Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Stella94    02/06/2016    10 recensioni
Dal testo:
"Era diventato grande Jon, e nei suoi occhi profondi aleggiavano orrori di mille battaglie. Una cicatrice gli percorreva la fronte fino a delineargli la tempia. Le labbra erano rosse e non più piegate in un cipiglio risentito.
Era diventato bello Jon, e quasi non si riconosceva mentre allungava una mano per concedergli una carezza sul viso, arrivare più in alto e sfiorargli i capelli, morbidi, sottili, proprio come aveva sospettato. "
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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                                                                                    Non si può spezzare 






Non le era mai capitato desiderare di guardare semplicemente una persona tanto a lungo da poter impararne ogni più piccola imperfezione del viso, la curva che compivano le labbra quando si arricciavano in una smorfia curiosa, la linea degli occhi, sottile ma ben marcata, gli zigomi pronunciati che facevano da cornice ad un viso altrettanto perfetto.
Sansa ne era quasi rapita. 
Negli anni trascorsi lontana da casa, aveva spesso provato ad immaginare quanto fossero cambiati i volti dei suoi fratelli, quanto avrebbero potuto crescere e diventare forti, se il destino, in alcuni casi,  avesse voluto per loro qualcosa di più dolce della morte.
Nelle sue fantasie, Robb appariva pressoché uguale, solo più alto, dalle spalle larghe e una frastagliata barba rossiccia. Rickon aveva cominciato ad assomigliare molto di più a Bran, anche lui più alto e maturo, ma i suoi capelli, indomabilmente ricci, gli coprivano la testa nascondendogli occhi sottili.
Arya era diventata snella, ma non aveva assunto la grazia e la leggiadria che si addice ad una signora, la sua espressione uno sguardo austero di incosciente sfida. E Jon… Jon non aveva mai avuto forma nelle sue immaginazioni.
Lo vedeva come sempre era stato. Taciturno, imbronciato, con i capelli scuri e vaporosi che gli cadevano sulla fronte, le braccia conserte e le gambe dritte, di chi è pronto a nascondere tutto, ma vorrebbe disperatamente essere letto.
Ora, che riusciva a vederlo, aveva la certezza che mai nessuna supposizione o fantasia gli avrebbe reso giustizia.
Era diventato grande Jon, e nei suoi occhi profondi aleggiavano orrori di mille battaglie. Una cicatrice gli percorreva la fronte fino a delineargli la tempia. Le labbra erano rosse e non più piegate in un cipiglio risentito.
Era diventato bello Jon, e quasi non si riconosceva mentre allungava una mano per concedergli una carezza sul viso, arrivare più in alto e sfiorargli i capelli, morbidi, sottili, proprio come aveva sospettato.
Non aveva mia capito gli uomini, e quelli che si erano imbattuti lungo il suo cammino, non si erano rivelati altro che sadici impostori, crudeli assassini impietosi, inarrestabili usurpatori. Ma suo fratello - non più fratellastro- era diverso.
Jon non conosceva desideri, ma solo il voler adempiere a quegli degli latri. Aveva assistito alla ferocia, ma non si era fatto contagiare. Si era districato tra i morti ed aveva ucciso, ma non vedevi mai brillargli sul viso quella furia di vittoria, sadica, disumana, una maschera di ferro e terrore.
Jon era puro. Jon era un rifugio.
E forse è per questo che non ne poteva proprio fare  a meno.
Nel cuore della notte aveva preso la consuetudine di sgattaiolare dal suo letto, per percorrere silenziosa i metri che la separavano da suo fratello. Entrava nella sua stanza dove l’attendeva Spettro con il muso alzato che la  osservava curioso. Ma il meta-lupo albino, dopo averla annusata accertandosi che gli concedesse una carezza,  si rimetteva a dormire subito senza preoccuparsi troppo.
A quel punto Sansa si sedeva sul letto di suo fratello e lo studiava. Lo fissava e basta.
Come se potesse leggere sul suo viso tutte le risposte di cui aveva bisogno, e trovare nel suo corpo caldo, avvolto da soffici pellicce, quel posto che aveva impiegato anni a cercare.
Col tempo si era accorta che le piaceva. Nelle ore in cui dormiva, Jon sembrava avere la stessa espressione di quando era bambino, quasi come se le cicatrici o la peluria che gli era spuntata sul viso non l’avessero per nulla cambiato. Di tanto in tanto lo sentiva mormorare, nomi sconosciuti, parole di perdono, sussurri, frasi sconnesse, che non capiva ma che amava ascoltare.
Poi nello stesso modo in cui era abituata ad entrare, fuggiva via dandosi della stupida, pervasa da un senso di colpa dolcemente atroce, che la faceva sentire ingiusta ma sorprendentemente viva.
Quella sera però era diversa.
Lei lo stava toccando ed era una cosa che non aveva mai fatto e mai aveva pensato che potesse fare.  
La pelle di Jon era calda, delicata, leggermente ispida quando incontrava i peli duri della barba lasciata incolta.
Non era il modo in cui una sorella avrebbe accarezzato un fratello, ma era il mondo in cui aveva sempre desiderato stare accanto ad un uomo.
Se solo mi vedesse… ne sarebbe disgustato.
Sapeva che doveva andare via. Le mattine al Tridente erano sempre luminose e non tardavano a risplendere. Dalla finestra poteva già vedere il cielo schiarirsi di un indaco pallido, striato da macchie rosso ceree. Aveva imparato che l’alba aveva un effetto magico sul viso di Jon.
Sembrava dargli colore, dipingerei i capelli di sporadiche sfumature argentate, mentre alle labbra conferiva una tinta insolitamente vermiglia, le ciglia che gettavano sottili ombre scure sulle guance piene.
Aveva l’aspetto di un valido peccato…
Mosse le dita delicatamente, stando attenta a non svegliarlo. Con l’indice tracciò i contorni della sua bocca chiusa, ne tastò la morbidezza, il suo respiro lento e regolate un piacevole solletico sui polpastrelli sensibili.
Si era sempre chiesta come sarebbe stato baciare un uomo giusto, leale, coraggioso, buono come Jon.
Si era sempre chiesta quale sapore avesse realmente un bacio. Un bacio voluto, un bacio d’affetto, un bacio d’amore, un bacio donato dal cuore.
Nelle storie e nelle canzoni i baci erano forti emozioni, timidi scambi di attenzioni, dati con circospezione e timidezza, conquistati dopo gesta eroiche, cavalieri che andavano in soccorso delle loro dame tenute in ostaggio da balordi assassini.
E non era forse stato proprio Jon a prometterle rifugio? Non era stato Jon ad accoglierla tra le sue braccia giurandole protezione? Non era forse Jon il condottiero dal cuore impavido? Colui che non stava esitando a sguainare la spada per tenerla lontana dalla crudeltà di un individuo assetato di sadismo?
Jon era il suo desiderio.
Restò ad osservarlo ancora per molto. Quella sera non aveva avuto incubi. Le sue carezze si fecero più audaci e una mano scese lenta verso il petto del ragazzo, nudo e palpitante, lasciato scoperto delle lenzuola radunate intorno ai fianchi.
Era duro, un fascio di muscoli sodi che pareva sentir fremere sotto il suo corpo.
Qualcosa dentro di lei prese a muoversi, nel bassoventre e sempre più giù, dove l’intimità cominciò a fremere facendole scorrere veloce il sangue sulle guance.
Non conosceva quella sensazione. Non l’aveva mai provata ma le sembrava sbagliata.
Le sembrava sbagliata perché innescata da Jon.
Era quasi come una forza che le premeva dentro, una sinistra presenza che stava prendendo il sopravvento sui  suoi pensieri e sui suoi desideri. Le suggeriva cose, possibilità, idee, circostanze che non aveva mai soppesato prima e non le sembravano neppure possibili.
Oh, Jon…
Le palpebre gli si mossero sotto l’inconscio di un sogno. Sansa trattenette il respiro e ritirò la mano, spaventata dall’idea di averlo svegliato. Ma Jon rimase immobile, con le labbra leggermente schiuse, il respiro regolare e il corpo inerme.
Jon. Jon. Jon.
Che da bambino non aveva mai capito, che se ne stava in disparte con il muso lungo.
Jon, che sua madre scrutava come una costante minaccia di un remoto sussurro che l’aveva sempre tormentata.
Jon, dai sorrisi caldi che riservava solo ad Arya.
Jon, sempre timido e gentile, con lo sguardo puntato su suo padre, desideroso di imitarlo, ossessionato dall’idea di renderlo fiero.
Jon, che non aveva mai accettato.
Jon, che alle feste e ai grandi banchetti non poteva sedere con loro.
 Jon che aveva preso il nero perché non c’era nessun altro onore per un bastardo come lui.
 Jon, diventato tanto bello, affascinate, ritornato dalla morte sfavillante di vendetta.
Jon impavido. Jon. Suo.
Non doveva essere questo l’amore di una sorella per il proprio fratello. Non doveva farle provare le farfalle nello stomaco, girare la testa quando gli stava troppo vicino. Non  doveva spingerla a cercare le sue attenzioni, i suoi sguardi nei momenti in cui sembrava ossessionatamente distratto da una cosa che non fosse lei.
Non doveva farle desiderare di dormirgli accanto, alzarsi nel cuore della notte solo per osservarlo. Non doveva farle bramare le sue mani, di morire nei suoi bracci. Non doveva farle venire la voglia di assaggiare le sue labbra e sperare che anche lui volesse perdersi in tutto ciò che era.
Ma questo Sansa voleva, in un misto di disgusto e follia. Il suo corpo sembrava non risponderle.
Agiva, si muoveva, toccava e poi stringeva. E non poteva essere se stessa, eppure non si era mai sentita tanto presente.
Che prezzo avrebbe avuto un bacio?
Se lo chiese mentre si sporse e si fece più vicina. Accostò il suo viso a quello del ragazzo,  i capelli rossi che finirono con il sfiorargli il petto, cascate di fuoco accese dall’alba.
Così da vicino, Jon le appariva come un angelo perfetto, quasi una visione. Si perse a contare il numero delle sue ciglia, le pieghe delle labbra, gli zigomi alti e pronunciati, come quelli di un uomo maturo, virile.
Era come se tutto ciò che aveva letto, sperato e sognato, si fosse magicamente materializzato, di fronte ai suoi occhi, simile ad una peccaminosa tentazione che la pregava di lasciarsi andare.
E lo voleva. Lo voleva più di ogni altra cosa. Più di quanto un assestato avrebbe desiderato acqua limpida, più di quanto un affamato del cibo caldo, più di quanto un cieco la vista.
“Un bacio. Solo un bacio” Si disse “Non se ne accorgerà mai, sarà il mio segreto che solo a me concederò di tormentarmi. Un bacio. Uno solo. Un bacio dal mio prode cavaliere. Dal mio salvatore. Un bacio fatto di solo sogno.”
E lo baciò. Premette delicatamente le labbra su quelle di Jon e subito fu pervasa da un calore nuovo, inaspettato.
Sapeva essere incandescente sotto la pelle, nello stomaco, sulle guance diventate rosse, ma quasi gelido intorno alle punta delle dita, la faceva fremere fino a farle venire la pelle d’oca.
Era una sensazione piacevolmente devastante, e in un attimo non fu più Sansa né qualcosa di tangibilmente terreno.
Era nuvola e nebbia, era una piacevole brezza, era un soffio e la scia di una stella, era un respiro d’aria pura, il fruscio delle foglie scosse dal vento.
La bocca di Jon appariva calda morbida contro la sua. Piena, gentile, le piaceva sfiorarla e sentirne il sapore. Si fece più audace e schiuse di poco le labbra per percepirlo sino in fondo. E fu ancora più bello, fu ancora più inaspettatamente travolgente.
E così che si sentiva. Travolta eppure ancora viva.
Il ragazzo se ne stava inerme, annebbiamo dai sogni, eppure Sansa riusciva a sentirlo tutto e seppe, senza alcun ombra di dubbio, di aver vissuto per quel momento, come se ogni sofferenza, sopruso o angoscia, avesse avuto improvvisamente un senso.
Voleva restare così per sempre, prolungare la notte ancore per ore, per giorni interi, settimane addirittura. Quello era il suo posto, e se prima aveva temuto che in sensi di colpa avrebbero potuto tormentarla, ora non c’erano più paura né rimorsi nei suoi pensieri mai stati così sereni.
Persa nella maestosità sfavillane dei suoi sogni, si accorse appena del leggero movimento che Jon fece sotto di lei.
La bocca del ragazzo le tremò contro, e Sansa si ritrasse in fretta,  assediata da un paralizzante senso di panico.
Aprì le palpebre e per un attimo giurò di aver sentito il cuore fermarsi prima di riprendere a battere ad un ritmo forsennato.
Jon stava sveglio, il peso del corpo appoggiato sui gomiti e l’espressione confusamente sconcertata, sbigottita.
La sua bocca era schiusa, le pupille, di un nero intenso, avevano inghiottito tutta la preziosità delle iridi lucenti, ed era ombra nel suo sguardo, un pozzo nero in cui Sansa ci si vide affogare.
Si portò una mano al petto e prese a tremare. Voleva fuggire ma le gambe sembravano essersi inchiodate al materasso, il suo corpo un involucro vuoto e fragile che  non rispondeva ai suoi comandi.
Era paralizzata dall’orrore e dalla consapevolezza che non ci sarebbero state bugie o storie abbastanza credibili da giustificare un comportamento tanto sconveniente. Jon continuava a fissarla, e la sua espressione sembrava mutare, dalla confusione più totale, alla certezza di un sospetto sconcertante.
─Sansa…
Mormorò soltanto, come se potesse spiegare o chiedere tutto ciò che aveva bisogno di sapere.
Le lacrime cominciarono a scorrerle dal viso prima ancora che se ne rendesse conto, e in un secondo stava singhiozzando, sentendo il respiro spezzarsi in gola.
Strinse le mani in due pugni, sperò che i capelli potessero nascondere quanto più possibile il suo viso trafelato, macchiato di vergogna.
Era un orrore.
Si sentiva come piagata, schiacciata, voleva solo poter dire a Jon che si era trattato di un equivoco, che non ne sapeva nulla, che non poteva essere come pensava.
Ma sapeva che non era stata abbastanza svelta da spostarsi prima che lui riprendesse conoscenza, e l’aveva sentito muoversi sulla sua bocca, per un attimo addirittura aveva creduto che stesse ricambiando.
─Mi dispiace ─ riuscì a dire tra un singhiozzo e l’altro ─Mi sento così in colpa. Non so perché l’ho fatto. Io volevo solo… volevo solo…
Avvenne tutto velocemente e troppo in fretta per dare a Sansa il tempo di capire.
Lo vide mettersi frettolosamente seduto sul letto, allungare le mani e afferrarle il viso. Successivamente tutto quello che riuscì a ricordare erano le labbra del ragazzo incollate alle sue, la passione con cui cercava di coinvolgerla in una risposta, il suo sapore agrodolce, di sangue, birra e miele puro, che la riempì tutta sino a stordirla.
Jon si premette più forte contro di lei e la spinse a schiudere la bocca, pretendendo quasi subito un contatto più profondo. La sua lingua si insinuò vorace dentro di lei e Sansa gemette, affondando una mano nei capelli del ragazzo che non le concedeva tregua.
I baci di Jon erano grezzi, ardenti, avidi, ma incredibilmente perfetti, fuoco liquido dentro le sue vene. Aveva sempre voluto sapere cosa significasse avere atteggiamenti intimi con un uomo a cui volevi bene, con un uomo che desideravi e che sentivi scorrerti dentro. Ora lo sapeva.
Era come essere travolti da una pioggia di stelle che invece di bagnarti ti accedeva, e tu brillavi quasi quanto la più lucente delle candele. Era come non esistere, e allo stesso momento esserci. Era la gioia di non negargli nulla e di sapere che per lui eri perfetta. Aspettava solo che ti rivelassi, avrebbe sempre trovato in te qualcosa di speciale.
E Sansa non gli negò nulla. Cercò di venirgli incontro quanto più l’esperienza potesse suggerirle. Mosse la testa seguendo i suoi movimenti e roteò la lingua cercando sempre di raggiungere quella di Jon.
─Non dovremmo farlo ─Borbottò il ragazzo staccandosi per riprendere fiato, aveva le guance rosse e il respiro corto ─Non dovremmo. È sbagliato.
Fu tentata di dirgli che aveva ragione. Era la strada più semplice e quella che avrebbero potuto percorrere entrambi, vicini, senza lasciarsi troppe macerie alle spalle. Era la giusta soluzione.
Ma poi ripesò al modo in cui l’aveva stretta, alla tenerezza della sua irruenta passione, a quelle mani che le avevano racchiuso il viso, alla foga con cui si era gettato su di lei, facendola sentire la donna che aveva sempre voluto essere.
Non era abbastanza.
Prese una mano di Jon e se la portò al petto, al centro del cuore. Aveva il battito accelerato, e dal modo in cui lo vide chiudere le palpebre e poi riaprile, seppe che anche lui era riuscito a sentirlo.
─Lo senti, Jon? ─ Gli chiese, appoggiando la fronte a quella del ragazzo ─Non c’è nulla di sbagliato in tutto questo.
─Lo capisci che io ti voglio adesso? ─Anche Jon sembrava sull’orlo delle lacrime, i denti stretti, la mascella tesa ─Lo capisci che ti voglio nel modo in cui un fratello non dovrebbe mai volerti? Non mi fermerò, Sansa. Non stasera. Se non te ne vai ora, mi prenderò tutto di te.
─Sono tua.
Sentì il suo fiato che le solleticò il viso, l’ombra nei suoi occhi si era dilatata diventando meno densa.
E poi la pressione della bocca di Jon sulla sua, dita grandi e imponenti che la toccavano. Stava galleggiando.
Stranamente non aveva paura, non si sentiva minacciata, o brutalmente oltraggiata. Jon aveva preso a stringerla la veste con insistenza, spostò l’attenzione dei sui baci sulla gola e Sansa chiuse le palpebre abbandonandosi ad una sensazione tutta nuova.
Concedersi a qualcuno, a qualcuno che ami,   poteva essere un’esperienza sorprendente, e senza che se ne rendesse conto, le sfuggì un gemito di piacere, la lingua di Jon balsamo sulla pelle.
Si aggrappò alle sue spalle inarcandosi contro di lui, nel disperato tentativo di scomparire nel suo corpo, diventare parte di tutto ciò che era, implorando di nasconderla nelle sue braccia e tenerla per sempre al sicuro.
Era caldo Jon, imponente la copriva tutta stringendola con un vigore sempre crescente.
La fece stendere sotto di lui, e a quel punto nell’universo di Sansa non ci fu altro che Jon.
I suoi occhi che la fissavano chiedendole un muto consenso prima di tentare qualsiasi atteggiamento più intimo. Il suo petto duro, dai muscoli ben definiti, le spalle ampie, sulle quasi si aggrappò pregandolo di non fermarsi. La sua bocca rossa e piena, che non le concedeva tregua.
Le canzoni si sbagliavano. C’era ben altro dietro timide attenzioni, baci discreti di cavalieri con tante promesse, carezze dolci e sorrisi riconoscenti.
Amare era fuoco, concedersi era un incendio, di quelli buoni. Che ti bruciano senza ridurti in cenere, che ti fanno sentire inarrestabile senza farti cadere nella follia, che ti accendono e ti garantiscono che non ti spegnerai mai. Che ti assicurano le ali e un cielo sempre limpido in cui spiegarle.
Forse pianse quella sera, mentre nuda provava sensazioni che non aveva neppure immaginato potessero essere tanto gratificanti. Aveva chiuso il mondo fuori e rinnegato il sangue.
Per una sera, si disse, mentre sentiva che non c’era più nessun confine tra di loro, lui poteva essere semplicemente Jon, la gioia che le era stata promessa, quel sorriso negato. L’amore che aveva sempre speraro.
Lo percepì muoversi contro di lei, farsi spazio imponendosi di stare fermo. Era duro e teso, con le braccia si puntellava sul materasso riprendendo a baciarla sulla bocca, che aveva trascurato per deliziare tutto il resto del suo corpo.
Fu solo a quel punto che Sansa si concesse di lasciarsi trascinare da una briciola di indisponente panico. Le esperienze passate le avevano lasciato segni profondi dentro di lei, incubi che facevano fatica del tutto a scomparire. Il suo corpo aveva patito il dolore e la sua carne si era aperta con forza provocandole solo immani sofferenze, orrende umiliazioni.
E anche lui dovette accorgersene, perché irrigidì i muscoli e rimase immobile, lo sguardo smanioso ma sempre gentile.
─Posso fermarmi. Posso farlo se vuoi. Devi dirmelo adesso.
Ma Sansa allungò il collo sporgendosi verso di lui. Aveva avuto paura, c’era ancora un briciolo di paura dentro di lei. Ma il desiderio era più forte, l’incoscienza era più forte.
─Voglio sentirti dentro di me. Voglio…
E la realtà scoppiò in milioni di scintille e ricrebbe in un bagliore tutto nuovo. Sotto le palpebre riconobbe la sfumatura di milioni di stelle e per la prima volta seppe piangere di gioia.
Ora conosceva l’amore del mondo.
 
 
 
 
Aveva ancora il fiato corto e i pensieri annebbiati dai sogni. Se ne stava con la testa appoggiata al petto di Jon, che era diventato stranamente silenzioso dopo l’ennesimo bacio che gli aveva concesso. Lo guardò dal basso, con la testa rivolta verso il soffitto, il suo braccio che la stringeva per le spalle promettendole di non lasciarla mai più andare.
─Grazie.
Gli disse sussurrando, sicura che lui era riuscito a sentirlo.
Jon si voltò verso di lei, l’espressione confusa ma curiosa ─Di cosa?
─Di avermi fatto provare cose che neppure sapevo potessero esistere. Grazie per essere stato tutto quello che mi ero aspettata. Grazie per amarmi, e per essere stato la mia prima volta d’amore.
Forse se lo immaginò soltanto, ma fu sicura di vedergli spuntare l’ombra di un sorriso sulle sue labbra piene. Le diete un bacio sulla fronte, poi se la premette più forte contro di se.
Ritornò a fissare il soffitto ma Sansa si addormentò poco dopo, sconfitta dalla stanchezza e travolta dall’intensità di una miriadi di sensazioni impetuosamente straordinarie.
Fu la prima notte, dopo tanto tempo, in cui nessun incubo le strappò via i sogni.

 
 

                                                                                                                                   FINE

 
 
 
 Salve a tutti!
Eccomi qui, a scrivere ancora su Jon e Sansa, un pairing che sto sempre più amando di cui è un piacere raccontare. Una shot che non ha pretese, un piccolo momento di follie tra questi due ragazzi che si trovano a far i conti con un sentimento che non riescono a contrastare. Spero vi sia piaciuta e mi sarei felice di conoscere le vostre impressioni. Per cui, se ne avete voglia, lasciatemi pure una recensione.
Ho ancora molte idee su questi ragazzi. Mi piacerebbe scrivere una long (molti mi avete chiesto il continuo di certe cose oscure e ci sto pensando) ma in ogni caso di sicuro svilupperò altre shot e altre idee.
 
Grazie per aver letto questa storia! Per ora passo e chiudo e vi mando un grosso bacio! 
   
 
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