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Autore: shalalahs    02/06/2016    2 recensioni
Rogers, Steve sorride. No, non è abbastanza. Rogers, Steve sorride. Il corpo, la psiche e Bucky hanno una reazione molto positiva. Il corpo ha di nuovo problemi con il cuore. Lo sente stringersi – non si “preoccupa”. Il corpo cerca di abbinare il sorriso di Rogers, Steve con il proprio.
Rogers, Steve smette di sorridere.
Abortire.

Descrizione più dettagliata nelle note del primo capitolo, causa CACW spoilers.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Parole: 9255
Warnings: nessuno

 


FAITHFUL DOUBT


La strada per la palestra è corta, ma Bucky si perde ugualmente ad osservare il luogo, ripetendosi che no, non è solo perché – in caso di necessità – avrà più percorsi sicuri già tracciati a seconda del punto in cui si troverà nella struttura. Non che abbia già studiato le piantine situate ad ogni piano ed abbia una mappa del luogo, per quanto sia basata su planimetrie antincendio. Ne consegue che, le poche volte che esce dall'edificio residenziale, si fermi ad osservare i giardini e spiare di tanto in tanto i confini delle recinzioni, stando alla larga dalle telecamere di sicurezza e quant'altro.

La scusa di andare in palestra è, in effetti, un buon diversivo per controllare l'esterno dell'edificio, per quanto la sua mobilità sia limitata – se non vuole che T'Challa venga avvertito, o qualcuno s'insospettisca. Perciò, quando riesce ad intravedere uno stralcio di muro, fra i vari alberi lasciati crescere, si trova automaticamente a fare una stima approssimativa di quanti metri disti dalla facciata dell'edificio, prima di cacciare fuori il telefono dalla tasca e digitare gli appunti sul display, salvare la bozza e bloccare lo schermo, così da poter infilare di nuovo il tutto nella tasca dei pantaloni.

Il passo rallenta appena quando raggiunge l'ingresso dell'edificio, senza davvero sapere perché. Si ferma e prende un respiro tremolante, guardandosi attorno – la sensazione che qualcuno lo stia spiando ritorna ad agitargli i pensieri. Lui, per l'ennesima volta, si limita a socchiudere le palpebre ed espirare. T'Challa ha telecamere ovunque, un intruso non passerebbe inosservato, si ripete lentamente, raddrizzando le spalle e deglutendo, prima di riprendere a camminare. La porta scorrevole gli si apre davanti non appena ha raggiunto una distanza ravvicinata, le lastre di vetro scivolano su carrelli di metallo, silenziosi, con un singolo soffio tipico dei pistoni che comprimono troppa aria tutta assieme, rendendo il movimento della porta più lento e progressivo.

Bucky s'insinua all'interno della hall, notando la reception: un bancone che riprende il gusto tecnologico del luogo, sui toni di grigio metallizzato, dietro al quale siedono una donna ed un uomo intenti a parlottare amabilmente nella loro lingua. Quando vedono Bucky, mormorano entrambi un “buon giorno,” per quanto Bucky si limiti a chinare il capo in segno di risposta, senza davvero aprire bocca. Gli occhi del moro sono dediti a guardarsi attorno, alla ricerca di uno spogliatoio maschile. Una volta trovato, si limita a togliersi la felpa e rovistare nell'unico borsone che trova depositato sulle panche. E poi sorride quando trova un sacchetto di stoffa extra con dentro le sue scarpe da ginnastica ed un cambio, assieme ad una nota scritta di pugno, la calligrafia spigolosa, in stampatello minuscolo:

Porta il tuo culo in palestra, Barnes.
Ti devo ancora rendere tutte le botte,

N.
ps: я бу́ду ждать тебя́ на гимнастический зал.

Bucky corruga la fronte all'ultima frase, rigirando il foglietto, senza però riuscire a trovare nient'altro che possa spiegare quel post scriptum, prima di grattarsi la testa ed infilarsi il biglietto in tasca, fregandosene se si stropiccia. Si sistema il codino sulla testa, raccogliendo il resto dei capelli e tirandoli dietro il volto, prima di cambiarsi, sistemare gli anfibi accanto a quelli di Steve – una delle poche cose che appartiene davvero a Bucky, fra l'altro –, gli abiti nel borsone ed indirizzarsi verso l'uscita degli spogliatoi, così da potersi infilare direttamente in palestra.

Sente i rumori già prima di aprire la porta, tanto che non si sorprende nel vedere il guizzo della chioma rossa di Natasha, prima che la donna compia una delle sue capriole e chiuda il collo di Steve fra le proprie cosce, in una morsa ben più stretta di quel che sembra. Per quanto tutta la spinta che abbia preso non basti del tutto a far cadere Steve, lo sbilancia quel che serve perché Natasha – con una spinta addizionale – lo rovesci sul tappeto, facendolo rotolare via, senza concludere davvero la mossa.

Bucky sbuffa, avvicinandosi al tappeto blu e poggiando la spalla destra su uno degli attrezzi, scuotendo la testa quando Steve si tira su e Natasha gli viene incontro.

— Comincia ad essere vecchio per certe cose, i suoi cent'anni si vedono tutti. — l'ironia nella voce di Natasha è palese, nel mentre che si avvicina a Bucky con disinvoltura, braccia incrociate ed il corpo avvolto da uno strato di sudore palese.

Oggi, la donna indossa un toptank rosso scuro, attillato ed aderente, che ne mette in risalto il corpo muscoloso e sodo, il seno è stato appiattito da quello che ha tutta l'aria essere un reggiseno sportivo più che resistente, mentre le gambe sono fasciate da un paio di collant neri che lasciano visibili i polpacci allenati, concludendo il tutto con delle scarpe da ginnastica nere; i suoi capelli, invece, sono legati in un codino alto, un tempo ordinato – adesso pieno di ciocche sfuggite a causa dei movimenti bruschi.

— Disse al tizio più vecchio di me. — risponde Steve, chiaramente a corto di fiato, tirandosi su e massaggiandosi il collo con una mano, accigliandosi ed avvicinandosi ad una delle panche vicine alla parete così da afferrare una bottiglia d'acqua e cominciare a bere.

— Non ricordo di aver chiesto la tua opinione, granpa. — rispondono Bucky e Natasha quasi all'unisono e quasi con le stesse parole, per quanto Natasha la metta più sul “Chi ha chiesto la tua opinione, granpa?”

Steve rotea gli occhi al cielo, tornando a bere con la chiara attitudine da “che cos'ho fatto?” che lo accompagna.

È risaputo che Bucky e Natasha, soprattutto quando Bucky è Bucky, sono più impertinenti di un abitante di Boston quando incontra degli yankee. E a Boston scoppiano le vere risse, per certe cose. Se poi Bucky sa perfettamente che Natasha conta sul fatto di essere anche lei un ex-spia del KGB, allora lui può fingere che tutta la questione del Soldato d'Inverno sia sotto controllo e che anche lui ci possa scherzare su. Perché quando Bucky è Bucky può scherzare e ridere; la faccenda si complica quando l'Altro decide di prendere in mano i comandi e rovinare la giornata a quante più persone possibili.

— Zitto, Barnes, adesso toccano anche a te. Ne ho per tutti oggi. —

— A proposito di stare zitti, “Sharon ha bisogno di uno strappo”? Davvero, Romanov? — Bucky ignora la frecciatina di Natasha, giusto perché può e perché non vuole ammettere che, molto sicuramente, Natasha non lo risparmierà solo perché ha qualche problema di instabilità emotiva.

Natasha si stringe nelle spalle, scrollandole ed incamminandosi subito verso il tappeto blu. — Nessuno ha detto che Sharon non avesse qualcosa da darmi, Barnes. Mica ti ho mentito. — ed eccolo lì, il sorrisetto da volpe che fa capolino sulle labbra carnose della donna, mentre la voce cela una risata sottile e delicata. Affilata come un coltello.

— Potevi dirmelo che intendevi trovare nuovi modi di svuotare le tasche di T'Challa, almeno oggi sarei sembrato meno stupido quando mi hanno —

— Okay, fermi tutti, mi sono chiaramente perso qualcosa. — Steve s'intromette, interrompendo Bucky e gesticolando in direzione di entrambi, prima di tornare a massaggiarsi il collo con fare accigliato.

Natasha distoglie lo sguardo dall'occhiata interrogativa di Bucky, ignorandolo fin quando Bucky non si decide a guardare Steve, sospirando.

— A quanto pare hanno trovato un possibile modo per camuffare la protesi con un braccio meccanico, ma ci vorranno sicuramente un mucchio di altri soldi. — e gli occhi azzurri si puntano, accusatori, su Natasha di nuovo.

— Suona... fantastico? Ma, davvero, adesso non basterà neanche vendere un rene per ripagare T'Challa. — Steve dà voce ai pensieri di Bucky.

Natasha rotea le iridi al soffitto, voltandosi e degnandoli di un'occhiata. — Vedetela così, se lui riesce ad avere un paio di quei dispositivi, non avrete più bisogno di nascondervi qua e fare i topi in gabbia. Potrete uscire dal Wakanda senza rischiare che Stark o qualcun altro vi sia subito alle calcagna. — spiega la donna. E, Bucky deve dire, non ha davvero tutti i torti.

— Buck? — Steve si volta a guardarlo, come se poi non ne avessero già discusso in separata sede.

Bucky si stringe nelle spalle, prima di scrollarle e sentire di nuovo la pesantezza che gli grava addosso, facendogli incrociare le braccia al petto e passarsi la mano destra sul volto, puntellando il gomito sul polso metallico.

— Non è una cattiva idea. — ha già pensato a tutte le possibilità che avrebbe, se l'equipe di T'Challa riuscisse davvero a mettere su qualcosa del genere. — E poi Clint e Sam si stanno già lamentando, senza parlare di Scott, o Wanda. — mormora, guardando Steve. — Almeno potremmo andarcene e smettere di campare sulle spalle di T'Challa. —

Per quanto T'Challa abbia espresso un sentimento più che positivo a tal riguardo, nessuno ha mai pensato a questa come una sistemazione definitiva. Bucky per primo.

— Clint ha anche sua moglie e sua figlia, ha già detto che intende andare a riprenderle non appena Ross allenta la sorveglianza, senza contare Scott, poi. — aggiunge Natasha poco dopo.

— Lo so, ma non siamo più Avengers, dove potremmo andare? — l'espressione sul volto di Steve è pensierosa, forse un po' tormentata, ma Bucky non ha mai davvero visto Steve privo di quella sfumatura, neanche quando era piccolo e magro. — Voi due conoscete per caso qualche base abbandonata che possiamo riutilizzare? — e gli occhi azzurri sono di nuovo su Bucky e Natasha.

Bucky scuote la testa. È inaffidabile, quando si tratta di informazioni del genere.

— Immagino che chiedere a T'Challa sia fuori discussione. — sia Bucky che Steve annuiscono, alle parole di Natasha.

— Possiamo mandare Scott e Wanda, soprattutto con... tutta quella storia che lui può controllare le formiche e, ew. — la smorfia di Bucky è palese, assieme alla fronte corrugata che esprimono scetticismo. È visibilmente stranito da una tale possibilità. Il futuro è strano, è qualcosa che deve ricordarsi ogni giorno, di recente.

— Vorrei comunque farvi notare che, in un modo o nell'altro, dovremo avvertire T'Challa. Non possiamo certamente sparire da un giorno all'altro senza dare spiegazioni. Non sembra tipo da prendersela, od essere infantile perché lo lasciamo qui da solo, ma comunque sta rischiando grosso per aiutarci. — spiega Natasha, pestando il materasso blu con i piedi e strusciandoli su esso, ripulendo le suole da chissà quale agglomerato di polvere ci sia incastrato.

— Troviamo un posto e poi avvertiamolo, tanto non credo riusciremo davvero a trasferirci in massa da un momento all'altro. — conclude Steve, annuendo.

Sia Bucky che Natasha annuiscono, almeno fin quando Natasha non batte le mani, richiamando l'attenzione di entrambi, per quanto la donna stia chiaramente guardando Steve, che Bucky.

— Okay, pausa finita, vai a procrastinare il nostro allenamento da qualche altra parte. — facendo pure segno a Steve di andarsene, agitando una mano come se poi stesse allontanando un cane un po' troppo appiccicoso. Con tanto di — Scio, scio. — come accompagnamento.

Bucky sbuffa al broncio che Steve mette su, prima che il biondo decida di scuotere la testa ed andarsene, decisamente – falsamente – offeso.

Bucky ritorna con gli occhi su Natasha, l'ombra di un sorriso che gli aleggia sulle labbra. — Dovresti andarci piano, è una persona sensibile, a differenza mia. — risponde, man mano che comincia gli esercizi di riscaldamento.

— Stronzate, è solo geloso che abbia vinto io a shotgun. — risponde Natasha, sciogliendo gli arti.

— Nel senso che voleva tirarmi pure lui dei calci in culo? —

— Nel senso che ormai sembri essere una sua esclusiva, pure negli allenamenti, e sinceramente è ora che ti condivida un po' col resto del gruppo, Barnes. —

Bucky ride di quell'affermazione, per quanto sotto sotto un moto di nausea e fastidio gli sfiori lo stomaco ad una simile eventualità. Si posiziona, seguendo le mosse di Natasha in uno stile che entrambi conoscono fin troppo bene, per quanto sia adattato per diversi fini. Il Soldato d'Inverno è stato addestrato per essere letale nel combattimento corpo a corpo, la Vedova Nera ha ricevuto un insegnamento più sfuggevole, che mira ai punti cardinali per indebolire e concedere un colpo pulito e sicuro. Due stili diversi, efficaci, con delle basi in comune.

Nonostante tutto, ha chiesto lui a Natasha di riprendere gli allenamenti, per quanto riluttante fosse l'idea di rimettersi in campo ed abbandonare una casa ed una vita tranquilla, ormai non sembra esserci una diversa possibilità, né tanto meno un futuro diverso. Perciò, Bucky ha optato per una delle persone con cui riesce a trovarsi un po' più a suo agio. Natasha e, successivamente, anche Sam.

Da quando è ritornato in sé, ben prima che Zemo e l'attentato all'UN avvenisse, non è mai riuscito ad intrecciare rapporti con nessuno. Non per davvero, almeno. Né a Budapest, né in qualunque altro posto si fosse fermato. L'unica persona con cui ha avuto un contatto – per quanto a distanza – era una delle vicine che abitava qualche piano sopra il proprio. Una vecchietta che, da quando ha visto l'appartamento vuoto per sbaglio, gli lasciava dei piccoli regali all'esterno della porta. Un profumo d'ambiente alla lavanda, un sacchetto con dentro dei tipi di cereali, dei biscotti presi da chissà quale supermercato di poco conto. Bucky non ha mai davvero incontrato personalmente la donna, ma sa che si trattava di una vecchietta perché ogni volta la controllava dallo spioncino nel tentativo di calmare la paranoia crescente sulla possibilità che i passi davanti alla sua porta fossero quelli di qualcun altro, anziché di una semplice donna. Magari qualcuno aveva scoperto la sua postazione, magari era addirittura Steve che era tornato a tormentarlo, non accontentandosi di affollarne i sogni ed i quaderni.

Non ha mai cercato di avvicinarsi a nessuno. Non sconosciuti, non facce familiari. Steve non sembra averlo capito, ma è anche vero che Steve aveva ragione, per quanto agli inizi Bucky era riluttante a restare con lui, per quanto la situazione l'avesse reso una necessità, era stato quasi contento di essere catturato e portato via, lontano da Steve, lontano da tutti. La corrente che passava all'interno della sua gabbia era fastidiosa, certo, un costante avvertimento che – avesse provato a scappare – avrebbe dovuto sopportare ben peggio di un fastidio minimale; però, una parte di lui era sollevata che Steve non fosse lì, che non lo vedesse o non cercasse di ficcargli in testa concetti su chi fosse – su chi dovesse essere. Almeno finché i ricordi del vecchio sé non riemersero, dandogli modo di attenuare tale sensazione e pensare – sperare – che forse Bucky Barnes non era davvero perso. Che forse non doveva essere completamente Bucky Barnes, ma qualcosa di diverso, sempre con lo stesso nome e lo stesso passato, ma sempre un po' diverso dal vecchio Bucky Barnes.

Steve ogni tanto è pesante, quando gli racconta storie dal passato, storie di cui Bucky non ha memoria, se non un fastidioso senso familiare, come quando cerchi una parola, sai che è lì, ma non riesci a trovarla. E, per quanto non abbia mai detto niente a Steve, con l'andare del tempo anche Steve ha smesso di parlargli di vecchie storie, a meno che non sia Bucky a domandarglielo, dato che Bucky diventava intrattabile ogni volta che Steve gli domandava se ricordasse qualche cosa in particolare.

A Budapest era quasi riuscito a trovare un metodo, un abbozzo di strada da intraprendere per poter trovare un equilibrio fra la programmazione e la parte umana, quella che lo rimandava a parole come Lucky Strike, signorine ben vestite e risse innocue che cominciavano e finivano in pieno sole, senza che nessuno ne facesse una tragedia; Coney Island, il “santo cielo, Rogers” pieno di schifo mentre le orecchie si affollavano del rumore tipico emesso da una persona che sta vomitando, pneumonia ed un sacco di altre malattie di cui non riesce sempre a ricordare i nomi, ma che ricollega inevitabilmente a Steve.

A Budapest era riuscito a raccogliere tante informazioni sul vecchio sé e sul biondo che affollava i suoi pensieri in continuazione, non voluto, in mezzo ad un'epoca che non ricordava così grande, spaziosa, affollata e tecnologica. Quando la programmazione non viene innescata, si sente come svuotato di tante, troppe informazioni. Ha imparato a parlare con le persone senza sembrare una macchina od una persona appena catapultata nel futuro, dritto dagli anni '30; ha imparato a non sgranare gli occhi quando vede un'invenzione che non aveva mai visto prima, ma che riesce stranamente ad usare e comprendere nella sua funzionalità. Ha imparato abbastanza, ma non tutto. E solo perché è riuscito a parlare con Steve, non è detto che riuscirà davvero a parlare anche con Natasha, Scott, Clint, Sam, Wanda o T'Challa come parla con Steve.

— James! — l'avvertimento di Natasha arriva forte e chiaro, ma Bucky riesce solo in parte a farlo sgusciare dal suo stato pensieroso. È il dolore lancinante al lato della testa, portato dal calcio di Natasha, che lo fa sbilanciare e cadere di lato, finendo sul tappetino e lasciando andare un grugnito di fastidio, per quanto la psiche gli ricordi – inutilmente – che non dovrebbe esprimere dolore. Bucky la ignora, le mani che si puntellano sul materassino per aiutarlo a mettersi a sedere.

La testa non gli fa troppo male, ma gli ennesimi flash lo costringono a chiudere le palpebre. Sa che non è più in Siberia, sa che chi ha davanti è Natasha e non un altro dei suoi carcerieri, men che meno qualcuno dei Soldati d'Inverno con cui lo facevano “allenare” per mostrare ai superiori HYDRA quali fossero i progressi del progetto, così come non è più in una delle basi HYDRA, non stanno per trasferirlo o punirlo, né rimandarlo in una delle gabbie per testare la sua resistenza e l'efficacia del siero iniettatogli. Non vuole ritornare là dentro, né ora, né mai...

Яша. — Natasha interrompe il flusso di pensieri, facendogli riaprire gli occhi per poterla trovare davanti a sé, l'espressione indecifrabile: un misto fra preoccupazione e fastidio repressi, in continuo mutamento.

La donna prende un respiro profondo, mettendosi a sedere a gambe incrociate davanti a Bucky, guardandolo male. — Cosa succede, Barnes? — gli chiede, guardandolo diretto negli occhi.

Bucky rimane in silenzio, scrutandola. Non è la prima volta che si sente chiamare a quel modo, Yasha. Ed ora la fronte si corruga, man mano che i pensieri si riversano nella sua testa. Sono memorie tattili e visive, di mani ruvide, mani ruvide a contatto con capelli morbidi, li stringono e li carezzano, e poi si poggiano su un cuscino di poco conto – l'hotel, 27 Settembre 1998, missione autonoma – un corpo sinuoso sotto di sé, sta mormorando qualcosa, ma non riesce a sentirla. Nella penombra della stanza, intravede il colore pallido della pelle, liscia, perfetta. È perfetta, ricorda d'aver pensato. A differenza del proprio corpo, quello della donna è perfetto. Perfetto. Il braccio meccanico rimanda solo dati sulla pressione esercitata, ma l'altro ricorda il calore di qualcosa che andava contro i protocolli. Non ci pensare, gli ripete la voce della donna. Non ci pensare, così smette di pensarci. Ricorda stanchezza e spossatezza diversi da quelli provati dopo un combattimento. Ricorda qualcosa di delicato, un calore che – con sorpresa – non avrebbe mai pensato potesse scaturire dal proprio corpo. Una delicatezza che si è trasformata in tensione, in movimenti violenti, ma non mirati ad offendere. E poi, di nuovo, quel nome. Yasha. Yasha.

Yasha andava contro i protocolli, ma quando lei lo diceva, la psiche si acquietava e lui poteva fingere di essere qualcosa che non sarebbe mai potuto essere, senza che Barnes, James Buchanan rischiasse di riemergere a galla. Yasha era l'eccezione che confermava la regola.

Yasha, aveva detto a Steve quando lo aveva chiamato Bucky una volta di troppo. Adesso, un profondo senso di disagio si avvicina pericolosamente ai suoi pensieri, man mano che ricorda a quali labbra appartenesse tale nome.

— Eri tu. — interrompe la voce del corpo, man mano che gli occhi azzurri si portano in quelli verde sbiadito della donna, il respiro che muore per qualche istante.

Le labbra di Natasha si tirano in un piccolo sorriso delicato, prima di ritornare al loro stato naturale, completando quasi un quadro. Bucky riesce solo a scorgere qualcosa di malinconico al suo interno, qualcosa di umano, un misto di rammarico e dispiacere.

— Ce ne hai messo per ricordare. — gli dice, fingendo quasi un'aria ironica.

Il corpo ha una reazione strana. Di nuovo, simile alla sensazione che prova in presenza di Rogers, Steve. L'ennesima stretta al cuore che non comprende. Per un attimo, la psiche riflette sul fatto che sia davvero qualche tipo di malattia, ma una parte di Bucky ricorda ancora cosa significhi provare qualcosa del genere. La psiche si fa bastare i dati dettati dall'esperienza di un ragazzino nato e vissuto all'interno di Brooklyn per la maggior parte della sua vita.

— Cos'è successo? — riesce solo a chiedere, non appena Bucky realizza quanto a lungo il silenzio si sia protratto.

Natasha sbuffa, scrollando le spalle e sospirando. — Fu subito dopo il periodo di allenamento con te. — Bucky comincia a pentirsi di averle chiesto di raccontargli. — Mi inviarono con te per apprendere sul campo. Andò avanti per qualche anno, finché non decisero che ero pronta per diventare un operativo. — gli occhi di Natasha si abbassano, man mano che racconta. Bucky non distoglie i propri dal volto della donna. Non riesce. — Ci assegnarono ad un paio di missioni. Sapevo perché eri sempre silenzioso... o almeno, pensavo di sapere, per questo non mi sono mai fatta troppe domande. Ero convinta che anche tu avessi avuto il mio stesso allenamento. Pensavo anche di sapere cosa volessi, dato che anch'io volevo la stessa cosa. —

Bucky socchiude le palpebre, le labbra che si serrano ed il petto che si gonfia per poter prendere un respiro lungo, profondo.

— Ho tentato un approccio semplice, ho — la sua voce s'interrompe, Bucky riapre gli occhi solo per vederla distogliere lo sguardo. — Sono riuscita ad intavolare una conversazione quando non mi hai saputo dire il tuo nome. Così, beh, ti ho chiesto chi dicevano che fossi. — gli occhi verdi ritornano in quelli di Bucky, l'ombra di un sorriso amaro sulle labbra carnose e rosee. — Dicesti che non ti piaceva quel nome, che non era un nome Russo. — si scrolla nelle spalle. — Così mi inventai una cazzata, che magari eri stato arruolato da agenti Americani e che, teoricamente, il nome James in Russo si traduce come Yasha. — mormora, gonfiando il petto ed esalando un respiro profondo, misurato. — Hai cominciato a parlare un po' più liberamente, da quel giorno. Penso sia stata fortuna, dato che una missione del genere avrebbe richiesto come minimo un mese intero, anziché un paio di giorni. — il sorriso si accentua, ma non sembra ironico, né allegro.

Bucky non riesce ad aprire bocca, né a formulare qualcosa di senso compiuto nella propria mente.

— Dopo quella missione, ti rividi un'ultima volta. — le mani della donna salgono a sciogliere il codino, liberando i capelli rossi e lasciandoli ricadere attorno al volto. — Sembravi regredito ai tempi degli allenamenti, pensavo facessi finta di non calcolarmi, non mi hai parlato neanche una volta. — deglutisce — Ho provato a parlarti, ma mi hai detto di tornare al mio posto. Quindi ho pensato avessi fatto la tua decisione, che quei giorni avevano avuto un significato marginale. Non ti biasimavo davvero, ma non ebbi il coraggio di dirti niente per paura che facessi rapporto a qualcuno e mi rispedissero in isolamento. —

Bucky sente il volto contorcersi, l'espressione tesa che gli distorce i tratti, la mente che cerca di ricollegare qualcosa, qualsiasi cosa, a quel periodo, riuscendo a trovare nient'altro che vuoto.

— Non sapevo delle macchine. Nessuno parlava mai di te, se non per menzionare la camera criogenica ed io non mi sono mai interessata oltre per scoprire de-... — Natasha s'interrompe, prima di arrivare al punto di non ritorno. — Quando ho incontrato Clint, non ho avuto modo di fare niente, se non scappare in America ed unirmi allo SHIELD. —

Bucky corruga la fronte, inclinando il capo da un lato – la domanda tacita che si fa ben presto ovvia.

— Ti ho lasciato là, pensando che volessi restare. Mi dispiace. —

Lo stomaco di Bucky si contorce, il corpo scatta in piedi. Le rivolge le spalle, man mano che sguscia fuori dal ring, rendendo vani i propri tentativi di calmare il respiro e rilassare la postura. Non vomita, ma la nausea ne attanaglia le viscere, assieme all'ansia.

— Non è colpa tua. — riesce a maneggiare il corpo, cacciando fuori parole amare e secche.

— Lo so. — risponde Natasha, avvicinandoglisi. — Ciò non toglie che avrei potuto fare qualcosa. —

Bucky socchiude le palpebre, allontanandosi quando nota la mano dell'altra allungarsi per potergli toccare la spalla destra. Mormora qualcosa, qualcosa di simile ad un — Non toccarmi, — ma la verità è che non sa neanche lui se l'abbia detto davvero. Il tono deve essere bastato a far capire a Natasha la richiesta, perché la donna si allontana e mantiene i tre metri di distanza, come fa quando è in presenza dell'Altro.

E poi, una piccola, fredda realizzazione immobilizza il mare di pensieri che sta imperversando nella mente di Bucky, facendolo fermare, il colore che abbandona le palpebre. Natasha se ne rende conto, ma non sembra dire o fare niente a riguardo, se non guardarsi attorno.

Prima che la donna possa aprire bocca, però, Bucky riesce finalmente a formulare la domanda che gli è sorta in mente – nonostante il desiderio di conoscere la risposta sia pari a zero.

— Come l'hai saputo? — domanda, la voce bassa e gli occhi che cercano quelli dell'altra, il corpo sembra di nuovo pronto per entrare in una delle celle in cui lo tenevano, se non addirittura nella camera criogenica. Ha freddo.

Natasha esita.

— Natasha. Come? — ripete la domanda, il corpo ci imprime un timbro più deciso.

Natasha sospira, abbassando lo sguardo.

— A Washington ho cominciato ad avere il primo dubbio. Non ho detto niente, era logico che ti avessero inviato anche per farla pagare a me e progredire coi piani. Poi Steve ha detto che ti conosceva, ma avresti dovuto avere... molti anni. Molti di più di quelli che dimostri ora. — uno sbuffo arriccia le labbra della Vedova Nera. — C'è da dire che anche Steve, però, li porta bene. —

Bucky non ricambia il sorriso, per quanto comprenda l'ironia.

— Cominciai a fare delle ricerche con Fury, dopo che dette fuoco al deposito dello SHIELD. Non c'erano molte informazioni su cui lavorare, neanche con l'aiuto degli altri Avengers riuscimmo a trovare molto. Fra Ultron, Rumlow e poi Ross, sia io, che Steve e Sam eravamo arrivati ad un punto cieco. Non sapevamo dov'eri, né cosa ti fosse successo. — Bucky segue Natasha solo con gli occhi, scrutandola mentre si siede su una delle panchine e prende un sorso d'acqua. — Avevamo solo le informazioni che ero riuscita ad ottenere, un vecchio fascicolo... — la voce s'interrompe di nuovo, lo stomaco di Bucky si contorce ulteriormente. — In ogni caso, Zemo ha lasciato un paio di cose in Germania, assieme al cadavere dell'uomo che avrebbe dovuto valutarti. — c'è un attimo di pausa, man mano che Natasha prende un respiro profondo ed unisce le mani. — Era un libro scritto completamente in Russo. Clint mi ha detto ciò che tu hai detto a Steve, prima che lo portassero via. Sono riuscita ad arrivare nell'hotel prima che la cameriera trovasse il corpo. Ho portato via l'unica cosa che avrebbe potuto davvero aiutarli a contenerti come avrebbero voluto. —

Bucky prende un passo di distanza. L'unica cosa a cui riesce a collegare Zemo è un libro rosso con una stella nera stampata sopra, la copertina in pelle e dalle pagine giallognole e l'ombra di scritte che hanno sempre avuto l'idea di essere Russo corsivo.

— Non l'ho detto a nessuno perché ho già rovistato abbastanza nel tuo passato, ma te lo dovevo, in un certo senso. —

— Che cosa? — la voce di Bucky è graffiata, ma bassa, man mano che osserva la donna.

— Ho rintracciato gli scienziati a “cura” — le dita si sollevano a formare delle virgolette. — del progetto. Zemo aveva una pista in caso anche il suo piano fallisse, o magari l'aveva già scartata... in entrambi i casi, era entrato in possesso di una lista. —

Bucky rimane immobile, scrutando la donna con espressione confusa, per quanto sia più una presa in giro, sia all'altra che a sé stesso. Sa perfettamente dove Natasha andrà a parare con questo discorso, ma non riesce a decidere se è qualcosa vuole o non vuole fare.

— Perché dovrei? — domanda, la voce amara e roca.

— Non dovresti, potresti. — precisa la donna, alzandosi e guardandolo negli occhi. — Perché è ciò che ho fatto anch'io, una volta liberatami dagli operativi della Red Room. Ho trovato chiunque fosse correlato al progetto Vedova Nera e l'ho ucciso. — c'è una nota più cruda nella voce di Natasha, una volta conclusa la frase. — I fascicoli sono nel mio appartamento, sono tuoi. Le informazioni saranno buone ancora per una settimana, prima che cambino locazione e facciano perdere le loro tracce un'altra volta. —

Bucky prende un respiro profondo, abbassando lo sguardo, il braccio meccanico che sfocia nella sua visione periferica.

— Non devi fare niente per forza, ma magari sbarazzarsi di simili persone aiuterà tutto il processo di guarigione. Non ti farà sentire meno in colpa per ciò che ti hanno costretto a fare, ma almeno avranno ciò che meritano. — conclude Natasha, troppo vicina ad oltrepassare i tre metri di distanza ed avvicinarglisi un altro po'.

Bucky rimane immobile tutto il tempo, annuendo appena e prendendo un respiro lento, profondo. La vendetta non è mai davvero stata un'opzione. Non da solo, in ogni caso. Adesso non sa se questo potrebbe rappresentare davvero una scelta, non con Steve e la sua moralità, ma nessuno gli vieta di rifletterci, no? Può sempre rifletterci e decidere cosa fare una volta visto cosa c'è nei fascicoli.

— Se decido di andare —

— Verrò con te, dovunque vorrai. — lo interrompe Natasha, un sorriso sincero sulle labbra.

Bucky ritrova una spinta ironica, riuscendo a sbuffare. — Presuntuoso. — le fa notare, non riuscendo a mantenere l'espressione per molto. Pochi attimi e ricade nel posto vuoto e freddo in cui si è trovato per tutta la conversazione.

— È il mio secondo nome. — confessa Natasha, prendendo un passo ed avvicinandosi, senza davvero chiedere il permesso od altro.

Bucky lotta contro l'urto di fastidio e negazione che arriva assieme a tale gesto, accettando il tocco dell'altra sulla spalla destra.

— Nat. — la chiama Bucky, prima che la donna possa fare qualcos'altro. — Non so se —

— Neanch'io. — ed è quasi fastidioso vedere come l'altra riesce a comprendere così bene certe cose. È quasi frustrante. Nessuno capisce come capisce Natasha. E questo lo fa quasi disperare, certe volte, sapere che Natasha è l'unica a cui non deve neanche dire qualcosa perché essa capisca cosa c'è che non va, o cos'è che lo trattiene, o spinge e lo fa comportare in un certo modo.. — Se succederà, succederà. — lo rassicura la donna, allontanandosi di qualche passo. — In più, adesso siamo dei ricercati. Non è proprio l'occasione migliore per pensare a qualcosa del genere. — conclude, il solito sorriso leggero che le si dipinge sul volto.

Bucky annuisce, guardandola afferrare la propria bottiglia ed un asciugamano, poggiandolo sul retro del collo ed avvicinarsi di nuovo.

Bucky esala un sospiro pesante, quando l'altra gli poggia una mano sul volto, proprio lungo la linea della mascella. La guarda negli occhi, in silenzio, non riuscendo davvero a capire cosa dirle, senza sembrare un automa.

Alla fine, storce le labbra in un sorriso, o almeno, qualcosa che dovrebbe rappresentarne uno. — Sono contento che tu sia qua. — mormora.

Natasha gli sorride di nuovo, più contenuta stavolta. — Sei un brav'uomo, James. — e Bucky sa che quelle parole sono un modo indiretto per dirgli che si merita qualcuno accanto, qualcuno su cui fare affidamento. Che lo merita, ma la verità è che fa ancora fatica ad accettarlo. La verità è che non è sicuro neanche un po' che sarà mai in grado di imparare ad accettarlo.

E questo, questo sì che lo fa sbuffare. — No, non davvero. — ammette, abbassando lo sguardo e chinando la testa. — Ma tu sembri essere l'unica a comprenderlo. — il che è vero. Forse anche Clint riesce a capirlo. Steve e Sam, assieme a Wanda, hanno un'idea fin troppo idealistica di Bucky.

Clint e Natasha non si aspettano niente, così come T'Challa e – probabilmente – anche Scott, per quanto Scott sia solo molto, molto distratto per preoccuparsi di argomenti del genere. Bucky non ha mai dovuto affrontare discussioni troppo profonde con Scott, per fortuna.

Natasha gli si avvicina e Bucky ricade in una delle vecchie memorie, ricordandosi come si fa in certe situazioni, quando il volto di una persona si sporge verso il proprio per posare le labbra su una guancia coperta dalla barba incolta di qualche giorno.

Bucky rimane immobile per la maggior parte del tempo, riuscendo solo ad inclinarsi di poco in avanti e permettere il contatto, per quanto i suoi movimenti siano meccanici e controllati, non dice nient'altro quando Natasha lo guarda con un saluto non proferito, allontanandosi verso gli spogliatoi e scomparendo dalla stanza.

Solo, Bucky prende un respiro lento e misurato, guardando il luogo vuoto, l'odore di plastica e gomma che gli riempie le narici e, infine, gli occhi che ricadono sull'orologio. È quasi mezzogiorno, ha rinunciato a mangiare qualcosa di prima mattina quando ha letto l'sms di Steve, ma lo stomaco non ha gorgogliato neanche un po' dalla mattina. A volte, sentire la fame è un lusso che può permettersi, ma altre non riesce semplicemente a comprendere la differenza. Altre ancora, nonostante essa, non è in grado di aprire bocca e masticare alimenti solidi, rifugiandosi su quelli più liquidi o morbidi.

Non esce dalla palestra. Non ancora. Non si è davvero allenato con Natasha, perciò, nella mezz'ora che gli rimane, riprende in mano attrezzi, spolvera vecchie tecniche di riscaldamento, prima di dedicarsi davvero ai sacchi da boxe.

 

[...]

 

Natasha ha già promesso di pranzare assieme a Clint e Wanda, per oggi. La incrocia fuori dagli spogliatoi, fresca di doccia, mentre Bucky gronda sudore e non riesce a parlare per bene senza che il fiato corto gli smorzi le frasi.

Bucky opta per una doccia veloce, notando inevitabilmente come Steve abbia lasciato il borsone con dentro un secondo asciugamano ed una nota:

Io l'ho preso, tu lo riporti.
Lo shampoo è quasi finito.

Non dico che non farebbe
comodo che tu lo prendessi,
ma farebbe comodo ;)
Grazie, eh
—-Steve

Bucky rotea gli occhi al soffitto, accartocciando la nota e buttandola nel cestino più vicino, borbottando qualcosa a proposito sul piccolo stronzetto, per quanto adesso sia in formato gigante.

La doccia è veloce, sia perché non vuole rischiare ricordi improvvisi, sia perché non ci tiene a sperimentare se il fermo installato da Mehret funzioni davvero, adesso che si tratta ancora di una fase sperimentale. Perciò, una volta asciugato e rivestito con gli abiti con cui è uscito di casa, la sua unica deviazione prima di tornare da Steve è, appunto, la reception da cui si possono effettuare ordinazioni. Sia lui che Steve sanno benissimo che potrebbero digitare un messaggio dal pannello di controllo all'interno di uno dei loro loft e farsi consegnare qualunque cosa vogliano entro pochi minuti, ma entrambi hanno concordato che il gesto sembra troppo strano, perciò si limitano a richiedere l'ordinazione e presentarsi con in mano i soldi, per quanto sia sempre più difficile pagare, ora che più o meno tutto il personale ha ricevuto l'ordine di trattare il team di ex-Avengers e non come degli ospiti.

Anche oggi, Bucky riesce a pagare l'uomo situato alla reception e, probabilmente, capisce anche perché Steve mandi lui, certe volte. Nessuno ha davvero paura di Steve, tutti lo vedono come un uomo di buon cuore, troppo innalzato dalla sua moralità per poter fare una faccia minacciosa o non cedere all'insistenza di un'offerta. Bucky, al contrario di Steve, non nega di avere un dono naturale – e l'instabilità emotiva aiuta, sotto questo punto di vista, deve riconoscerlo – nel guardare male le persone, poggiare con un po' troppa irruenza il palmo sinistro sul tavolo e sillabare con calma — Prendi questi cazzo di soldi e non rompere le palle. — prima di afferrare la busta ed andarsene per la propria strada.

— Sei un approfittatore del cazzo, Rogers, lo sai? — Bucky non lascia neanche aprire bocca a Steve quando mette piede all'interno del salotto, poggiando busta e carta magnetica sul tavolino, prima di dedicarsi alla ricerca del biondo.

Steve, apparentemente, sta cucinando. Ed anche ridacchiando.

— Stai zitto, che ti diverti pure tu. — gli rifila, voltandosi e poggiando una padella con dentro della pasta saltata su un sottopentola, l'aspetto che tradisce l'odore della pasta.

Bucky si siede a tavola, senza nascondere la sua espressione dubbiosa. Ed ovviamente Steve lo nota.

— Non cominciare neanche, Buck. Ti arriva una spatola in testa. —

Bucky tira su le mani, guardando Steve con aria falsamente innocente. — Non so di cosa tu stia parlando. Stai per caso insinuando da solo che dovrei avere dubbi sulla tua cucina? —

Steve caccia un suono lamentoso. — Ti odio. —

— Nei tuoi sogni più selvaggi. — scherza, scuotendo la testa e, afferrando la pentola, si rovescia un po' di pasta nel piatto. — Sicuro che non saltano fuori dal piatto e cercano di uccidermi? — punzecchia di nuovo.

— Ti fa male vedere Natasha, diventate un unico essere quando vi incrociate. Non so quanto sia un bene. — Steve cambia discorso, chiaramente non volendo ammettere che potrebbe aver sbagliato a seguire la ricetta online.

Bucky, in compenso, storce le labbra ed abbassa lo sguardo, sfruttando gli attimi in cui Steve è ancora voltato di spalle – intento ad infilare ciotole e bicchieri nel lavandino – per poter riacquistare una tranquillità almeno apparente.

— Sì, beh, magari è il marchio di fabbrica. — gli scappa fuori, di punto in bianco, in un tono ironico, ma che comunque lascia trapelare un filo di amarezza. Bucky si maledice mentalmente per aver aperto bocca, nello stesso istante in cui Steve si volta e lo guarda, sopracciglia inarcate ed una tacita domanda nello sguardo. Tutto okay?

— Ha tentato un'altra terapia d'urto? — domanda Steve, cautamente.

Bucky scuote la testa, sospirando e rinunciando a nascondere l'ennesimo problema a Steve. È quasi frustrante. Steve è come un cane da tartufo quando succede qualcosa del genere, così come Bucky lo è nei confronti dell'uomo.

— Ne possiamo parlare dopo mangiato? — ribatte Bucky, invece, senza guardarlo negli occhi. — Non è niente di che, davvero. — promette, infine, quando Steve prolunga il suo sguardo da Sono Costantemente Preoccupato Per Te E Non Importa Cosa Dirai, Non Cambierà.

— Okay. —

Bucky tira quasi un sospiro di sollievo, ignorando il vuoto inconsistente all'altezza dello stomaco, la mente che non segnala neanche il minimo crampo. Afferra la forchetta e comincia a mangiare, riscoprendo lentamente che sì, quel vuoto che sente non è il prossimo conato di vomito, ma solo fame. Molta fame.

Tale realizzazione è un incentivo in più a mangiare. Diamine, Bucky è quasi entusiasta di poter mangiare più liberamente, adesso, nonostante certi giorni non tocchi cibo dalla mattina alla sera e Steve è costretto a forzarlo a mangiare ogni tanto, per quanto Bucky riesca ad ingerire poco, dato che – una cucchiaiata di troppo – e rischia di correre in bagno per rigettare il tutto.

Il pranzo passa in silenzio. L'aria scherzosa e spensierata ha lasciato il posto a qualcosa di più teso e pesante. Bucky sa che Steve vuole delle spiegazioni, per quanto non lo specifichi davvero, né cercherà di forzarlo. È nella natura di Steve, ha imparato, preoccuparsi per Bucky e voler sapere più o meno tutto quello che lo riguarda. Perciò non si sorprende dell'espressione di delusione e fastidio malcelati, quando Bucky suggerisce di finire di guardare una delle serie TV su Netflix, non appena finito di ammontare piatti e bicchieri nel lavandino. Non si sorprende neanche di come Steve annuisca ed accetti tale scelta, chiaramente contrariato da essa, andando ad afferrare un paio di cuscini extra per potersi sistemare sul divano subito dopo che Bucky si è accomodato. Si siedono agli estremi del divano: Steve con un braccio poggiato sul bracciolo destro, Bucky che invece usa bracciolo e cuscini come schienale, solo per potersi togliere gli anfibi e cacciare i piedi sotto la coscia di Steve, quella più vicina, guardando la televisione e sprofondando nella sensazione morbida e calda che il divano, i vestiti ed i cuscini gli trasmettono.

Non guarda davvero la puntata. Si prende quell'ora di tempo per scivolare fra dormiveglia e pensieri disarticolati su come porre la questione a Steve, come se poi dovesse confessare un crimine, o di aver tradito chissà quale aspettativa dell'altro.

Quando i titoli di coda preannunciano il secondo episodio, Steve si sporge per afferrare il telecomando e mettere in pausa, voltandosi verso Bucky e fissandolo.

— Hey. — protesta Bucky, senza voltarsi.

— Buck. — e Bucky conosce perfettamente il tono da Captain America, quando lo sente.

Un sospiro abbandona le labbra del moro, quando si tira su, riacquistando una posizione più consona alla definizione di “seduto”.

— Ricordi quando ti ho detto di chiamarmi Yasha? — domanda, adocchiando Steve per la prima volta dopo un'intera ora di occhiate evitate all'ultimo secondo. Steve annuisce, paziente, ma non apre bocca. — Ho ricordato chi mi ha dato quel nome. —

Steve rimane interdetto, non sapendo chiaramente come interpretare tale informazione, si limita solo a corrugare la fronte ed aspettare, mormorando un semplice — Okay... —

Bucky prende un altro respiro, voltandosi e poggiandosi una mano sul volto, massaggiandolo. — Natasha era una recluta, l'ho allenata io durante gli anni del progetto Vedova Nera. — mormora Bucky, tenendo gli occhi chiusi e nascondendo il volto a Steve. Se si concentra abbastanza, riesce ancora a sentire le voci riecheggiare nelle stanze d'allenamento. Fredde. — Abbiamo fatto delle missioni assieme. —

Steve non emette un suono, ma Bucky riesce a sbirciare la sua espressione confusa dall'altra parte del divano.

— Aveva detto che non ti conosceva. — mormora Steve, dopo qualche istante.

— Non come Bucky Barnes. —

— No, anche come — la voce di Steve muore prima di poter dire di nuovo due parole ben precise. Soldato e Inverno.

— Forse voleva evitare ritorsioni. — ipotizza Bucky, guardando Steve, adesso che il biondo ha gli occhi da tutt'altra parte, concentrato su qualcosa. — Forse pensava fosse un altro dei Soldati d'Inverno. — si stringe nelle spalle, prima di prendere un respiro ed incrociare le braccia al petto.

— Per questo è riuscita a recuperare il fascicolo? —

Bucky si tira su a sedere di colpo, ottenendo l'attenzione di Steve. Non ci aveva fatto troppo caso quando Natasha gliene ha accennato, ma adesso gli sembra quasi ovvio.

— Era per te. —

Steve deglutisce, sbiancando appena. — Era l'unica pista che avevo su di te. —

Lo stomaco di Bucky ha una fitta. Deve alzarsi. Deve alzarsi ed andare a vomitare. Steve sa cosa gli hanno fatto. Se Natasha gli ha dato il fascicolo, Steve sa perfettamente tutto ciò che è successo durante gli sperimenti, tutto ciò che non è stato trasferito sui computer.

Bucky socchiude le palpebre, forzandosi a deglutire ed ignorare la morsa che gli attanaglia le viscere. Okay, può accettare anche questo. Può accettarlo. Può.

— Credo — gli occhi di Bucky non sanno davvero dove posarsi, all'interno della stanza, ma sicuramente non intendono posarsi su Steve. — Credo di aver dimenticato una cosa importante. — caccia fuori all'improvviso, una smorfia che gli si dipinge sul volto. — Quando ero... Quando ero quell'Altro. — si ferma di nuovo, scrutando Steve. — Con Natasha. —

Steve non sembra davvero seguirlo. Bucky sa che vorrebbe parlare un po' di più del fascicolo e del motivo per cui abbia ficcato il naso dove Bucky ha sempre cercato di mantenere un alone di confusione. Bucky stesso non ricorda certe parti del periodo trascorso con gli scienziati HYDRA.

— In che senso, qualcosa di importante? — Steve esita.

Bucky storce di nuovo le labbra, mantiene le braccia incrociate al petto, rimettendosi a sedere e puntellando i piedi sul divano, accovacciandosi quasi. — Mi sono ricordato di una notte. — mormora, senza davvero avere alcuna voglia di scendere in particolari dettagliati. Quasi gli viene da ridere, perché chi diavolo riesce mai a vederci chiaro nei suoi ricordi? — Con lei, durante una missione. — solleva lo sguardo verso Steve. — Natasha credeva che anch'io volessi... — socchiude le palpebre, coprendosi il volto con le mani e massaggiandolo. — Ricordo che quando mi ha chiamato Yasha era come se — la voce s'interrompe, mentre Bucky si ritrova a stringersi nelle spalle. — Mi ha chiamato Yasha e l'unica cosa che ricordo d'aver pensato è stata lo fa suonare come se fossi una persona. Ricordo di averci creduto. — così forte da far male, quando è ritornato alla base per fare rapporto del malfunzionamento, senza coinvolgere Natasha.

Steve rimane in silenzio tutto il tempo, il volto pallido e le labbra appena aperte in un'espressione sorpresa.

Bucky lo lascia stare, in silenzio, senza davvero chiedergli di fare alcunché. Aspetta che l'altro abbia qualcosa da dire.

— Te ne ha parlato solo ora? — chiede Steve, infine.

Bucky annuisce.

— Perché mai? —

Bucky scuote la testa.

— Okay. — Steve si poggia una mano sulla tempia. — Okay. È un- un po' strano, ma almeno non sono altre brutte sorprese. No? —

Bucky si sforza per annuire, prendendo un respiro profondo e riflettendoci.

— Che intendi fare? — chiede Steve, guardando Bucky. — Insomma, Natasha è... Natasha.

Gli occhi azzurri di Steve fanno intendere i suoi intenti: sdrammatizzare. Per quanto possa essere davvero difficile di questi tempi, soprattutto in una conversazione con Bucky.

— Non lo so. — se Bucky deve essere sincero, la sua vita si è ridotta a quelle tre parole. — Non riesco neanche a stare vicino alle persone senza pensare a quale sarebbe il modo più rapido per spezzare loro l'osso del collo. — una smorfia gli si dipinge sulle labbra. — Non so davvero se sono tagliato per una relazione. E Nat ha detto che neanche lei vuole forzare niente, né scoprire chissà cosa. —

Steve annuisce, in silenzio.

— Mi sembra una cosa che direbbe Nat, in effetti. — mormora, infine, passandosi una mano fra i capelli biondi e corti. Steve ha un piccolo accenno di barba, per quanto il colore chiaro la renda difficile da vedere. — Beh, immagino che rimarremo due vecchi single assieme. — e ridacchia, leggero, ma neanche troppo forzato. La risata ha breve durata, difatti, rimpiazzata da un silenzio vago.

— In che senso? — Bucky ricorda bene la bionda che Steve ha baciato sotto il ponte, la stessa donna che ha portato loro le uniformi.

— Ti ricordi di Peggy Carter? — domanda Steve. A volte succede che Steve gli chieda più volte se ricorda qualcosa, perché non sempre parla con lo stesso Bucky, non sempre la mente di Bucky riesce a pescare informazioni. Certe volte spariscono, altre invece rimangono sempre a galla, indesiderate.

Bucky annuisce.

— Beh, salta fuori che ha una nipote. —

Bucky corruga la fronte.

— Sharon Carter. La bionda che ci ha riportato le uniformi. —

Bucky sgrana gli occhi. — Come? —

Steve annuisce, tirando su le mani, chetando Bucky prima che la fiumana di domande lo interrompa troppo.

— È stato un enorme casino. Lo sapevo e non —

— Steve! — Bucky si tappa la bocca con entrambe le mani, mentre il volto di Steve cambia colore, dal rosso più acceso a qualcosa di più livido.

— Lo so, non serve che tu faccia lo stronzo e me lo faccia pesare più di quanto già faccia da solo. Grazie, prego. — e a quelle parole, Bucky deve fisicamente tapparsi la bocca per evitare altri commenti.

Steve lo fissa per qualche istante, finché Bucky non decide di calmarsi, almeno. E poi prende un respiro profondo, riprendendo a parlare.

— Dopo l'evasione del Raft, T'Challa ha offerto anche a lei una casa in questo posto, ma ha detto che aveva un paio di cose di cui occuparsi, senza contare che non voleva davvero starmi troppo vicina. E la capisco, la capisco benissimo. Insomma, io stesso vorrei starmi lontano. — un po' del rossore sul volto di Steve svanisce, per quanto nel contesto rimanga ugualmente rosso. — Peggy era morta da poco-... —

— Peggy è morta? — Bucky sgrana gli occhi, la bocca aperta.

— Oh cazzo, mi dispiace. — stavolta è il turno di Steve di tapparsi la bocca. — Cazzo. —

Bucky non riesce davvero a sentire dispiacere od altro, se non la sorpresa di una notizia del genere. Sa di aver conosciuto Peggy, ma la verità è che ha solo una memoria confusa su di lei. Non visivamente, quanto emotivamente. Ricorda qualcosa simile all'invidia e la rabbia, ma anche la rassegnazione e la speranza, per quanto fossero rivolte tutte a Steve in funzione di Peggy.

— Stevie, che è successo con la nipote? — domanda Bucky, cercando di cambiare di nuovo argomento e riportare Steve alla normalità. O quantomeno, ad un balbettio più cosciente.

Steve sembra risvegliarsi da qualunque pensiero lo stesse tormentando. — Non ricordi davvero Peggy, vero? — chiede, una nota quasi dispiaciuta nella voce.

Bucky non può far altro che scuotere la testa. — So solo che la conoscevo, mi pare di aver letto da qualche parte che soffrisse di demenza? — e Steve annuisce, lentamente. — Ma non ho davvero dei ricordi precisi su di lei. — mente, stringendosi nelle spalle. Non vede davvero altre soluzioni per far scappare via Steve dal brutto posto in cui la sua testa si sta infilando.

Steve annuisce, deglutendo e schiarendosi la voce.

— Beh, per farla breve, il fatto che Sharon fosse la nipote di Peggy era un'enorme fonte di disagio, e ce ne siamo resi conto entrambi quando ci siamo rivisti. — riprende Steve, stringendosi nelle spalle, una punta di rossore che ne tocca le guance. — Così abbiamo deciso di mettere un punto e darci più tempo. Non abbiamo davvero avuto tutto questo tempo per parlare, per conoscerci, non sappiamo praticamente niente l'uno dell'altra e quindi... — Steve prende un respiro profondo, scrollando le spalle e rilassandosi un po'. — Sono nella tua stessa situazione con Natasha, più o meno. — conclude, rivolgendogli un'occhiata quasi complice.

Bucky ne è grato, per quanto non lo dia a vedere.

— Io avrò sprecato tre dollari per Dot, ma tu sei davvero un disastro, in fatto di relazioni amorose, Rogers. — scherza Bucky, cercando di alleggerire la tensione.

Steve sorride, sbuffando e roteando gli occhi al soffitto, fingendo insofferenza. — Quel diavolo di peluche. —

— Fortuna che il siero doveva amplificare tutto, eh?, immagino che a te abbia amplificato l'incapacità di flirtare. — lo punzecchia Bucky.

— Fottiti, so flirtare! — esclama Steve, gonfiando il petto e tenendo la schiena ben dritta.

Bucky gli tira un cuscino in faccia. — Vai a fare il galletto da un'altra parte, Rogers. O forse dovrei dire, “nocciolina?” — è uno dei pochi momenti di cui Bucky si ricorda, ma dà principalmente la colpa al fatto che le ragazze con cui uscivano fecero una faccia disgustata a quella richiesta e Bucky, per quanto infastidito da tale comportamento, cercò di sdrammatizzare il tutto riportando gli occhi sulla macchina appena andata in fiamme di Howard Stark.

— Fra tutte le uscite, proprio quella devi ricordarti?! — Steve emette un suono insofferente.

— Okay, campione, dimmi un'uscita in cui hai davvero fatto colpo. — Bucky si sistema meglio sul divano, poggiando i gomiti sullo schienale e lanciando un'occhiata a Steve in tralice.

Steve rimane in silenzio.

Bucky scoppia a ridere.

Steve diventa rosso.

— Sei pessimo. Ti odio. —

Bucky continua a ridere.

Almeno finché Steve non gli pianta un cuscino in faccia, smorzando la voce di Bucky con un'esclamazione di sorpresa.

Da lì, cercano di stringere l'uno nella presa dell'altro, rotolando giù dal divano e finendo sul tappeto, e ritrovandosi Bucky per terra con Steve che gli preme su un fianco, le mani intrecciate in una presa che si muove in continuazione, lì dove Steve cerca di bloccarlo e Bucky riesce a sgusciare via e riacquistare un punto da cui esercitare forza migliore. Dopo qualche istante, però, Steve ha la meglio, solo perché Bucky non riesce a contrastarlo col braccio meccanico. Nonostante Bucky cerchi di allentare il blocco, il suono che le piastre meccaniche emettono è un sibilo sforzato, finché il braccio non cede e Steve rischia di cadergli addosso fermandosi e guardando Bucky, preoccupato d'aver rotto qualcosa.

— T'Challa mi spellerà vivo. — esala Bucky, prima che il braccio smetta di sibilare e le piastre si sistemino di nuovo. Lo muove, controllandolo e corrugando la fronte, prima di tornare su Steve e prendere entrambi un sospiro di sollievo.

— Credo che il programma di Mehret abbia ancora un paio di migliorie in serbo per me. — spiega Bucky, disteso per terra, i piedi a contrasto con la base del divano e le gambe piegate.

Steve annuisce, tirandosi appena su, sfruttando il gomito e guardando Bucky negli occhi.

Bucky arcua un sopracciglio.

— Che c'è? — domanda al biondo, quando Steve si mette a guardarsi attorno.

— Non so se ricordi, ma — Steve si volta di nuovo, guardando Bucky e sistemandosi di fianco a lui, tirando su le gambe e poggiando polpacci e piedi sul divano. — A volte dormivamo per terra, su un materasso, davanti alla stufa in salotto. — mormora accanto a Bucky, ora intento a fissare il soffitto. — Stavo pensando che mi piacerebbe rifarlo. — e Bucky si volta solo perché la sua vista periferica coglie il movimento di Steve, quando l'uomo muove la testa per adocchiare il bruno.

— Ricordo di avertelo proposto, una volta, ma non ricordo quando. — mormora Bucky, assorto, gli occhi che si perdono in un punto imprecisato fra Steve e la vetrata poco distante.

— Perfino il tappeto è più comodo di uno di quei materassi. — commenta Steve, assieme ad una risata bassa, sottile.

— Beh, nessuno ci vieta di farlo anche subito. — fa notare Bucky, tornando ad adocchiare Steve.

Ogni tanto, Bucky non può fare a meno di guardare gli occhi di Steve e pensare alle parole dette da Zemo. Per lui è quasi sempre stato normale vedere, ma anche ricordare la sfumatura verde negli occhi di Steve, lì dove l'azzurro lascia dei riflessi, più che dei veri colori, ingannando la vista. Ha sempre avuto l'impressione di conoscere alla perfezione quegli occhi, a prescindere del volto che li indossasse – fosse snello o in forma.

Steve s'illumina appena. — Netflix, popcorn per cena e schifezze finché vogliamo. —

Bucky ridacchia, ma annuisce, prima di cercare di allungarsi per poter afferrare il telecomando e far ripartire la lista di episodi, per quanto nessuno dei due sembri intenzionato a tirarsi su e raddrizzarsi davvero per poter guardare la televisione.
 



Author's Corner:
Oooookay, salve! Ci sono - di nuovo - millantamila note da chiarire, visto che 1, il Russo non è decisamente una delle tante lingue studiate e 2, COMICS REFERENCES (per chi invece l'ha già trovata/capita: tvb, you are precious and I luv u). Anyway, no shame in that, partiamo con ordine.
- il post scriptum lasciato da Natasha si legge "a búdu zhdat' tebyá na gimnasticheskiy zal" e vuol dire: ti aspetto davanti alla palestra
- "shotgun" altri non è che il nostro "l'ho detto prima io," ma versione figa. In America si è soliti dire "chiamare lo shotgun" per chi fa prima cosa, quindi il primo che dice "shotgun" vince
- "Яша" altri non è che la forma in Cirillico di "Yasha", cioè "James" in Russo~
- per la reference ai Marvel comics, parlo esattamente dell'ultimo dialogo di Natasha e Bucky, quando lei gli dice che lui è un brav'uomo. Non so se per voi possa risultare OOC, ma la verità è che Bucky è in un momento della sua vita in cui la sua mente gli dice che prova qualcosa di più che semplice simpatia per Natasha. Spero sia di chiarimento u.u

Detto ciò, vorrei ringraziare tantissimo tutti coloro che hanno commentato, segnato fra i preferiti e fra le storie da ricordare. Voi non avete idea di quanto aiuti vedere che qualcuno s'interessi davvero alla storia - aiuta davvero perché mi sento un po' meno come se stessi scrivendo cose a caso e facendo un caos assurdo. I definitely feed on feedback - e questa è la riprova.
Di nuovo, sono una pessima beta-reader (molto impaziente), quindi se trovate degli orrori che non sono riuscita a correggere, segnalate pure via messaggio privato / recensione, che sono lontana dall'essere perfetta çuç

Pazzo e chiudo,
Shà<3
  
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