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Autore: The Writer Of The Stars    05/06/2016    0 recensioni
Konoha è la casa di chi vive la vita senza certezze, di chi non sa come sia fatto un vero teatro, di chi vede i propri padri gettare l'anima nell'oblio del gioco e le madri sottrarre pane alle proprie bocche per sfamare quelle dei figli. Konoha ha una scuola e un seminterrato che nascondono melodie infantili, prodigi musicali degni di mostrarsi al mondo. Shikamaru e Ino fanno parte di loro, bambini che con un violoncello in mano vogliono distuggere le catene che li tengono ancorati a quell'asfalto consumato. Ma la salvezza non è per tutti, e dieci anni dopo, una disgrazia avrà il coraggio di mostrare che Konoha non è "la città che muore" ma "la città che vuole vivere disperatamente."
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"Doveva odiarla. Lei lo aveva lasciato partire senza dire nulla. Lei non si era presentata all’audizione, lasciandolo a vivere il loro sogno da solo, un sogno a metà che valeva la metà della pena d’essere vissuto."
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AU! |ShikaIno|
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Shikamaru Nara | Coppie: Shikamaru/Ino
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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This is our land
-Homecoming
-

I polpastrelli minuti correvano sulle corde con la rapidità di un giaguaro che azzanna la propria preda, l’orgoglio proprio della fiera riverberato anche nella potenza con cui l’archetto andava a graffiare lo strumento. Una piccola goccia di sudore scivolò giù per il viso ancora acerbo e puerile, schiantandosi contro il legno rovinato del vecchio violoncello, che per essere comprato aveva necessitato una dose indescrivibile di quello stesso sudore. Il piede infilato nella vecchia scarpa da ginnastica ingrigita batteva il tempo contro il pavimento con precisione e potenza, quasi come a voler distruggere tutto il mondo circostante. Il capo minuto, riconoscibile per quell’acconciatura così insolita per un bambino, si muoveva con rabbia, con un tic involontario, doloroso eppure ipnotizzante, capace di catalizzare su di sé tutta l’attenzione.
Osservare quel bambino suonare era una goduria; era bravo, accidenti se era bravo, Asuma lo sapeva, ma non si trattava solo del talento naturale che traboccava da ogni accordo, non era quello ciò che lo portava quasi alla commozione. Era il notare come quegli stessi gesti, quelle stesse particolari caratteristiche si riverberassero anche nella figura più minuta seduta al fianco del bambino, a spiazzarlo. Anche lei aveva talento, e ne era ben consapevole. Non sarebbe mai stato in grado di affermare chi tra i due fosse il migliore, probabilmente non esisteva una risposta. Shikamaru, sebbene rigettasse una passione non indifferente nel suonare, manteneva comunque una concentrazione e una lucidità disarmanti. Ino, invece, non poteva fare a meno di evidenziare la sua superbia anche con il violoncello troppo grande per lei stretto tra le braccia e, sebbene avesse solo otto anni, era innegabile quanto intrigante quel sorrisino e quello sguardo altezzoso risultassero ad occhi esterni. Eppure, dopo due anni passati con quei piccoli genietti, Asuma si era reso conto di come, nel momento in cui gli sguardi dei bambini si incrociassero, avveniva un cambiamento. Era certo di non essere il solo a percepirlo, perché quella sintonia era palpabile e le occhiate che Ino e Shikamaru perseveravano nello scambiarsi durante le loro esecuzioni non sarebbero sfuggite nemmeno a un cieco. Quando suonavano insieme v’era qualcosa di diverso in entrambi; sorridevano, eppure non era il sorrisino strafottente di lei, o quello sardonico di lui. Era semplicemente il sorriso di due bambini che avevano creato una propria dimensione per evadere da quella reale a cui si trovavano costretti.

Asuma si rendeva conto che non potevano andare avanti così. Quando lui, sua moglie Kurenai e il suo amico Kakashi erano tornati nel loro quartiere natio dopo l’ennesima tournee con l’orchestra sinfonica di cui facevano parte, avevano pianto. Non vedevano Konoha da dieci anni, o forse non avevano più voluta vederla, ma l’ambiente degradato che si erano ritrovati davanti non aveva fatto altro se non schiaffare loro in faccia la realtà: Konoha era un sobborgo di periferia, la delinquenza aveva raggiunto livelli insostenibili, così come la povertà e la crisi economica stavano divorando gli abitanti sino alle ossa. La cosa più triste era stato, di certo, vedere bambini e ragazzini correre per le strade come delinquenti in vere e proprie bande, sfruttati per loschi traffici e il più delle volte dall’epidermide emaciata e costellata di lividi.  Perciò avevano deciso che se loro ce l’avevano fatta anche quei bambini meritavano un futuro, ne avevano il diritto e loro avevano il dovere di concederglielo. Così il seminterrato della scuola elementare del quartiere aveva preso lentamente le sembianze di un’aula musicale e con un impegno estenuante erano riusciti a raccattare una discreta quantità di vecchi strumenti musicali di seconda mano, ma perlomeno ancora utilizzabili. Era stato difficile persuadere i bambini a frequentare le lezioni di musica che si erano offerti di impartire, e di certo Kakashi non avrebbe mai dimenticato l’occhio nero rimediato nel tentare di convincere un gruppo di ragazzi, che si divertivano a saccheggiare negozi nel vicinato, ad abbandonare il loro traffico illecito e a prendere in mano uno strumento musicale. Eppure, col tempo, i bambini che frequentavano la scuola, attirati dalle melodie provenienti dal seminterrato, avevano iniziato ad avvicinarsi all’aula e in qualche mese un discreto numero di partecipanti aveva imparato a leggere le note musicali dal pentagramma. Fu così che conobbe Ino e Shikamaru. Asuma si era offerto di impartire lezioni di violoncello a chi fosse interessato, e sebbene dubitasse che qualcuno desiderasse conoscere quello strumento, si era scoperto piacevolmente sorpreso nel trovarsi davanti una biondina esuberante e un annoiato ragazzino dalla buffa acconciatura, a cui poi si era aggiunto un bambino paffutello e sempre intento a sgranocchiare patatine e cibo spazzatura. Ino e Shikamaru non potevano essere più diversi; la bambina sprizzava allegria ed entusiasmo da ogni parte ed era assurda la voglia di vivere che quegli occhioni azzurri emanavano, seppur celata dalla superbia e un pizzico di arroganza. Shikamaru, invece, che pure era superbo, si mostrava perennemente sofferente ed irritato da ogni cosa, con una propensione all’annoiarsi e alla pigrizia non indifferente. Choji invece brillava per semplicità e simpatia, e per quanto avessero legato, si rendeva conto di non poter far parte del loro universo. Shikamaru e Ino avevano dimostrato sin da subito un talento indescrivibile per la musica, il violoncello era letteralmente il loro strumento e la velocità con cui compivano progressi era quasi spaventosa. Era il loro mondo a cui nessuno aveva accesso, la dimensione in cui si perdevano e non restavano due figure separate ma si fondevano insieme in una sola anima, metafora quasi inconcepibile, a considerare la loro età. Erano un portento, e un talento come il loro non poteva essere sprecato tra quelle mura decadenti, in quel quartiere ai limiti dell’invivibile. Per questo aveva pensato all’Accademia Internazionale di Musica. Erano piccoli, vero, ma avevano talento e non sarebbe stato impossibile per loro conquistare una borsa di studio. Ma il problema risiedeva proprio lì; Asuma si era informato, e con rammarico aveva scoperto che vi era una sola borsa di studio disponibile, ergo, Shikamaru e Ino avrebbero dovuto competere tra di loro per ottenerla. Ma poteva davvero portare quelle due anime inconsapevoli, eppure complementari, a scontrarsi?

“Maestro Asuma! Maestro!” la voce acuta e tendenzialmente allegra di Ino lo richiamò alla realtà, distogliendolo dalle sue elucubrazioni. Si era talmente perso tra i chiaroscuri della sua mente, da non essersi accorto della fine dell’esecuzione e di come ora i due bambini lo stessero osservando, in attesa di un responso. Asuma sorrise dinanzi allo sguardo perennemente scocciato di Shikamaru che eppure nascondeva un velo di ansia e irritazione, per poi posare i propri occhi sulla figura agitata di Ino.

“Siete stati grandiosi.” Esclamò solamente, stirando le labbra – dove un’immancabile sigaretta posava- in un sorriso soddisfatto. Ino saltò su dalla sedia, portando il proprio strumento con sé e cinguettando allegra, mentre Shikamaru si limitò ad un sorrisino strafottente e un’alzata di spalle con fare superiore.

“Hai sentito, Shika? Se suoniamo così anche all’audizione, potremmo farcela!” esultò, fissando l’amico con occhi luccicanti di gioia e speranza. Shikamaru annuì, e al vederli, una fitta al cuore costrinse Asuma ad alzarsi e ad uscire dalla stanza con la scusa del bagno. Entrambi i bambini non ci fecero caso, troppo ebbri di gioia e adrenalina per la loro opportunità di riscatto sempre più vicina. Ino abbandonò il proprio violoncello in terra, fiondandosi senza preavviso tra le braccia di uno Shikamaru impreparato e decisamente sconvolto.

“I-Ino! Che stai facendo?” bofonchiò, tentando di celare l’imbarazzo e le gote arrossate per quel gesto. In risposta la bambina si strinse ancora di più a lui, sorridendo sinceramente.

“E’ che sono felice di avere te, Shika.” E per tutta risposta, vincendo l’imbarazzo e la riluttanza iniziale, Shikamaru ricambiò l’abbraccio, stringendola a sé con la vaga consapevolezza che presto qualcosa sarebbe cambiato.

“Mendekouse…” bofonchiò, percependo però il cuore colmarsi di gioia all’udire la risata cristallina di Ino.
 

10 anni dopo
 
Shikamaru espirò una grossa boccata di fumo, allontanando la sigaretta ormai consumata dalle labbra sottili. Lo strombazzare del clacson di quello squallido autobus da cui era appena sceso lo riportò in un lampo alla realtà, mentre la sonora bestemmia di un passante gli perforò i timpani. Gettò il mozzicone della sigaretta in terra, perdendo tempo nello schiacciarla con la suola della scarpa e osservando la piccola fiammella spegnersi con lentezza angosciante. Afferrò la propria valigia con la mano destra, correndo a tastare con l’altra la custodia del violoncello sulla propria schiena per accertarsi quasi della sua presenza, come fosse possibile non notarla. Poi sospirò, osservando la via principale che conduceva a Konoha.

“Bentornato a casa, Shika.”
 
****
Konoha non era cambiata affatto. Si vergognava ad ammetterlo, ma appena messo piede nella via principale del quartiere, aveva percepito lo sguardo offuscarsi e gli erano quasi mancate le forze. L’asfalto restava lo stesso di dieci anni prima, consumato e sempre sul punto di cedere ma ancora senza il coraggio di farlo; il parchetto dove di solito i ragazzi andavano per bucarsi aveva ancora l’erba incolta che mal celava le siringhe inutilizzate e che aumentavano di giorno in giorno; il bar dove suo padre passava le serate tra shot di alcolici, gioco d’azzardo e debiti era ancora aperto e al vederlo pieno di gente, aveva percepito lacrime di rabbia salirgli agli occhi al pensiero che suo padre fosse ancora lì, attaccato alle slot machine come lo aveva lasciato dieci anni prima. Un gruppetto di ragazzini indubbiamente sbandati erano passati di lì correndo, chissà per scappare da quale ennesimo furto, e non sembrarono nemmeno fare caso a lui quando uno di questi andò a scontrarsi contro la custodia del violoncello, venendo sbalzato all’indietro e cadendo in terra.

“E levati dalle palle!” gli imprecò contro, rialzandosi e mandandolo a quel paese senza tante cerimonie. Shikamaru non rispose, forse per quell’attacco d’ansia che, non avrebbe mai ammesso, gli aveva appena abbrancato l’anima, obnubilandogli la mente. Non si rese conto del tempo passato così, immobile e con lo sguardo perso nel vuoto, e probabilmente se qualcuno non fosse giunto a salvarlo, sarebbe rimasto lì per l’eternità.

“No, non ci credo!” sobbalzò all’udire una voce alle sue spalle, e riacquistando un minimo di autocontrollo, si voltò leggermente.

“Shikamaru!” soffocò un gemito di sorpresa non appena si ritrovò il volto premuto contro lo sterno di Chioji, che gli era subito saltato addosso senza troppe cerimonie. Riuscì a scostarselo di dosso solo dopo pochi secondi, e per un po’ lo studiò in silenzio, mentre un vago sorriso gli prendeva le labbra.

“Choji.” Disse solamente, con uno sguardo che diceva esplicitamente “mi sei mancato”. Choji, sebbene all’apparenza sembrasse un sempliciotto, era sempre stato attento a queste cose e per ciò non poté fare a meno di recepire quel messaggio implicito.

“Mi sei mancato anche tu, amico.” Esclamò infatti, sorridendogli vagamente commosso. Per diversi secondi nessuno dei due fiatò e Shikamaru si chiese se non fosse lui quello sbagliato e fosse suo dovere parlare ora.

“E’ assurdo rivederci solo per una disgrazia.” Eppure, per la seconda volta fu Choji a salvarlo, o forse ad ucciderlo ancora di più ricordandogli che se era tornato a Konoha non si trattava di una visita di piacere. Shikamaru distolse lo sguardo, puntandolo all’insegna decadente del bar tanto odiato.

"Ha sofferto molto?” chiese con apparente freddezza.

“Due settimane e se n’è andato. Lo abbiamo scoperto troppo tardi, non c’è stato nulla da fare.” Nel tono di voce dell’amico, Shikamaru percepì con un brivido la consapevolezza effettiva di ciò che era accaduto e un senso di colpa inspiegabile gli divorò l’anima.

“Andiamo.” Riprese poi Choji, sforzando un sorriso triste.  “Ti stavamo aspettando.”
 
****
Anche la scuola elementare di Konoha non era mutata affatto; Shikamaru non faticò a riconoscere le mura scalfite e colme di crepe e in un istante si chiese se nell’aula al secondo piano, dove aveva imparato a leggere, ci fosse ancora quella frase scarabocchiata sul muro dietro il suo banco.

Ultima fila a destra, e chi se lo dimentica.
 
Si meravigliò nel notare come nel cortile il vecchio scivolo di plastica economica fosse ancora in piedi, perché ricordava bene che le maestre li avvisavano di stare lontani da lì, “non giocate su quello, potrebbe crollare”, e chissà come mai allora era rimasto ancora in piedi dopo dieci anni. Forse gli altri bambini erano più obbedienti, e loro erano stati gli unici ribelli. Il cancello d’ingresso continuava, contro ogni pronostico, a spaventarlo come quando era un bambino, e il metallo era sempre lo stesso, perché il cigolio conservava quella parvenza inquietante la quale gli ricordava i film horror di scarsa produzione che davano al cinema del quartiere, all’epoca vietati per loro, ma chi non si era mai infilato tra le vecchie poltrone decadenti e sbirciato con un occhio quei fotogrammi che parevano oro? Choji non la smetteva un secondo di parlare, e per quelle poche frasi che riuscivano ad abbattere il suo muro e interrompere il flusso di pensieri, gli era sembrato di tornare ai vecchi tempi, a quando anche se lì faceva tutto schifo loro perseveravano nell’osservare il cielo e sperare di guardare quelle stesse nuvole da un’altra parte del mondo.

“Il funerale si terrà domani mattina.” Quella frase aveva fatto saltare in aria il suo stupido muro come una granata e l’aveva riportato alla realtà a cui sfuggiva da dieci anni. Annuì solamente, chiudendo per qualche secondo gli occhi perennemente stanchi.

“Parlami di lui.” Gli chiese, e a Choji non vollero che pochi istanti per iniziare a raccontargli tutta la vita che si era perso in dieci anni. Gli raccontò di come, dopo la sua partenza per l’Accademia Internazionale di Musica, il maestro Asuma aveva continuato a portare avanti il progetto musicale nel seminterrato, insieme a Kurenai e Kakashi; si emozionò e sorrise nel raccontare di come loro, da piccoli allievi, erano passati ad essere maestri per i nuovi bambini che si avvicinavano alla musica e si adombrò nel mormorare di come poco tempo prima ad Asuma era stata diagnosticata una forma rara di cancro ormai in fase terminale. Troppo tardi, le ultime sigarette e gli ultimi sorrisi, e il giorno prima non aveva aperto gli occhi. Poi si era fermato, e lui era rimasto in silenzio per due minuti necessari ad assorbire tutte quelle informazioni così fondamentali di cui aveva fatto a meno sino ad allora. Choji non l’aveva nominata, ma Shikamaru sapeva che in quel loro, dove erano compresi tutti i suoi coetanei e amici di allora, c’era anche lei. Lei che, dopo dieci anni, ancora non sapeva se odiare o amare, lei che di certo era diventata bellissima, che era cresciuta come giusto che fosse, perché per quanto amasse la favola di Peter Pan sapeva che loro non vivevano in un libro per bambini. Per dieci lunghi anni non aveva smesso un solo momento di chiedersi che cosa diavolo fosse accaduto e l’ansia di sapere perché lei quella mattina non si era presentata all’audizione finiva sempre col sopraffare la paura per un esame imminente; la sua mancanza alla stazione, quando se n’era andato, lo tormentava ogni maledetta notte. E se lo chiedeva, certo che se lo chiedeva, se lei fosse fiera di lui, se quando a Konoha era giunta la notizia del suo diploma col massimo dei voti all’accademia, lei avesse sorriso arrogante, come sempre, e avesse esclamato con la sua solita superiorità che quello era il suo migliore amico, colui con cui aveva iniziato ad impugnare un violoncello. Sperava addirittura che si fosse commossa alla notizia del suo imminente concerto presso il teatro più prestigioso della nazione, e quando il giorno prima era venuto a sapere della scomparsa del suo maestro e si era precipitato a Konoha, a due settimane dall’evento, il suo subconscio gli aveva meschinamente fatto presente che almeno stavolta avrebbe potuto riferirle ogni cosa di persona e vederla emozionarsi come una bambina. Ma la morte del suo maestro gli stava schiacciando l’anima con una potenza inaudita, e lui doveva essere arrabbiato con lei, perché non l’aveva nemmeno salutato, l’aveva lasciato partire come se fosse un estraneo, e di certo non era pronto ad incontrarla proprio ora, con tutto quello che stava accadendo.
“Andiamo”. Choji però lo richiamò , e nonostante non fosse pronto, lo seguì comunque all’interno dell’edificio.

****

Anche l’aula musica, come aveva immaginato, era rimasta invariata nell’aspetto. Imboccando le scale che conducevano al piano inferiore gli era salito un nodo fastidioso alla gola, e Choji sembrava aver capito tutto, perché non aveva smesso di parlare per un minuto, per colmare quella sua mancanza. “C’è sempre un sacco di umidità qui sotto” aveva esclamato con un risolino esasperato, e Shikamaru si era trovato concorde, perché quella sensazione di intorpidimento alle ossa e brividi di freddo persino in piena estate non lo toccava da dieci anni. Per le scale poi si scontrarono con una ragazza dai buffi capelli rosa, che Shikamaru riconobbe subito; Sakura, l’eterna amica/nemica di Ino, quella di cui- la biondina non aveva mai ammesso- non avrebbe mai potuto fare a meno. Erano l’uno l’opposto dell’altra, Shikamaru se lo ricordava bene; Ino con i suoi capelli biondi e i begli occhi azzurri impugnava fieramente l’enorme violoncello dinanzi alle iridi smeraldine e spaurite di Sakura, che con il suo violino si sentiva minuscola al confronto, e litigavano spesso, ma erano quei litigi che non portano lacrime ma solo sorrisi nei volti di chi assiste.
Sakura lo squadrò per appena due secondi, sgranando poi gli occhioni, ancora più verdi di quanto si ricordava, e constatò pigramente che si era fatta proprio carina, era davvero bella, e chissà se quel ghiacciolo di Sasuke Uchiha si fosse finalmente accorto di lei. In dieci anni cambiano tante cose.

“Shikamaru!” esclamò lei, dandogli un fugace abbraccio, timida come quando era bambina. Si staccò subito, sorridendogli un po’ nervosa, chiedendogli le solite cose, come stava, che vita si faceva lassù nell’uptown, cose così a cui rispose annoiato come al solito, forse addirittura un po’ colpevole di parlare di certe cose a loro che non avevano mai visto un teatro nemmeno dall’esterno. Poi alle spalle di Sakura apparve la figura imponente di un ragazzo i cui occhi trasudavano stanchezza e mal celata esasperazione, e Shikamaru lo riconobbe subito; era più alto e sembrava aver messo su una certa muscolatura, ma era sempre il solito Sasuke Uchiha. Accolse quasi con gioia il vedere la mano di Sakura stringersi a quella del moro, che ricambiò senza troppe moine, e con un pizzico di stupore realizzò che alla fine quella ragazzina era riuscita a raggiungere il proprio obbiettivo e far abdicare il bell’ Uchiha. D’un tratto un acuto chiacchiericcio giunse a perforare le loro orecchie e Choji fu rapido a chiedere cosa stesse accadendo all’interno dell’aula di musica, davanti alla quale si erano fermati.

“I bambini stanno facendo lezione.” Rispose apatico Sasuke, indicando la porta alle sue spalle. Choji sgranò gli occhi, confuso.

“Lezione? Anche oggi? Ma non c’è nessuno di noi disponibile per le lezioni, avevamo detto di aver bisogno di qualche giorno per riprenderci …” obbiettò e Shikamaru si fece improvvisamente attento. Sakura sospirò con una punta d’esasperazione e tristezza, abbassando lo sguardo.

“Stamattina i bambini si sono comunque presentati a lezione, e Ino non se l’è sentita di farli tornare per strada.” Shikamaru percepì un brivido tremendo solcargli la colonna vertebrale in tutta la sua interezza e si trattenne dallo sgranare gli occhi più del dovuto.

“Quindi lì dentro c’è …” non riuscì a concludere di porre la sua domanda, perché Choji, impulsivo com’era, aveva già spalancato la porta dell’aula e lui non aveva potuto fare a meno di guardare al suo interno.
 
I bambini ridevano ed erano felici, sembrava che nulla potesse distruggerli e togliere loro l’innocenza, e in quei sorrisi e in quegli sguardi Shikamaru rivide il se stesso di dieci anni prima, forse un po’ più pigro e svogliato, ma con quella stessa luce nelle iridi misogine. Le mura segnate dall’umidità e dalle crepe avevano tutta l’aria di non aver mai visto un imbianchino e le vecchie sedie in legno cigolavano fastidiosamente ad ogni movimento dei piccoli musicisti.

“Hide, fai attenzione, devi velocizzare l’andatura altrimenti rischi di andare fuori tempo!”
Shikamaru aveva ragione; Ino era cambiata. La osservò mentre si rannicchiava davanti ad un bambino, sorridendogli con dolcezza per incoraggiarlo e afferrava l’archetto dalle sue mani per mostrargli il giusto movimento da compiere.

“Ecco, così, bravo!” Ino era diventata bellissima. Ne era sempre stato certo, ma constatarlo di persona gli fece male. Da quando i suoi capelli tanto dorati da far invidia al sole erano diventati così lunghi? Come avevano potuto le sue iridi pure inglobare in loro l’infinita vastità del cielo senza nuvole?
Doveva odiarla. Lei lo aveva lasciato partire senza dire nulla. Lei non si era presentata all’audizione, lasciandolo a vivere il loro sogno da solo, un sogno a metà che valeva la metà della pena d’essere vissuto. Ma Ino alzò lo sguardo verso l’ingresso, e sobbalzò al vederlo. Notò, senza fatica, come il suo labbro inferiore, così pieno e carnoso, avesse iniziato a tremare convulsamente e le iridi cerule si erano sgranate con sorpresa e un pizzico di terrore. Sussurrò con un filo di voce, eppure, nonostante la musica a fare da sottofondo, percepì le sue parole come un grido.

“Shikamaru.”

“Ino.”
 


Nota autrice:
A breve- se non in giornata- il secondo capitolo. Ho intenzione di renderla una mini long,tre capitoli al massimo.
Letizia
   
 
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