Videogiochi > Overwatch
Ricorda la storia  |      
Autore: Black Swallowtail    30/05/2016    2 recensioni
[Overwatch]
Gabriel Reyss è stato il comandante dei Blackwatch - la divisione di spionaggio degli Overwatch. Eroe di guerra, fondatore del gruppo di vigilanti, uomo dal pugno di ferro, nonostante questo si è visto sottrarre il titolo ambito dalla persona che riteneva essere il suo migliore amico, John "Jack" Morrison.
Quanto poco basta, per far scoccare la scintilla dell'invidia e dell'odio? Quanto poco è necessario, per deviare un uomo dal suo cammino, e spingerlo a tradire le persone che gli sono state compagne?
-----
Era chiaro come il sole, ormai, quanto fosse stato un errore che uno come lui divenisse il capo degli Overwatch. L'unica cosa, a quel punto, che avrebbe potuto salvare quel gruppo di vigilanti, divenuti boriosi campioni di una pace inesistente ed illusoria, era riplasmare tutto dal principio, ed eliminare l'elemento di disturbo, colui che un tempo avevo annoverato tra i miei amici, vecchio compagno d'armi…
Sì, John “Jack” Morrison sarebbe dovuto morire quel giorno.
Genere: Azione, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Overwatch – Memories of the Reaper

Ci hanno dato diversi nomi, ci hanno chiamato in modi diversi, nel tentativo di classificarci e organizzarci nei loro schemi. Ci hanno definitivo come vigilanti, protettori, a volte fuorilegge, uomini che agiscono per difendere il mondo, o per distruggerlo a causa della propria superbia ed arroganza; a seconda di chi ci ha guardato, siamo stati i simboli di una pace ottenuta con fatica, sudore e sangue, battaglia dopo battaglia, come protettori di un fragile equilibrio che a malapena si reggeva sulle sue stesse gambe, o come devastatori incoscienti e pieni di sé, divorati dal proprio ego che giocavano a fare i salvatori per un mero appagamento personale, lasciandosi alle spalle solo distruzione e morte, con la scusa del combattere il cattivo di turno.

Ma che fossimo eroi o minacce, non cambiava che vedessimo il mondo nella sua interezza e che fossimo sempre lì, pronti ad intervenire, nel bene e nel male, per fronteggiare qualsiasi minaccia che sconvolgesse l'ordine precostituito: eravamo sentinelle silenziose a cui nulla sfuggiva. E per questo, decisero che il nostro nome, da quel momento in poi, sarebbe stato quello di Overwatch – i vigilanti di un mondo dalla fragile pace, lacerato ancora dai rimasugli di conflitti e che stava ricostruendo se stesso a partire dalle macerie lasciate dalla guerra tra umani e androidi.

A guardarci da fuori, noi Overwatch sembravamo la più grande e compatta forza che l'umanità avesse mai visto, e la nostra sola esistenza sembrava il prodotto di qualche miracolo che sfuggiva alla comprensione: com'era possibile che persone tanto diverse per cultura, nazionalità, idee potessero operare armoniosamente, come una perfetta macchina, sotto un'unica bandiera, senza mai fallire, sempre pronta ad arrivare al momento giusto, a colpire dove veniva richiesto, ad intervenire nella situazione più buia? La risposta è più semplice di quanto si pensi – non lo era. Per quanto una persona si impegni, per quanto tenti di tenere unito un gruppo, se le discrepanze al suo interno sono troppe, troppo grandi e profonde, non c'è modo di riuscire in un'impresa folle come tenerlo insieme. Jack era un povero illuso, convinto com'era di riuscire in un'impresa tanto folle. Era convinto, profondamente convinto, che avrebbe potuto continuare ad unire tutti sotto l'unica bandiera della pace, perché uniti dall'ideale di tenere al sicuro il mondo a cui tenevano e per farlo si era dedicato anima e corpo nel tenere la squadra unita con tutto se stesso. Appianava conflitti, induceva riunioni per pianificare ogni cosa, appariva in televisione, scendeva in campo, addestrava ogni singola recluta per riuscire a far scoccare in lei la scintilla di giustizia e senso del dovere necessario per essere un vero Overwatch.

Tanto lavoro sprecato. Una vita di fatiche e guerra, di continuo impegno, gettato al vento perché in lui mancava la lungimiranza necessaria a capire che gli Overwatch non sarebbero mai potuti rimanere insieme, una volta scomparsa la minaccia che li aveva creati, una volta messa a tacere la guerra che aveva crepato la sicurezza del mondo. Qual è il senso di un gruppo di sentinelle, se non c'è nulla da proteggere, se non riescono nemmeno a trovarsi d'accordo tra di loro?

Jack era il mio migliore amico. Ci conoscemmo nell'esercito, quando lui era ancora un giovane di belle speranze arrivato dalla campagna, ed io stavo già prendendo confidenza con il mio rango di capitano e mi preparavo a ricevere lo status di veterano di guerra; in un modo o nell'altro, mi affezionai a quel ragazzo dalla determinazione d'acciaio e dal sorriso smagliante, che vedeva nel mondo una possibilità che io avevo iniziato da un bel pezzo a dubitare. In lui riconobbi immediatamente un potenziale talmente incredibile da mandarmi i brividi lungo la schiena, una sensazione come di uno choc elettrico che mai ho sentito ancora e che era destinata a rivelarsi corretta.

La Crisi Omnic andava solo peggiorando, e non c'era alcun modo ormai di arginarla se non quello di combinare le forze del mondo intero in un disperato tentativo di schiacciare una rivoluzione di androidi inferociti e assetati di sangue. Fu per questo che venimmo convocati per entrare a far parte degli Overwatch – per essere l'asso nella manica dell'umanità in questo conflitto. Ci trovammo circondati da persone straordinarie come mai avrei immaginato potessero esistere, uomini e donne dai più multiformi e sfaccettati talenti, l'élite di un mondo riunitosi sotto una bandiera dal semplice stemma color oro e argento; ed io fui scelto per essere il loro comandante.

La guerra, da quel momento, subì un rovescio di fortuna talmente repentino da sbalordire perfino noi che combattevamo spalla a spalla nel centro dell'azione. Come fece un gruppo piccolo come il nostro ad estirpare una minaccia talmente potente e radicata da aver causato la distruzione di metà dell'Australia, da aver fatto tremare il mondo, è qualcosa che ancora sfugge del tutto alla mia comprensione. Gli scontri si succedettero uno dopo l'altro, talmente numerosi da averne perso il conto, ed io ero sempre in prima linea, ad uccidere i nemici uno ad uno, camminando nel campo di battaglia come un mietitore implacabile dalla furia cieca e divorante. Attorno a me, sentivo solo il fragore delle mie pistole e l'incrinarsi dei loro corpi, mentre il mondo sembrava sfocarsi e perdere colore, mentre, più macchina di coloro che stavano combattendo, li massacravo metodicamente, freddamente, implacabilmente.

Furono mesi intensi. Non sapevamo mai se avremmo rivisto l'alba, o se saremmo durati fino al tramonto, e Jack si chiedeva sempre se questa guerra avesse senso. Spesso ci ritrovavamo attorno ad un tetro fuoco da campo dalle fiammelle rossastre danzanti al vento, a guardare il cielo scuro e privo di stelle, e in quei momenti parlavamo sommessamente di quel che sarebbe stato. In lui, non era ancora scomparsa quella folle idea, quel sogno giovanile, di un mondo costruito su una pace duratura e su un'armonia che appariva alle mie orecchie talmente vuota ed insopportabile da darmi la nausea. Eppure, non potevo fare a meno di pensare a quanto fossero forti in lui quegli ideali da eroe, vero eroe, che lo rendevano un soldato migliore degli altri. Per certi versi, provavo una sorta di ammirazione, per questo suo aspetto. In tempi di guerra, l'amicizia si fa ancora più salda, ed eravamo così sicuri che il legame tra di noi, forgiato dalla battaglia, dalla morte e dal sangue condiviso ogni giorno, non si sarebbe mai spezzato.

“Voglio che gli Overwatch divengano il simbolo di un mondo nuovo e migliore,” disse una notte, prima di addormentarsi con il fucile tra le mani, “Un futuro dove non servano più sentinelle come noi.”

La Crisi Omniac giunse alla fine.

E nonostante questo, nonostante tutto, nonostante tutti i nemici uccisi e le città liberate, le azioni folli ed eroiche che compii, alla fine io fui gettato via. Fui messo da parte. Nel trionfo generale tributato a noi agenti degli Overwatch, a noi impavidi guerrieri dell'umanità, io fui destituito della mia carica e Jack, il piccolo, illuso Jack che voleva un mondo utopistico di pace, ancorato ancora ai sogni dell'adolescenza, divenne il nuovo comandante dell'unità speciale che aveva salvato il mondo dalla sua crisi più grande.

Lo odiai con tutto me stesso. Ridotto a comandare l'unità dei Blackwatch, riunii sotto di me tutti gli agenti che avrebbero combattuto nell'ombra, lontano dalla luce dei riflettori e dalla stupida, vuota retorica di cui si riempivano la bocca individui come Jack o Reinhardt. Agivamo nell'ombra, facendo il lavoro sporco, senza il quale le loro armature non avrebbero brillate così intensamente al sole: spionaggio ed assassinio erano le nostre maggiori prerogative. Le mie mani erano già completamente ricoperte di sangue, quando presi Jesse come mio allievo e affinai la sua grezza abilità fino a renderlo un vero Blackwatch, un guerriero in tutto e per tutto, talmente veloce e preciso da impressionare a volte anche me – e quello fu il mio ennesimo errore, l'ennesima prova che mi mostrò quanto affezionarsi a qualcuno non sia altro che motivo di delusione.

La tensione cresceva, negli Overwatch, dentro e fuori. Sempre più spesso venivamo accusati di incuria, di provocare più danni dei nostri nemici, di essere noi la causa del sorgere di sempre nuove minacce. Gli uomini che un tempo avevano cantato le nostre lodi iniziarono a sbranarci, a sputarci addosso. Ogni apparizione di Jack in televisione era accompagnata da una cascata di insulti ed odio, ogni intervento di un agente Overwatch era indicato come una catastrofe. E mentre il mondo ci assaliva, la squadra iniziò ad andare in pezzi, a mostrare tutte le sue crepe, tutte le sue difficoltà. Il povero Jack dovette affrontare una realtà ben più dura di quella della guerra: dovette fronteggiare la realtà di pace che lui stesso aveva voluto. E si stava rivelando un'impresa troppo dura, per lui. Le sue spalle iniziarono a tremare e a farsi più deboli, mentre i conflitti tra gli agenti crescevano e noi Blackwatch continuavamo a divenire più potenti, più influenti, l'unica unità disciplinata abbastanza da rimanere compatta, uomini senza alcun dubbio e senza alcun impeto di ribellione, tenuti sotto di me dal mio comando ferreo e duro, l'unico in grado di impedire che si crepassero come stava succedendo agli uomini di Jack.

I nostri contatti, già ridotti al minimo, scomparirono del tutto nel momento in cui decidemmo di agire con sempre più indipendenza fino a divenire quasi un gruppo a parte, solo formalmente affiliato agli Overwatch. Jesse si stava dimostrando sempre più talentuoso, sempre più veloce e preciso, un perfetto Blackwatch che combatteva nella speranza di redimere il suo orrido passato da fuorilegge. In lui, c'era un senso di giustizia sufficiente a renderlo consapevole del proprio agire, ma non così forte da renderlo uno sciocco come il mio vecchio amico – ed ora non posso fare a meno di chiedermi se quel senso di giustizia non fosse proprio il mio, passato spiritualmente da me a lui. Mi chiedo questo, perché lo avevo sentito sciamare sempre di più fin dalla fine della guerra, fin dal momento della mia destituzione, fino a sparire del tutto e venire sostituito da un desiderio oscuro e palpitante, rivoltante eppure allo stesso tempo talmente attraente da impedirmi di sfuggirli; un odio talmente grande, da plasmare la mia decisione estrema: organizzare una rivolta che avrebbe portato i Blackwatch al potere, che mi avrebbe permesso di prendere il posto di Jack.

Era chiaro come il sole, ormai, quanto fosse stato un errore che uno come lui divenisse il capo degli Overwatch. Un dato di fatto ampiamente coadiuvato dalla crisi sempre più prorompente che stava facendo vacillare l'intera struttura. L'unica cosa, a quel punto, che avrebbe potuto salvare quel gruppo di vigilanti, divenuti boriosi campioni di una pace inesistente ed illusoria, era riplasmare tutto dal principio, ed eliminare l'elemento di disturbo, colui che un tempo avevo annoverato tra i miei amici, vecchio compagno d'armi…

Sì, John “Jack” Morrison sarebbe dovuto morire quel giorno.

Jesse mi voltò le spalle, perché non voleva avere nulla a che fare con tutto quello. Diceva che non sarebbe divenuto un traditore e, la notte prima, se ne andò senza dire nulla scivolando tra le ombre come solo noi che lavoriamo in esse sappiamo fare. Piccolo ingrato, gli avevo insegnato ogni cosa, gli avevo dato la possibilità di fare qualcosa con la sua inutile vita, e lui mi ha pugnalato alle spalle.

Mi sono ripromesso di uccidere anche lui, un giorno, insieme a tutti coloro che sono sopravvissuti a quello che il mondo chiama l'Ultimo Giorno degli Overwatch.

Jack ci aveva convocato tutti. Lui sedeva a tre posti da me, con Reinhardt, Angela e Torbjorn a destra, Genji, Liao e Ana sulla sinistra. Ogni sedia era occupata, ad eccezione di quella di Jesse, e questo non faceva altro che farne risaltare la mancanza; ovviamente alle occhiate dubbiose e alle domande sussurrate all'indirizzo del posto vuoto, seguì la domanda che tutti si stavano ponendo, “Gabriel, dov'è McCree?” mi chiese lui seccamente, dalla sua poltrona, dopo aver riflettuto per un lungo istante. Il fatto che un membro fosse assente dopo una chiamata così urgente era sufficiente ad instillare il dubbio in chiunque; nel caso poi di una recluta dalla testa calda come Jesse, la preoccupazione non poteva che aumentare. Liquidai la sua domanda con un semplice, “Non verrà,” e la mia laconica risposta fu sufficiente a mettere a tacere qualunque bisbiglio. Jack sembrò ponderare se insistere o lasciare perdere, ma probabilmente il motivo della riunione era più urgente di qualche insubordinazione di uno dei Blackwatch, quindi dopo aver annuito, tornò a concentrarsi sul motivo della convocazione. Si alzò in piedi e ci diede le spalle, giocherellando con un piccolo proiettore di ologrammi, apparentemente esitante ad introdurre il motivo dell'adunanza. Questo accese immediatamente il campanello di allarme nelle teste di molti, parecchi iniziarono ad agitarsi sulla sedia, ma nessuno osò aprire bocca per esortarlo, tenuti in sospeso com'erano dall'espressione corrucciata di Jack.

Prese fiato, come a raccogliere coraggio, prima di voltarsi verso di noi – e nei suoi occhi, lessi una sorta di preoccupazione ed un dolore indicibile. Gli stessi che avevo visto, tempo addietro, nel suo sguardo quando ancora eravamo giovani, dei ricordi che mi apparivano talmente lontani e sfocati quasi come se appartenessero ad un altro uomo, al punto da riuscire a richiamarli a malapena; ma quell'espressione, quella si sovrappose perfettamente alla sua immagine, in quel momento: il capo dei Overwatch, in profondo, non era così cambiato da allora. Il solo pensiero accrebbe in me la decisione del compiere l'azione fatale che avevo programmato per tanto tempo – e se questa avesse significato la distruzione degli Overwatch, così sarebbe stato. Sarebbero rinati dalla loro cenere più forti, o in caso contrario si sarebbero estinti: in entrambi i casi, sarebbe stato solo il prodotto inevitabile di un processo naturale che io stavo solo accelerando.

Gli Overwatch, tutti loro, avrebbero visto il mondo cadere in pezzi, tra le loro mani.

Ma lui, lui più di tutti. Lui che mi aveva rubato il posto che mi spettava di diritto. Lui che credeva in un mondo di illusioni. Lui che aveva condotto gli Overwatch alla rovina. Lui che credeva di essere capace di portare l'utopia di una pace sul mondo.

—Più di tutti, volevo uccidere Jack.

“Come sapete, gli Overwatch non se la stanno passando molto bene,” iniziò, proiettando un ologramma di un recente notiziario televisivo in cui venivano mostrate le immagini di un edificio che esplodeva, collassando su se stesso, mentre con un lampo blu di energia, Lena ne usciva ferita e ricoperta di fuliggine e polvere da sparo, tossendo vigorosamente. Il palazzo era nel complesso residenziale di Numbani, e tutti ricordavamo benissimo quella missione, uno dei più grandi fallimenti degli Overwatch, uno degli smacchi maggiori alla credibilità di Jack.

“I due ricercati Junkrat e Roadhog hanno fatto esplodere l'edificio per coprirsi la fuga dopo essere stati messi all'angolo da Olson e Winston. Ovviamente, non è stata colpa vostra,” si affrettò ad aggiungere, all'indirizzo dell'abbacchiata che sembrava essersi quasi nascosta sotto il tavolo per la vergogna, “Ma i media ne hanno approfittato per dare la colpa a noi. Dicono che facciamo più danni dei criminali stessi e che agiamo senza considerare i rischi che comporta uno scontro. Per come la vedono loro, noi siamo alla stregua dei criminali. Ieri,” abbassò lo sguardo, pieno di vergogna e dispiacere, mentre cambiava l'immagine per portarla su una e-mail scritta da… “Gabrielle Adawe, la ex-segretaria generale delle Nazioni Unite, mi ha scritto di come la nostra situazione sia critica. Per quanto il mondo riconosca il nostro contributo per superare la Crisi Omnic, sembra che ormai sia opinione generale che gli Overwatch hanno fatto il loro tempo. Ma noi gli dimostreremo il contrario, stando uniti e...”

“...E lavorando insieme duramente, giusto? Imparando dai nostri errori?”

Il mio commento interruppe bruscamente Jack, come paralizzandolo sul posto bruscamente, quasi fosse stato all'improvviso colpito da un proiettile. Il suo sguardo si posò meccanicamente su di me, così come quelli di tutti gli altri. L'improvviso, pesante silenzio che cadde nella stanza, era come se fosse palpabile. L'atmosfera era completamente gelida. Sospesa.

“—Gabriel?”

“Quante volte hai intenzione di ripetere queste parole, Jack? Per quanto ancora hai intenzione di affossare gli Overwatch così? Non c'è più via d'uscita. Ormai non c'è più modo per fare qualcosa, non importa se, come hai detto?, lavoriamo insieme,” mi alzai in piedi, e spostai lo sguardo su tutti, uno ad uno, l'odio che dardeggiava dai miei occhi sembrava quasi trapassarli da parte a parte, fino a che non tornai ad incrociare il suo – quelli del mio vecchio amico. Quelli della persona che volevo uccidere.

“Possiamo ancora…”

“Non possiamo più fare nulla. È troppo tardi… John,” con un unico, fulmineo gesto, estrassi le due grandi pistole dalla fondina e sparai sei colpi in rapida successione, “Muori.”

Jack – no, John, era lì immobile, come se non avesse ancora compreso del tutto l'intera situazione, e continuava a guardarmi. Nel profondo dei suoi occhi, c'era una scintilla di delusione, come se, in fondo, se lo aspettasse. Probabilmente era così: nessuno mi conosceva meglio di lui, così come nessuno conosceva meglio lui di me. Fino all'ultimo, doveva aver sperato che non accadesse e che, seppur tra di noi si fosse aperto un vero e proprio baratro, io rimanessi dalla sua parte. Povero sciocco… era proprio vero, non era cambiato per nulla dai tempi in cui era un ragazzo. Ed in quel singolo, fatale momento, mi chiesi ancora una volta perché avessero scelto lui. Perché proprio una persona del suo stampo. Perché lui e non io?

Ma in quel momento, non pensai a quello che stavo facendo. Quando gli agenti Blackwatch fecero irruzione, ingaggiando lo scontro con gli Overwatch, io ero già balzato verso John. I proiettili rimbalzarono inutilmente contro lo scudo che Reinhardt aveva sollevato prontamente, quindi non mi rimase altra scelta che lanciarmi contro il mio rivale e di ingaggiarlo in uno scontro diretto. Quando Winston tentò di fermarmi, allungando una delle sue gigantesche zampone animalesche, mi bastò scompormi in fumo per riuscire a passarvi attraverso, così che quel suo inutile e maldestro tentativo di fermarmi risultò inutile; quando ripresi la mia forma fisica, sparai due serie di colpi alle sue spalle, prima ancora che riuscisse ad afferrare la sua arma o a mettersi al riparo. Quel dannato primate crollò a terra con un urlo di dolore, mentre dal petto crivellato iniziava a zampillare sangue a fiotti, macchiando di cremisi la leggera armatura che indossava per la riunione; riuscii ad evitare che Reinhardt mi colpisse con un colpo del suo martello svanendo in una voluta di fumo, per poi ricompormi proprio accanto a John, che nel frattempo aveva afferrato il fucile con entrambe le mani.

Mi guardò, prima di puntarmi contro l'arma.

“Gabriel… perché?” il suo tono di voce era affranto, ma non c'era esitazione in lui. Mi avrebbe sparato. Dopotutto, è normale – spara solo chi è pronto a ricevere il proiettile. E nessuno, più di noi, teneva in conto questa evenienza, noi che l'avevamo provato sulla nostra pelle.

“—Ognuno raccoglie quel che semina, John.”

La mia risposta fu secca.

In un secondo, ci trovammo circondati da Overwatch.

“Muori!”

Vorticai su me stesso, sparando alla cieca.

“Muori!”

Come una fontana cremisi, i corpi crollarono tutt'attorno.

“Muori!”

In un secondo, fui sopra di John. Tutt'attorno, quella che un tempo era stata la fortezza dei campioni della pace, delle sentinelle del mondo, era divenuta un campo di battaglia rabbioso fatto di urla e morte. Avvinghiati l'uno contro l'altro, in una danza mortale fatta di proiettili e bossoli, volteggiammo l'uno accanto all'altro tra i cadaveri degli uomini crivellati dai miei colpi.

Nella foga, lo spinsi con un calcio contro la vetrata alle spalle, e quella si infranse sotto di lui; mi gettai all'inseguimento, e cademmo insieme, continuando a scambiarci inutilmente nuovi proiettili che fischiarono accanto alla mia testa e mi trapassarono la spalla; il mio sangue caldo schizzò macchie cremisi sul mio volto, mentre John atterrava bruscamente sul lucernario dell'armeria, spaccandolo in una miriade di schegge e atterrando miracolosamente in piedi – vivo solo grazie alle sue capacità sovrumane dovute agli esperimenti militari a cui era stato sottoposto. Gli arrivai alle spalle, poggiandomi delicatamente nella mia forma spettrale, ma lui si voltò talmente di scatto da costringermi a mettere un passo di distanza tra noi per evitare di essere colpito, prima di aggredirlo nuovamente.

Scivolammo attraverso la stanza, le braccia che si muovevano sinuosamente, i corpi che scattavano, mentre piccole ferite si aprivano nella nostra carne. Ogni volta, era poco più che una semplice scarica di dolore attraverso le membra. Ogni volta, sparavo con più forza. Davanti a me, il mio compagno, no, quello che era stato il mio compagno, digrignava i denti e ricaricava il fucile, un'occasione d'oro che non mi lasciai sfuggire.

Sgattaiolai sotto la sua guardia, e poggiai le due bocche da fuoco sul suo petto. Lui mi guardò, ancora, lo spazio di un secondo, prima di rendermi conto di avere la canna del suo fucile puntata sotto al mento. Non credevo avesse ancora proiettili, era stato un errore di calcolo imperdonabile; ma sarebbe bastato poco per sfuggire ad una situazione simile. Avevo ancora un asso nella manica.

Ma accade tutto troppo in fretta.

Prima che riuscissi a premere il grilletto, con un battito di ciglia, lei mi fu accanto, e mi spostò con un calcio, mandandomi a rotolare a terra. Persi la presa sulle mie armi e, imprecando, sentii il sapore metallico del sangue salirmi alla bocca; Olson era davanti a me, ridotta più ad un ammasso di carne ferita che ad un'eroina come le piaceva definirsi. Quella dannata bambina aveva rovinato la mia occasione di ucciderlo.

O almeno, era quello che pensai prima di vedere, dietro la sua esile figura, il colpo di John partire. Non si trattava di un proiettile qualunque – ma di un gruppo dei suoi razzi al plasma. Razzi che volarono dritti contro l'arsenale posto sul fondo dell'armeria. Gli esplosivi.

L'unica cosa che mi salvò dall'apocalisse che si scatenò in quella stanza fu la mia capacità di assumere la forma di wraith. Uscii dall'inferno di fuoco e fiamme che si scatenò in quella stanza, e riuscii a vedere Tracer schizzare fuori con la sua abilità di distorsione spaziale, mentre l'armeria diveniva una gigantesca palla di fuoco; l'incendio e i detriti divamparono e il boato fu talmente forte da scuotere l'intera struttura fin nelle fondamenta. L'edificio principale iniziò a bruciare qualche istante dopo, ma la battaglia al suo interno non accennava a spegnersi.

Ferito, ma vittorioso, mi trascinai via da quel massacro, deciso a mettere più strada possibile tra me e quel luogo. John era rimasto coinvolto nell'esplosione – e senza dubbio doveva essere morto.

L'unica cosa che mi dispiacque, fu di non averlo potuto uccidere con le mie stesse mani.

Mi tirai il cappuccio sul viso e mi diressi verso il molo, arrancando sulle gambe ferite, con il corpo dolorante, sanguinante ed ustionato, mentre alle mie spalle quella che un tempo era stata la mia casa bruciava e seppelliva con i detriti il corpo dell'uomo che, un tempo, era stato il mio migliore amico.

 

Gabriel Reyes è morto quel giorno, insieme agli Overwatch e al loro comandante. L'intera faccenda è stata coperta, mascherata come un tragico incidente, ed è stata il colpo di grazia ad un gruppo già indebolito e dal futuro incerto; persi due dei membri fondatori e tra i più importanti, il comandante ed il capitano dei Blackwatch, con la base danneggiata e molti uomini feriti, morti, non si sono più rialzati. I vigilanti della pace utopistica che John voleva creare, ormai… non esistono più.

“Ascoltami quando ti parlo.”

La voce femminile che mi sta chiamando arriva dalle mie spalle, dalla donna dalla pelle bluastra e dagli occhi dorati che, con la fronte corrucciata, mi lancia un'occhiata di disapprovazione, prima di avvicinarsi con il fucile da cecchino tenuto di traverso sulle spalle. Mi guarda a lungo, come se tentasse di vedere qualcosa attraverso la maschera, ma rinuncia poco dopo, scuotendo la testa, “Qualcosa non va?”

“A volte mi perdo nei miei pensieri,” rispondo semplicemente mentre mi alzo. La fredda notte londinese un tempo mi gelava le ossa, ma ora, pur scivolando attraverso il mantello, non mi dà alcuna sensazione, come se non avessi più un vero e proprio corpo al di sotto dei miei abiti neri. In lontananza, la sagoma del Big Ben risplende nella notte chiara, rischiarata tanto dal cielo stellato quanto dal riverbero delle luci dei pub e delle case, dei lampioni che perfino in questo quartiere più tranquillo rilucono debolmente, gettando ombre sui marciapiedi e sul selciato.

“Devo forse dirti di rimanere concentrato? La Talon non accetta fallimenti di alcun genere,” sbuffa la mia compagna, mentre abbassa l'elmetto ad infrarossi e sgancia il fucile dalla sicura, impugnandolo solo con la mano destra, lasciandolo a penzolare lungo il fianco, “Dobbiamo essere pronti. Questa notte non saremo soli.”

“Verranno?”

“...Gli Overwatch accorrono sempre. Che sia di nascosto o platealmente, con l'approvazione del mondo e della gente, o con il suo odio, sembra che non importi – hanno deciso di tornare a giocare a fare gli eroi. Non ne sei contento? Potrai finalmente ucciderli tutti.”

Già. Potrò finalmente porre fine a quel che ho iniziato. Sterminare gli ultimi rimasti… e sopratutto, incontrare lui.

“Trenta secondi. Sei pronto… Reaper?”

Gabriel Reyes è morto, quel giorno, ed al suo posto è nato Reaper. Il mercenario che, come la morte stessa, si muove tra gli uomini e arriva su di loro silenzioso e li porta via con sé. Uccidere tutti gli Overwatch è ancora il mio scopo, perché ormai questo mondo non ha più bisogno di loro. Questo mondo non vuole delle sentinelle che lo guardino dall'alto e decidano arbitrariamente di salvarlo.

Questo mondo è crudele e si muove da solo. Ha bisogno di persone altrettanto crudeli, per tenerlo a bada.

“Sì.”

Lo ha capito anche lui.

Ora ti fai chiamare Soldato-76, e nessuno sembra ricordarsi di te. È normale, dopotutto non siamo che rimasugli di un passato ormai vecchio, fantasmi che vagano per il mondo nonostante siano già morti.

È ironico, ma dopotutto era inevitabile che quello non fosse il nostro ultimo scontro. O forse, in un certo senso, lo è stato. Siamo cambiati entrambi. Non siamo più gli stessi. Hai abbandonato i tuoi stupidi e vuoti ideali, è stata necessaria la morte, la perdita di ogni cosa, per aprire i tuoi occhi.

Ed io, ora…

Sono la Morte.

“La Morte cammina fra di voi.”

E sparisco in una nube di fumo, nera come la notte stessa.

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Overwatch / Vai alla pagina dell'autore: Black Swallowtail