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Autore: Minako_86    04/06/2016    5 recensioni
Ambientata pre-durante CACW.
Bucky non sa perché sta rientrando nel suo piccolo, anonimo appartamento con un sacchetto di prugne stretto tra le mani, davvero, non ne ha la più pallida idea. Però sa che gli piacciono, le prugne. Hanno un buon profumo, un sapore gradevole e gli ricordano un’immagine sgualcita di sole e cielo azzurro.
Dopo tanto freddo, un po’ di sole è tutto quello che gli serve.
{ Stucky }
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Pairing: Steve / Bucky
Avvertimenti: ambientata pre-durante CW e a tutti gli effetti ho quasi riportato una scena del film per cui SPOILER! anche se, oddei, si sta solo parlando di prugne.
Note: - ciao, sono ancora io. Quella che non scriveva una mazza di gnente da mesi (do you remember?) e che adesso posta due volte in una settimana. Sort of. Che posso dire, credevo di essere in blocco e poi CACW happened. Bucky Barnes happened. La scena del mercato happened ed era davvero troppo semplice e poco doloroso limitarmi al “WTF, sei un pluriomicida super ricercato da circa chiunque nel mondo e VAI IN GIRO A COMPRARE LA FRUTTA?”, per cui ho dovuto mettermi a fare ricerche nell’internet ad ore improbe sull’istruzione superiore a Brooklyn negli anni 30-40 crearmi un headcanon sul perché proprio le prugne e donarlo al mondo.
- allora, figlioli, parliamoci chiaro. Nella mia testa questa è nata, cresciuta e germogliata come una Stucky con tutti i crismi e le implicazioni romantiche del caso. Ciò detto, date le circostanze, è tutto parecchio fluffangst e molto poco esplicito, ergo se a voi aggrada vederla come una semplice bromance, I’m fine with that, ma /ve ne prego/ se volete perorare la causa della ‘classica amicizia tra maschi’ con me, fatevi un favore e tacete perché tanto è tutto fiato sprecato.
- sì, l’altra volta ho scritto WinterWidow e sì di nuovo, stavolta scrivo Stucky. Hello, multishipping, my old friend.
- titolo @ l’omonima, famosa canzone (di cui ricordo anche una versione italiana piuttosto agghiacciante).
 
 
 
 
 
 
La loro non era una scuola da ragazzi per bene. Quelle stavano al di là del fiume, sull’isola.
Abraham Sanders viveva con la madre a meno di un isolato dal ponte e nonostante fosse poco meno pezzente di loro  - e comunque sempre sulla riva sbagliata dell’East River -, si atteggiava come quelli di Manhattan, sentendosi in dovere di guardare tutti dall’alto in basso soltanto perché portava abiti su misura e la sua retta era parzialmente coperta da una borsa di studio per meriti atletici. Il minimo per uno che faceva del saper menare le mani il suo unico vanto.
- Avete sentito? –
I suoi one-man-show nel cortile sul retro registravano sempre il tutto esaurito. Risate sguaiate, insulti e qualcuno sputava anche per terra, tanto per divertirsi. Il solito capannello di ragazzi in piedi attorno ad un ring improvvisato, con tanta polvere negli occhi e il disgraziato di turno che le prendeva di santa ragione. A Bucky toccava sempre il compito più ingrato: sfilare le mani infreddolite dalle tasche del vecchio cappotto, far valere la sua stazza – non particolarmente robusto, ma una spanna più alto di tanti altri lì in mezzo – e picchiare qualche pugno qui o là per interrompere quello spettacolo vergognoso.
- Prugnasecca Rogers vuol fare il soldatino. –
- Merda…! –
Lo stesso Rogers che all’epoca era un quindicenne asmatico di quaranta chili per meno di un metro e settanta, con le ossa fragili e la fastidiosa abitudine di far incazzare quelli – e non erano pochi - più grossi di lui. Disgraziatamente per Bucky, il suo migliore amico. Il suo Stevie. Per questo quella volta, come tante altre, si era buttato dritto nel mezzo, a testa bassa ed aveva mandato col culo per terra Sanders e un paio dei suoi stupidi amici che battevano le mani incitandolo a picchiare più forte. Le aveva anche prese, tante, mentre si piegava sulle microscopiche spalle di Steve e lo spingeva lontano dalla mischia, al sicuro. Uno dell’ultimo anno gli aveva gonfiato lo zigomo e fatto saltare due bottoni della camicia, ma a James davvero non importava. A lui bastava vedere il broncio sul viso miracolosamente incolume del suo unico compagno di malefatte, mentre questo si lamentava – non c’era bisogno che tu intervenissi, Buck, li avevo in pugno! – lungo la strada di casa e gli stava decisamente bene così.
 
 
- Che razza di nomignolo sarebbe ‘prugna secca’? –
Sua madre gli aveva tirato una lavata di capo da primato storico e rifilato un altro scappellotto per buona misura, prima di mandarlo a preparare il solito letto di recupero per gli ospiti. E Bucky obbediva, alla sua maniera. Stendeva semplicemente il suo materasso logoro sul pavimento del salotto e insisteva perché fosse Steve a dormire sul divano, dove freddo e polvere avrebbero dato un po’ di tregua ai suoi polmoni indeboliti. Lui scuoteva la testa bionda – non è necessario, davvero – e provava ad opporre resistenza, invano, per quel minuto e mezzo che sarebbe servito a James per buttarcelo di peso. Così, tutte le volte. E poi stavano svegli fino a notte fonda, a dire stupidate e fare progetti.
- Non lo so. Forse non gli piacciono…? Le prugne? –
- Stronzate. –
A quel punto Steve si indignava e allungava il collo abbastanza per guardarlo in faccia e sibilare ‘linguaggio’ e James, sdraiato accanto a lui, rideva fino a farsi dolere lo stomaco. A suo modesto parere lo erano, stronzate, sul serio e le prugne comunque gli piacevano. Anche quelle secche. Gli ricordavano il sole della California – e il sole della California gli ricordava il sorriso di Steve, ma questo era un segreto -, anche se non l’aveva mai visto, se non disegnato su qualche chiassoso manifesto pubblicitario. E poi sua madre ci faceva il cobbler* più buono di tutto lo stato di New York, perdio. Insultare qualcuno con un soprannome del genere non aveva senso, era degno di quel coglione tronfio di Sanders. Gli avrebbe spaccato il naso, una volta o l’altra, per una questione di principio e per Stevie, più di tutto.
 
Da quel giorno in poi, Bucky aveva preso l’abitudine di infilare due pezzi di dolce alle prugne nel suo contenitore del pranzo. Lui e Steve lo mangiavano insieme, seduti sul tetto con le gambe a penzoloni, prendendosi una silenziosa rivincita su Abraham e gli altri mentecatti costretti a sorbirsi l’orrido stufato della mensa, diversi piani più sotto.
Il profumo di frutta e burro fuso impregnava le loro mani e i vestiti per ore, dopo.
 
 
 
 
***

 
 
 
La sua prima volta al mercato rionale è complicata.
Non tanto per la lingua, si sorprende a parlare rumeno come se non avesse fatto altro per tutta la vita. E’ più una questione di abituarsi alla gente, perché agli abitanti di Bucarest sembra davvero non fregare un accidente del Soldato d’Inverno, se non altro perché non hanno la minima percezione di lui o del suo potenziale distruttivo, e gli camminano addosso come se niente fosse. Qualcuno gli pesta i piedi. Assurdo. Si ritrova perfino a biascicare un timidissimo ‘scusi’ all’indirizzo d’una vecchina minuscola ma coriacea - impegnata a vomitargli contro una sfilza di oscenità onestamente irripetibili - quando arriva davanti al banco della frutta e rimane fermo a guardare la merce esposta con occhi smarriti. L’ultima volta che ne ha visto uno, crede di ricordarlo abbastanza bene, è stato letteralmente in un altro secolo. Di certo c’era meno scelta, meno soldi e le persone intorno a lui parlavano in modo diverso, ma sembravano comunque tempi più facili. Non c’era la guerra, allora. Solo stupide rappresaglie da ragazzini e lenzuola bucate su vecchi materassi.
 
Bucky non sa perché sta rientrando nel suo piccolo, anonimo appartamento con un sacchetto di prugne stretto tra le mani, davvero, non ne ha la più pallida idea. Però sa che gli piacciono, le prugne. Hanno un buon profumo, un sapore gradevole e gli ricordano un’immagine sgualcita di sole e cielo azzurro.
 
Dopo tanto freddo, un po’ di sole è tutto quello che gli serve.
 

 


 
*Stando al sapere dell’internet /sì, ho fatto ricerche anche su questo/ il cobbler è un tipico dolce americano che consiste sostanzialmente di uno strato di frolla steso sopra tante prugne tagliate a fettine. Non so se lo si cucinasse anche negli anni ’30 –’40, ma fingiamo che sì. Shhh.
  
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