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Autore: SamuelCostaRica    30/05/2016    0 recensioni
Burocrati. Comandano loro o gli imperatori, re, duchi, baroni e conti nell'universo conosciuto? Sono così potenti da poter decidere quali dinastie possono regnare per secoli e chi no? E opporsi a ciò è possibile, per il bene di coloro che vivono nella galassia? E come opporsi a loro? Ma non fatevi ingannare: bisogna avere il coraggio di giocare sporco come loro per il bene di tutti.
Nota dell'autore: alcune similitudini con film o libri sono causali, essendo io un lettore incallito di libri e ho visto parecchi film dello genere, avendo iniziato a scrivere questo libro nell'estate del 1987.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il professore Nietsnie ci impiegò tre mesi per raccogliere e catalogare tutti i documenti riguardanti i tempi e i modi che portarono allo sviluppo degli avvenimenti che l’Imperatrice gli aveva chiesto di cercare.

Trovò non solo una videostoria degli avvenimenti, ma anche documenti, alcune immagini, documenti cartacee dei servizi segreti civili e militari del tempo.

Era passato tanto tempo, ma i documenti, stranamente, erano ben conservati.

Il professore pensò che qualcuno aveva voluto farglieli trovare: erano tutti nella stessa ala della gigantesca biblioteca, tutti catalogati, tutti in ordine.

Mai una ricerca del genere era stata così facile e mai aveva trovato così tanti documenti che ne parlassero. Strano.

Ma i documenti non parlavano chi erano e che fine avevano fatto Doc e il Conte Black.

La storia, le immagini, i dati terminavano nel momento in cui la giara era stata consegnata.

Doc era sparito, letteralmente ingoiato dal pianeta Oleg.

Il Conte Black con Freddy non avevano lasciato tracce sul pianeta su cui erano andati ad  abitare: chi attualmente comanda quella zona della galassia non era neanche un loro diretto discendente.

E Invincible era stata ingoiata dalle fauci fameliche del nulla.

Il professore aveva un sacco di documenti, ma pochi riferimenti reali su cui lavorare.

Sì, aveva indicazione di dove era situata la tana delle tigri, la sua collocazione all’interno della galassia, come raggiungerla: ma perché sulla tana delle tigri tanti dati e niente di Doc.

Il professore continuò la ricerca tra le carte di quella zona della biblioteca. Alla fine trovò un documento con dei riferimenti che non facevano parte di quel lato della biblioteca.

Ci volle un po’ per capire a cosa si riferivano quei documenti, ma alla fine trovò il bandolo della matassa.

Chi gli aveva messo in bella mostra tutti quei documenti, ne aveva lasciato uno, sicuramente per errore, con riferimenti ad un altro lato della biblioteca.

Al professore non ci volle molto per capire a quale zona della biblioteca faceva riferimento il documento, ma la zona della biblioteca indicata era dall’altra parte del pianeta.

Il professore partì alla ricerca degli altri documenti.

Per andare all’ala della biblioteca che gli interessava il professore ci impiegò un giorno, utilizzando i mezzi di trasporto pubblici.

I mezzi di trasporto erano dei cilindri che viaggiavano in tubi sotto vuoto, posizionati sotto terra, ad alcune centinai di metri sotto la crosta del pianeta.

Quel lato della biblioteca era molto antico.

Era dentro un palazzo, un vecchio palazzo.

Il professore, all’ingresso della biblioteca, ebbe come un sussulto. Gli ricordava le immagini viste del palazzo dell’Imperatore Frederickon II.

Era certo che fosse il palazzo Imperiale descritto nei documenti che aveva trovato.

Il professore si ricordò delle piante del palazzo reale e cercò subito la sala dove vi erano state le riunioni dei servizi segreti.

La trovò al piano interrato.

Era proprio come era stata descritta nei libri.

Ma ora era occupata da documenti, che il professore incomincio a guardare.

Vi erano carte, dischi, videolibri.

Ma non erano le carte che cercava.

Erano la storia della galassia dal ventisettemila al ventottomila dell’anno galattico.

Cerano però delle strane immagini.

“Invincible!” urlò il professore.

Si girò per controllare che nessuno lo avesse sentito.

L’immagine era su una carta strana, ma, sul fondo dell’immagine, vi era l’astronave tanta cercata.

Ma che ci faceva una astronave di cinquemila anni fa in una foto vecchia di solo duemila anni?

Il professore controllò meglio la foto: il pianeta su cui era stata fatta assomigliava molto alla tana delle tigri.

Il professore continuò le ricerche in quella stanze e quelle attigue.

Poi passò alle stanze dei piani alti.

Trovò altre tracce in una stanza che sembrava una camera da letto.

Era la stanza da letto dell’Imperatore Federickson II.

Le tracce continuarono in altre stanze.

E le date continuavano a modificarsi.

Alcune erano vecchi di solo cento anni.

E le coordinate in cui le foto erano state fatte spesso distavano anni luce e i tempi erano di sole poche ore.

Il professore lasciò lo stabile, il vecchio palazzo Imperiale soddisfatto, ma con ancora un sacco di domande.

E non aveva nessuna intenzione di tornare dall’Imperatrice senza risposte.

Dei giardini che erano di fronte al palazzo Imperiale, era rimasto solo quello primaverile.

Quello dei documenti, penso il professore.

Vi fece un giro, controllando l’ora: non aveva nessuna intenzione di essere bagnato dall’impianto di irrigazione a pioggia.

Lo attraverso e uscì dall’altra parte.

Si trovò davanti a un palazzo molto più recente, anzi recentissimo.

Era nuovo, appena fatto.

Strano, non era segnato su nessuna mappa generale della biblioteca.

Vi entrò, ma l’edificio era ancora vuoto.

Era enorme: solo l’ingresso era alto più di venti metri.

Spettacolare, con enormi finestre lavorate con colori veramente sgarcianti.

Bello, pensò il professore.

Ma una cosa strana attirò la sua attenzione.

In un angolo vi erano delle casse di legno, contenenti dei documenti siglati top secret.

Il professore si guardò intorno circospetto, poi apri la prima cassa e ci guardò dentro.

Non c’era molto di interessante: foto, vecchi documenti cartacei, lettere… Conte Black.

Il documento non era molto antico, era datato 29540: vi era un documento che parlava del Conte Black e della tana delle tigri, della necessità di controllarli e di sapere cosa stavano combinando.

Un simile documento, lasciato lì così: al professore non parve vero.

Ma un sospetto gli corse nel cervello, fino alle viscere del suo intestino: troppe tracce inequivocabili che collegavano il Conte Black all’Invicible e alla tana delle tigri.

No. Il Conte Black faceva parte della tana delle tigri, questo ormai era assodato, ma… no, non poteva.

Uno dei primi documenti parlava dell’idea di Doc per quanto riguardava Invincible.

Un rumore alle sue spalle lo fece trasalire.

Si girò di scatto, la mano nella tasca, pronto a difendersi.

Forse qualche animale entrato per errore.

Il professore copiò i documenti sul suo mini computer.

Appena ebbe finito, uscì di corsa dall’edificio e ritorno sui suoi passi.

Attraverso il giardino di primavera di corsa, primo che la pioggia lo irrogasse.

Prima di entrare nel palazzo principale si voltò.

Era quasi certo che un’ombra si aggirava in quel posto.

Ormai aveva parecchi documenti da presentare all’Imperatrice.

Alla sera riprese i mezzi pubblici e tornò al suo appartamento.

Fece i bagagli e prese la prima astronave che partiva per il pianeta dell’Imperatrice.

Il professore continuava guardarsi intorno preoccupato.

Il viaggio durò due giorni, nei quali il professore dormì poco.

Quando atterrò all’astroporto della capitale, il professore si rivolse ad uno degli agenti  della sicurezza presenti.

Si fece accompagnare, o meglio scortare fino al Palazzo Imperiale.

Era notte quando arrivò al palazzo Imperiale.

I domestici si innervosirono alla sua presenza: mai nessuno si era permesso di arrivare a quell’ora così discutibile e chiedere dell’Imperatrice.

Ma, stranamente, l’Imperatrice lo ricevette.

L’Imperatrice Koiula aveva quarant’anni galattici standard.

Era una bella donna: alta, magra, con un viso ovale, occhi di un blu intenso, labbra piccole.

Al professore piaceva come vestiva l’Imperatrice in privato: indossava sempre vestiti succinti, che mostravano le sue forme e il seno prosperoso.

“Allora, professore, quali notizie?” Gli chiese l’Imperatrice nel suo salottino privato, seduta su un divano blu notte.

Il professore si sedette su una sedia, davanti ad un tavolo dove appoggiò il suo mini computer e lo collego ad una presa multipla, posta sul tavolo.

Un video, grande quanto la parete posta a destra dell’Imperatrice, si illuminò.

Il professore incominciò a spiegare all’Imperatrice tutto quello che aveva scoperto.

Entro nei più minimi particolari, fin troppo noiosi, ma l’Imperatrice ascolto tutto con attenzione.

Era l’alba quando il professore terminò la sua relazione.

La luce entrava da un pesante tendaggio che chiudeva la finestra.

L’Imperatrice si alzò e aprì la tenda: la luce invase tutta la stanza.

Il professore chiuse gli occhi per la troppa luce.

Quando li riapri l’Imperatrice era davanti allo schermo a giocherellare con i dati della ricerca.

“Quindi, secondo voi, è possibile che siano tutti bionici?” Chiese con noncuranza.

“Sì, mia Imperatrice. Ho paura che Doc sia un vecchio Imperatore, forse esistito cinquecento anni prima degli avvenimenti che tanto ci interessano. E che il Conte Black, o almeno il suo cervello, sia finito a comandare l’Invincible. Non di meno l’orso Ronson e la tigre Elsa sono sicuramente i consiglieri fidati del vecchio Imperatore.” Disse il professore, alzandosi dal divano e avvicinandosi all’Imperatrice.

“Posso chiedere a cosa vi serva questa ricerca?” Il professore lo chiese sotto voce, come se qualcuno potesse sentire.

“Sì. Ma non è detto che abbia voglia di rispondervi, mia caro professore.” Disse l’Imperatrice, giocherellando con i dati sul video.

“Però, potrei fare un’ipotesi.” Insistette il professore. “Voi siete la… settecentocinquantaduesima Imperatrice di questa galassia. Le dinastia che si sono succedute sono circa dieci. Le precedenti dinastie si sono estinte naturalmente e sono state sostituite da altre, in modo del tutto naturale…”

“Lo credete davvero, professore?” L’Imperatrice guardò il professore, con quel sorrisetto furbino che spesso segnava il suo volto, come un bambino che ha rubato la marmellata ma nessuno riesce a scoprire come ha fatto.

“Voi sapete più di quanto credevo. Quindi non è una leggenda. È tutto vero. Ma la vostra dinastia non è tanto che governa, voi siete solo la… quarta. Perché?” Chiese incredulo il professore.

“Perché ho messo al mondo un sola figlia, e invece dovevo mettere al mondo un maschio. Avrebbe sposato la figlia del Conte Koiuyt, continuando tranquillamente la dinastia senza problemi. E tenendo buoni tutti. Invece mia figlia dovrà sposare chi vuole, mischiando, forse, il sangue con un con sanguigno. Sì, lo so. Si possono fare dei controlli. Ma questo rischierebbe di mettere in luce troppe magagne Imperiale, che nessuno vuole. Caro professore, siamo finiti. A meno che mia figlia non sposi il figlio dell’Imperatore della galassia di Androgina. In tal caso il problema sarebbe risolto, ma sa com’è: non si sposa il figlio dell’Imperatore di un’altra galassia. Anche se i due si amano.” Concluse l’Imperatrice, sedendosi sul divano e coprendo il volto con le mani.

“E perché non glielo fa sposare?” Chiese il professore, che si era seduto di fianco a lei.

“Perché la tana delle tigri non vuole. O almeno, quello che rimane della tana delle tigri.”
”E’ sicura che siano rimasti in pochi?”

“Il ricambio c’è sempre stato e sempre ci sarà, caro professore. Non è gente che si ferma davanti a questi problemi.”

“Già. Ma se qualcuno pensasse o, meglio, sapesse che si sono messi contro l’Imperatrice, cercando di detronizzarla…”

“Non sono così stupidi. Non lo faranno mai. Non si metteranno contro di me. Lo faranno solo quando non ci sarò più.” L’Imperatrice si era appoggiato alla schienale del divano. Il professore era sempre più sopraffatto dai desideri di aiutare la sua Imperatrice.

“Perché non li anticipate. Fategli sapere che sapete. Ci penseranno bene…”

“Professore. Uomo di dura cervice. Non è che state esagerando nel vostro volervi aiutare. Non pensate che abbia già fatto le mie mosse. No, è impossibile. Lottare contro la tana delle tigri non è possibile.” Disse l’Imperatrice, guardandolo amorevolmente.

Il professore e l’Imperatrice rimasero sul divano, mentre il sole si alzava sopra l’orizzonte.

“I burocrati. Non è la tana delle tigri, mia signora. Sono i burocrati che decidono chi sarà l’Imperatore. Sono loro che controllano i documenti delle nascite. Loro che sanno tutto e ben se ne guardano di dirlo. No.” Disse il professore, come se avesse capito il mistero. “Non è la tana delle tigri che decide. Sono i burocrati. La tana delle tigri ha sempre lottato contro di loro. La tana delle tigri, se come dite voi è vero, dovrebbe aver già inviato al vostro successore la giara della verità, ma nessuno la mai ricevuta…”

“Mica lo dicono se ricevono la giara, professore.” L’Imperatrice rise rumorosamente. “Non lo hanno mai detto.” Disse infine.

“Oh, no. Questo non è vero. Ho visto un elenco di nomi di imperatori, aspetti…” Il professore si alzò e si mise davanti al video. Cercò qualcosa, per un breve tempo. All’improvviso sul video apparve un elenco di nomi, tutti gli imperatori che avevano comandato su quella galassia. Di fianco ad ogni nome c’erano stani simboli, tra cui una giara.

“Visto!” disse girandosi verso l’Imperatrice, che si alzò e si avvicinò al video. “Tutti i nomi degli Imperatori, con a  fianco il simbolo della giara. Visto, al cambio di dinasta vi é una giara. Tranne al cambio della vostra dinastia. La vostra dinastia è salita al potere senza la giara. Com’è possibile? Di sicuro c’è sotto qualcosa. O la tana delle tigri non ha più proseliti, o i burocrati hanno preso il comando!” Disse il professore.

L’Imperatrice guardò tutti quei nomi, i simboli a fianco di ogni nome, e la giara, messa esattamente al cambio di dinastia.

Davvero i burocrati alla fine avevano preso il sopravvento sulla tana delle tigri e avevano messo un Imperatore scelto da loro, per poter fare quello che volevano, comandare nell’ombra senza dover rendere conto a nessuno?

L’Imperatrice cominciò a capire tante cose.

“Sì, mio caro professore. È proprio così. I burocrati hanno preso il comando. Si sono impadroniti dell’Impero e della galassia. Adesso so cosa devo fare.” Disse l’Imperatrice, battendo una mano sulla spalla dell’anziano uomo, per così tanto tempo fedele servitore.

“E cosa volete fare, mia signora?”

“Andremo alla tana delle tigri e lo chiederemo direttamente agli interessati. Avremo notizie più interessanti e sapremo come sconfiggere il nemico.”

L’Imperatrice spense il video, toccò un tasto rosso e apparve la faccia di un uomo robusto, con il viso pieno di cicatrici, viso rotondo, di stazza grossa, non molto alto, vestito da militare.

“Rudolf, preparate la mia nave da battaglia. Dobbiamo partire. Subito!” Gli ordinò l’Imperatrice, che non attesa la risposta e accese un altro pulsante.

Apparve una donna, minuta, piccola, anziana.

“Delia. Fai preparare subito la mia tuta da combattimento.”

L’anziani, stupida, non ebbe il tempo di rispondere. Il video si spense subito.

L’Imperatrice guardò il professore.

“Bene, professore. Partiamo. La tana delle tigri ci aspetta.”

“Non vorrà ficcarsi in quel guazzabuglio di gente…”

“Di gente fedele alla galassia, professore. Fedele alla galassia, non a se stessi. Se riusciremo ad avere i contatti necessari, pensò che la galassia sarà al sicuro. E credo che l’unione tra mia figlia e l’uomo che tanto ama non sarà così tanto osteggiato come noi crediamo. “ Concluse l’Imperatrice, dirigendosi verso una porta, in fondo alla stanza.

“Cosa volete che faccia?” Chiese il professore timoroso.

“Verrete con me. Fatevi trovare all’astroporto tra due ore. Vedrete che faremo un bel viaggio.” L’Imperatrice sorrise, tranquilla, ed uscì dalla stanza.

Il professore preparò le sue cose (non aveva neanche disfatto i bagagli) e andò all’astroporto.

La nave da guerra dell’Imperatrice era superba. Nei ultimi duemila anni le navi per viaggiare nello spazio erano parecchio ambiate. Ora erano degli enormi dischi, piatti, con i motori arretrati rispetto ai dischi. Le velocità che raggiungevano erano di parecchio volte superiore alla velocità della luce. Di parecchio superiore.

Il professore salì da una passerella posta sotto la zona vicino ai motori.

All’interno dell’astronave fu accolto da una sua vecchia conoscenza.

“Professore.”
”Elisabeth! Che piacere vederti. E il tuo occhio, come sta? ”

“Bendato!” Gli rispose la ragazza. Era un tipo corpulento, alto, viso magro, labbra carnose, capelli lunghi e neri, l’unico occhio aveva una pupilla nera come la notte. La benda copriva l’occhio destro, cavatogli dalla sua sede dall’Imperatrice di persona durante un allenamento con le spade. Da allora l’Imperatrice la aveva elevata al rango di suo attendente.

Indossava una tuta da battaglia nera, talmente aderente che mostrava i muscoli e tutta la sua femminilità. Il professore non riusciva a capire perché l’Imperatrice si circondasse di donne guerriere, come le antiche amazzoni. Gli uomini erano più affidabili, lottatori, guerrieri veri. Poi si ricordò che le tute da battaglia avevano la possibilità di aumentare la forza del combattente di almeno dieci volte: anche una donna poteva spaccare la testa di un uomo distratto davanti alle sue grazie.

“Allora, professore, un’altra avventura? Questa volta cosa cerchiamo? Un pianeta che non c’è? O dobbiamo cercare strani documenti in qualche posto remoto della galassia?”

“Se fossi in te, Elisabeth, non farei troppo la spiritosa. Stavolta, forse, devi sporcarti le mani. E non credo che sarà divertente. Posso andare nella mia solita stanza?” Chiese il professore, dirigendosi verso un ascensore.

“Sì. Come al solito. Sporcarmi le mani? Ma se ogni volta non succede niente. Una viaggio di piacere e torniamo dopo neanche una settimana. Che barba!” Disse Elisabeth, girandosi e dirigendosi verso degli uomini che stavano caricando dei macchinari sulla nave.

Il professore rise.

Prese l’ascensore e si diresse al ponte cinque.

La sua stanza era segnata con la sigla E5010.

La camera era spoglia. Vi era un finestrone, a metà altezza, lungo tutta la stanza che dava verso l’esterno della nave. Sotto di esso vi era divano per metà della sua lunghezza e una tavolo.

Un altro da lavoro era nella parete di fianco alla porta di ingresso.

Il computer era acceso e sul video vi era un messaggio interno.

Una riunione di lavoro era fissato dopo la partenza, che era prevista per le ore undici.

Come al solito, l’Imperatrice non aveva perso tempo. Sembrava che ogni volta che il professore tornava con dei dati per la ricerca di qualcosa, l’Imperatrice già sapesse il risultato e cosa doveva fare.

Il professore aveva sempre avuto il dubbio che l’Imperatrice lo spiasse in qualche modo durante le sue ricerche.

Ma la cosa non lo aveva mai preoccupato.

Ma stavolta qualcosa non quadrava.

I macchinari che aveva visto caricare dagli uomini di Elisabeth erano robot da guerra. Non i soliti, però. Alcuni suoi allievi avevano sperimentato la possibilità di guidare i robot con la mente. Cosa che da parecchio tempo si faceva. Ma i suoi discepoli erano arrivati al punto che la menta del pilota quasi si fondeva con la macchina, fino al punto che le reazioni di intervento dei robot erano immediate, con la differenza di intervento così minima, che l’Imperatrice aveva avuto paura a produrre più di qualche esemplare di prova. Per l’esattezza cinque.

Lui ne aveva visti almeno venti.

Il professore prese le sue borse e schiacciò un pulsante sulla parete libera.

Si aprì un armadio e sotto apparve un letto.

Appoggiò le borse sul letto, le apri con calma e cominciò a tirare fuori i vesti, appendendoli con ordine.

Di solito li prendeva e li buttava dentro, ma il pensiero di qualcosa di strano gli fece fare le cose senza rendersene conto.

Svuotata una borsa, iniziò con l’altra.

La sua vecchia tuta da guerra era lì, nera come la pece.

La teneva sempre in ordine. Odiava la guerra, ma troppe volte l’Imperatrice l’aveva trascinato in situazione poco piacevoli. Stavolta si era preparato.

All’interno della tuta faceva bella mostra di sé un disegno stilizzato di una animale. Il professore la guardò con sentimento. Era giunto il momento che quel simbolo tornasse a dire la sua, a dire qualcosa per la galassia?

Sul video del computer apparve la faccia di Elisabeth che lo chiamava.

Il professore nascose la tuta e si diresse al video.

Alzò il volume dell’audio.

“Professore. Come al solito.. il volume… quante volte le devo dire che deve essere alzato al massimo… se no cosa la chiamo a fare…”

“Smettila, Elisabeth. Cosa vuoi?” Disse il professore in modo sgarbato.

“Scusi. L’Imperatrice è a bordo e stiamo per partire. Ha detto di scendere in sala…”

“Va bene. Arrivo.” Rispose il professore sgarbatamente, e chiuse la conversazione spegnendo il video.

Dalla sedia su cui si era seduto per rispondere a Elisabeth guardò la tuta.

Ora il destino dell’universo era nelle sue mani.

Nascose la tuta e il borsone che la conteneva.

Chiuse l’armadio e il letto.

Si diresse verso la porta: prima di uscire si girò a controllare che tutto fosse a posto.

Guardò in alto: la telecamera di sicurezza era accesa: qualcuno spiava, come al solito. Poco male.

Uscì e si diresse in sala riunione.

Anche se Elisabeth non aveva concluso al frase, sapeva che l’Imperatrice era là con tutto lo staff.

La sala era dall’altra parte della nave e gli ci volle un buon cinque minuti per arrivarci.

Odiava quella nave: bisognava sempre camminare per postarsi da un punto all’altro, usare scale: non capiva perché gli unici ascensori che vi erano installati portassero solo al ponte di volo.

Quando arrivò nella sala, l’Imperatrice era già lì, nella sua tuta da guerra blu cobalto. Una meraviglia, penso il professore.

Non così lei, che glielo fece capire con una sguardo meno benevolo del solito.

L’Imperatrice stava parlando con Elisabeth e con un uomo, di media statura, anche lui con una tuta da guerra indossata, con un fregio sul petto: era il comandante della squadriglia di robot. Aveva un nome strano… il professore, come al solito, i nomi stupidi non se li ricordava. Fa niente, pensò, non ci doveva parlare con quello.

Nella sala vi erano altre persone, alcune vestite con tute da lavoro, altri con i vestiti di ordinanza delle navi spaziali.

Riconobbe il comandante della nave, il Generale Kutre e un uomo dei servizi segreti militari, anche lui con un nome strano e stupido.

Quando tutti furono seduti ai loro posti. L’Imperatrice iniziò la riunione. Guardando il tavolo, lei si accorse che un posto era vuoto.

“Dov’è?” Chiese, scocciata.

“E’ il solito ritardatario.” Disse una voce.

Qualcuno rise sottovoce, con l’Imperatrice che stava incominciando a sbuffare come un toro.

Ad un certo punto una porta di aprì di colpo e un omino, di piccola statura, grassoccio, entro nella sala riunione.

Aveva una tuta da lavoro logora, e lei sembrava ancora più trasandato.

“Caro Leonard, non puoi tutte le volte essere in ritardo e conciato come… un animale! Ma ti lavi?” Disse l’Imperatrice, mentre un odore nauseabondo investì tutti i presenti.

“Posso?” Chiese Elisabeth.

L’Imperatrice l’anticipò, schiacciando un pulsante sul tavolo.

Il povero Leonard fu investito da un getto di acqua calda, sceso dal soffitto, che lo lavò completamente.

“Visto, Leonard. Ad ogni problema la sua soluzione.” Disse l’Imperatrice.

“La ringrazio, mia signora.” Rispose Leonard con la sua vocina, mentre con la mano sinistra si toglieva l’acqua che dai capelli scivola sul suo volto. I presenti non riuscirono a trattenere una sonora risata.

“Bene. Dopo questo piccolo fuori programma, torniamo ai nostri affari.” L’Imperatrice schiacciò un pulsante su un pannello posto alla sua sinistra e dietro a lei scese un enorme video, su cui apparse una zona della galassia.

“Come vede” Continuò ”noi dobbiamo andare sul pianeta PY253YU, detto anche la tana delle tigri. Non sarà un viaggio lungo, ma sicuramente quello che troveremo sarà molto importante per tutti noi. Come al solito la segretezza è importante. Solo che questa volta non perdonerò strane comunicazioni (guardò tutti con aria pericolosa, tambureggiando con le unghie sul tavolo) con personaggi equivoci. Questa volta chi si azzarda a disobbedirmi lo sistemo di persona!” Così dicendo sferrò un pugno sul tavolo, che fece trasalire tutti.

Una voce subito si alzò da un posto vicino al professore “Non crederete che tra noi ci siano dei traditori?”

“Mio caro, questa volta i traditori saranno morti! Credo di essere stata molto chiara!” E un altro pugno cadde sul tavolo.

Il professore guardò Elisabeth, che se la stava ridendo silenziosamente: altri, invece, avevano la facci decisamente preoccupata.

I burocrati avevano infiltrato persone a loro fidate sulla nave da guerra dell’Imperatrice.

Il professore cominciò a capire.

Erano arrivati a tanto, pur di comandare la galassia.

La riunione continuò con dati e sistemazioni dei ruoli, fasi di attacco e di protezione all’operazione.

Ma al professore questo non interessa. Anzi, l’Imperatrice per quelle riunioni non lo aveva mai chiamato.

Perché stavolta era diverso?

La riunione durò parecchio. Continuò anche quando la nave partì.

Strano, si parte e il comandante della nave e l’Imperatrice non sono sul ponte di comando.

Sempre più strano, pensò il professore.

Ma era inutile chiedere, nessuno ci fece caso.

Durante la riunione mangiarono qualcosa di frugale, bevvero solo acqua (l’alcool sulla nave dell’Imperatrice era vietato quando si andava in missione) e la riunione proseguì fino alle cinque del pomeriggio di un giorno galattico standard.

Alla fine della riunione tutti se ne andarono alle loro mansioni. Il professore rimase meditandolo.

Elisabeth se ne accorse e si avvicinò.

“Non mi sembra il caso di essere preoccupato. Tutto fila come previsto.” Le disse, dolcemente.

“Tu credi. E allora perché ho dovuto subire questa riunione ”

“Come, non lo sai. Ci aspettano. Non vorrai fare brutta figura.”

Elisabeth si allontanò, scortata dal comandante della squadriglia.

L’Imperatrice stava leggendo sul video dei dati, quando alzò la testa e guardo il professore.

“La riunione è finita, Gorge. Qualche problema?”

“Non mi avete mai chiamato per nome, Koiula. Come mai adesso… “

L’Imperatrice si pose il dito indice della mano destra sulla bocca. Fece un gesto e la sala fu chiusa, sigillata. Il rumore delle porte blindate ce si chiudevano fu quasi assordante. Le telecamere della sicurezza si spensero. Non tutte, ma George notò che a una buona parte di esse la luce rossa si era spenta.

L’Imperatrice si avvicinò al professore.

“So il vostro segreto. So cosa nascondete. E voi avete capito cosa voglio fare. Prima di arrivare alla tana delle tigri, i burocrati dovranno essere spariti su questa nave. Conto su di voi. Non importa come lo farete o come gli scoprirete. Fatelo e basta.”

“Non sono un assassino! Non posso…”

“Non lo farete voi il lavoro sporco. Ci penserà Leonard.”

“Leonard?!”

“Sì, Leonard. Voi trovateli e poi ditelo a lui. Buon lavoro, professore.”

L’Imperatrice si alzò dalla sedia su cui si era seduta. Si volto, facendo un altro gesto.

Le porte blindate si aprirono, forse ancora più rumorosamente di quando si erano chiuse e le telecamera si riaccesero.

Il professore uscì dalla sala e andò nella sua stanza.

Scoperto come un bambino. Era stato stupido. Ma il pensiero si rivolse ad altro. L’Imperatrice doveva essere o chiaroveggente o telepatica. Forse, i burocrati avevano sbagliato qualcosa quando avevano scelto la sua dinastia.

E la tana delle tigri doveva approfittarne.

Il professore si cambiò e se ne andò a letto.

Fuori dalla finestra, le stelle correvano veloci. Dalla parte sbagliata.

Capì che alla tana delle tigri ci sarebbero arrivati dopo almeno due mesi.

Già. I burocrati dovevano scendere dalla nave, possibilmente morti.

Il professore spense le luci e se ne andò a letto.

Si addormento guardando le stelle che scorrevano. Dalla parte sbagliata.

L’astronave incominciò ad andare a zonzo per la galassia.

Le giornate passavano stancamente, tra intrallazzi di potere, strane sparizioni, gente trovata morta nei letti mentre dormiva ed altre dicerie del genere.

L’astronave era grande e le leggende incominciarono a crescere come i parassiti sulle piante.

Il professore individuo solo tre degli uomini inviati dai burocrati. Gli altri si fecero scoprire da messaggi maldestramente inviati ai loro capi burocrati.

Alla fine gli uomini al servizio dei burocrati risultarono venti.

Tutti fecero la stessa fine.

Ma strani messaggi continuavano ad essere spediti da uno strano strumento a bordo dell’astronave.

Nessuno, però, fece niente.

Il professore sapeva che, comunque, era necessario che i burocrati ricevessero notizie, magari anche false, ma l’importante era che il cordone ombelicale non fosse tagliato.

Così, dietro ordine dell’Imperatrice, l’uomo che si salvò continuò ad inviare notizie, controllate in modo indiretto dall’Imperatrice. Peccato che lui non lo seppe mai che faceva il gioco dell’Imperatrice e non dei burocrati.

Dopo circa un mese di viaggio nella galassia, dove l’Imperatrice poté in contemporanea visitare pianeti del suo Impero che non aveva mai visitato, la nave si diresse definitivamente verso la tana delle tigri.

A circa due giorni di viaggio dalla tana, l’Imperatrice fece chiamare il professore.

Era il secondo turno di guardia, in teoria erano le due del mattino in un giorno galattico standard.

Il professore stava dormendo profondamente, quando una delle guardie personali dell’Imperatrice lo svegliò.

Il professore si sveglio alquanto arrabbiato, in quell’ora così indicente.

Per fare in fretta si mise una tuta da lavoro e andò dall’Imperatrice.

Lo sapeva che con lei era inutile discutere, ma a quell’ora, diamine.

Il professore andò diretto verso una sala dell’ultimo ponte.

Il soldato lo fece entrare in un grande stanzone: era la stanza adibita alle carte spaziali tridimensionali.

“Professore. Come sta?” Gli chiese l’Imperatrice, ma prima che lei potesse continuare, il professore incomincio a borbottare.

“Che orario indecente. Ti sembra l’ora di far alzare un povero vecchio come me dal letto per cosa?”

“Perché non troviamo la tana delle tigri, professore.” Gli disse seccata l’Imperatrice. “Non è dove dovrebbe essere. Perché?”

“Perché sono passati cinquemila anni e potrebbe essersi spostato. Rispetto alle carte. Leonard, fai una cosa… immetti i dati per calcolare lo spostamento delle stelle rispetto al centro della galassia..” Disse il professore, ma Leonard non aspetto che la frase fosse finita. Sul cielo virtuale apparve un puntino, spostato di circa dieci gradi rispetto al punto ricavato dai dati da parte del professore.

L’astronave ebbe un sussulto e si diresse verso il punto segnato nella volta.

Il professore si girò ed usci dalla stanza.

“Avvisi i suoi amici, professore. Veniamo in pace.” Disse l’Imperatrice.

Il professore non si volto.

“Lo sanno già.” Disse, oltrepassando la porta, che si chiuse dietro a se con uno scatto, mentre l’Imperatrice lo guardava in modo interrogativo.

Il giorno dopo arrivarono al pianeta.

L’astronave gli girò intorno, facendosi la sua personale eclisse con il pianeta ed il sole arancione.

Il professore salì sul ponte di comando per vedere il pianeta.

Il ponte di comando, anche se ampio, era occupato da un sacco di comandanti, venuti a prendere ordine per la discesa sul pianeta.

Sul grande video si vedeva il pianeta e altre navi, di dimensioni decisamente più piccole di quella su cui avevano viaggiato.

Le informazioni del professore erano esatte.

L’Imperatrice aveva mandato avanti altri navi a controllare la zona.

Ma lui non si preoccupò.

Scese nella sua stanza e indossò la tuta da guerra.

Dalla stesa valigia tolse un mantello, nero, con un cappuccio.

Lo indossò. Sulla spalla destra la testa di tigre d’orata tornò a rivedere la luce.

Uscì dalla stanza. Ma qualcuno, vestito come lui, lo aspettava.

Si diressero verso un hangar secondario e presero una navetta.

Il compagno del professore guidava la navicella, mentre il professore gli dava le coordinate per il viaggio.

Uscirono dall’hangar sotto gli occhi increduli di alcuni tecnici e si diressero verso il pianeta.

Il viaggio durò alcune ore.

L’astroporto verso cui erano diretti era il principale. Il professore pensava che era l’unico modo per entrare senza provocare danni a nessuno e preoccupare in modo illogico gli abitanti del pianeta.

Le coordinate dell’astroporto furono inserite nella navetta, che vi arrivò tranquillamente, senza troppi scossoni e senza che nessuno si facesse vivo.

Quando atterrarono era notte su quella parte del pianeta.

L’astroporto era enorme, ma a nessuno dei due viaggiatori scappo l’ombra che una delle lune stagliava sul suolo dell’astroporto di una nave spaziale di notevoli dimensioni.

“Invincible!” Disse il professore.

I due scesero dalla navetta e si diressero verso la nave. Era li, sopita, dormiente, tranquilla, che spettava di essere svegliata dal lungo sonno.

 Il professore prese per un braccio il suo compagno, che si era diretto decisamente verso la nave.

“Non è il momento. E comunque non spetta a noi svegliarla.” Gli disse.

I due si diressero verso un portone aperto che dava su una grotta. Accesero delle lampade portatili molte luminose ed entrarono della grotta.

Un rantolio veniva dal fondo della grotta.

“Le macchine… si stanno spegnendo… andiamo da questa parte, le riattiveremo…” Disse il professore.

I due percorsero un corridoi stretto, posto a destra dell’enorme corridoio, seminascosto da un enorme arazzo.

Strano disegno: sull’arazzo vi erano vecchie navi spazili che lottavano con un’altra nave, più grande: ma le torce non riuscivano ad illuminare tutto l’enorme arazzo, e il compagno del professore non poté vedere il disegno in tutta la sua interezza.

Il corridoio, stretto, continuava a girare, destra, sinistra, poi incominciò a scendere, girando sempre a sinistra.

Camminarono per almeno due ore.

Il professore, anche se era ben allenato, arrivò ansimante alla fine del corridoio.

La porta che chiudeva il corridoio fu aperta di slancio da lui e il suo compagno.

L’enorme stanza che si aprì davanti a loro era piana di quadri, leve, pulsanti, indicatori.

Il professore si diresse su di una leva.

La abbassò e la rialzò.

Il rumore della macchine, da un borbottio diventò un sibilo continuo ed ininterrotto.

La luce incominciò a tornare in tutta la tana.

Il compagno di viaggio del professore si tolse il cappuccio.

“E’ tutto a posto, adesso, professore?”

Elisabeth si stampo in faccia un sorriso di quelli a cui il professore non sapeva dire di no.

“Non credo. Doc non è qui. Sarà rimasto di sicuro su Oleg, e tu non hai pensato ad andarlo a prenderlo. Invincible è vuota. Mancano Elsa, Ronson e Black. Invece di essere a cercarli, sei qui che ti pavoneggi con me. Sono vecchio, ma non scemo. Adesso me lo spieghi come facciamo?” Il professore sgridò l’allieva in modo alquanto brusco.

Elisabeth si difese.

“Non è che non ci ho pensato. Ho mandato qualcun altro a prelevarli…”

“E che?” la incalzo il professore.

“Un uomo fidato.” Gli disse Elisabeth, con fare da gattona. “Ho mandato la figlia dell’Imperatrice.”

“Ma brava. Se lo sa la madre, salta tutto.”

“Sa già tutto. Quella legge nella mente. Cinquemila anni di manipolazione genetica ci hanno portato ad avere una che legge nel pensiero, che è sempre avanti a noi di un passo. Non serviamo più. Lo capisci, professore. Non serviamo più.”

“Serviamo, sciocca donna. Siamo la sua armata segreta contro i burocrati! Ce l’avevamo fatta a tenerli buoni, ma tu cosa ti sei messa in testa non so. La giara della verità non può mettersi in viaggio senza due che la portano. Sai, due gemelle. E noi le gemelle non ce le abbiamo. Due gemelle fidate non le abbiamo. Quante volte te lo devo dire. Fino ad ora ci siamo arrangiati, ma i burocrati hanno capito. E lo capirà anche lei che non da una dinastia, ma che da ben cinque la giara non viene consegnata. E tu giochi.” Il professore era furibondo. Guardò Elisabeth dritto negli occhi. “E’ inutile parlarne. Adesso sistemiamo le cose a dovere.”

Il professore uscì dal locale, lasciando Elisabeth lì, come uno straccio usato.

Elisabeth si riprese subito e lo seguì.

Quando tornarono nell’astroporto, un’altra nave stava atterrando.

Era una nave di piccole dimensioni, anche lei formata da un disco piatto e i motori separati dalla parte principale dell’astronave.

Era colorata completamente di nero, difficile da individuare nello spazio profondo.

Quando i motori si spensero, una passerella dal lato motori scese, silenziosa.

Poco dopo delle ombre apparvero sulla passerella, mentre le luci tornavano lentamente nell’astroporto.

La prima che scese era una ragazza: aveva circa venticinque anni, alta, viso ovale, occhi neri, i capelli raccolti dietro alla nuca. Assomigliava troppo all’Imperatrice. Era la sua primogenita Giulia. Al professore ricordava qualcosa quel nome, ma al momento non riusciva a collocare dove lo aveva sentito. Indossava una tuta da guerra color blu cobalto e si era coperta con un enorme celata nera con cappuccio, di quelle usate dai soldati durante le battaglie sotto gli acquazzoni di acqua.

Dietro a lei scesero tre figure, coperte fino ai piedi da un mantello nero e incappucciate, come a non volersi far riconoscere.

La principessa Giulia era decisamente più alta del professore e anche di Elisabeth.

Quando fu vicino a loro li guardò con insufficienza.

“Non capisco perché mandare me a prendere queste persone?” Disse. La sue erra moscia era terribile. Il professore aveva tentato, insieme ad altri colleghi, a farla smettere di parlare con quella cadenza. E c’erano anche riusciti. Ma la principessa, ogni qual volta doveva parlare con dei sottoposti in luoghi non pubblici, come ricevimenti o visite ufficiali sui pianeti, si divertiva a parlare in quel modo, e nessuno era mai riuscita a farle smettere.

“Capisco la sua indignazione, principessa, me era necessario andare a prendere queste persone. Scusateci dell’inconveniente.” Rispose amorevolmente il professore.

“Sì, si. Capisco.” Disse la principessa. ”Ma la prossima volta avvisatemi che il pianeta è infestato da robot guerrieri. Abbiamo dovuto battagliare per due giorni per riuscire a portare via quelle persone. Poi, non capisco professore… perché non si tolgono mai il cappuccio. A parte che non hanno neanche mangiato per tutto il viaggio.”

“Gorge caro, come va?” Uno degli incappucciati si era avvicinato a loro. Si tolse il cappuccio e apparve un uomo, completamente pelato, con un viso familiare.

“Doc. Che piacere rivedervi. Spero che il viaggio vi sia piaciuto?” Rispose il professore, sorridendo all’uomo di cui aveva tanto sentito parlare, ma mai visto se non in alcune immagini.

“Oh, sì. Divertente. Se non fosse per quella erre moscia… terribile… veramente terribile…” Disse Doc, facendo l’occhiolino a George.

Elisabeth scoppiò a ridere: sapeva che la principessa avrebbe sbottato per quella osservazione.

Stranamente, Giulia non si infuriò.

“Se vi dava tanto fastidio “ Disse senza la sue erre moscia “potevate anche gentilmente farmelo notare. Non sono una persona indifferente alle necessità altrui. E dopotutto, come vede, so parlare in modo corretto.”

“Bene.” Disse il professore “Se vogliamo metterci al lavoro. Devo avvisare l’Imperatrice che può atterrare.”

“Sa qualcosa…” Doc fu subito fermato con una mano da George.

“Prima entriamo e vediamo se è tutto a posto. L’Imperatrice saprà tutto a suo tempo.”

Il gruppo entrò nella tana.

Ci impiegarono due giorni a controllare che tutto fosse efficienze nella tana.

Alla fine avvisarono l’Imperatrice, che stava già incominciando a spazientirsi: non gli piaceva aspettare. Ma quando seppe che Giulia era nella tana si tranquillizzò. Perlomeno qualcuno di fidato era presente sul pianeta.

L’Imperatrice diede ordine di preparare una navetta; voleva andare alla tana al sorgere del sole sul pianeta.

Quella sera Doc e il professore si ritrovarono nella vecchia stanza di Doc.

“Come stanno le cose?” Chiese Doc.

“Da quello che ne so, sembra che le ultime cinque dinastie siano state scelte dei burocrati, anche se nella scelta, non so certamente chi ringraziare, hanno fatto delle scelte che sono andate e nostro favore. Tutti gli imperatori che sono saliti sul trono della galassia hanno fatto il suo bene, non certo quello dei burocrati. Ma adesso pretendono il dazio, caro Doc. Hanno presentato il conto all’Imperatrice. Lei vorrebbe, dato ormai la vicinanza tempistica con la galassia Androgina, di far sposare sua figlia con il figlio dell’Imperatore. Ma i burocrati hanno paura che ciò comporti cambiamenti e rimescolamenti di ruoli e non vogliono. Sembrano decisi a un colpo di mano. Così facendo, si impadronirebbero del potere e dell’Impero, quindi la galassia, sarebbe smembrata in mille staterelli comandati da crudeli padroni.”

“E noi non possiamo permetterlo, vero professore?” Disse Doc.

“Già. Prima il bene della galassia.”

“D’accordo. Domani sentiremo cosa vuol fare l’Imperatrice. Se sarà il caso useremo Invincible. Ma sarà necessario eliminare i burocrati più pericolosi. Ci penseremo.” Doc finì la frase assopendosi.

Il professore lo guardò. Sapeva che non stava dormendo. Chissà quanto tempo poteva ancora funzionare.

George lasciò la stanza e si diresse verso la sala delle riunioni.

L’aveva vista una sola volta, con le torce elettriche, quando era venuto lì con suo padre anni fa, o forse secoli: era passato così tanto tempo da quando gli era stato dato l’incarico di proteggere la tana delle tigri.

Lui ce l’aveva messa tutta perché il segreto non fosse violato, ma ora era necessario che qualcuno sapesse. Ma quanti sapevano.

Dietro a lui arrivò uno degli incappucciati che lo chiamò per nome.

“George!” Era una voce femminile, soave.

“Evane! Che piacere vederti! Avevi bisogno?”

La donna tirò indietro il cappuccio e il suo volto giovanile apparve in tutto il suo splendore a George.

“Stanno arrivando gli altri. Stanno atterrando negli altri astroporti. Mi raccomando. Ricordati dell’altra volta. Qualcuno potrebbe essere scappato all’Imperatrice ed essere qui a fare il doppio gioco.”

“Non ti preoccupare, Evane. Stavolta non capiterà più. Abbiamo imparato. Noi. Vedrai, stavolta il bene della galassia trionferà senza troppi problemi. Una guerra ogni tanto serva a fare pulizia. Anche se noi vorremmo evitarla. A proposito, Doc è troppo stanco…”

“Si, lo so. Anche noi. È troppo tempo che siamo in queste macchine e non dureremo per sempre. Forse Invincible, ma non ne siamo sicuri. Anche se facciamo continuamente manutenzione, non abbiamo apportato grosse modifiche alla tecnologia usata. Ma siamo anche noi stanchi di essere in queste condizioni. Forse dovremmo riposarci per sempre. Con Doc ne abbiamo già parlato. Cinquemila anni sono stanti. E’ ora di modificare le cose. Un’altra tana con altre tigri deve sorgere, George. Ma di questo ne parleremo dopo.”

“Si. Andiamo ad accogliere gli altri.”

Così dicendo George ed Evane uscirono dalla sala e si diressero verso il punto di raccolta di tutti quelli che stavano arrivando.

La notte, nei cieli della tana, fu trafficata, con astronavi di tutte le forme e grandezze che arrivavano.

L’Imperatrice dalla sua nave guardava le astronavi arrivare. Sapeva che una cosa del genere non era mai stata vista da nessuno. Tutti coloro che facevano parte della tana delle tigri stava arrivando sul pianeta.

Alcune navi non erano di quella galassia, ma neanche di quella vicina.

Con tutto il tempo che ci voleva, quando era partite e da chi erano state avvisate?

Il ponte di comando rimase in subbuglio per tutta la notte del pianeta.

Due turni di guardia passarono, prima che il sole sorgesse sulla tana e che l’Imperatrice decidesse di scendere sul pianeta.

Nell’astroporto principale era stato destinato uno spazio per l’atterraggio della navetta dell‘Imperatrice.

Ad accogliere la navetta vi era solo il professore: gli altri erano già nella sala.

La navetta atterrò, silenziosa. Appena la passerella fu abbassata, l’Imperatrice scese di corsa, seguita da un gruppo di uomini.

L’Imperatrice indossava una mantello nero, con cappuccio, con i bordi dorati. Gli uomini che la seguivano avevano le celate nere.

L’Imperatrice, anche con addosso gli scarponi, aveva sempre una camminata molto femminile.

Passò davanti al professore facendogli un semplice cenno col il capo.

Il professore, girandosi, notò sul mantello dell’Imperatrice il simbolo della tana delle tigri sulla spalla destra.

“Ma… mia signora…” Disse il professore, balbettando.

L’Imperatrice si fermò e voltò la testa verso il professore, sul cui viso si era manifestato lo stupore per ciò che aveva visto.

“Non lo sapete, George. La segretezza dei suoi componenti è l’arma più pericolosa della tana.” Gli disse l’Imperatrice, pacatamente.

L’Imperatrice si rivolto e riprese a camminare con fare deciso.

Il professore gli corse dietro e gli uomini di scorta dell’Imperatrice li seguirono, silenziosamente.

Nella sala vi era un brusio di sottofondo, che cessò quando l’Imperatrice entrò, seguita dal professore.

Doc era al suo solito posto, circondato da quattro personaggi incappucciati.

Evane aveva preso posto sugli scranni di fronte a Doc. Ai suoi piedi facevano bella mostra di sé l’orso Roson e la tigre Elsa. Il tempo non gli aveva invecchiati.

Giulia, la figlia dell’Imperatrice, si era seduta su uno scranno vicino ad Evane.

Il professore si ricordò dove aveva già sentito quel nome. Strano, si era seduta sullo scranno della sua precedettrice.

Il professore si sedette sullo scranno vicino ad Evane.

L’Imperatrice rimase un attimo lì, in piedi, davanti a tutti: poi, con fare molto umile, si sedette vicino alla figlia.

Sedutasi, guardo Doc. Subito, l’Imperatrice fece un cenno e gli uomini di scorta uscirono dalla sala.

Un enorme portone si chiuse dietro loro.

“Per la sicurezza di tutti!” Disse Doc “Qui le armi non sono mai entrate.”

L’Imperatrice accennò ad un sorriso.

“Bene.” Iniziò Doc, alzandosi. “Come sapete, i nostri tentativi di tenere unita la galassia, si stanno mostrando inutili. Ormai non abbiamo più il controllo dei burocrati, che stanno ormai operando a viso scoperto, pur di impossessarsi del potere, che ritengono gli si dovuto. Dobbiamo serrare i ranghi e rimettere il bene di tutti davanti al bene di pochi. Come vedete, la stessa Imperatrice è dovuta uscire allo scoperto, per poter fermare qualsiasi tentativo di successine da parte dei burocrati. Purtroppo, la guerra, che tanto abbiamo voluto evitare, è necessaria. O almeno, cercheremo di far sì che interessi meno individui possibili in questa galassia. Ora, cara Imperatrice, credete che i burocrati che sono qui siano pericolosi?”

L’Imperatrice si alzò. Guardo i personaggi sulle balconate.

“No, Doc. Le persone che sono qui presenti non sono che insignificanti burocrati di poco conto. Non penso che impediranno che si compia il loro destino…e il nostro!”

“Bene. E’ inutile continuare questa riunione. I burocrati si stanno organizzando su un pianeta fuori dalla galassia. Sarà bene attivare Invincible e chiudere la questione in tempi brevi. Per quanto riguarda la giara della verità, Non si muoverà fino al tempo previsto. Che, ovviamente, non è adesso.” Doc fece un sorriso all’Imperatrice, che contraccambiò.

La sala si svuotò.

Alcuni dei membri della tana partirono in gran fretta.

Alcuni burocrati presenti tentarono una mediazione con l’Imperatrice, ma il risultato non fu molto favorevole. Le segrete della tana delle tigri non diedero loro alcun scampo.

George parlò della cosa con Elisabeth.

“Non vedo perché dovremmo sporcarci le mani di sangue!” le disse preoccupato.

“Non è il nostro sangue e non lo stiamo facendo noi. Lascia perdere. Pensa solo ad Invincible.”

La nave da guerra dormiva ancora quando il professore, Elisabeth, Giulia con Roson e Elsa vi salirono.

La tigre seguiva come un’ombra la principessa, mentre Roson faceva sempre compagni ad Elisabeth.

La nave sembrava che respirasse. Ogni tanto si sentiva un rantolo.

Roson prese con la bocca la mano di Elisabeth e lo portò verso un locale vicino ai motori della nave.

Tutti gli seguirono. Elisabeth era spaventata: se Roson avesse chiuse le mascelle la sua bella mano sarebbe diventata solo poltiglia.

Dietro ad una porta blindata vi era una stanza enorme, di forma semisferica.

Aveva un diametro di almeno venti metri, ed era alta almeno altrettanto.

Al centro vi era uno strano macchinario circolare.

Il professore si avvicinò ad un quadro comando.

Un pulsante verde diceva chiaramente “Accensione”.

Il professore non se lo fece dire due volte e premette il pulsante.

Il rantolo divento un sospiro, poi un ansimare, poi un respiro regolare.

Le luci della nave si accesero.

Dopo cinque minuti di terrore dei presenti, il pannello di comando davanti al professore si illuminò come un fuco d’artificio.

I livelli indicati sui quadranti saltavano dai numeri più bassi ai numeri più alti e viceversa.

Quando tutto si stabilizzò, su di un video apparve la faccia di un uomo.

“Conte Black.” Disse il professore.

Una telecamera uscì da quella strana struttura e squadrò il professore.

Poi fece una panoramica sul locale e sui presenti.

“Ronson!” Una voce uscì dal nulla, mentre sul video la faccia muoveva le labbra.

“Ciao, Black.” Disse l’orso “E’ un piacere vederti… vivo!”

“Chi sono questi qui?”

“Oh… amici di Doc… Abbiamo bisogno di te.”

“Meno male che i sistemi si attivano da soli ogni cinquecento anni e mi rimettono in sesto. Bhe, cosa volete?”

La telecamera puntò sulla principessa.

Il professore tossì in modo rumoroso e la telecamera si voltò verso di lui.

“I burocrati hanno tentato un colpo di mano e dobbiamo fermarli. Abbiamo bisogno di voi per stanarli e batterli.”

“Non credo che una guerra farebbe bene alla galassia, mio caro.” La telecamera di avvicinò ancora di più. “Una guerra provoca morti e noi non vogliamo ciò, vero?”

“Sì. Purtroppo non siamo noi che vogliamo la guerra, ma loro. E comunque la zona di intervento sarà limitata. Fuori dalla galassia. Gli unici a rimetterci saranno i burocrati.” Disse il professore.

La telecamera andò su Elisabeth e poi su Giulia.

Controllo Roson e si avvicinò ad Elsa.

“Sei sempre la guardia della figlia dell’Imperatrice, Elsa. Così fedele.” La telecamera si alzò. “Va bene. Avete un equipaggio da mettermi a disposizione?”

“Tutti coloro che sono fedeli alla tana delle tigri parteciperanno a questa azione.” Disse Giulia. La telecamera si tuffò verso di lei.

“Ma tu non avevi la erre moscia? Strano.” Disse Black.

Il rumore di sottofondo diventò più alto.

“Mi ci vorranno quattro ore a mettere tutto in funzione.” La telecamera si spostò sul professore. “Fate salire tutti. E datemi le coordinate di dove andare.”

La telecamera rientro nella sua sede. Il video si spense.

Le luci si abbassarono.

Il rumore di sottofondo incominciò ad essere fastidioso.

Tutti uscirono dalla stanza e la porta blindata si chiuse dietro a loro in modo fragoroso.

Il professore, con Roson ed Elisabeth si avviarono verso gli hangar.

Giulia con Elsa andarono verso il ponte di comando.

Da quando ad Invincible erano state fatte le modifiche, per navigare nello spazio con lui erano sufficienti poche persone.

Quando la nave fu pronta, un suono lancinante di una sirena percorse tutta la nave.

Gli astroporti si erano svuotati in parte: le navicelle rimaste erano di coloro che erano saliti a bordo dell’Invincible.

La nave di stacco dal suolo del pianeta sobbalzando alquanto.

Il professore ebbe da ridire qualcosa sul ponte di comando. Di tutta risposta su un video apparve Black lamentandosi di essere un po’ arrugginito.

Quando uscirono dall’atmosfera, la nave si stabilizzò e si diresse verso la nave Imperiale, che si era posizionata al di fuori di una nube galattica, lontana alcuni anni luce dal pianeta.

Black, per sgranchirsi le gambe, superò quella distanza in meno di un secondo.

Fu una cosa traumatica per la persone a bordo. Non esisteva niente nella galassia così veloce.

All’arrivo nella zona, tutti poterono vedere l’enorme flotta che l’Imperatrice aveva riunito.

Oltre alla nave Imperiale, ve n’erano altre dieci grandi quanto lei, accompagnate da innumerevoli navi di dimensioni e stazza più piccola. Era una flotta di circa cento navi.

L’Imperatrice indisse una riunione via video con tutti i comandanti.

Non era solita fare così, ma il tempo stringeva.

Da notizie ricevute dai servizi segreti militari, la flotta che i burocrati avevano messo insieme era diretta fuori dalla galassia, su di un pianeta vicino ad una nebulosa, in direzione della galassia.

La flotta era ben armata e composta da parecchi navi, che erano più di trecento, ben armate, alcune di notevole stazza. Addirittura sembrava che della flotta facessero parti navi militari do altre galassie.

Di certo l’Imperatore dell’altra galassia ne era all’oscuro, ma non si sapeva esattamente fino a che punto la corruzione dei burocrati era arrivata sulle due galassie.

“Il piano è abbastanza semplice.” Disse l’Imperatrice. “Per raggiungere quella zona della galassia ci vorranno due settimane. La flotta dei burocrati potrebbe essere già piazzata e pronta a riceverci. Ritengo opportuno che Invincible ci preceda in zona e incomincia una guerra psicologica, colpendo più navi possibili e ritirandosi dopo ogni attacco. Mi raccomando, Giulia: gli eroi morti non servono alla nostra causa. Anche se le navi sono colpite in modo lieve, non devono essere distrutte, se non in caso eccezionale. So che Black farà di tutto perché siano eseguiti questi ordini.”

Il viso di Black si sovrappose, sul video, a quello dell’Imperatrice.

“Non si preoccupi. Colpiremo le navi in modo da renderle inutilizzabili.” Disse

“Il resto della flotta” Continuò l’Imperatrice “proseguirà a velocità massima. Quando saremo in zona ci divideremo in dieci gruppi ed attaccheremo il grosso della flotta da tutti i lati. Invincible rientrerà nella galassia e procederà secondo il piano che abbiamo già studiato e di cui Giulia è a conoscenza.”

Il volto dell’Imperatrice sparì dal video e, al suo posto, riapparve lo spazio con la flotta pronta a partire.

Il volto di Black apparve sul video in console principale, ove vi era Giulia.

“Quindi, adesso devo ubbidire a voi.”

“No. Io vi devo solo dare le indicazioni. Penso che voi sappiate fare bene il vostro lavoro.” Disse Giulia, facendoli l’occhiolino.

Sotto la console principale vi era tutto il ponte di comando.

Robot e bionici erano al loro posto.

Il gorilla guardò Giulia e a un suo cenno, ordinò la partenza.

La flotta era davanti a loro, che stava prendendo velocità.

Invincible fece una curva larga a destra, inclinando il piano dell’orizzonte virtuale.

Prese velocità in pochi attimi, facendo star male tutti i presenti.

Il gorilla vide le facce di tutti e si mise a ridere sonoramente.

Invincible ci impiegò un’ora ad arrivare nella vicinanze della nebulosa indicata dall’Imperatrice.

Il professore prese i suoi appunti: quella galassia gli ricordava qualcosa.

“Black, fermati!” Urlò alla console.

La nave si fermò di colpo, in mezzo la nulla.

“Cosa c’è professore? Non vi è piaciuto il viaggio?” Chiese Black, apparendo sul video della console di Giulia.

“La nebulosa. È la stessa dove Gloria vi giunse dopo il vostro ultimo attacco. Non può essere un caso. Ma cinquemila anni per una vendetta mi sembrano troppi!” Disse il professore preoccupato.

“No. Credo che sia solo un caso.” Disse Elisabeth. “La zona l’avevo già controllata io anni fa. Su quel pianeta, vedete, quello dietro la nebulosa, vi è una civiltà spaziale non molto evoluta. Non credo che sappiano qualcosa.”

Giulia premette alcuni pulsanti e su di un video laterale apparve la cartina tridimensionale della zona.

Guardò il video, zoomando in più o meno a seconda della zona che stava guardando.

“Sì. Lì c’è una civiltà spaziale, ma questo pianeta ha una civiltà più evoluta. Guardate, anche se non ha atmosfera è colonizzato. Parecchio colonizzato. Forse abbiamo trovato la base dei burocrati. Black, attacchiamoli!” Ordinò Giulia.

Elisabeth intervenne.

“La nostra priorità sono le navi. Quelle dobbiamo attaccare!” Disse a Giulia.

“Sì. Ma quel pianeta è piano di navi. Guarda. Ci sono più di cinquecento navi da guerra sulla superficie. Ci sono segnalatori, torri di controllo, torrette con cannoni laser. No. Dobbiamo attaccarli di sorpresa.” Le rispose Giulia.

“No. Aspettiamo. È troppo pericoloso!” Dietro a loro era apparso Doc. “Attacchiamo le navi. Quando arriverà l’Imperatrice dirà lei cosa vuol fare.”

Giulia se ne fece una ragione e diede l’ordine di attaccare le navi sparse nelle vicinanze della nebulosa.

Invincible fu ingoiato dal buio dello spazio e incominciò ad apparire di qui e di là, confondendo le navi dei burocrati.

Le navi venivano attaccate quasi sempre dalla parte dei motori. Un colpo ben assestato da parte dei cannoni laser sui motori e le navi erano fuori gioco.

In un giorno Invincible mise fuori uso ben cinquanta navi.

Ma le navi di battaglia del pianeta colonizzato non si mossero.

Invincible, nei tre giorni che seguirono, continuò a colpire navi.

Ormai, nello spazio le navi dei burocrati si contavano sulle dita di una mano.

Così credeva Giulia.

Ma la sorpresa non fu delle migliore.

Il quarto giorno Invicible scampò ad una trappola per poco. Una nave era nascosta dietro ad una cometa che stava passando nella zona. Invincible la intercetto, ma nel momento di far fuoco, colpi laser la sfiorarono.

Invincible fece delle manovra elusive. Il piano virtuale della galassia giro così tante volte sul pannello della console di un tecnico, che per poco non gli veniva il vomito.

Fuori si vedevano le stelle continuare a girare.

Dopo un’altra manovra elusiva, Invincible si trovo davanti i suoi attaccanti.

Erano quattro navi, di stazza media, ben armate. Avevano uno strano simbolo sopra i dischi. Lo stupore del professore fu enorme.

Il simbolo era formato da quattro spicchi di luna, posizionata ognuna ai quattro punti cardinali, collegati tra di loro da un cerchio centrale.

“E’ il simbolo del Barone Makarre. Ma com’è possibile?”

Giulia non ci pensò due volte.

“Fuoco! Distruggetele!”

Il gorilla si precisò ad una console libera e fece fuoco con la testa dell’aquila.

La bordata non perdonò la prima nave di destra.

La seconda bordata colpì la nave vicina a quella colpita.

La altre due navi cercarono di scansarsi, ma Invincible di fermò di colpo e la testa di tigre e del triceratopos fecero fuoco in contemporanea.

Le due navi furono colpite in pieno, disintegrandosi nel silenzio dello spazio.

Le altre due navi colpite esplosero poco dopo.

Tutti i radar incominciarono a controllare la zona intorno ad Invincible.

Nessuno.

“Adesso basta. Pensi ancora Doc che dobbiamo aspettare?” Giulia si era girata a guardare Doc, che stava sdraiato per terra.

Elisabeth si precipitò su di lui.

“E’ inutile. Non posso più resistere. Portami in laboratorio.” Gli disse Doc con un filo di voce.

Elisabeth lo prese in braccio e uscì dal ponte di comando.

Giulia si rigirò.

In quel mentre uno dei robot segnalò la presenza di una grossa flottiglia di navi spaziali.

“E’ l’Imperatrice!” Urlò il gorilla.

Sul video apparve la faccia dell’Imperatrice.

“Tutto a posto, Giulia?” Chiese alla figlia.

“No. Doc è stato male. E c’è un pianeta pieno di navi. Ti invio i dati e le immagini che abbiamo raccolto. Sarà dura questa volta, madre.”

“D’accordo. Invia i dati. Vi richiamerò più tardi.”

Il video si spense. Tutti guardarono Giulia. Il suo volto era segnato da lacrime.

Il professore le si avvicinò e l’abbracciò. Dopotutto essere una principessa e una guerriera insieme non era facile

Dopo un’ora l’Imperatrice chiamò e inviò i dati di battaglia per la distruzione del pianeta.

Le navi sul pianeta erano tante: un gruppo di navi, anche se ben armate, non ce l’avrebbe fatta.

Ma l’Imperatrice sperava che Invincible riuscisse, nel suo primo attacco, a distruggere buona parte delle navi e dei segnalatori.

Invincible partì.

Il professore scese nella sala dove aveva visto Black.

Entro nella sala. La solita telecamera lo punto e Black apparve sul video.

“Penso che tu abbia visto le cose strane che accadono.” Disse il professore.

Black rimase pensieroso sul video, mentre la telecamera guardava in girò, come se cercasse qualcuno.

“L’Imperatrice aveva detto due settimane ed è arrivata in cinque giorni… l’emblema del Barone Makarre sulle navi… qualcosa non quadra.” Disse Black.

Un segnalatore suonò nel locale.

Black spense tutto e la telecamera tornò al suo posto di riposo.

George uscì dalla stanza e si diresse sul ponte di comando.

Anziché andare sul ponte alto, entro dove vi erano tutti gli operatori e il grosso gorilla che dava ordini.

La nave era ormai in vista del pianeta.

Senza l’atmosfera, sferrare l’attacco alla superficie sarebbe stato un gioco per Invincible.

La nave scesa a bassa quota e le tre teste iniziarono a fare fuoco, alternativamente, per circa un secondo l’una.

Altri cannoni, posti in vari punti della nave, di varia potenza, iniziarono a sparare su tutto ciò che si muoveva.

Parecchie delle navi furono distrutte nei loro hangar, che si erano già aperti per permettergli di uscire in volo.

Le navi dell’Imperatrice, più in alto, posizionate tutt’intorno al pianeta, facevano fuoco incrociato su quelli che riuscivano a scappare.

Anche se la flotta dei burocrati era numerosa, pochi riuscirono ad allontanarsi: quelle che scamparono lasciavano dietro di sé una scia di fumo e fuoco. Alcune si distrussero appena oltrepassata la cintura della navi imperiali. Altre esposero nella nebulosa, illuminandola.

Pur con forze superiori, i burocrati vennero sconfitti.

O almeno, questo è quanto gli assalitori pensavano.

Invincible fece parecchie volte la circumnavigazione del pianeta.

All’improvviso una seconda ondata di navi uscì dal sottosuolo: uscendo dagli hangar distrussero buona parte degli edifici che coprivano il pianeta.

Erano navi enormi. Parecchie avevano le dimensioni di Invincible.

Le bordate dei cannoni laser da una e dall’altra parte non si contarono più.

Black incominciò a calcolare possibili soluzioni per sbloccare la situazione.

Gli schemi matematici che calcolava in pochissimi millisecondi diedero un solo responso: un attacco con i robot!

Parecchi uomini della tana delle tigri andarono negli hangar e liberarono dai cavi i robot.

I portelloni degli hangar vennero aperti, e i robot venerano sganciati sul pianeta, mentre Invincible passava a bassa quota sul pianeta.

I robot penetrarono nel sottosuolo del pianeta.

Sferrarono un attacco massiccio ad alcune postazioni di comando del pianeta.

Intanto Invincible continuava i suoi attacchi veloci e silenziosi alle navi nemiche.

Nello spazio freddo e silenzioso che circondava il pianeta, le navi dell’Imperatrice continuavano ad infierire sulla navi da battaglia dei burocrati, che portavano tutte i simboli del Barone Makarre.

Alcune navi dei burocrati riuscirono a scappare, in direzione di un pianeta abitato vicino e il loro pianeta fu conquistato dagli uomini della tana, dopo aver combattuto per alcune ore: dal ventre del pianeta uscivano fiamme e fumo, che circondavano il pianeta come un pianeta quando è circondato dalla nebulosa che lo ha creato.

Dopo la battaglia furono contati i feriti e le navi distrutte.

L’Imperatrice scese sul pianeta con una flotta di robot e un numero imprecisato di uomini pronti a tutto.

Ci volle parecchio perché lei e i suoi uomini trovassero il comando principale del pianeta.

In una sala al quinto livello inferiore (la bellezza di cento metri sotto terra) trovarono il comando.

Le carte sparse sui tavoli, i video e altri tipi di strumenti di controllo segnalavano la presenza delle navi amiche e nemiche per i burocrati.

Ma i video rilevarono anche che altre navi erano nelle viscere del pianeta, e che stavano per partire e sferrare un altro contrattacco.

Le navi stavano scaldando i motori ed alcune stavano già alzandosi in volo.

L’Imperatrice si mise in contatto con le sue navi, che permisero alle navi nemiche di lasciare indisturbate la zona.

Le navi che scapparono alla flotta Imperiale era più di cento.

L’Imperatrice chiamò, da altri navi, altri uomini della fanteria, che cominciare a setacciare tutto il pianeta.

Dopo tre giorni dall’inizio dell’attacco, l’Imperatrice riunì tutti i partecipanti dell’attacco sulla sua nave.

La riunione a George parve una farsa.

L’Imperatrice ringraziò tutti per il valore dimostrato in battaglia.

Furono ricordati i comandanti e le nave distrutte nell’attacco.

Quando la riunione finì, il professore, Elisabeth, Doc, Giulia ed alcuni uomini della tana delle tigri si fermarono.

L’Imperatrice stava dando ordini ad alcuni comandanti, quando guardò storto la strana comitiva che si era formata e fermata in un angolo.

“Cosa c’è, adesso? Non vedete che sono occupata? Giulia, non dovresti essere sull’Invicible ad attendere ordini per l’attacco finale?” Disse l’Imperatrice, con un tono di voce molto arrabbiato.

Doc fece per affrontare l’Imperatrice, ma il professore lo prese per un braccio, fermandolo, ed avanzando vero l’Imperatrice.

“C’è qualcosa che non capiamo, mia Imperatrice.” Disse George “I dati in nostro possesso non sono quelli che voi continuate a darci. Le navi, in numero decisamente superiore al previsto, portavano tutte il vecchio emblema del Barone Makarre. Ci avete messo meno del previsto per arrivare. Senza contare che scendete tranquillamente su di un pianeta prima che sia stato bonificato dai nemici e permette alle navi nemiche più grandi di andarsene. Cos’è, la guerra è stata fomentata dei burocrati o l’avete costruita voi apposta per scaricare sui burocrati qualche problema irrisolvibile senza tagliare qualche testa? Vedete… noi sappiamo molto, ma fino ad ora non ci era mai capitato di non sapere niente. O almeno, Doc e la tana delle tigri non hanno saputo niente di questo fino a qualche tempo fa.”

L’Imperatrice, che prima dava le spalle al gruppo, si girò verso il professore e gli altri. Dietro di sé, i suoi fidati uomini guardarono il gruppo con fare preoccupato.

“Vedo che la cosa le interessa. Vediamo… cosa c’è di così tanto pericoloso da postare l’attenzione di tutti da un pericolo vero ad un pericolo falso… Già, cosa?” Si chiese il professore, girandosi verso Doc.

Doc si avvicinò al professore, scrutando il volto dell’Imperatrice.

“Sì. Perché distrarre tutti verso i burocrati? Cosa c’è che non va?” Disse Doc.

Elisabeth stava per parlare, quando Evane avanzò dal gruppo.

“Caro Doc, cosa c’è di più importante di una tecnologia così evoluta da poter viaggiare non solo nella propria galassia, ma nell’universo intero, con un semplice schiocco delle dita. Ma la tecnologia bisogna averla.” Disse Evane.

“Ma l’Imperatrice c’è là questa tecnologia.” Disse Doc “Se no come poteva impiegarci così poco tempo dalla tana a qui. Sì, può farlo, ma non è perfetto. Le menti usate non sono allenate e quello che a lei serve è la metodologia di allenamento per queste menti. Direi che ha usato menti di galeotti, che non avevano più niente da perdere. Peccato che si sono ribellati. Vero Imperatrice? Le navi che avete lasciato scappare erano le navi guidate da queste menti geniali ma… come si può dire… incontrollabili. Ed ecco che qui entra in gioco la tana delle tigri. Prima servono i dati, per controllare le menti più deboli, poi servono i muscoli per eliminare i ribelli, che intanto sono stati contatti dai burocrati ribelli. Ma i burocrati ribelli sono stati aiutati, dire da una coalizione di galassie. Quali? Oltre la nostra perenne nemica, che voi vorreste ammansire con lo sposalizio di vostra figlia, chi altri non vi vuole libera nell’universo? Voi siete cinquemila anni di generazioni che abbiamo controllato, modificato, relazionato, per avere persone che avessero come solo pensiero la galassia, non se stessi. Invece voi, avete deciso che il bene della galassia era quella di sottometterne delle altre. Stano pensiero. Ma voi ci avete provato. Ma, siccome siete così brava, non avete pensato che qualcuno potesse non solo prevenirvi, ma anticiparvi. Così abbiamo fatto. Sapevano dei vostri poteri, quello di leggere la mente, e ci siamo organizzati.”

Gli uomini fidati dell’Imperatrice circondarono il gruppo.

“Certo. Bravi.” Disse l’Imperatrice. ”Peccato che anch’io vi abbia pensato. In questo momento qualcuno sta assaltando Invincible. Sarà mia, come lo sarete voi e la tana delle tigri, che in questo momento viene messa sotto sopra dai miei uomini. Poveri sciocchi, pensavate di farmela. Le navi che ho lasciato andare sono alla tana delle tigri…”

“Se ci sono arrivate, Imperatrice.” Disse Elisabeth. ”Penso che i vostri uomini avranno una brutta sorpresa. Invincible non è più qui. Da un bel pezzo. E le vostre navi non hanno mai visto la tana delle tigri. Vedete, gli imperatori di alcune galassie vicine sono intervenuti in nostro aiuto, e la vostra flotta in questo momento e distrutta e alla sbando nelle viscere della galassia. La nostra tecnologia è stata data anche agli altri, per il bene delle loro e della nostra galassia. Vi abbiamo fatto credere quello che avete voluto, ma ormai sono anni che la tecnologia più evoluta è stata data agli altri. Ora, cara Imperatrice, cosa volete fare?”

L’Imperatrice ebbe uno scatto d’ira. Stacco con un colpo netto il video dal tavolo e lo sbatté per terra.

I suoi uomini si ritirano in buon ordine dietro a lei.

Giulia non sapeva se andare a consolare la madre o di rimanere lì dov’era.

L’Imperatrice si lasciò cascare sulla sedia. Tutta la sua fatica di anni, i soldi spesi, gli intrighi di palazzo durati per anni, prima come principessa, poi come Imperatrice erano svaniti nel nulla.

Dopo pochi istanti entrarono alcuni uomini portando notizie non molto confortanti per l’Imperatrice.

La flottiglia di navi scappate era stata distrutta da una forza di navi di molto superiore e apparsa dal nulla.

Invincible era corso alla tana delle tigri e aveva distrutto, con l’aiuto di altri navi, quelle che l’Imperatrice aveva mandato dopo la loro partenza.

Alcuni Imperatori ed Imperatrici delle galassie vicine volevano spiegazioni sui suoi atteggiamenti avuti negli ultimi giorni.

Tutto era svanito in un attimo nel nulla.

Giulia si avvicinò alla madre.

“Mi dispiace, madre. Ma forse è il caso che voi abdichiate a mio favore. Non potremmo mai sostenere una guerra contro tutte le altre galassie.” Le disse Giulia, amorevolmente, mentre all’Imperatrice il volto si riempiva di lacrime.

L’Imperatrice firmo un documento, che fu preparato da lei stessa, per la sua abdicazione.

Giulia prese subito in mano il comando della flotta, dando l’ordine di rientro al palazzo Imperiale.

L’Imperatrice fu esiliata su un pianeta vicino alla nebulosa della battaglia. Nessuno ne seppe più nulla.

Giulia fece il suo ingresso a palazzo con tutti gli onori dovuti ad una Imperatrice.

Alla sua incoronazione, a cui seguì il matrimonio con il figlio dell’Imperatore della galassia Androgina, della galassia che per secoli era stata nemica, Giulia sorrideva, come una bambina: così giovane e con il destino di due galassie sulle sue spalle.

Doc, Evane con Roson ed Elsa, dopo i festeggiamenti, si ritrovarono a casa del professore.

Ormai era tutto finito. O almeno, così pareva.

Il professore abitava in una casa monofamiliare, su due piani, in una città distante dal palazzo Imperiale, nell’altro emisfero del pianeta, nel meridiano opposto a quello della capitale, in riva ad un enorme lago .

Doc si era seduto su una sedia posta nel porticato della casa.

Evane si sedette su una sedia a dondolo.

L’orso e la tigre si sedettero ai piedi dei gradini che davano l’accesso al porticato.

La casa era in legno e pareva parecchio vecchia.

George si sedette su una sedia, che aveva preso in casa, e si sedette di fronte a Doc.

Un robot portò agli ospiti da bere.

“Allora, Doc. E’ tutto finito. Cosa farete adesso?” Disse il professore

Evane si stava dondolando sulla sedia.

“Se pensi che tutto sia finito, non sai leggere le cose che ti succedono intorno.” Gli disse Evane, distrattamente.

Doc sorseggiò il liquido caldo che era nel suo bicchiere.

“Non pensi che qualcuno ci abbia giocato?” Disse Doc.

“Sai… pensavo che tu avevi voluto che questo succedesse… o forse ho capito male?” Disse George.

“Mhu…” fece Evane, distrattamente “Secondo te, era meglio la madre o sarà meglio la figlia come Imperatrice?… o forse pensi che sarebbe meglio Elisabeth?… o forse la giara della verità, se si mettesse in viaggio ora, non saprebbe come arrivare a destinazione?”

“Senza le gemelle come si fa a consegnare la giara?” Gli disse il professore.

“L’importante è sapere che è in viaggio e che qualcuno, che non sei te, potrebbe ricevere la giara della verità, fregandoti il posto. Pensi che se qualcuno sapesse che una cosa così importante vada a qualcuno d’altro, non si preoccuperebbe? Anzi, sapendo che tutti penserebbero che tu non sei chi devi essere, ti darebbero retta. O, meglio, ti …” Disse Doc.

“Non capisco.” Disse il professore.

“La vecchia Imperatrice era stata messa al suo posto dai burocrati. La nuova Imperatrice è stata messa dalla madre. Ma nessuno le ha mai accettate. Vedi, la vecchia Imperatrice voleva eliminare i burocrati per salvarsi la testa. Ma non c’è riuscita, né da sola, ne con la tana delle tigri. Perché noi non ci siamo stati al suo gioco. La nuova Imperatrice ha deciso di fare buon viso a cattivo gioco. Ha accettato di governare la galassia sposandone uno di un’altra galassia, per evitare lotte intestine che l’avrebbero messa in cattiva luce. Ma i burocrati non mollano. L’unica è sconfiggere i burocrati al loro stesso gioco. Dici che una cosa è partita, ma lei non si è mai mossa. Di sicuro i burocrati si muoveranno. E allora scopriremo chi è quello che ha fatto il doppio gioco e chi deve essere gentilmente allontanato.“ Disse Doc.

“Ma ci vorrà tempo.” Disse George.

“No. Si sono già esposti. Ai visto chi era presente ai festeggiamenti e chi invece non c’era?”

“Sì. Erano pochi, ma li ho visti. Certo mancavano… Ah. Ho capito.”

“Bene. Pensa che quelli che non c’erano sono morti. Poveretti. Il Barone Makarre insegna ancora le cattive maniere dopo cinquemila anni. Ora, visto che sappiamo chi è stato, possiamo mascherarli. Direi di incominciare a dire che la giara della verità sarà consegnata entro la prossima settimana. Non di persona, ovviamente. A chi possiamo mettere in bocca tale informazione?” Doc rimase falsamente pensieroso, mentre George disse “Elisabeth.”

Evane si alzò dalla sedia a dondolo.

“Bene. Se avete finito di studiare strategie, direi di andarcene, Doc. E’ meglio se non siamo qui quando succederà il caos. Quando i vassalli sapranno quel che succede, credo che la credibilità di Giulia non la salverà dalla loro rabbia e i burocrati saranno definitivamente messi a tacere.”

Evane e Doc, seguiti dagli animali, si allontanarono.

Calava la sera. Dove sarebbero andati da soli? Il professore non se ne preoccupò.

Sapeva che da qualche parte Invincible sarebbe apparso e li avrebbe portati a casa.

Doveva chiamare Elisabeth e dirle cosa doveva fare.

Il robot puliva la tavola.

Scese lentamente la notte: il professore rimase lì a lungo a vedere la luna sorgere e riflettersi nel lago.

Era una serata calma.

Nel cielo apparve un sciame di meteore. Tutte insieme.

Che bello, pensò George.

Andò a letto tardi.

L’indomani chiamò Elisabeth e gli spiegò cosa doveva fare.

Quando spense il video, uscì sulla veranda, posta nel retro della casa.

Le montagne, lontane, erano imbiancate.

Ormai aveva fatto il suo tempo.

Aveva combattuto battaglie strane. Non certe inutili. Per la galassia.

Aveva dato tutto alla galassia. Non ne aveva ricevuto molto. Ma d'altronde era quello che spettava ad un servitore fedele.

Rimase lì tutto il giorno.

Il robot, alla sera lo scrollò per svegliarlo. Non ebbe risposta.

Elisabeth, dopo la telefonata del professore ebbe paura.

Ma se era necessario farlo, lo avrebbe fatto.

Gli piaceva giocare alla spia, ma questa volta non era un gioco.

Per meglio spargere le indiscrezioni sulla consegna della giara, senza che fosse possibile risalire a lei, cominciò a diffondere la strana voce tra le dame di corte di più basso rango.

Pettegole com’era, non si sarebbe ricordate chi glielo aveva detto, per non trovarsi nei guai.

La voce incominciò a correre, alle volte veloci, altre più lentamente.

Purtroppo Elisabeth non poteva chiedere aiuto a nessuno.

Non era stata abbandonata al suo destino, ma era difficile capire chi era amico o nemico.

La voce si diffuse, lentamente, come un rigagnolo scava nella roccia un passaggio. E quando la roccia cede, dal fiume si passa al fiume.

Elisabeth controllò che il fiume camminasse.

Era stata chiamata dall’Imperatrice Giulia a occupare il posto di dama di compagnia di secondo grado. Non era un posto privilegiato, ma gli permetteva di controllare le informazioni che arrivavano dalla dame o dalle moglie dei vassalli all’Imperatrice.

Alcune notizie Elisabeth le bloccava, altre le faceva passare senza controllarle.

Bloccò tutte quelle notizie che davano per sicuro che nessuno era in viaggio con le giare della verità.

Di certo non poteva fermarle tutte, per non insospettire l’Imperatrice.

Le voci della giara arrivarono all’Imperatrice in una tranquilla giornata primaverile.

Ovviamente, l’Imperatrice non fece caso alle dicerie. Ma si preoccupò.

Decise di indire una riunione dei servizi segreti.

Stranamente, Elisabeth fu convocata dall’Imperatrice prima della riunione.

Giulia attendeva Elisabeth in una saletta al piano interrato.

Giulia si era vestita con una uniforme militare. Ci teneva quanto sua madre a mostrare di poter comandare come un uomo.

“Cara Elisabeth, come stai?” Gli chiese l’Imperatrice.

Elisabeth aveva indossato un vestito lungo, stretto in vita e con una gonna larga.

“Bene. Grazie.” Inchinandosi all’Imperatrice.

“Vorrei che tu ti fermassi qui e seguissi da qui la riunione.” Giulia schiacciò un pulsante ed una parete divenne trasparente, permettendo a Elisabeth di vedere tutta la sala della riunione. “Potrai sentire tutto quello che diciamo. Vorrei un tuo parere alla fine della riunione.”

Giulia era molto sicura di sé.

“Va bene.” Disse Elisabeth.

Giulia le sorrise ed uscì.

Elisabeth non credeva ai suoi sensi: poteva seguire la riunione dei servizi segreti, vedere chi era presente. Piccola problema: cosa avrebbe poi detto a Giulia su quello che succedeva.

Giulia entrò nella sala. Si sedette a capotavola. Entrarono parecchie persone.

Alcune erano conosciute a Elisabeth, per motivi di lavoro o conoscenze varie.

Ma altri, specialmente un omino basso e calvo, che sedeva in fondo al tavolo, quello no. Ma il suo volto gli ricordava qualcosa.

Gli venne in mento solo quando iniziò a parlare, per esporre la sua relazione.

Era il marito di una della dame di corte a servizio di una delle cugine dell’Imperatrice, quella bisbetica che nessuno sopportava, con la lingua lunga.

La relazione dell’uomo era un solo sentito dire, quello che si dice a corte.

Elisabeth se la rideva. Non solo non sapevano se la cosa fosse vera o falsa, ma era proprio come diceva Doc: i burocrati non controllavano mai le voci fino in fondo, anzi, proprio non le controllavano.

Elisabeth capì che il piano era riuscito.

Dopo la riunione, Giulia la raggiunse nella saletta.

Elisabeth si divertì a metterla sulla strada sbagliata. Mentre parlava, controllava le reazioni di Giulia. Anche se Giulia non muoveva un muscolo, Elisabeth capì che era preoccupata.

Alla fine Giulia uscì furibonda.

Elisabeth decise che era meglio per un po’ di tempo stare lontano da palazzo.

L’idea non fu cattiva.

Nel mese che seguì, le dicerie erosero alle fondamenta la fiducia dei vassalli verso l’Imperatrice.

I burocrati tentarono di tenere unite le loro schiere, ma ben presto i burocrati dei sistemi solari più periferici incominciarono ad avere a che fare con i vari baroni, conti, duchi e quant’altri comandassero quei pianeti per conto dell’Imperatrice. Anche se l’Imperatrice non li aveva investiti lei direttamente della carica.

I burocrati nella capitale si spaventarono.

Le dicerie presero il posto della verità.

I servizi segreti non riuscirono più a controllare le voci. Ma non riuscirono neanche più a controllare nessuno, neanche se stessi.

L’Imperatrice decise di andarsene, di fare un giro della galassia per portare un po’ di ordine.

Ma i burocrati, per paura che più che un giro fosse una fuga, minarono la nave.

Con a bordo l’Imperatrice, il marito e buona parte della sua corte, la nave esplose mentre era in viaggio.

I burocrati tentarono, con un colpo di mano, a impadronirsi del potere.

Fu allora che Elisabeth, che nel frattempo si era rifugiata alla tana delle tigri, parti con Invincible per il palazzo Imperiale.

Insieme a lei viaggiavano parecchi uomini e donne della tana.

L’ordine fu riportato a fatica. I vassalli, saputo che Elisabeth, con l’aiuto della tana delle tigri aveva preso il comando, si fecero forti e fecero quadrato intorno a lei.

I burocrati golpisti furono arrestati.

Molti credettero che lei aveva ricevuto la giara delle verità, e fu eletta Imperatrice per acclamazione.

Ma Doc non si fidava e decise di far recapitare lo stesso ad Elisabeth la giara delle verità.

La cerimonia fu molto ufficiale.

La giara fu portata da due donne della tana piuttosto somiglianti.

La giara fu posta davanti a Elisabeth, che la aprì e la richiuse.

Tutti i presenti urlarono di contentezza.

Finalmente una Imperatrice che avrebbe fatto gli interessi della galassia.

Doc ed Evane si fecero accompagnare su Oleg. Con Roson.

Elsa la tigre rimase con Elisabeth: un giorno avrebbe avuto dei figli e lei doveva proteggerli.

Invincible fu posteggiato nell’astroporto privato dell’Imperatrice. Il sistema si spense e il sonno riposo ristoratore del guerriero avvolse l’astronave.

Elisabeth fu l’ultima a scendere a terra dalla nave. Tolse la chiave di apertura della nave e la nascose sotto le sue vesti.

Il tempo incominciò a scorrere tranquillo e silenzioso.

Elisabeth cercò il professore, ma lui non le diede risposta.

Elisabeth si rese conto che ormai era tutto sulle spalle e che non avrebbe mai condiviso quel peso con nessuno.

Strano peso quello del potere, pensò Elisabeth, mentre accarezzava il pelo di Elsa, in una sera d’inverno, seduta su  una poltrona, mentre fuori dal palazzo Imperiale nevicava.

Elisabeth vestiva un accappatoio, dopo un bagno rigeneratore nella vasca di idromassaggio.

Il fuoco scoppiettava del camino, riscaldando l’ambiente dolcemente.

Elisabeth si era versato un liquore in un bicchiere e lo stava sorseggiando.

“Ti manca solo un sigaro.” Gli disse Elsa.

“No. Mi manca un uomo. Dici di cercarlo?”

Elsa fece le fusa.

Elisabeth rise.

Bhe, un uomo. C’era tempo.

Dopotutto nemmeno un uomo forte e bello poteva aiutarla a sopportare il peso.

Il peso delle bugie. Aveva imbrogliato tutti. Aveva raggirato tutti. Dopotutto la sua famiglia era stata usata. C’era voluto così tanto tempo. Ma lei si era vendicata di tutto e di tutti.

Passo la mano sotto l’accappatoio. Sulla sua giarrettiera il simbolo della sua famiglia, un cammeo con quattro spicchi di luna, posizionata ognuna ai quattro punti cardinali, collegati tra di loro da un cerchio centrale.

Elsa ebbe uno strano movimento ed Elisabeth ritrasse la mano.

Elsa voltò la testa e la guardò.

“Si. Lo so cosi nascondi lì sotto. Cosa credi, che non lo sapevamo?”

Elisabeth rimase come tramortita.

“Sapevi?…”

“Tutti noi sapevamo. Ma era necessario. Era necessario che qualcosa cambiasse. Crediamo che sia la sola che può sottomettere i burocrati, tenera unita la galassia, permettere a tutti di vivere in modo decente, senza troppo spreco. Abbiamo creduto in te, sopra ogni altro. Ora tocca a te. Noi abbiamo fatto il nostro tempo. Possiamo ancora aiutarti, ma di più non possiamo.”

Elisabeth sorrise.

Rimasi la mano sotto l’accappatoio e tocco l’emblema del Barone Makarre.

Dopo tutto i suoi antenati avevano fatto di tutto per salvare la galassia, per mantenerla unita.

Già, la galassia era l’unica cosa che doveva importarle, d’ora in poi.

Le sue dita sfiorano l’emblema della sua famiglia e le scritte, incise sotto lo stemma.

Tutto per il Bene della Galassia.

   
 
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