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Autore: Hi Fis    06/06/2016    0 recensioni
Breve racconto di fantascienza, maturato per dare una nuova interpretazione ad un vecchio trofeo caro agli appassionati di genere. Un po' mostro di Frankenstein, un po' Dune, con magari un accenno del Gioco di Ender.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è da leggersi ironicamente. Il perché alla fine.


L’esemplare è un organismo decisamente alieno ai quattro occhi di Turquud: nonostante il tempo passato a studiarli, e il suo ruolo personale nel completare il progetto voluto dal Supervisore, la loro forma rimarrà sempre… differente. Ciò che prova non è disgusto; come ogni membro dei Kadath, anche Turquud soggioga all’intelletto tutto il resto; ma in ogni caso, si tratta di qualcosa di diverso: forse… ammirazione. Anche nella vastità della galassia, non capita tutti i giorni di incontrare forme di vita così ben adattate a condizioni così sfavorevoli. Potenzialità, che le modifiche genetiche imposte in un ciclo standard da Turquud e la sua equipe hanno acuito, cambiando notevolmente il fenotipo di quella razza.
L’esemplare è stato posto in sicurezza dietro un campo protettivo, necessario per preservare l’osservatore dal campione: Turquud sa bene che anche se non lo sta guardando in quel momento, è ben cosciente della sua presenza. Questo perché il soggetto, portato nei suoi laboratori dal pianeta, è un esponente notevole della sua specie e non solo dal punto di vista fisico: pare che il resto della sua razza lo consideri una specie di capo.
“Perché strisci?” gli chiede quindi, osservandolo dall’alto.
L’esemplare risponde con una corta serie di clicchettii tremanti, in un codice di comunicazione che gli è stato impartito dall’intelligenza quantistica di Turquud. La genetica è il suo vero campo: insegnare per la prima volta ad una specie che si è appena affacciata all’autocoscienza come comunicare in modo adeguato alla propria intelligenza, è qualcosa che il Kadath non ha remore ad automatizzare.
Padrone Creatore. Onore-Paura-Bontà essere qui. 
Un po’ meno eloquente di quanto Turquud si sarebbe aspettato: d’altro canto però, non si può incolpare un’intelligenza quantistica di aver svolto senza ispirazione il compito affidatole. C’è un motivo se nessuna IQ è ancora in grado di raggiungere le vette della mente Kadath.
“Alzati.” ordina Turquud.
L’esemplare esegue ubbidiente, sorgendo dalla sua posizione prostrata a terra, e dando così allo scienziato la possibilità di osservarlo bene. Lo supera di tutta la testa e poi ancora un po': un effetto collaterale della combinazione di stazione eretta e ristrutturazione genetica. A Turquud importa poco quel particolare: come molti altri, anche quello è solo un dato, e per di più atteso. Ciò che gli interessa davvero è che l’esemplare sia sano, e che la sua mente si sia formata correttamente: valutazioni che nessuna IQ può compiere al posto suo. Per qualche istante tuttavia, Turquud si sofferma ancora sulle caratteristiche fenotipiche dell'esemplare: il prodotto diretto e più prevedibile del suo lavoro e forse ciò di cui è più soddisfatto.
Le scure ali membranose, che non sono mai state in grado di sostenere quella specie in volo, pendono pesanti dalla schiena dell’esemplare, avvolgendolo come un mantello bagnato: dense e resistenti abbastanza da proteggerlo da intemperie e accidenti, sia naturali che artificiali. In effetti, nemmeno il plasma è in grado di incenerirle e i test della sua IQ hanno dimostrato qualcosa che Turquud già sapeva. Sotto di esse, l’esoscheletro compatto dell’esemplare è di un verde chiaro, quasi traslucido, un effetto dovuto alla radioattività residua che l’esemplare trasuda. Anche nella vastità della galassia, non sono molte le specie in grado di sopportare quei livelli di radiazioni, ma nessun altra le metabolizza in quel modo: la peculiarità che ha fatto interessare il Supervisore in questa specie, e l’origine dell’incarico di Turquud.
Quattro braccia filiformi riposano incrociate sullo sterno e sul ventre, cariche di lunghe dita flaccide e pallide: un aspetto ingannevole, perché Turquud ha reso l’esemplare, e tutta la sua razza del resto, capace di piegare sbarre di titanio pesante diamantizzato senza sforzo. In effetti, il soggetto potrebbe farsi strada attraverso il pavimento della sua camera di osservazione e lo scafo della stazione scientifica senza difficoltà: forse sopravvivrebbe perfino al rientro atmosferico.
La minuscola testa si trova in cima ad un collo triangolare, con due occhi composti da crostaceo appesi proprio sulla cima, come strani frutti, anch’essi di colore verde pallido: sotto di essi, si trova la sua caratteristica meno aliena, conseguenza dell’aver integrato nella sua specie materiale genetico Kadath. Tentacoli pallidi gli coprono la bocca, che l’esemplare fa dondolare delicatamente, cercando di emulare i movimenti di quelli di Turquud. Tuttavia, sotto di essi il suo apparato boccale è ancora formato da mandibole opponibili verticalmente, piuttosto che da un singolo rostro a becco. Nonostante questo, i sensi dell’esemplare risultano ancora più acuti di quelli di Turquud: le quattro rigide antenne, ripiegate all’indietro sul carapace, devono di certo fornirgli molte informazioni supplementari sull’ambiente che lo circonda.
“Come ti senti?”
Forte- Spaventato - Onorato… Grato.” aggiunge la creatura.
“Grato?”
Padrone Creatore dato grandi doni...” Turquud si trattiene appena dal sospirare: una prevedibile compensazione psicologica.
L’ubbidienza che la creatura professa non è stata instillata dal Kadath: se lo scienziato avesse avuto bisogno di forzare qualcosa del genere per farsi obbedire, non sarebbe un degno membro della sua razza. Il Supervisore li vuole per la guerra, questo è vero, ma nessun Kadath ha bisogno di strumenti ottusi: ecco perché quella valutazione è così importante.
“Non sono il tuo padrone. Né il tuo creatore. Abbiamo trovato la tua razza in uno stato precedente all’autodeterminazione e per le vostre peculiarità biologiche, vi è stata garantito l’io. Non siamo stato noi a crearvi: abbiamo solo accelerato la vostra evoluzione.” accorciando in un ciclo standard ciò che normalmente ne richiede centinaia di migliaia: “…Né siamo responsabili delle condizioni del pianeta in cui vi siete evoluti.”
Noi sapere.
“Oh?”
Antiche storie: Padrone-Creatore certo sa. Con intelligenza donata, antichi miti… nuovi significati.
“Quali antichi miti?” forse le difficoltà di eloquio erano da imputarsi più all’apparato boccale, piuttosto che alla mente che componeva le parole: possibile, considerato che Turquud li aveva resi potenzialmente intelligenti quanto lui.
Pareva che avessero avuto il tempo di inventare una loro cosmogonia, in modo da meglio giustificare la loro esistenza… o quanto meno, rielaborare le peculiarità del loro pianeta natale per meglio adattarsi alla loro concezione di sé:
Antica razza, padrona di mondo. Tempo di grande abbondanza. Poi grandi fuochi: antica razza scomparsa. Lasciato noi indietro. Padroni Creatori trovato noi, molto più buoni. Creato in vuoto intelligenza. Grande dono: noi deciso di servire Padroni Creatori: mai più soli.
“Sì, sapevano dei vostri precursori:  non è rimasto molto di loro sul vostro mondo.” fragili creature, scomparse prima di lasciare una vera testimonianza di sé nella galassia: tuttavia, qualche cosa era sopravvissuta alla devastazione.
Donatori generosi di cibo. Ma Padroni Creatori molto migliori.
“Forse. Impossibile da determinare allo stato attuale dei dati di cui disponi. Tuttavia, hanno almeno avuto il merito di creare le condizioni che ci hanno portato qui: dai dati dei team archeologici, pare che avessero un nome anche per voi.”
Nome?
“Sì. Vorresti ascoltarlo?”
“…Padrone Creatore vorrebbe noi sapere?
“Ci è indifferente: potrete scegliere il nome che preferirete per chiamare voi stessi. Vi abbiamo evoluti per la grandezza, ma tanto vale usarne uno già noto.”
Allora sì prego.
“…Vi chiamavano Scarafaggi.”

Mi piace molto la fantascienza.
Nonostante questo, me ne piace meno di quanto si potrebbe pensare: in particolare, sono... stomacato da qualsiasi racconto di fantascienza che dipinge l'umanità come cattivi creatori, precursori negligenti, assenti, estinti... fondamentalmente la stragrande maggioranza dei racconti di fantascienza.  Ne ho veramente pieni i protoni.
La ragione è semplice: sono stanco di leggere racconti in cui ci dipingiamo come i cattivi di turno, gli abbietti... il fondo sporco dell'Universo. Intendiamoci, non siamo una razza gentile, e probabilmente nemmeno una razza leggiadra, però abbiamo continuato a martellarci con questa idea di noi stessi per troppo tempo: non potremo mai davvero cambiare se non ci convinciamo di poterlo fare, o quanto meno, fino a quando non inizieremo a sognare di poterlo fare. E se si ha tempo di lamentarsi di sé stessi, si ha tempo anche di rimboccarsi le maniche.
Quindi questo racconto breve ironizza proprio su questo, per fare in modo che la nostra eredità non siano solamente gli scarafaggi, e per scongiurare il pericolo che un giorno uomini piovra di un altro pianeta li evolvano per la guerra.
Spero vi sia piaciuto, nella sua brevità: a presto. :)

  
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