Breve racconto di fantascienza, maturato per dare una nuova interpretazione ad un vecchio trofeo caro agli appassionati di genere. Un po' mostro di Frankenstein, un po' Dune, con magari un accenno del Gioco di Ender.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Questa storia è da leggersi ironicamente. Il perché
alla fine.
L’esemplare
è un organismo decisamente alieno ai quattro occhi di Turquud:
nonostante il
tempo passato a studiarli, e il suo ruolo personale nel completare il
progetto
voluto dal Supervisore, la loro forma rimarrà sempre… differente. Ciò
che prova
non è disgusto; come ogni membro dei Kadath, anche Turquud soggioga
all’intelletto tutto il resto; ma in ogni caso, si tratta di qualcosa
di
diverso: forse… ammirazione. Anche nella vastità della galassia, non
capita
tutti i giorni di incontrare forme di vita così ben adattate a
condizioni così
sfavorevoli. Potenzialità, che le modifiche genetiche imposte in un
ciclo
standard da Turquud e la sua equipe hanno acuito, cambiando
notevolmente il
fenotipo di quella razza.
L’esemplare
è stato posto in sicurezza dietro un campo protettivo, necessario per
preservare l’osservatore dal campione: Turquud sa bene che anche se non
lo sta
guardando in quel momento, è ben cosciente della sua presenza. Questo
perché il
soggetto, portato nei suoi laboratori dal pianeta, è un esponente
notevole
della sua specie e non solo dal punto di vista fisico: pare che il
resto della
sua razza lo consideri una specie di capo.
“Perché
strisci?” gli chiede quindi, osservandolo dall’alto.
L’esemplare risponde
con una corta serie di clicchettii tremanti, in un codice di
comunicazione che gli
è stato impartito dall’intelligenza quantistica di Turquud. La genetica
è il
suo vero campo: insegnare per la prima volta ad una specie che si è
appena
affacciata all’autocoscienza come comunicare in modo adeguato alla
propria
intelligenza, è qualcosa che il Kadath non ha remore ad automatizzare.
“Padrone Creatore. Onore-Paura-Bontà essere
qui.”
Un po’ meno
eloquente di quanto Turquud si sarebbe aspettato: d’altro canto però,
non si
può incolpare un’intelligenza quantistica di aver svolto senza
ispirazione il
compito affidatole. C’è un motivo se nessuna IQ è ancora in grado di
raggiungere le vette della mente Kadath.
“Alzati.”
ordina Turquud.
L’esemplare
esegue ubbidiente, sorgendo dalla sua posizione prostrata a terra, e
dando così
allo scienziato la possibilità di osservarlo bene. Lo supera di tutta
la testa
e poi ancora un po': un effetto collaterale della combinazione di
stazione
eretta e ristrutturazione genetica. A Turquud importa poco quel
particolare: come
molti altri, anche quello è solo un dato, e per di più atteso. Ciò che
gli
interessa davvero è che l’esemplare sia sano, e che la sua mente si sia
formata
correttamente: valutazioni che nessuna IQ può compiere al posto suo.
Per
qualche istante tuttavia, Turquud si sofferma ancora sulle
caratteristiche
fenotipiche dell'esemplare: il prodotto diretto e più prevedibile del
suo
lavoro e forse ciò di cui è più soddisfatto.
Le scure ali
membranose, che non sono mai state in grado di sostenere quella specie
in volo,
pendono pesanti dalla schiena dell’esemplare, avvolgendolo come un
mantello
bagnato: dense e resistenti abbastanza da proteggerlo da intemperie e
accidenti, sia naturali che artificiali. In effetti, nemmeno il plasma
è in
grado di incenerirle e i test della sua IQ hanno dimostrato qualcosa
che
Turquud già sapeva. Sotto di esse, l’esoscheletro compatto
dell’esemplare è di
un verde chiaro, quasi traslucido, un effetto dovuto alla radioattività
residua
che l’esemplare trasuda. Anche nella vastità della galassia, non sono
molte le
specie in grado di sopportare quei livelli di radiazioni, ma nessun
altra le
metabolizza in quel modo: la peculiarità che ha fatto interessare il
Supervisore in questa specie, e l’origine dell’incarico di Turquud.
Quattro
braccia filiformi riposano incrociate sullo sterno e sul ventre,
cariche di
lunghe dita flaccide e pallide: un aspetto ingannevole, perché Turquud
ha reso
l’esemplare, e tutta la sua razza del resto, capace di piegare sbarre
di titanio
pesante diamantizzato senza sforzo. In effetti, il soggetto potrebbe
farsi
strada attraverso il pavimento della sua camera di osservazione e lo
scafo
della stazione scientifica senza difficoltà: forse sopravvivrebbe
perfino al
rientro atmosferico.
La minuscola
testa si trova in cima ad un collo triangolare, con due occhi composti
da
crostaceo appesi proprio sulla cima, come strani frutti, anch’essi di
colore
verde pallido: sotto di essi, si trova la sua caratteristica meno
aliena,
conseguenza dell’aver integrato nella sua specie materiale genetico
Kadath.
Tentacoli pallidi gli coprono la bocca, che l’esemplare fa dondolare
delicatamente,
cercando di emulare i movimenti di quelli di Turquud. Tuttavia, sotto
di essi il
suo apparato boccale è ancora formato da mandibole opponibili
verticalmente,
piuttosto che da un singolo rostro a becco. Nonostante questo, i sensi
dell’esemplare risultano ancora più acuti di quelli di Turquud: le
quattro rigide
antenne, ripiegate all’indietro sul carapace, devono di certo fornirgli
molte
informazioni supplementari sull’ambiente che lo circonda.
“Come ti
senti?”
“Forte- Spaventato - Onorato… Grato.”
aggiunge la creatura.
“Grato?”
“Padrone Creatore dato grandi doni...”
Turquud si trattiene appena dal sospirare: una prevedibile
compensazione
psicologica.
L’ubbidienza
che la creatura professa non è stata instillata dal Kadath: se lo
scienziato avesse
avuto bisogno di forzare qualcosa del genere per farsi obbedire, non
sarebbe un
degno membro della sua razza. Il Supervisore li vuole per la guerra,
questo è
vero, ma nessun Kadath ha bisogno di strumenti ottusi: ecco perché
quella
valutazione è così importante.
“Non sono il
tuo padrone. Né il tuo creatore. Abbiamo trovato la tua razza in uno
stato precedente
all’autodeterminazione e per le vostre peculiarità biologiche, vi è
stata
garantito l’io. Non siamo stato noi a crearvi: abbiamo solo accelerato
la
vostra evoluzione.” accorciando in un ciclo standard ciò che
normalmente ne
richiede centinaia di migliaia: “…Né siamo responsabili delle
condizioni del
pianeta in cui vi siete evoluti.”
“Noi sapere.”
“Oh?”
“Antiche storie: Padrone-Creatore certo sa.
Con intelligenza donata, antichi miti… nuovi significati.”
“Quali
antichi miti?” forse le difficoltà di eloquio erano da imputarsi più
all’apparato
boccale, piuttosto che alla mente che componeva le parole: possibile,
considerato che Turquud li aveva resi potenzialmente intelligenti
quanto lui.
Pareva che
avessero avuto il tempo di inventare una loro cosmogonia, in modo da
meglio
giustificare la loro esistenza… o quanto meno, rielaborare le
peculiarità del
loro pianeta natale per meglio adattarsi alla loro concezione di sé:
“Antica razza, padrona di mondo. Tempo di
grande abbondanza. Poi grandi fuochi: antica razza scomparsa. Lasciato
noi
indietro. Padroni Creatori trovato noi, molto più buoni. Creato in
vuoto
intelligenza. Grande dono: noi deciso di servire Padroni Creatori: mai
più
soli.”
“Sì, sapevano
dei vostri precursori:non è rimasto
molto di loro sul vostro mondo.” fragili creature, scomparse prima di
lasciare
una vera testimonianza di sé nella galassia: tuttavia, qualche cosa era
sopravvissuta alla devastazione.
“Donatori generosi di cibo. Ma Padroni Creatori
molto migliori.”
“Forse.
Impossibile da determinare allo stato attuale dei dati di cui disponi.
Tuttavia, hanno almeno avuto il merito di creare le condizioni che ci
hanno
portato qui: dai dati dei team archeologici, pare che avessero un nome
anche
per voi.”
“Nome?”
“Sì.
Vorresti ascoltarlo?”
“…Padrone Creatore vorrebbe noi sapere?”
“Ci è indifferente:
potrete scegliere il nome che preferirete per chiamare voi stessi. Vi
abbiamo
evoluti per la grandezza, ma tanto vale usarne uno già noto.”
“Allora sì prego.”
“…Vi chiamavano Scarafaggi.” Mi piace molto la
fantascienza.
Nonostante questo, me ne piace meno di quanto si potrebbe pensare: in
particolare, sono... stomacato da qualsiasi racconto di fantascienza
che dipinge l'umanità come cattivi creatori, precursori negligenti,
assenti, estinti... fondamentalmente la stragrande maggioranza dei
racconti di fantascienza. Ne ho veramente pieni i protoni.
La ragione è semplice: sono stanco di leggere racconti in cui ci
dipingiamo come i cattivi di turno, gli abbietti... il fondo sporco
dell'Universo. Intendiamoci, non siamo una razza gentile, e
probabilmente nemmeno una razza leggiadra, però abbiamo continuato a
martellarci con questa idea di noi stessi per troppo tempo: non potremo
mai davvero cambiare se non ci convinciamo di poterlo fare, o quanto
meno, fino a quando non inizieremo a sognare di poterlo fare. E se si
ha tempo di lamentarsi di sé stessi, si ha tempo anche di rimboccarsi
le maniche.
Quindi questo racconto breve ironizza proprio su questo, per fare in
modo che la nostra eredità non siano solamente gli scarafaggi, e per
scongiurare il pericolo che un giorno uomini piovra di un altro pianeta
li evolvano per la guerra.
Spero vi sia piaciuto, nella sua brevità: a presto. :)