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Autore: LadyTargaryen    03/06/2016    1 recensioni
Melisandre è fuoco. Fuoco distruttore ma anche purificatore. Ed è veleno: un veleno assassino ma troppo dolce per sottrarsi al suo bacio. E Stannis lo sa. Melisandre è la sua forza, la sua più grande forza. Ma è anche la più grande delle sue debolezze. E, forse, la sua rovina.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Melisandre di Asshai, Stannis Baratheon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'amore è un veleno da bere piano

 

 

 

 

 

A volte Stannis si domanda cosa si provi ad affogare.

 

Smettere di lottare, di opporsi alla corrente. Lasciare che l'acqua penetri nei polmoni e il mare lo trascini sul fondo tra i suoi flutti di morte. Chiudere gli occhi e sorridere alla fine come ad una vecchia amica finalmente ritrovata, consapevole di aver sempre a proprio malgrado desiderato il suo abbraccio.

 

Non lo ha mai spaventato, l'idea di morire. Per quanto parli di doveri cui attendere e di obblighi da assolvere ha da lasciare ben poco sulla terra, in quella vita, perché debba temere la morte. No, morire non significa nulla per lui.

 

E' vivere che gli ha sempre fatto paura.

 

Vivere sentendosi eternamente fuori luogo, sapendo di non essere all'altezza, non importa quanti sforzi faccia. Sapendo che può provare e riprovare, sudare e sputare sangue, ma non sarà mai abbastanza. La rabbia e la frustrazione, con gli anni, non si sono placate; hanno solo lasciato che la rassegnazione prendesse il loro posto. E' e sempre sarà il secondo. Dunque, perché tentare di essere qualcosa di diverso?

 

Poi, un giorno, è comparsa lei. Melisandre.

 

Fulgida come l'aurora, abbacinante come la luce del sole.

 

Bella e terribile come il fuoco.

 

E' giunta da una terra misteriosa e cupa, dove spiriti e demoni camminano tra gli uomini, danzando tra le ombre, confondendosi tra esse in un oscuro richiamo. E' giunta come un fulmine a ciel sereno portando con sé un nuovo dio, un nuovo culto, e milioni, milioni di promesse.

 

Promesse di gloria, promesse di vittoria, promesse di grandezza.

 

Stannis non ha più dei da quando la nave con a bordo i suoi genitori si inabissò nel Golfo dei Naufragi, sotto gli occhi suoi e di suo fratello Robert. Il suo cielo è vuoto da quando ha realizzato che l'orecchio cui aveva sino a quel momento innalzato preghiere era sordo, così come cieco era l'occhio cui si era rivolto domandando una giustizia che non era mai venuta.

 

Stannis ha sempre rifuggito le tentazioni. Per quanto freddo e privo di qualunque passione ed amore sia sempre stato il suo matrimonio non ha mai cercato calore altrove. Vivere senza di esso non era stata una scelta ma l'aveva comunque abbracciata, così come sin da ragazzino si era rassegnato all'idea di essere destinato ad essere sempre il secondo.

 

Stannis non ha fede in nulla. Non negli dei, che non gli hanno mai accordato la benché minima grazia, non negli uomini, che sono gretti e meschini e non sanno perseguire che i propri interessi e nient'altro. Non in se stesso, perché per quanto provi e riprovi è e sarà sempre una pagina qualsiasi sul libro di qualcun altro e mai la mano che scrive.

 

Eppure si è ritrovato ad ascoltarla, a bersi quelle parole e quelle promesse come vino dorato.

 

A spiarla con la coda dell’occhio durante le sedute del Consiglio di Guerra, o mentre intona preghiere con la sua voce setosa dalla musicale cadenza di Essos, quando la sera si riuniscono tutti sulla spiaggia ad innalzare inni e fuochi al Dio Rosso.

 

E, contro ogni razionalità e logica, a desiderarla.

 

Lei.

 

Lei che gli ripete che il Signore della Luce è in lui. Che è Azor Ahai, l'eroe prescelto che salverà l'umanità intera dalla notte eterna. Vede qualcosa in lui, quando è lui per primo a dubitare. Ma non è in quel suo dio, R'hllor, che crede. Non è la sua inviata e sacerdotessa che vede, guardandola. Ciò che vede, ciò che ha cominciato a tormentare i suoi sogni, che lo ha precipitato nell'abisso di un pensiero fisso, è lei e soltanto lei.

 

Lei, con le sue labbra, due rubini di sangue, che sussurrano, mormorano, promettono delizie a non finire. Coi suoi capelli color del rame fuso che danzano come animati da vita propria, col suo corpo sinuoso da dea che lo chiama domandando avida le sue ruvide carezze che è sempre così maledettamente goffo nel darle. Perché lei è il fuoco che ha svegliato il sonno di un vulcano. Perché lei è una dea, la sua dea. Di lui, proprio lui che ha abiurato qualunque fede più di vent'anni prima.

 

Sa che non dovrebbe. Che tutto ciò è un errore e un peccato.

 

Eppure lascia che l'onda lo rapisca e conduca sino a lei.

 

E' una benedizione intensa, ma di pochi, meravigliosi istanti. E con sé porta sempre rimorso e senso di colpa.

 

Come può cedere alla tentazione, stringerla tra le braccia la notte, addormentarsi con lei in quei rari momenti di pace che solo la sua presenza sa donargli, e guardare in viso sua moglie al mattino? Non ha amore, per Selyse, non ne ha mai avuto, ma quello che li lega è un sacro voto. Si è sempre ritenuto un uomo, se non virtuoso, quantomeno retto. Un uomo capace di dare la propria parola e mantenerla. Di prestare giuramento ed onorare quanto ha giurato. Un uomo migliore di suo fratello Robert e di tutti quelli che lo circondano, capaci solo di indulgere nei piaceri della carne ed abbandonarsi agli istinti più bassi e più vili, sollazzandovisi come animali.

 

Si sbagliava.

 

Che razza di re, di uomo, è uno che non presta fede alle promesse fatte?

 

Melisandre...Melisandre è la forza che lo sorregge, le fondamenta su cui si erge, ma è anche il sisma che potrebbe abbatterlo, il punto debole nella sua armatura. E la odia e maledice per questo, lo farà finché avrà vita e fiato. Ma ancora di più odia e maledice se stesso. Si odia per non aver saputo resistere la prima volta e tutte quelle che sono seguite. Si odia perché commette un peccato ma non è neppure capace di andare sino in fondo, di godersi appieno quel terribile, magnifico sbaglio che compiono. Fallire persino nel peccare, che amara ironia!

 

Si odia perché dovrebbe, vorrebbe, ma non può, non sa rinunciarle. E come potrebbe?

 

Mentirebbe, se dicesse di esserne indifferente. Che il suo fascino, le sue parole, non hanno effetto su di lui. Che in qualche modo, pur in mezzo alle malelingue e ai pettegolezzi di giorno in giorno più taglienti, non provi orgoglio nel sapere che è sua, che appartiene a lui. Almeno quanto lui appartiene a lei.

 

Melisandre parla, e le sue parole sono liquide perle di nettare al veleno che goccia a goccia gli scivolano in gola, lentamente. Lo accarezza, e si sente ardere come un tizzone. La sua voce è la malia di una sirena, il dolce sciabordare del mare che invita ad abbandonarsi ad esso. Il suo corpo scotta come fuoco incarnato ma con lo stupendo splendore del marmo e dell'alabastro che i suoi palmi callosi e sgraziati modellano come argilla. E' una magnifica tortura cui non sa sottrarsi. Perché è niente, dinanzi a lei, è cera fusa tra le sue mani. Lui è nulla e lei è tutto.

 

La odia.

 

Si odia.

 

E si vergogna.

 

Si vergogna perché brama ed invoca quella tossina che lo avvelena ed assieme lo disseta, quel fuoco che lo consuma e allo stesso tempo lo rafforza.

 

Perché lei è fuoco. Fuoco che brucia, fuoco che distrugge, ma anche fuoco che guarisce e che purifica. E lo spaventa, almeno quanto lo spaventa quel suo dio rosso e famelico. Ma come tutte le cose che lo atterriscono alla paura si accompagna l’attrazione.

 

Come per il mare, che è oscuro, profondo, una sterminata vastità d’acqua che cela chissà quali segreti sotto la sua superficie così placida all’apparenza. E lei è così, è come il mare: può salvarlo o può annegarlo, è come una fragile barchetta in balia delle onde.

 

Guardarla è vestirsi di spine, ma stringerla a sé, accarezzarla, è un tuffo in acque fresche e cristalline da cui riemergere pulito e rinnovato. I suoi baci hanno il sapore del miele, ma portano sempre con loro un retrogusto d'amaro. Un suo sorriso è un assaggio di paradiso, ma con l'inferno dietro l'angolo.

 

Lei è malattia e cura, veneficio ed antidoto.

 

Tenere carezze date con mani dagli artigli d'acciaio. Stille di rugiada come gocce velenose dalle fauci di un serpente.

 

E' pioggia benefica che cade a detergere zolle di terra secca e riarsa.

 

E' un fiore primaverile di straordinaria bellezza spuntato in una landa desolata dove regna un inverno perenne, piana desertificata in cui neppure i rovi avevano mai saputo mettere radici.

 

Ma quel magnifico fiore brucia, e i suoi petali sono lingue di fiamma che lambiscono ed avviluppano quel cuore gelido in cui ha attecchito.

 

Ed è la sua bocca scarlatta a soffiare, spietata, sul fuoco.

 

Sa che è probabile che prima o poi quel dolce veleno che sugge avido dalle sue labbra finirà per ucciderlo. Che quel mare in cui si è lasciato trascinare lo farà infine affogare. Lei è la sua forza, ma è anche la sua rovina.

 

Si stringe a lei, nel sonno, le mani attorno alla sua vita, la schiena di lei contro il suo petto, e affonda il viso tra le morbide e profumate onde sanguigne dei suoi capelli. Hanno l’odore del mare e del legno bruciato più una qualche altra strana essenza esotica troppo raffinata per i suoi sensi che non riesce a riconoscere. C’è tanto, così tanto, di lei, che ancora gli è ignoto. “Chi sei davvero, Melisandre?” vorrebbe chiederle. “Perché sei venuta da me? Perché ora? Perché io?” Infiniti interrogativi che forse non avrà mai il coraggio di porle.

 

A volte Stannis si domanda cosa si provi ad affogare.

 

Smettere di lottare, di opporsi alla corrente. Lasciare che l'acqua penetri nei polmoni e il mare lo trascini sul fondo tra i suoi flutti di morte. Chiudere gli occhi e sorridere alla fine come ad una vecchia amica finalmente ritrovata, consapevole di aver sempre a proprio malgrado desiderato il suo abbraccio.

 

Non ha ancora trovato una risposta.

 

Ma se la morte verrà, è certo che avrà i suoi occhi.

 

E se il mare è lei, accetterà di buon grado di farvi naufragio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E quel mio cuore d'inverno

è un fiore di primavera,

e brucia dentro l'inferno

come se fosse di cera.

 

Sei tu che soffi sul fuoco,

tu, bella bocca straniera.

 

Ti spio, ti voglio, t'invoco,

io sono niente e tu vera!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autore: Buondì bella gente! Come vedete dopo luuuuuuungo silenzio torno da voi con una nuova OS. Tema: Stannis our Mannis e Melisandre. Aldilà delle porcate inenarrabili della serie tv (sì, Dumb&Dumber, guardo voi) sono e rimarranno sempre una tra le ship più amate del mio povero cuore di shipper malata di shipping. *Lobster Flambe, se ci siete: fate un po’ di casino!!!*

 

Cos'altro dirvi, se non che è stato un parto, sta storia? Già, può non sembrare ma è frutto di un gran mix di ispirazioni, prime fra tutte "Mi distruggerai", dal musical di Notre Dame de Paris (OST della ff, consigliata), e "Poison", di Axos (e volendo ance "Black Mamba", sempre sua). Si aggiungono poi Salmo con "Faraway", Cesare Pavese con "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi", qualcosa di (vagamente) leopardiano in chiusura e, tanto per gradire, per titolo il verso di una poesia/canzone/filastrocca di Stefano Benni dritto dritto da "La compagnia dei Celestini".

 

La nota d'attacco è stata data dall'associazione "amore/veleno" (ma anche "amore/distruzione") contenuta in "Mi distruggerai", il cui testo, lo noterete, torna spesso tra le righe. Accanto a questi mi ispirava anche l'accostamento tra Melisandre e il mare, oltre che il fuoco. Mare e fuoco come salvezza ma anche come rovina.

 

Che dirvi di più? A voi. E spero che vi piaccia!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

#Raky

 

 

  
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