Libri > Trilogia di Bartimeus
Ricorda la storia  |      
Autore: Alsha    07/06/2016    2 recensioni
| Ghost!AU | Platonic!Kitty-Tolomeo |
Quando sua nonna muore, Kitty va a vivere nel suo vecchio appartamento.
Una sera, resta alzata più del previsto.
°°°°°
L’orologio appeso alla parete ticchetta la mezzanotte e lei lo vede la prima volta.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bartimeus, Kitty Jones, Nathaniel, Tolomeo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
WRITER’S CORNER
Simpatica premessa: questa qui sotto è proprio una Kitty-Tolomeo, deplorevolmente platonica, ambientata ai giorni nostri (se ben ricordo i miei calcoli, inizia nell’anno prossimo, ma comunque).
Tutto quanto è spiegato nella storia, che spiegherà anche il motivo per cui ho mantenuto il titolo del terzo libro, spero.
Ah, già. Tolomeo e Bartimeus sono fratelli. Così, perché se lo meritano.
Alsha
 
 
 
 
LA PORTA DI TOLOMEO
 
 
L’appartamento è un buco spoglio di due locali più bagno, le chiazze di muffa macchiano il soffitto e la vecchia tappezzeria che non vede l’ora di buttare.
 
Le trine e i pizzi lasciati lì da sua nonna la fanno sentire vecchia, vecchia nelle ossa e nella testa. Ha venticinque anni e già pensa da anziana, povera Kitty.
 
Kathleen, in realtà, proprio come la nonna che per un infarto le ha lasciato la casa, ma i soprannomi ti si appiccicano alla pelle, per questo quando si presenterà a lui non dirà Kathleen ma Kitty, e lui se ne stupirà anche un po’.
 
 
 
Le pagine dei libri di diritto sfilano sotto le sue mani con rapidità fulminea. Non si è mai applicata virtuosamente alla scuola, ma è brava e le serve poco tempo per imparare.
 
Kitty vuole laurearsi e diventare giudice, o procuratore, o investigatore, tutto purché possa dimostrare ai ricconi che hanno sempre snobbato i sobborghi come quello in cui è cresciuta che i soldi non danno il diritto di considerarsi Dio.
 
Quando non ce la fa più a studiare pensa a Jakob, pensa al suo volto sfregiato e alle gambe che non correranno più con lei nei parchi di Londra, pensa al sorriso impenitente di Julius Tallow che con quella sua stupida macchina di lusso ha investito il suo amico sotto i suoi occhi, e pensa che lo sbatterà in prigione come il giudice corrotto non aveva fatto quando loro erano due bambini e pensavano che il mondo fosse migliore.
 
Jakob non è più uscito di casa, da allora, se non per le visite mediche, e il senso di colpa la attanaglia ogni volta che vede come lui non possa più (o non voglia, forse) avere una vita normale.
 
E lei vuole rendergli giustizia, prima che si senta tradito da lei, lei che ha già perso troppo tempo a rovinarsi la vita con Fred e Stanley quando era poco più che un piccolo e inutile vandalo arrabbiato.
 
L’orologio appeso alla parete ticchetta la mezzanotte e lei lo vede la prima volta.
 
 
 
Tolomeo non si aspettava che fosse ancora sveglia, di solito l’inquilina crolla verso le undici e mezza e lui è libero di sfogliare i suoi libri per tutta la notte, mentre la ragazza gli sonnecchia a fianco.
 
Non si aspettava nemmeno che da una ragazza tanto magra potesse uscire un urlo tanto potente.
 
Quella ragazza è magra quasi quanto lo era lui in vita, e lui era tanto magro, suo fratello lo usava come unità di misura del nulla al lavoro (“E non voglio che manchi nemmeno un Tolomeo da queste dannatissime casse, chiaro?”) e aveva anche ragione, secondo molti.
 
Ma intanto la ragazza continua a strillare, ha iniziato anche a scivolare lontano da lui mettendosi in posizione di guardia. E poi gli tira un libro, che non lo attraversa.
 
Si blocca con uno scricchiolio a pochi centimetri dal suo torace traslucido e ricade, mentre il colpo lo spinge indietro a fluttuare a mezz’aria. Sente una fitta, una specie di scossa elettrica, tutto ciò che gli rimane del senso del tatto, ormai.
 
La ragazza ha smesso di urlare, e lo fissa.
 
È la prima volta da anni che qualcuno lo fissa.
 
E allora inizia a urlare anche lui.
 
 
 
Ci vogliono venti minuti buoni perché accettino la presenza dell’altro e non cerchino più di mettersi in salvo. Lui fluttua contro il soffitto, fuori portata di lancio, lei si è raggomitolata contro il muro brandendo la scopa a mo’ di arma.
 
-Mi chiamo Tolomeo.
 
-Io Kitty.
 
-Ma Kitty non significa “gattino”?
 
-Il mio nome è Kathleen. Ma mi chiamo Kitty. Mi chiamano tutti Kitty.
 
-Uh. Simpatico. Allora…
 
-Cosa sei?
 
-Un fantasma, credo fosse ovvio.
 
-Ma non ti ha attraversato nulla.
 
-La fai sembrare colpa mia.
 
Tolomeo mette il broncio e Kitty decide che è stanca delle sue allucinazioni. Si accascia contro il muro, l’orologio segna l’una e mezza di notte, e si addormenta.
 
 
 
La mattina dopo si sveglia e non c’è nessuno in casa, e nemmeno per tutta la settimana successiva.
 
Incontra Tolomeo la seconda volta quando rientra tardi dal lavoro, e c’è lui, steso di pancia a mezz’aria, che legge un suo libro muovendo le pagine con un gesto della mano. Sta sorridendo, gli occhi gli luccicano, è così preso che non si accorge di Kitty nemmeno quando le scivola la borsa a terra per la sorpresa.
 
-Io… Tu… Cosa…!
 
E allora si gira.
 
Gli occhi castani sono sgranati, i riccioli scuri gli cascano sbilenchi sul volto e la luminescenza sotto la pelle ambrata diventa rosso brillante.
 
Con un angolo di coscienza ancora solida, Kitty presume che sia quello a far aumentare la temperatura nella stanza.
 
-Io non stavo…! Io non volevo…! Io non…! – smette di farfugliare, si raggomitola a mezz’aria, il rossore che lo illumina diminuisce, la temperatura cala – Mi annoiavo.
 
Sembra tanto un bambino, così sbagliato per quei diciott’anni che dimostra. Kitty non ha mai saputo che fare con i bambini.
 
Raccoglie la borsa e corre fuori di casa.
 
 
 
Il fantasma non si è più fatto vedere, ma Kitty sa che lui è lì, e glielo dimostra. Ogni volta che la ragazza è fuori casa gli lascia dei libri da leggere sul tavolo della cucina, o la televisione accesa, lo autorizza, in qualche modo, a prenderli, a usarli.
 
Così, a mo’ di ricompensa, o forse solo un altro passatempo, le riordina casa. Non può afferrare oggetti, ma è un telecineta, in qualche modo.
 
Quando era vivo l’idea lo avrebbe riempito di eccitazione, ora poter sollevare oggetti a distanza solo mimando l’azione lo fa sentire un idiota, oltre che un povero sfigato.
 
Non ha incontrato altri fantasmi, mai, in quasi duecento anni che è morto.
 
Non ha mai incontrato nessuno che lo vedesse, lo sentisse, potesse interagire con lui. Fino a Kitty.
 
 
 
-…sono pazza? – la signora Hyrnek non le risponde, continua a sgranare piselli – La prego, mi dica che non sono pazza.
 
Quando Tolomeo ha iniziato a rendersi sempre più manifesto, Kitty è corsa dall’unica persona che conosce che sia ferrata sul soprannaturale. La nonna di Jakob è una centenaria da non si sa bene quanti anni, per Kitty era centenaria già quando lei era piccola e in vent’anni non è cambiata di una virgola.
 
Non l’ha mai vista scendere dalla sedia a dondolo accanto al caminetto, né le ha mai sentito dire più di due parole.
 
-Non sei pazza. – tre parole sono già un record, che la prendono di sorpresa quando ormai si era rassegnata ad andarsene – Solo speciale. Sono pochi come te. Ancora meno come lui. – prende un respiro raschiante dopo ogni frase – Aiutalo.
 
Si chiude in un mutismo impenetrabile ai “come” di Kitty.
 
 
 
-Tolomeo! So che sei in giro, vieni qui!
 
La ragazza brandisce un libro a mo’ di arma, e sembra anche minacciosa, è costretto ad ammettere quando apre la porta ed entra in salotto.
 
-Ciao.
 
-Non dirmi “ciao”!
 
-Buonasera? – domanda tentennante, guardando il cielo già scuro fuori dalla finestra. Lei non risponde, sbuffa e si lascia cadere sul divano
 
-Raccontami.
 
Lui socchiude le labbra, stupefatto e imbarazzato. Sa che è diventato rosso incandescente anche senza guardarsi (Non potrebbe nemmeno, in realtà. Negli specchi non può vedere sé stesso, solo ciò che si riflette in altri specchi, che è interessante ma certe volte… anche no.) e misteriosamente se ne vergogna, sotto gli occhi scuri di Kitty.
 
Si siede di fronte a lei, con le piante dei piedi nudi appoggiate l’una contro l’altra come era solito fare da vivo e la schiena drittissima.
 
E racconta.
 
 
 
È morto a diciassette anni, un coltello sporco ficcato nel petto e tanti saluti al mondo da un vicolo ancora più sporco. Ricorda che si vedeva un ritaglio di cielo, tra i muri alti e neri di fuliggine.
 
C’era il sole, quando è morto.
 
Quando si è risvegliato pioveva invece, e il vicolo era pieno di gente, poliziotti, giornalisti, e suo fratello, in lacrime.
 
Non aveva mai visto Bartimeus piangere, pensava stupidamente che fosse in grado solo di ridere e ghignare, e invece è proprio lui che sta fermo lì, senza cappotto sotto la pioggia, e piange nascosto dall’acqua che gli riga il volto.
 
Dev’essere per quello che il suo aspetto da morto somiglia tanto al fratello. Vuole ricordarlo più di quanto voglia ricordare sé stesso.
 
Lui è certamente passato dall’altra parte, Paradiso, Inferno, qualsiasi cosa ci sia al di là. Ha preso a chiamarlo Altro Luogo per evitare di bruciarsi la testa su questa faccenda.
 
È morto nel 1823, centonovantadue anni prima, perché suo cugino voleva ereditare la compagnia commerciale del padre, e l’ha lasciato lì, con il coltello sporco ancora conficcato nel petto ad annegare nel suo stesso sangue.
 
Era un mezzosangue egiziano, suo padre si era fatto l’amante tra un viaggio e l’altro, ma l’aveva preso con sé come aveva fatto anni prima con Bartimeus, che invece veniva dall’Iraq.
 
È morto che aveva viaggiato per mezza Europa al seguito del padre, e adesso è bloccato nel palazzo che hanno costruito dove c’era il vicolo.
 
Una palazzina dimessa è meglio di niente, può anche guardare la televisione della gente quando gli inquilini non sono in casa e leggerne i libri e i giornali, svagarsi insomma.
Duecento anni sono tanti, non ricorda nemmeno come è sopravvissuto alla noia del primo secolo, forse grazie al bar che c’era lì accanto dove ascoltava i vivi chiacchierare.
 
Non c’è molto altro da dire, sa manipolare oggetti a distanza ma non può toccarli perché è come se ci fosse una barriera tra lui e la realtà, e quando è forzato a passarla prende una scossa, come quando Kitty gli ha scagliato il libro, ad esempio.
 
A seconda del suo umore cambia temperatura, anche, e si illumina di più o di meno. E può vedere attraverso gli specchi come fossero schermi.
 
È tutto.
 
Kitty annuisce, tenta anche una mezza battuta sul fatto che almeno non avrà bisogno di far riparare l’impianto di riscaldamento.
 
Tolomeo non ride, e non ride nemmeno lei.
 
Una ragazza che è un fantasma nella società e un fantasma che è un ragazzo vero più di quanto sia accettabile pensare.
 
Sono le nove e mezzo di sera, Kitty si addormenta senza cenare nemmeno, Tolomeo la porta sul suo letto e le rimbocca persino le coperte.
 
La mattina dopo Kitty si sveglia sorridendo.
 
 
 
Avere un fantasma come coinquilino è strano: non mangia, non dorme, e si affanna per lasciarle la casa in ordine quanto più possibile; fossero tutti così…
 
L’unica cosa che Tolomeo chiede è il permesso di tenere accesa la televisione anche di notte, di navigare in Internet e di leggere tutto il leggibile. Si annoia, anche se da quando vive con Kitty ha preso dei ritmi da persona normale.
 
Ha anche imparato a cucinare, e gli piace davvero, così ogni volta che rientra (part-time o università poco importa) Kitty trova sempre un buon profumino ad accoglierla, sempre diverso ma con il potere di farla sentire a casa.
 
Quella mezza battuta fatta da Kitty diverse settimane prima si avvera, Tolomeo è il migliore scaldino che si possa immaginare, e anche se insiste nel tenersi la radio accesa o guardare sitcom americane tutta la notte a lui non dispiace rimanere lì con lei. Anzi, da un po’ di tempo a questa parte ha smesso di tenere acceso alcunché: come Kitty si addormenta stacca tutto, e resta lì al buio a sentirla respirare.
 
Ipnotizzato da quel ritmo, gli sembra quasi di poter dormire ancora.
 
 
 
Non avrebbe dovuto sentirsi tradito.
 
Sa che Kitty lo sta facendo per lui.
 
Ma quando ha trovato quei libri di esorcismo nella sua libreria, e gli appunti disordinati su post-it gialli non ha saputo trattenersi.
 
-TU VUOI CACCIARMI! – le aveva gridato, rosso di rabbia, con l’aria che sfrigolava per il cambio improvviso di temperatura – TU MI STAI MANDANDO VIA!
 
Kitty stava facendo una lavatrice (Tolomeo aveva diritto di ficcanasare in tutto ma non nella sua biancheria) quando l’aveva sentito urlare, e si era precipitata in pigiama e tutta scarmigliata nella sua stanza, per vedersi lanciare contro i libri, i suoi libri.
 
-VEDI SE A TE PIACE! – aveva continuato, con il viso distorto dalla furia. Si era fermato solo quando Kitty aveva iniziato a piangere, in silenzio, rannicchiata nel corridoio. Allora si era come spento, e le aveva chiesto solo “perché”.
 
-Duecento anni. – gli aveva detto – Tuo fratello ti aspetta da duecento anni. Tu lo stai aspettando.
 
La forza di quell’affermazione lo aveva preso in pieno.
 
Era scappato fuori da una finestra, e adesso si trova lì, in mezzo ad un vicolo che somiglia tanto quello in cui è morto nel 1823.
 
È per la prima volta che considera quella prospettiva, la prima volta che immagina Bartimeus ad aspettarlo. In tutto quel tempo l’idea di quanto suo fratello possa aver sofferto non lo aveva sfiorato nemmeno un attimo.
 
Non ha mai nemmeno tentato di passare oltre!
 
Quando la pioggia inizia a cadere Tolomeo fa finta che siano le lacrime che non può piangere più.
 
 
 
Ad un certo punto si è messo a lavorarci anche lui. È passato più di un anno da quando Kitty l’ha visto la prima volta (hanno anche festeggiato guardandosi un’intera serie tv in meno di un giorno!) e un mese e mezzo da quando hanno litigato.
 
Tra lavoro part-time, studio e adesso quello, Kitty ha a malapena il tempo di dormire. Ha due occhiaie viola sul suo viso pallido, e ben poca voglia di essere conciliante con chiunque le rompe le scatole, come il tizio che sta alla porta in quel momento.
 
-No, Nathaniel. Tutto bene. – gli ringhia in faccia, e Tolomeo vorrebbe scusarsi con quel poveretto che era venuto a farle un favore e si è trovato un’arpia feroce sulla soglia. Per fortuna il ragazzo rivela un carattere permaloso quasi quanto quello della sua coinquilina, e invece che darle i tomi di lingue antiche che gli ha chiesto in prestito il ragazzo si infila in mezzo alla porta e entra.
 
-Adesso mi dici che cosa sta succedendo! – sbraita (o meglio, strilla) il ragazzo – O i libri me li tengo! Non puoi semplicemente farmi tradurre invocazioni greche ai morti e poi pensare che non faccia domande!
 
E prima che Tolomeo possa pensare di muoversi, Nathaniel si prende un pugno sullo zigomo che lo spedisce contro la parete.
 
-Sta zitto! – gli sta urlando Kitty quando Tolomeo tende la mano e stringe un pugno nell’aria. La maglietta del pigiama di lei si attorciglia e la strattona indietro, sotto lo sguardo sbigottito di Nathaniel.
 
-Cosa…? – squittisce. Kitty ringhia.
 
Tolomeo non sa che fare, solleva una penna, un foglio, e scrive “ciao”.
 
 
 
-Passami il the.
 
-No.
 
-Come no.
 
-Prenditelo.
 
Una tazza si stacca dal tavolino e arriva fluttuando davanti al naso di Nathaniel, che geme spaventato, scucendo a Kitty una risata malevola.
 
-G-grazie Tolomeo.
 
Il fantasma scrive sul suo blocco un “non c’è di che” che rivolge al ragazzo, e poi “non volevo spaventarti”.
 
-Non mi sono spaventato.
 
-Infatti, e non hai urlato come una ragazzina. – sussurra Kitty. L’altro ragazzo si chiude in un silenzio immusonito. Non aveva mica chiesto lui di essere coinvolto in quella strana faccenda. Un fantasma?! E chi ne aveva bisogno, scusa?!
 
Eppure sapeva che sarebbe cambiato tutto quando Tolomeo gli aveva scritto “ciao”, anzi, prima, quando ha tentato (con successo, infine, bisognava concederglielo) di immischiarsi negli affari di Kitty, o forse già quando lei lo aveva contattato con quel “cercasi secchione per traduzioni dal greco” sulla bacheca nell’atrio dell’università.
 
Lì, in quell’istante, in mezzo al viavai di studenti, aveva capito che si stava cacciando in un mare di grossi, mastodontici guai.
 
Ha accettato, come uno stupido.
 
E, non lo ammetterà mai, non se ne pente.
 
Non si pente di quei pomeriggi passati a spulciare libri in compagnia di un ragazzo morto e di una studentessa dal pessimo carattere, non si pente delle serate svegli ad attendere la mezzanotte per tentare un rituale, non si pente nemmeno delle prese in giro di Kitty, anche se ogni tanto prende le sue cose e esce sbattendo la porta per protesta.
 
Ma torna sempre, alla fine.
 
Lo sanno tutti e tre, nella stanza.
 
E anche se cercano di ignorare quella sensazione, sanno anche che tra quei tomi e quei siti internet  un giorno troveranno qualcosa di vero, qualcosa che funzionerà.
 
 
 
Il pentacolo sul pavimento ammicca ai presenti.
 
Tolomeo se ne sta sospeso sopra osservando perplesso i disegni con occhio critico.
 
-Questo l’abbiamo già provato, ragazzi. – cerca di far notare, più incuriosito che altro. Ha deciso che sentirsi triste per i fallimenti è controproducente, quindi prende quelle esperienze come un passatempo, un modo in più per occupare la sua non-vita.
 
Nathaniel non può sentirlo, e resta lì a controllare che tutti i punti siano ben collegati tra loro come da disegno, mentre Kitty è in cucina a prendersi un bicchiere d’acqua e quindi non può fare da tramite, ma Tolomeo continua a parlottare tra sé e sé.
 
-Kitty, questo lo abbiamo già provato! – pigola nuovamente, appena la ragazza rientra in salotto.
 
-Lo so. Ma non così. – con una manata allontana Nathaniel dal disegno fatto con il gesso sul parquet, e con una mano ne cancella un tratto.
 
-Che stai facendo! – esclama il ragazzo, quello vivo dei due (ma solo per una questione di velocità, Tolomeo aveva già aperto la bocca per esclamare la stessa identica cosa).
 
-Una porta, anzi la Porta. La Porta di Tolomeo. Perché possa passare oltre. – non si dà il tempo di attendere. O ora o mai.
 
Recita le formule e prega che funzionino, questa volta.
 
 
Nathaniel resta in piedi e senza parole, scosso dal vento che ha iniziato a soffiare senza apparente motivo nella stanza. Continua a fissare il volto di Kitty, che a sua volta fissa estasiata il centro del pentacolo, e allora anche lui si volta.
 
Lo vede solo per un attimo, ma con una chiarezza impressionante.
 
C’è un ragazzo dalla pelle ambrata sospeso in mezzo al cerchio, tende una mano verso Kitty ma senza superare l’orlo del pentacolo, all’altezza della mano sollevata della ragazza. Hanno gli occhi incatenati l’uno in quelli dell’altra.
 
Poi la figura di Tolomeo brilla tanto da fargli chiudere gli occhi, e quando li riapre la stanza è di nuovo al buio, e nell’aria calma riecheggia una voce da lontano.
 
Grazie. Ciao.
 
Kitty si copre la bocca con le mani.
 
-Ciao. – sussurra al pentacolo vuoto.
 
L’orologio ticchetta la mezzanotte, come la prima volta che Kitty l’ha visto. Questa volta però non urla nessuno.
 
 
 
 
Tolomeo si sente stirare all’infinito da una forza incontrastabile.

Guarda il pentacolo allontanarsi, Kitty e Nathaniel che si fanno sempre più piccoli sotto di lui.

-Grazie. Ciao. – grida, e spera che loro riescano a sentirlo. Il mondo viene sostituito da un vortice senza fine di colori in movimento. Tende verso quello che sembra essere il centro, il suo centro, con naturalezza.

Bartimeus lo aspetta. È giovane come l’ultima volta che l’ha visto, fermo nel vicolo a piangere la sua morte. Questa volta però sorride, sprezzante e giocoso come sempre.

-Centonovantatre anni di ritardo, Tolomeo. – lo rimprovera bonariamente – Non ti sembra di esagerare?



 
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Trilogia di Bartimeus / Vai alla pagina dell'autore: Alsha