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Autore: Juliet88    31/05/2016    2 recensioni
Mi sembrava fossero passati secoli invece che sei anni.
A pensarci bene, erano -già- passati sei anni. Sei anni da quando per impegni lavorativi dovetti trasferirmi a Beverly Hills. Sei anni da quando salutai e vidi per l'ultima volta il viso di mia madre, del mio agente Rei, i visi dei miei amici. Sei anni in cui la mia carriera aveva decisamente preso la piega giusta, contratti su contratti che mi portarono, appunto, a trascorrere tutti questi anni lontano dal Giappone. Lontano da casa mia.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Altro Personaggio, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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vhjvgku "Ah ah, Sana, questa foto è, è..."
"ridicola!" quasi urlò, Fuka, rischiando di versare tutto il caffè che quella mattina avevamo deciso di prendere insieme, a causa delle convulsioni delle risa.
Alzai un sopracciglio, seccata.
"Fuka, potresti smettere di infilare il coltello nella piaga? Lo so già da me" le risposi, con un piccolo tic nervoso alle labbra, cercando una calma che non mi si addiceva.
"Ma guardala!" esclamò, ancora vittima delle risate, rivolgendosi ad Aya.
Picchiettai in modo nervoso le lucide unghie sul tavolino.
Guardai la mia amica, non ci volle molto prima che riuscissi a notare che stesse utilizzando tutta la forza che possedeva in quel corpicino per cercare di non ridere anche lei fragorosamente. Lo sforzo, però, durò solo pochi secondi, fin quando la gentile Fuka non decise di passarle quel maledetto giornale, per farle ammirare meglio la foto.
Dannato paparazzo.
"Sana Kurata: follie durante la notte?" era questo il titolo che quello sprovveduto della testata giornalistica aveva utilizzato, descrivendo la foto.
"Potreste finire di ridere, voi due? domandai, retorica. Le labbra assottigliate, le mani sotto il mento.
Presero un sospiro, di quelli che fai dopo uno sforzo fisico, per poi decidere in conclusione di tornare serie.
"Ma ti trovavi agli studi televisivi?" chiese, dopo qualche secondo Fuka.
"Sì. Quel fotografo è comparso all'improvviso. Speravo davvero non fosse riuscito a fare uno scatto decente" risposi, rassegnata, portando nuovamente la tazzina alle mie labbra.
"Amica mia, devo proprio dirtelo. Sei una sciocca! Speri di non farti fotografare da nessun paparazzo e ti rechi agli studi televisivi? Nella tana del lupo?" domandò, in modo sarcastico. Le risate che di nuovo le facevano capolino.
"Lo so, lo so. Sono un'idiota"
Mi presi qualche secondo per ammirare di nuovo quella fanciulla ritratta sul giornale. Capelli arruffati, occhiali neri, un'espressione di sorpresa, mentre era intenta a correre, fuggendo invano dall'obiettivo. Avevano ragione entrambe le mie amiche. Era davvero impossibile non ridere.
E così lo feci anche io. Cominciai a ridere indicando quella ragazza sul giornale, e prendendomi in giro come solo io sapevo fare.
"Comunque, è tutta colpa di Hayama. Devo cercare vendetta" asserii, quando mi fui ripresa.
"Hayama c'entra poco, sei tu che hai voluto fare obbligatoriamente quella stupida gara di resistenza all'alcool" mi rimproverò Aya.
"Gia', e mentre lui è tornato a casa fresco come una rosa, tu...beh, tu..." continuò quella che sembrava la sua più fedele alleata questa mattina.
"Non dirlo. Ho capito, grazie" dissi, secca.
Ed entrambe si portarono le mani alle labbra, incapaci di far morire in gola quelle nuove risate ancora una volta fuori luogo.
Sembrò quasi che le mie tempie avessero ripreso quella strana e soprannaturale capacità di fumare. Bevvi velocemente l'ultimo sorso di caffè, mentre scattavo in piedi, con un'espressione eloquente in viso.
"Sana, non te la sarai presa! Abbiamo detto solo quello che è successo!" esclamò, Fuka.
"Si, però...potremmo anche smettere definitivamente di ridere adesso, Fuka. Scusaci Sana" riconobbi la parte materna e razionale di Aya.
"Non fa nulla. Non sono mica arrabbiata con voi! Sto cercando solo di trovare una vendetta per Hayama" sussurrai, unendo le mani con fare malefico.
Entrambe sospirarono. Un sospiro di...disappunto? rassegnazione?
Andammo a pagare il conto, dirigendoci tutte verso la cassa. Fu proprio lì che Aya notò un piccolo volantino, con giostre e attrazioni raffigurate a scopo illustrativo, in modo da richiamare il pubblico.
"Ehy, guardate! Hanno deciso di montare un nuovo parco divertimenti! Sarebbe fantastico fare le montagne russe che piacciono tanto al mio Tsu!" sospirò, un po' stucchevole, Aya. Inutile dire che io e Fuka alzammo entrambe gli occhi al cielo.
Quest'ultima le rubò gentilmente il volantino, decisa a guardare con i suoi occhi le immagini e diciture.
"Si, sarebbe proprio divertente. Anche Takaishi le adora, e sarebbe una buona occasione per vederci, data la distanza..." pensò ad alta voce."
"Potremmo andarci tutti insieme!" proposi io, con tono entusiasta.
"No, Sana. Ho capito cosa hai in mente" esclamò Fuka, cogliendomi alla sprovvista.
La guardai interrogativa, pensando che potesse bastare. Ma non presi molto tempo prima di chiedere a cosa potesse riferirsi.
"So benissimo perchè vuoi andare lì! Vuoi far salire Akito su una di quelle giostre, sai bene quanto si spaventi delle altezze"
La mia espressione passò in qualche secondo attarverso una miriade di diverse emozione. Passai dalla confusione, al chiarimento, dovuto alla spiegazione di Fuka, all'illuminato, come quando a qualcuno venga in mente un idea brillante, per poi finire in uno sguardo malefico e dispettoso, già eccitato anche solo al pregustare il sapore della vendetta.
Sia Fuka che Aya si accorsero dei miei rapidi cambiamenti umorali, e si resero conto di avremi perfino dato loro l'idea. Si diedero un piccolo colpo sulla fronte.
"Non ci avevo pensato, Fuka. Grazie" dissi piano, sogghignando.
"Sana..." riuscii a sentire solo il mio nome, deformato dall'esasperazione nel loro tono. Ma ero già uscita dal locale per capire quali altre sciocchezze avrebbero voluto dirmi in modo da dissuadermi. Come se non mi conoscessero.
Una volta fuori, Fuka ci salutò immediatamente, disse di dover tornare a casa per studiare "diritto processuale", e di aspettare anche una chiamata.
Non ci volle molto prima che sia io che Sugita potessimo dire in modo fintamente dolce e beffardo "Takaishi..."
Gia un po' distante ci riservò tutto l'affetto che una linguaccia possedeva, per poi voltare le spalle.
"Anche io purtroppo devo correre, Sana. Devo andare a lavoro" mi informò, dispiaciuta.
"A scuola?" chiesi, ricevendo in risposta un delicato cenna di assenso.
"Potrei...potrei venire anche io? Mi farebbe così piacere rivedere alcuni professori e quelle mura..."
"Sì, certo, ma sappi che io dovrò stare in aula...purtroppo non potrò tenerti compagnia"
"Non fa nulla. Ci incamminiamo?" domandai, serena ed elettrizzata.
Mi riservò un gesto con la mano, segno di andare, parlammo del più e del meno durante tutto il cammino.
Appena arrivate dinanzi quei cancelli, a cui un tempo avevo fatto l'abitudine di guardare ogni mattina, o quasi per via del lavoro di attrice, Aya mi salutò, dandomi un veloce bacio sulla guancia, e correndo verso i suoi alunni. La guardai andare via, mentre io mi presi qualche minuto per ammirare quel cortile, qualche minto per ammirare l'albero secolare, ancora lì dove era sempre stato, ricordandomi che fosse il solito punto d'incontro tra me e i miei amici. Sorrisi nostalgicamente.
A volte avrei davvero voluto tornare a quei tempi, ritornare ad essere la Sana tredicenne, per godermi meglio la vita scolastica, sempre minacciata e in eterno conflitto con quella lavorativa.
La scuola media doveva essere una tappa, un ricordo per tutte le persone. Ma per me, per Sana Kurata era un posto che vedevo rararamente, soprattutto nel periodo antecedente alla mia partenza verso gli Stati Uniti.
Mi sedetti sul prato, poggiando le spalle su quella quercia, felice per il leggero vento che mi accarezzava il viso, e il tipico odore di fiori primaverile.
Tante volte, prima di quel momento, mi chiesi come sarebbe andata. Come sarebbe andata se non avessi fatto l'attrice, se non avessi stretto quel patto con mia madre, se avessi frequentato con costanza la scuola media e superiore, se non fossi mai andata in California. Se non avessi mai avuto questo carattare così testardo e la naturale inclinazione ad aiutare le persone accanto a me, se non avessi mai cercato di farlo anche con Hayama.
Più volte, in America, mi ero interrogata su questo, facendo anche un necessario e giusto "mea culpa" su ciò che avevo sbagliato, sebbene gli errori fossero sempre stati il talento di entrambi.
Mi risposi affermando che eravamo inevitabilmente troppo acerbi per sopportare un sentimento così importante, troppo piccoli per portare sulle spalle un macigno così doloroso. Ciò che era nato dal nostro frequentarci, era la naturale conseguenza che accade tra uomo e donna, ma aveva finito per sembrarci un ostacolo, e non una risorsa.
Tornai a guardare la scuola, decidendo che fosse l'ora per una bella passeggiata tra i suoi corridoi. Incontrai molti vecchi professori, apparentemente felici di potermi rivedere e salutare di nuovo. Mi chiesi se si ricordassero di me come loro alunna, o solo come "Sana Kurata, l'attrice". Tuttavia, pensando alla frequenza scolastica di quegli anni, non avrei potuto proprio biasimarli. Osservai tutti quei bambini, intenti a conversare tra di loro, dirigersi verso le loro classi, stringendo tra le mani i libri che avrebbero duvuto utilizzare in quell'ora. Riuscii a udire anche qualcuno che sussurrava il mio nome, avendo riconosciuto chi fossi.
Guardai anche, stavolta sorridendo, una certa bambina, armata di innaffiatoio, tutta presa dall'abbeverare quelle poche piante posizionate sul davanzale della finestra. Ricordai quando fui io ad avere quel compito.
Decisi di scendere nuovamente nel cortile, ero riuscita a scorgere alcuni bambini concentrati nel correre intorno al campo nella loro lezione di ed. fisica. era talmente bello poter ricalpestare quel suolo leggermente sterrato...
Mi poggiai al muretto, decisa a godere quelle voci tintinnanti di bambini, e il sole per qualche minuto.
"Kurata?" una terza voce fuori campo, che certamente non poteva essere la mia, nè quella dei miei pensieri, mi risvegliò, facendomi anche sussultare.
"Hayama? Che ci fai qui?" domandai, davvero stupita nel vederlo.
"No. Che ci fai tu qui" probabilmente più sorpreso della sottoscritta.
"Ho deciso di fare una piccola visita alla vecchia scuola, sono venuta con Aya. Ora tocca a te"
"Te l'ho detto giusto ieri, ogni tanto mi chiamano per coprire qualche assenza, e a me sta bene"
Oh, ecco cosa ci faceva lì. In tuta. Con dei ragazzini vicino.
"Un'altro quarto d'ora di campestre, poi faremo qualche piccolo esercizio" gridò, per permettere a tutti i suoi alunni di ascoltare le sue parole.
"Oh, non pensavo che parlassi anche di adesso. Comunque mi fa piacere, sembri un bravo insegnante!" gli riferii, sorridendo, non appena tornò a guardarmi.
Non disse nulla, ma quando si parlava di Hayama c'era da aspettarselo. Anzi, per tutta risposta alzò gli occhi al cielo.
"Professor Hayama!" un urlo richiamò subito l'attenzione del mio biondo amico.
"Professor Hayama! Toshi si è appena tagliato con del ferro che fuoriusciva dalla rete. Le dispiace se lo accompagno in infermeria?" domandò un bambino dal viso affettuoso, evidentemente preoccupato per il compagno di classe.
Alzai lo sguardo, cercando di intravedere chi potesse essere questo Toshi, in modo da verificare se la ferita fosse superficiale o meno, ma lo trovai seduto solo all'angolo più lontano, volontariamente in solitudine dal resto del gruppo. Era impegnato a osservare la ferita sulla mano, cercando di fermare il sangue, ingorando tutti gli altri ragazzi della sua classe che, preoccupati, gli erano andati vicini.
Vidi Hayama andare velocemente verso di lui, mentre ordinava agli altri alunni di riprendere la corsa. Gli fui accanto in pochissimi secondi.
"Toshi, fammi un po' vedere che ti sei fatto" disse, con tono severo.
Il moro lo guardava, senza nessun accenno a eseguire ciò che il professore gli aveva chiesto.
"Toshi, sbrigati. Vogliamo solo aiutarti, e quella ferita potrebbe infettarsi" si affrettò a dire il ragazzo dagli occhi premurosi di poco prima.
"Non ho bisogno dei pareri, nè dell'aiuto di nessuno" sentenziò, scandendo bene ogni fonema, per poi alzarsi e andare verso l'inferemeria. L'amico lo seguì in silenzio, guardando Hayama in segno di scuse, e di comprensione.
Akito non disse nient'altro.
Non potei fare a meno di pensare a quanto fosse maleducato e arrogante quel bambino. In fondo volevamo solo dargli una mano!
In realtà, riusciva persino a ricordarmi qualcuno.
Stessi occhi duri, stessa espressione vuota, stessa crudeltà nelle parole.
Doveva essersene accorto anche Akito, poichè lo vidi farsi pensieroso per qualche istante. Fu lui, però, a parlare per primo.
"Fa sempre così. Si siede quando ordino ai suoi compagni di correre e corre quando invece gli altri sono fermi o fanno qualche esercizio. Fa sempre confusione in classe, sentendo parlare altri docenti della scuola, anche se con me...sembra starsene sempre solo"
Avevo ragione. Le similitudini c'erano tutte.
"Dico sempre a Ryo, quel bambino che hai visto prima, di stargli vicino, anche quando lo caccia via. Sembra che ne abbia bisogno" continuò, girando leggermente il busto per guardarmi negli occhi.
Avevamo capito l'uno le riflessioni dell'altro. Non c'era nemmeno la necessità di comunicarci il pensiero comune che avevamo fatto.
"Pensi ci sia qualcosa dietro? Qualche problema privato?"
"Ne sono convinto" sputò, spostando lo sguardo verso l'infermeria.
"Allora dobbiamo solo saperlo con certezza" dissi, incrociando le braccia sotto il seno.
Mi osservò, circospetto.
"Che hai in mente?" chiese, sospettoso.
"I buoni vecchi metodi Kurata. Ci vediamo al parco all'imbrunire?" chiesi, con la luce e il fascino dell'indagine mi avevano sempre recato.
Sembrò rifletterci qualche secondo, incerto se impicciarsi delle faccende altrui o meno. A pensarci bene, Akito non aveva mai mostrato interesse per le vite altrui, se non quella di quei pochissimi amici stretti che aveva, ma avevo notato il modo apprensivo che aveva nel guardarlo. Come se sapesse esattamente le emozioni che quel bambino provasse, per un esperienza che la vita troppo presto gli aveva riservato. Tirarlo fuori dall'oblio sarebbe stato come salvarsi anche lui, di nuovo.
"D'accordo. A più tardi" mi salutò, tornando dai suoi alunni, mentre io voltavo le spalle, decisa a dirigermi verso casa.
"Ah, ehm, Kurata?" ripretese la mia attenzione. Mi girai per capire cosa avesse da dirmi.
"Evita i tuoi ridicoli costumi alla Sherlock Holmes, come giusto qualche anno fa"
Sorrisi al ricordo.
"E tu assicurati di mettere una cintura, Hayama"
Lo vidi sorridere debolmente, mentre gettavamo un ultima occhiata verso la porta chiusa che i due bambini si erano lasciati alle spalle.

"Ma devi essere sempre così strana? Posa quella lente d'ingrandimento, Kurata"
"Ma sono un'attrice! Ho bisogno degli strumenti di scena" mi lamentai, prevendendo già il suo solito sguardo insofferente verso l'alto.
E non mi sbagliai.
"D'accordo, d'accordo...la metto in borsa. Che bambino che sei"
Quasi gridò un sarcastico "dici a me?" indicandosi il torace, ma io avevo già fatto qualche passo in direzione dell'uscita dal parco, facendo cadere il discorso con uno dei miei soliti sorrisi.
Gli chiesi se sapessimo dove abitasse quel Toshi, in modo da fare uno dei miei appostamenti investigativi, ma mi accorsi che mi ebbe preceduta quando davanti al cancello esterno vidi un bambino, il cui nome credo fosse "Ryo".
Hayama lo salutò velocemente, ripetendo a lui la stessa domanda che poco prima avevo posto io. Ryo si dimostrò subito ben disponibile ad aiutare l'amico, indicandoci la strada giusta da prendere.
Il piccolo studente delle medie stava qualche passo avanti a noi, in un quasi religioso silenzio che coinvolgeva tutti. Persino me.
Non ci volle molto prima che potesse esclamare di essere giunti dinanzi la casa verso cui ci muovevamo. Mi presi qualche istante per ammirarla.
Era una bellissima casa, in stile occidentale, con delle vetrate splendenti e della pietra a delinearne il perimetro. Di sicuro era una famiglia benestante.
Mi guardai intorno, cercando un posto adatto per nasconderci tutti. Lo trovai in un cespuglio abbastanza alto, che sembrava essere stato messo lì proprio per noi.
"Quale sarebbe il piano?" sussurrò Ryo, guardando Hayama.
"Per queste cose rivolgiti alla strana ragazza che ho accanto, non sono io ad eccellere in questo campo"
"Hayama, sta' zitto. Sto pensando"
"Vorresti dire che sei venuta fin qui senza pensare ad una linea d'azione? Sei una sprovveduta, Kurata"
"Kurata?" sentii ripetere a Ryo, sottovoce.
"Lo sprovveduto sei tu! Non credi che potessi anche tu pensare a come agire? In fondo è un tuo alunno, lo conosci meglio di me"
"Sei una sprovveduta!" ripetè, mentre alla mia voce e alla sua si aggiunse anche quella di Ryo.
"Ma allora sei proprio tu! Credevo che le somigliassi, ma sei Sana Kurata!"
Continuò con una serie di esclamazione su quanto fosse felice di avermi conosciuta, e di stare addirittura accanto a un'attrice quella sera. Io e Hayama eravamo troppo impegnati a litigare per curarci davvero di ciò che stesse dicendo.
Il quadretto, se osservato dall'esterno, doveva essere proprio divertente. Tre persone appostate dietro un cespuglio con la chiara intenzione di non farsi notare, se non fosse per le voci, e gli urli che stavano facendo, ognuno preso dal dire qualche frase diversa dall'altro.
"Zitti!" ordinò, improvvisamente Hayama, colpendoci improvvisamente con un martelletto in plastica uguale a quelli che solitamente utilizzavo io.
"State tutti e due zitti!" ribadì, con il petto che respirava freneticamente.
"Tu! -disse indicando Ryo- Sì, è quella Sana Kurata, e sì, ce l'hai accanto, respira e vive come te. Non farne una questione di stato"
"Non è nemmeno tutto questo fenomeno..." aggiunse dopo, a bassa voce, quasi per non farsi sentire.
Avrei ripreso a discutere, ovviamente, ma mi resi conto da me che non fosse davvero il momento, così, almeno per quel frangente, gli dedicai soltanto un'occhiataccia in cagnesco.
"E tu! -stavolta indicando me- sei e rimani una sciocca" terminò, tornando a guardare quella casa. Riuscii quasi a sentire il battito di un martelletto, di quelli in legno che vengono utilizzati dai giudici. A pensarci bene anche il piko poteva essere un degno sostituto.
"Era ora che cominciaste a fare un po' di silenzio!" una voce squillante, nuova ci rimproverò.
Tutti ci girammo verso una sola direzione, cercando di capire chi fosse stato ad aver aperto bocca, e spiato le nostre discussioni. Una ragazzina dagli occhi vispi e furbi, con dei leggeri boccoli dorati sulle spalle e deliziose mollettine ai lati a fermarne alcune ciocche, fece capolino -o sarebbe meglio dire sbucò fuori- da un arbusto accanto a quello dove eravamo noi.
"E tu chi sei?" chiese Hayama, indispettito.
"Lei non ha una buona memoria, signor Hayama" rispose sibillina quella graziosa figura.
"Yuki, che...che ci fai qui?" chiese, interrompendo i due, Ryo.
La biondina sembrò avere qualche difficoltà nell'esprimersi.
"Oh, ecco...ehm..."
"Conosco Toshi da quando eravamo solo dei bambini, le nostre famiglie erano amiche tra loro, e uscivamo spesso tutti insieme. Però...con il tempo gli adulti si sono persi di vista, e anche io e Toshi, se non per qualche saluto quando abbiamo scoperto di andare nella stessa scuola. Da un po' di tempo l'ho visto strano, diverso. E così..."
"...E così lo stai spiando" dissi, risultando forse severa, eppure era come se capissi perfettamente le buone intenzioni della bambina.
Abbassò leggermente il capo.
"Vieni avvicinati pure a noi. Forse avendo conosciuto la sua famiglia, potresti darci qualche suggerimento..." pronunciai, rivolgendomi verso Yuki, sebbene guardassi Hayama.
Non ci pensò nemmeno mezzo istante. Subito saltò furtiva dal suo cespuglio al nostro, rivelando anche una scelta d'abiti che chiunque, eccetto me, avrebbe certo trovato stramba.
Vidi Hayama picchiarsi leggermente la fronte con la mano destra, non appena ebbe messo a fuoco quella lente, e quel trench da investigatore privato.
Sorrisi più silenziosamente che potei, beandomi dell'espressione incredula del mio amico.
"Se voi due siete parenti, in qualunque modo questo possa essere possibile, ditemelo adesso" asserì, forse ironico, forse no. Con Hayama non poteva mai essere detto.
Ovviamente non conoscevo quella bambina in nessun modo prima dei minuti precedenti, ma non potei che convenire con lei sullo spirito che stava dimostrando e, ovviamente, sui vestiti che indossava.
Yuki non sapeva molto su come fosse la situazione familiare attuale di Toshi. Da tempo le famiglie avevano smesso di frequentarsi per qualche anno, incontrandosi nuvamente alle scuole medie e, sebbene lei avesse continuato a voler bene a Toshi e voler recuperare il rapporto, lui non si limitava che a rivolgerle un saluto stentato.
Ci informò d'averlo visto diverso rispetto il bambino che conosceva lei. Le sembrò come se alle medie fosse subito diventato più chiuso, più riservato, antipatico... e davvero poco affabile.
Fu quando anche io, come Hayama, tornai a guardare quella casa che notai un particolare forse non proprio irrilevante. Da quelle stesse vetrate così belle, e che avevo ammirato solo pochi istanti prima, riuscii a scorgere due persone, entrambe sulla quarantina d'anni, litigare in modo animato. Una valigia, un trolley, stava accanto alla donna.
E poi avvenne tutto in rapida sequenza.
Una porta che sbatte, Toshi che cammina sul vialetto. Attraversa il cancelletto, sbatte anche quello. Sembra voler andare lontano, eppure è consapevole di non poterlo neanche fare. Mi soffermai sugli occhi, sembravano non vedessero nulla che non potessero essere i suoi pensieri. Occhi talmente vitrei da far dubitare che potessero davvero essere veri. Erano esattamente gli occhi che aveva Hayama quando io e Tsuyoshi, in una situazione simile, qualche anno prima, avevamo cercato di scoprire cosa lo angosciasse a tal punto.
"Vorrei tanto non poter più vedervi, nè sentirvi!" urlò furioso Toshi. Un urlo che parve come se fosse rimasto soffocato per tempo.
Suggerii a Ryo e Yuki di seguire in silenzio l'amico, in modo da capire quale fosse la destinazione che avesse in mente, assicurandosi di fingere poi, d'averlo incontrato per pura casualità. Qualche piccola parola di consolazione gli avrebbe fatto sicuramente bene, malgrado fosse prevedibile la sua incapacità di chiedere aiuto.
Entrambi annuirono immediatamente,  mentre Yuki già trascinava per il colletto Ryo, per poi tornare a camminare in silenzio.
"E noi? Noi due che facciamo?" domandò, dopo qualche istante, Hayama.
"Noi andremo a parlare con quei due. Ti presenterai come il professore di Toshi, e dirai di aver accidentalmente assistito a quanto è appena successo. Il resto sarà spontaneo"
Dall'espressione concentrata che assunse, capii che stesse studiando il mio piano, immaginandosi la scena. Si prese qualche secondo prima che potesse bisbigliare un "Okay, andiamo"
Tre piccoli colpi alla porta diedero l'avviso ai proprietari che ci fossero visite. Ci volle un tempo brevissimo prima che potessero aprire entrambi la porta, con fare nervoso, invocando il nome del figlio.
Ovviamente le facce cambiarono totalmente quando si resero conto che non fossero le mani di chi si aspettavano ad aver colpito la porta.
Cercarono di ricomporsi.
"Desiderate?" domandò piano, la donna.
"Salve, sono Akito Hayama. Professore di vostro figlio Toshi. Ero venuto qui per parlarvi del comportamento che sta assumendo a scuola, e ho involontariamente ascoltato le urla di poco fa"
"Oh" esclamarono debolmente entrambi.
"Ehm, entrate pure" disse dopo, in segno di resa, quella che pareva essere la madre di Toshi, al contrario del marito che non volle dire nulla, limitandosi a seguirci in salotto.
"Mi dica, professor Hayama. Cos'ha Toshi che non va?" disse, con una tranquillità fittizia, talmente falsa da rendere sia me che Akito nervosi. Poteva essere una madre tanto stupida?
"Me lo dica lei, piuttosto" rispose, senza battere ciglio.
Nessuno dava cenno di rispondere a quella domanda. Entrambi, piuttosto, presero a guardare vigliaccamente il pavimento.
"Codardi" sussurrò Hayama.
"Lei, come si permette? Pretende di venire qui e sapere tutto di ciò che accade nella nostra famiglia! Se ne vada, e si faccia gli affari suoi" urlò, parlando per la prima volta, il padre.
Akito non si sottrasse nemmeno per un istante allo sguardo di sfida che si stavano scambiando.
"I miei alunni sono affari miei. Soprattutto quando hanno dei genitori che non sanno essere tali" ringhiò, già in piedi per poter guardare dall'alto in basso quell'uomo sulla quarantina.
Anche quest'ultimo si alzò, arrivandogli a pochi centimetri.
Sia io che la moglie fummo subito tra di loro, cercando di evitare potessero compiere azioni stupide.
"Fermi!" urlai.
"Ritorni a sedersi, lei!-indicai il padre- Hayama, permetti una piccola parola?"chiesi, con un tono che non era proprio adatto a una richiesta.
Mi guardò con noncuranza, mentre lo spingevo verso l'angolo della stanza, allontanandoci da quei due.
"Quando ho detto "Il resto sarà spontaneo" non intendevo dovessi trasformare questa casa in un fight club" sussurrai, allarmata.
"Tu hai i tuoi metodi, Kurata. Io ho i miei"
"Non credo sia solo questo" affermai, secca.
"Cerca di non farti prendere dai ricordi, e non dare per scontato ciò che giudichi, in fondo non conosciamo nè la loro storia, nè i loro problemi. So che è difficile, ma non guardare a tutta questa situazione paragonandola a quella che avevi tu, con la rabbia che avevi tu. Per favore" dissi, intonando le ultime due parole come in una preghiera.
Il suo sguardo parve irrigidirsi, per poi divenire più tranquillo. Tornammo a sederci.
"Signori, ciò che Hayama vorrebbe dirvi è che Toshi è un bambino molto solitario. Sembra non voglia avere nessuno accanto a sè, se non in quei momenti in cui decide di voler fare confusione in classe. E' così distante che sembra essere sempre assente, reagisce in malomodo con chiunque gli si avvicini. E' inevitabile non preoccuparsi stando ad osservare ciò" presi la parola, ottenendo l'attenzione di tutti.
"Io non ne avevo idea" bisbigliarono entrambi, contemporaneamente.
"Toshi non era così." pensò a voce alta, il padre.
"Ma da qualche tempo...io e suo padre non andiamo affatto d'accordo, litighiamo di frequente, arrivando anche a mettere di mezzo nostro figlio e la sua educazione, e persino andarcene di casa." continuò poi, la donna che gli stava accanto.
"Che banalità" osservò, Hayama.
"Siete talmente presi da voi stessi che non riuscite a prendervi cura di vostro figlio. Da quanto tempo non andate a una riunione con i docenti? Da quanto tempo non chiaccherate? Da quanto tempo non guardate insieme qualche film stupido alla televisione?"
I visi di entrambi si abbassarono.
"Non volete lasciarvi perchè Toshi soffrirebbe? Non credete che sia peggio adesso? Costretto a continuare ad ascoltare voi e le vostre supide lamentele?"
Presi io la parola.
"Ascoltate, la famiglia è per un bambino il centro di qualsiasi cosa. Me lo ricordo bene, perchè anche per me era così. Mia madre ed il marito si lasciarono, eppure non riesco davvero a ricordare un momento in cui noi due non siamo state felici, nonostante potessi, a volte, avvertire la mancanza di un padre. Toshi ha, fortunatamente, entrambi. Due genitori che lo amano, sebbene probabilmente non si amino più tra loro. Dov'è il problema? A lui basterà sicuramente riceverlo. E avere di nuovo quella tranquillità che ogni bambino merita."
I due si guardarono tra di loro rimuovendo per la prima volta, da quando io e Hayama avevamo fatto il nostro ingresso in quella casa, quello scudo di ostilità e tormento.
"Io una madre non l'ho mai avuta. Non faccia in modo che anche per suo figlio sia così" pronunciò dopo, e totalmente inaspettatamente per me, Akito. Guardava un punto indefinito nella parete, lo sguardo un po' perso. Credevo non riuscisse a parlarne, era sempre stato un argomento chiuso a chiave per lui. Forse era maturato davvero. Istintivamente gli presi la mano.
"Adesso noi andiamo. Suo figlio in questo momento non è da solo, ma con due suoi amici, lo riporteranno qui tra qualche minuto. Prendetevi questo tempo per parlare civilmente, e prendere una decisione responsabile." li misi al corrente, osservando il sospiro di sollievo che li investì non appena li informai del figlio.
Un debole "grazie", appena soffiato ma proveniente da entrambi, per poi lasciarci alle spalle quell'abitazione, speranzosi di aver contribuito almeno un po' ad aiutare Toshi.
Riprendemmo a camminare, ognuno assorto nelle proprie riflessioni, nessuno che osava prendere parola.
Stavamo così, in silenzio. Ma non per imbarazzo, solo per rispetto dei pensieri altrui. A dir la verità, era anche piacevole, non parlare, qualche volta.

"E lasciami! Sei fastidiosa come lo eri da piccola!"
Un piccolo urlo ci svegliò da quella passeggiata, una voce ancora bianca, ma già sulla via del cambiamento. Entrambi alzammo poco il capo.
"Sta' zitto, e fammi un sorriso!"
Fu impossibile per me trattenere un sorriso dinanzi la scenetta adorabile che ci si era preparata davanti. Si trattava proprio di loro tre, mentre camminavano verso casa di Toshi.
Yuki aveva preso a pizzicare i lati delle labbra del suo amico, nel tentativo di farle assomigliare allo stesso sorriso che sia io, e sorprendentemente anche Hayama, avevamo improvvisato.
"Ecco, contenta?" domandò, ironico, il ragazzo.
"Sì!" fu la pronta risposta, detta all'unisono da entrambi i suoi amici.
Un debole "siete insopportabili" di risposta, sussurrato più a se stesso, che agli altri.
"Su, Toshi. Non c'è bisogno che tu mi dica quanto ti faccia piacere stare qui con me, lo so gia" cantò la bionda, gesticolando con qualche piccolo svolazzo in aria.
Toshi la guardò per qualche istante, portando in alto entrambe le sopracciglia.
"Diciamo solo...che non mi dispiaci, ecco"
Ci avvicinammo a loro, per poterli salutare.
"Professor Hayama. Che ci fa qui?" chiese, insospettito, Toshi.
"Una passeggiata. Torna a casa, Toshi. I tuoi genitori sono preoccupati, e vogliono parlare con te." rispose Akito, lasciando capire cosa ci fosse dietro.
Il moro non parlò, limitandosi solo a guardarci. Solo dopo qualche secondo il suo volto sembrò addolcirsi, gli occhi finalmente liberi da quel velo di tristezza e solitudine.
"Ma tu...io ti conosco" disse poi, guardando me.
"Si, beh..." cominciai io, con fare altezzoso, ma ovviamente auto-ironico.
"Tu sei quella della foto con la ridicola espressione che hanno pubblicato stamattina sul giornale"
Cominciai a balbettare e muovermi  in modo nervoso, fingendo di non sapere di cosa parlasse. Che bambino impertinente.
"Cosa? Ehm...no! Quale giornale! Ah-ah!"
"Di che giornale parla, Kurata?" le mani di Hayama sulle mie braccia, nel tentativo di fermarmi.
"Io non ne ho id..."
"Questo, signor Hayama" vidi l'espressione maliziosa e vergognosamente divertita di Toshi, a cui risposi con una infuocata. Mi venne voglia di picchiare con il piko anche quella testa corvina.
Mi misi una mano tra i capelli, voltandomi per non vedere il solito ghigno che si sarebbe sicuramente modellato sul volto di Akito.
Una piccola pernacchia, artefatta in modo da sembrare che volesse soffocare le risate, mi diede conferma di ciò che solo pochi istanti prima avevo pensato.
"Che espressione ridicola! Sembri un pulcino con quei capelli!"
Mi voltai, per poter infuocare anche Hayama.
Per tutta risposta, non si curò affatto dell'occhiata in cagnesco che gli avevo rifilato, continuando con i suoi commenti irritanti. Gli strappai quel giornale di mano, intimando a Toshi e i suoi amici di dover assolutamente tornare a casa. Mentre io mi allontanavo, con un passo non proprio aggraziato e quel giornale stretto al petto.
Hayama, ancora sghignazzante, poco dietro di me.

"Te l'avevo detto, Kurata. Non sfidarmi..."
Avevamo camminato per qualche metro, anzi, quasi marciato, visto il mio passo.
Hayama aveva lasciato che fossi io a indicare la strada giusta, seguendomi silenziosamente. La strada che intrapresi fu, insapettatamente anche per me, quella del gazebo. Ci sedemmo senza bisogno di domandarcelo a vicenda.
"Sta' zitto. Riuscirò a vendicarmi! E ho anche una piccola idea sul come..." pronunciai, rendendo la mia espressione improvvisamente degna di un cattivo dei fumetti.
"La cosa che più mi spaventa di te è la capacità che hai di cambiare assolutamente espressione in pochissimi secondi..." ghignò.
Mi apprestai a rispondergli per le rime, ma fummo interrotti dallo squillo del suo cellulare.
Harumi.
Poggiai le spalle sulla panchina, in silenzio.
-"Ciao"
-"...Si, scusami. Ho dovuto sbrigare una faccenda"
-"...Ah, già. Il compleanno di tua sorella...mi era passato di mente"
-"...Arrivo subito, a dopo."
Posò il cellulare, rimettendolo nella tasca del suo jeans, mi guardò per qualche secondo.
"Devi andare?" chiesi, io.
Si limitò ad annuire.
"Questo week-end avevamo pensato con Fuka e Aya di andare al nuovo parco divertimenti. Potremmo andarci tutti insieme, ovviamente anche Harumi. Che ne dici?"
Sembrò sorpreso.
"Beh...sì, credo di sì. Ne parlerò con lei"
Gli sorrisi.
"Allora ci vediamo!" lo salutai.
"Ciao Kurata" rispose.
"Ah! ehm, Hayama?"
Si voltò.
"E' molto bello quello che hai fatto oggi per Toshi. Se lo ricorderà per sempre"
"Io l'ho fatto. Ho ricordato e ricorderò sempre quando sono stato io ad essere "salvato"" proferì, con un tono reso straordinariamente ed inaspettatamente dolce.
Gli risposi con un sorriso, riscaldato dai miei occhi improvvisamente lucidi.


  
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