    28/05/2016    0 recensioni
{ Dragon Age2, M!HawkexAnders, post-fine gioco. Attenzione: lievissimo accenno M!HawkexIsabela }
Hawke e Anders stanno ancora fuggendo da Kirkwall e dopo che i loro compagni, uno per uno, se ne sono andati, Hawke decide di affrontare il compagno.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Anders, Hawke
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Ciò che resta
nonostante tutto




Dopo aver corso molto, le gambe proseguono da sole. Sono gli stessi muscoli a continuare a muoversi e così viene messo un piede davanti all'altro, un piede davanti all'altro, un piede davanti all'altro.
Fermarsi era la fine. Fermarsi era consegnarsi ed Anders non era pronto.
Il gruppo che aveva lasciato Kirkwall nel caos della follia rossa era ormai lontano da Meredith – il rumore del mare era solo nella testa di chi fuggiva dall'onda che minacciava di travolgerli e disperderli.
Il primo ad andarsene era stato Fenris, seguito a breve da Merrill. Ma Hawke non si era preoccupato: sapeva che se la sarebbero cavata. Poi fu il turno di Aveline, che aveva annunciato che forse sarebbe tornata a Kirkwall – anche se le era chiaro che tornare laddove era considerata traditrice, difensore di un eretico nonostante la sua posizione di spicco fosse un suicidio annunciato. Il giorno dopo anche Isabela decise di abbandonare i fuggitivi: fuggitiva, comunque, era lei stessa e poi – aveva detto con un sorriso beffardo – si stavano allontanando troppo dal mare. Prima di andarsene aveva concesso a lei e Hawke ciò che sempre aveva aleggiato, ma che per amor dell'Impuro era stato ucciso: si baciarono e lo fecero per dirsi “arrivederci”, perché entrambi sapevano che quella non era la fine. Sotto lo sguardo imperscrutabile di Anders, poi, la formosa piratessa aveva pizzicato affettuosamente la guancia del biondo. Era stato quello il suo saluto – in pieno stile Isabela.
E senza dubbio anche il saluto di Varric era stato sentito. Il nano aveva preso da parte Hawke, l'aveva osservato col petto villoso gonfio e gli aveva porto la mano. Il mago l'aveva presa e stretta, attirando l'altro in un abbraccio contenente dei “grazie”, dei “prego”, dei “abbi cura di te” e degli “arrivederci”. Tutto ciò che dovevano dirsi, in fondo, se lo erano già detti all'Impiccato tra un boccale di birra e una risata. E poi a dirla tutta nessuno dei due era troppo il tipo da sentimentalismi.
Hawke e Anders si erano concessi il risposo finché la figura bassa e tozza del nano non fu scomparsa dietro il crinale di una collina, mentre il vento spazzava l'ambiente brullo intorno a loro e un ululato si lamentava in lontananza. A quel punto, guardandosi intorno, sotto un cielo più grande di loro, si resero conto che se fino a poco prima si erano reputati soli, adesso soli lo erano sul serio. Gli alleati andati, la caccia aperta, il Campione di Kirkwall e l'Eretico ricercato, mero contenitore per il grande spirito Giustizia. Questo era ciò da cui dovevano fuggire – fuggire, a conti fatti, da ciò che erano.

La notte era calata e loro si erano forzati a muoversi di nuovo. Stare fermi era rischioso e loro non potevano permetterselo – non per tutto ciò che di bello dovevano proteggere. Avevano saltato la cena, a malapena avevano bevuto e col solito ritmo incalzante che si imponevano ormai da giorni, alla fine, ripiegando sulla costa scoscesa e ripida, erano giunti in prossimità di un campo in evidente stato di abbandono. Erano stati cauti: non sapevano con precisione dove si trovassero e dunque per quanto ne sapevano poteva anche essere il covo di una qualche banda di briganti. Dopo aver controllato nelle prossimità del luogo ed aver concordato sul fatto che potevano quanto meno permettersi di fingere di essere sotto un tetto, si erano fermati. La struttura era malconcia ed entrambi si stupirono del fatto che ancora non si fosse sbriciolata, portata via dal vento. Era fatta di mattoni, che sul versante nord erano crollati miseramente, concedendo ai due fuggiaschi il panorama di alcune vette in lontananza e la luna permessa ad intermittenza da nuvole scure che passavano, ratte come topi.
Erano tre ambienti, le assi del tetto assenti in più punti e le tegole cadute all'interno, tutto marcio fino all'osso – un po' come loro, per certi versi. Mancava perfino la porta, ma, seppur tacitamente, sia Hawke che Anders apprezzarono quelle quattro mura: Da quando avevano lasciato tutto – tutto: speranze, ideali, vite e ricordi – quello era ciò che più si avvicinava alla loro vecchia casa.
“Possiamo accendere il fuoco, secondo te?”
Domandò Anders sottovoce, come se i gufi che occhieggiavano dagli alberi potessero riferire la loro posizione.
L'ormai ex Campione di Kirkwall parve soppesare un istante la possibilità, puntando gli occhi d'ambra sulle mani sporche e callose. Alla fine sospirò, ma annuì: entrambi erano infreddoliti e cenare davanti ad una fiamma, piccola ma vibrante, li avrebbe ristorati. Così il guaritore mosse quei pochi passi che lo separavano dall'angolo della casa dove erano presenti qualche trave e probabilmente un pezzo di ciò che un tempo era stata una sedia e, una volta presi, li pose difronte al compagno; con un gesto rapido della mano lo scheletro della stanza venne rischiarato di una luce aranciata – così stonante nell'ambiente tetro, ma indispensabile. Mormorava di serate passate ad amarsi e marchiarsi davanti al caminetto, nascosti al mondo che rifiutava, di lingue intrecciate e risate soffuse e – addirittura aleggiò un sorriso, sul volto segnato di Anders.
Era la prima sera che passavano da soli ed entrambi erano piuttosto silenziosi, ognuno perso nei propri pensieri. Da lì – se ne rendevano conto tutti e due – cominciava un'altra vita. Una vita incerta, oscura, spigolosa e già usurata nonostante fosse ancora intoccata. Una vita insieme – e non insieme come a Kirkwall. I titoli avevano perso di significato – forse perfino i nomi l'avevano fatto ed ora ad attenderli c'era la ricostruzione di un ennesimo mondo solo loro. Sapere comunque che l'altro c'era e ci sarebbe stato li confortava.
Il pasto fu magro: alcune strisce di carne secca a testa lasciate loro da Fenris, un paio di noci e alcune radici trovate lungo il cammino.
Mentre Anders masticava la radice dolciastra che si impastava tra denti e saliva, decise di prendere la parola: “Domani dobbiamo assolutamente cercare qualcosa da mangiare. Carne fresca, intendo. Un paio di conigli, magari, o i fagiani – ne ho visti alcuni mentre perlustravamo la zona.”
Hawke arricciò il naso segnato dalla cicatrice rossa, profonda e così caratteristica, annuendo. Poi sembrò bloccarsi, la noce che sgranocchiava rimasta a ungergli la bocca.
“Perché hai fatto saltare in aria la chiesa, Anders?”
Fu a quel punto che il gelo calò sui due uomini. Perfino Giustizia taceva e solo il vento s'azzardò a fischiare più forte, facendo vacillare la fiamma tra i due. L'arancione era sventolato precario davanti ai volti dei due fuggiaschi, allungando e mistificando i tratti, addensando ancora di più il silenzio già pesante.
Il tempo passato insieme era stato chiaramente tanto, ma non avevano avuto modo di parlare – per ovvi motivi. La priorità era stata sapere d'essere insieme, ma braccati come volpi. La priorità era stata sapere di star bene, ma appesi ad un filo. Ora che il burrone dentro cui era così facile cadere sembrava giusto un po' più lontano, l'ostacolo si era parato innanzi al moro con prepotenza e non avrebbe potuto far altro, se non chiedere.
La striscia di carne secca che il guaritore ora stava mangiando venne riposta ordinatamente nella bisaccia, il cuore ovunque fuorché al suo posto, gli occhi azzurri che faticavano a discostarsi dai riflessi vermigli del fuocherello.
“Non era possibile fare altrimenti, Hawke.”
Rispose allora, le parole scandite con la cura dell'amante e la gentilezza dell'amico. O della cristallina follia del posseduto.
“Sarebbe stato possibile fare altrimenti, invece. Se solo avessi avuto la decenza di venirmelo a dire, invece di farmi trovare davanti ad Orsino e Meredith e--- te, che sembrava quasi attendessi che ti ammazzassi.”
Questa fu la gelida risposta. Hawke avvertiva ora come la sua rabbia si stesse riversando nelle vene – la stessa che aveva represso e soffocato per tutto quel tempo. E tuttavia lo amava: gli aveva fatto male vederlo additato come unico colpevole, sì, ma mai quanto essere consapevole di quanto l'altro fosse stato lucido nel compiere un atto del genere. Vederlo uccidere degli innocenti per la propria causa aveva fatto sì che Hawke si rendesse conto che quando si riferivano ad Anders come ad un pericolo, avevano ragione. Anders non era un eroe, né tanto meno il principe delle favole. Anders era incredibilmente Anders, l'eretico, la mela avvelenata, innocente e bellissima a vederla e letale, ed avrebbe detto il falso se avesse sostenuto che non era un colpevole. Un idealista, spietato e folle e, di nuovo, colpevole. E tuttavia lo amava.
“Mi avresti fermato e ti avrei messo in pericolo.”
La ragionevolezza che il biondo sembrava voler ostentare non fece altro che far scattare minacciosamente la mascella dell'altro, mentre stringeva i pugni.
“Mi hai messo in pericolo comunque! Hai messo in pericolo te stesso e tutti noi – mi hai lasciato scegliere se cacciarti o ucciderti quando Kirkwall stava impazzendo, pensando che sarei stato in grado di vederti affogare nel tuo fottuto sangue mentre la città guardava applaudendo il Campione che aveva ucciso l'Eretico come un maiale! Questo – questo tu come lo chiami?!”
Da Anders non ricevette nessuna risposta – solo un silenzio pregno di dignità e tutt'altro che pentito. Se ne stava seduto ancora composto, bello come un raggio di sole filtrato dalle tende la mattina, con il peso della consapevolezza che veniva retto dalle sue ampie spalle e la convinzione della giustezza delle sue azioni che era chiaro sul suo viso.
“Ti dico come lo chiamo io, allora: – proseguì Hawke, il volto irrigidito e il collo arrossato – egoismo.”
A quel punto Anders ebbe un fremito nervoso, neanche quelle parole avessero fatto breccia nella sua trincea. Lui, lucido e forte delle sue convinzioni, aveva fatto tutto quanto tutt'altro che per egoismo. L'aveva fatto perché tutti i maghi potessero insorgere – perché anche i muti avessero quello stendardo da erigere e una guerra da combattere. Gli era parso che la sua posizione fosse stata ampiamente appoggiata dal compagno e si ricordava delle promesse che si erano fatti (“un giorno due maghi come noi potranno amarsi alla luce del sole, liberi”), condivise e rinchiuse nella gabbia toracica come in uno scrigno, ed adesso chi travisava così gravemente il suo comportamento era stato lo stesso ad averlo amato ogni notte.
“Ti avevo detto fin dall'inizio che la mia impresa era più grande di qualsiasi cosa – di me e di noi due. Ti avevo detto che non dovevi chiedere, che dovevi fidarti e tu l'hai fatto. Perché adesso non ti sta più bene?”
Hawke si alzò, le mani immerse nella chioma nera e lucida come le scaglie di un drago. Scosse il capo: “Mi è costato enormemente lasciarti fare senza saperne niente! Ti ho chiesto mille volte cos'avevi in mente e – cosa potevo fare!? Ho insistito, ti ho pregato, ho provato con tutto me stesso a farti da spalla in questa follia – tu non hai voluto. Tu hai lasciato che scoprissi tutto all'ultimo come chiunque altro, Anders. Merda, mi sono sentito tradito! Da te!”
Dopo quel monologo, sputato fuori come acido e doloroso altrettanto per le lingue, l'atteggiamento serafico di Anders si incrinò un po'. Ciò che colpì e ferì ulteriormente Hawke fu vederlo trincerato dietro a quel muro che aveva deliberatamente eretto, fermo nelle sue convinzioni; e d'altronde ormai lo conosceva: la causa del guaritore sarebbe perennemente venuta prima di tutto.
Si stupiva sempre della lucida follia che riversava in tutto ciò che faceva, e se in un primo momento l'ex campione aveva provato un misto di fascino e inquietudine, a questo punto non c'era niente che potesse fare: l'amava. Anche gli anfratti scuri, gli angoli non smussati e taglienti, le ferite purulente e infette – amava tutto e tutto si faceva amare. Era Anders che in fondo aveva il controllo della situazione: il compito di Hawke consisteva in una semplice decisione da prendere – che a dir la verità aveva già preso mesi prima, senza neanche
provare a vagliare l'alternativa. La questione era se rimanere o meno nel turbinio che aveva il biondo nel petto. Dopo la prima volta che aveva potuto godere la vista di quella filigrana d'oro bagnata, dopo che ci aveva passato le mani in mezzo aspettandosi di trovarla placcata – allora aveva già scelto.
“Mi dispiace – non era mia intenzione farti stare così, amore mio. Però se aspetti che mi scusi per ciò che ho fatto – per non averti coinvolto... sappi che lo rifarei. Sappi che se tu decidessi di uccidermi ora l'accetterei.”
Le parole di Anders affondarono nella stanza come in mezzo alla melassa. Lo fecero lentamente, pesanti, facendosi spazio nei cervelli di entrambi con una calma stucchevole. Le dita di Hawke ebbero uno spasmo e per un istante l'altro pensò davvero che si sarebbero strette sull'elsa del pugnale rugginoso fissato in vita. Queste, tuttavia, non lo fecero.
La mano di Hawke era ancora inguainata dall'armatura del campione, placche di ferro finemente lavorate a chiudersi sulle sue dita fino a coprire tutte le falangi. Quando Anders aveva visto quel bracciale la prima volta l'aveva osservato con attenzione, sorridendo ampiamente;
sembrano degli artigli – aveva detto. Molto da Campione di Kirkwall, Hawke.
Poi, all'improvviso, ci fu qualcosa che nessuno dei due si aspettava: lo scatto violento del moro.
La mano si era chiusa a pugno come se fosse di un burattino, non sua, e poi aveva colpito forte la guancia ruvida di Anders. Nessuna arma, né magia. Solo la forza nutrita ossessivamente dalla rabbia e la paura e la stanchezza.
La rabbia per ciò che aveva visto. Paura di averlo perso. Stanchezza della fuga.
Paradossalmente Hawke si chiese proprio in quel momento, mentre il compagno si copriva la gota con aria genuinamente sorpresa, se il suo destino non sarebbe stato quello di vivere come profugo per sempre, in fuga dal mondo intero. Aveva guardato Anders un momento di più e aveva capito che no, non lo sarebbe stato: casa sua era lì, anche se ora sanguinava.
Quando il biondo aveva tolto le dita dalla guancia, si accorsero entrambi di come facesse sfoggio di sé un taglio slabbrato, ma non troppo profondo – sicuramente provocato dall'armatura dell'ex Campione. Subito vide Hawke sporgersi, con la mano già illuminata da una tenue luce giallina e un'espressione indecifrabile, pronto a curare quello slabbro che colava sangue come le dita delle ombre che popolavano i loro incubi, vomitate dall'Oblio. Tuttavia Anders si ritrasse, scuotendo piano il capo e limitandosi a pulirsi dal liquido rosso e viscoso: “No. È giusto. Farà il suo corso e se Giustizia lo permetterà, rimarrà. Servirà da monito ad entrambi.”
Era sereno mentre pronunciava quelle parole. Hawke osservava quel bel volto sfigurato e ringraziava il Creatore o chi per lui gliel'avesse messo sulla strada. Hawke l'osservava e sapeva che Anders non se ne pentiva – non si pentiva di niente. E tuttavia –
ancora – l'amava.
“Sai cosa davvero non tollero?”
Domandò, mentre gli si accostava e gli prendeva delicatamente il mento tra pollice e indice. L'eretico non si era scostato, ma entrambi sapevano che il timore iniziale era stato quello di subire un altro colpo (ed erano entrambi abbastanza sicuri che Giustizia non gliel'avrebbe permesso).
Anders scosse la testa, gli occhi grandi.
“Che nonostante tutto non riesco davvero a smettere di volerti con me.”
La voce di Hawke si era abbassata di diversi toni, finendo per ridursi ad un sussurro che mostrava tra gli spiragli una vulnerabilità completamente sconosciuta. Il biondo vedeva la paura, nell'altro, e ne rimase colpito come se un qunari l'avesse appena caricato.
Incitato dalle dita del compagno, ancora ferme sul suo viso, si sporse finché le loro labbra non si trovarono a metà strada. Il contatto fu inizialmente casto e candido, ma il respiro di entrambi si fece pesante nel giro di qualche istante: c'erano solo quelli e il crepitio discreto del fuoco a interrompere il silenzio denso della notte. E poi il bacio divenne affamato, famelico, tutto morsi e schiocchi e lingue intrecciate e mani che stringevano troppo.
La guancia di Anders faceva ancora male ed ora era il turno di Hawke di sanguinare, a seguito delle unghie spezzate dell'altro che si erano aggrappate dietro al suo collo e stringevano. Si graffiarono e si spogliarono e si morsero come bestie e fu animalesco l'amore tra di loro, perché c'era bisogno di amarsi, sì, ma anche di farsi male. E la loro specialità, d'altronde, era quella.

Tra bocche tappate e pugni tirati al pavimento e carne stretta, era sorta l'alba. Era sorta e li aveva sorpresi entrambi addormentati, ancora nudi, con la mano di Hawke placidamente posata sulla pancia nuda e rossa di ferite superficiali dell'altro. Era l'unico contatto che avevano.
Il risveglio fu lento e dolce, neanche nuotassero nel miele, in completo contrasto con la rabbia stretta tra le cosce della sera prima. Si erano dati un buongiorno umido di baci, mentre gli uccellini fuori frullavano le ali e una cappa d'umido soffocava la loro vita instabile.
Hawke aveva scrutato il taglio dritto sulla guancia del compagno, il sangue secco. Poi aveva schioccato la lingua contro al palato.
“Rimarrà la cicatrice.”
Anders aveva annuito, con gli occhi per una volta limpidi e il sorriso tranquillo.
“Rimarrà. E sarà la nostra storia.”





Walking_Disaster's corner:
Non so davvero che pensare di questa FF. Sono sempre più convinta d'aver avuto un calo rispetto all'anno scorso – o anche due anni fa, ma è una cosa con cui devo fare i conti e non smetterò di scrivere (non ora che ho trovato un nuovo fandom da riempire poi, AH!) perché mi ritrovo ad apprezzarmi meno.
E' con questa FF, che dedico a me e al mio Anders, perché come lui non c'è nessuno, che mi prometto che lavorerò. Lavorerò e chissà – magari un giorno leggerò di Anders – del
mio Anders – e mi dirò brava.
Spero vi piaccia, lasciate un commento se vi va! :)
WD

   
 
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