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Autore: Crilu_98    07/06/2016    4 recensioni
Primo capitolo de "THE WALKER SERIES"
Wyoming, 1866.
Russell 'Colt' Walker sa bene cosa significa sopravvivere: da quando la Guerra Civile è finita, lasciandogli in dono ferite più o meno visibili, non ha fatto altro. E come lui molti altri dipendenti della Union Pacific, una delle due compagnie incaricate di costruire la First Transcontinental Railroad, la ferrovia che unirà le due coste dell'America. Un progetto grandioso che si scontra con la povertà, i soprusi, la fatica e le malcelate ostilità dei numerosi e variegati lavoratori.
La vita di Russell subisce una decisiva svolta quando gli indiani Cheyenne, decisi a difendere i propri territori, scendono in guerra: tra loro c'è una ragazza che, oltre a far riaffiorare ricordi che credeva perduti, scatena in lui anche un forte istinto di protezione e qualcosa simile all'amore. Ma mentre il loro legame si stringe sempre di più, la situazione tra indiani ed uomini bianchi precipita... Quanto è disposto a rischiare per proteggerla?
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento, Secessione americana
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'THE WALKER SERIES '
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Misi piede nello Stato del Wyoming nel 1866 e neanche me ne resi conto.
Attraversai infatti la linea immaginaria che lo separa dal Nord Dakota in uno stato di incoscienza, steso in una barella e portato a mano da due dei miei compagni di squadra. Costruire la ferrovia era un lavoro pericoloso e quella volta era toccato a me finire sotto i ferri del medico, bestemmiando e sputando sangue per un'esplosione fuori controllo. Ne avevo visti morire tanti dei miei compagni, così: bastava una distrazione, o attardarsi un istante di troppo prima di allontanarsi dalla dinamite... E si saltava in aria in mille pezzi.
Ricordo che mentre mi trasportavano in infermeria - che poi era una tenda più grande delle altre, dove si respirava il tanfo della malattia e della morte - imprecavo contro l'incompetente che mi aveva quasi ammazzato e che ci aveva rimesso le penne.
-Stai buono, Walker!- aveva sbraitato Abraham, un ex-schiavo burbero e irascibile che con un po' di buona volontà potevo considerare un amico. Abraham aveva la pelle scura segnata dalle cicatrici di innumerevoli frustrate e due occhi che scattavano da una parte all'altra alla ricerca di un possibile pericolo; era più vecchio di me, che avevo da poco compiuto trent'anni, e non mancava mai di farmelo notare. Ad unirci, due anni prima, non era stato il monotono picconare nelle gallerie, né le bottiglie di whiskey condivise la sera; eravamo vicini, io ed Abe, per ciò che avevamo passato durante della guerra civile. Nel suo sguardo era ancora visibile l'umiliazione e la rabbia nei confronti dei suoi padroni, mentre io la notte sognavo lo scontro in cui mi ero procurato la cicatrice che attraversava la mia schiena.
Devo confessarlo: quando aprii gli occhi e sentii quel dolore lancinante passarmi da parte a parte, caddi in preda ad un terrore cieco. Ero infatti sicuro che la ferita che già una volta mi aveva quasi portato alla morte si fosse riaperta quando l'esplosione mi aveva sbalzato indietro di diverse miglia e che fossi quindi spacciato.
Invece mi risvegliai in Montana, appunto, e subito mi resi conto che quello sarebbe stato uno dei tratti più difficili affrontati dalla Union Pacific da quando i lavori erano iniziati, quattro anni prima.
A causa della guerra i lavori avevano proceduto a rilento e la competizione con la Central Pacific, la compagnia che ci stava venendo incontro da ovest, era sempre più pressante: il nervosismo degli investitori si rifletteva sulla compagnia e quindi su noi poveri diavoli costretti a lavorare - spesso anche tutto il giorno - in condizioni pietose.
Uscii dall'infermeria del campo socchiudendo gli occhi dopo tanti giorni di penombra e osservai con occhi critico la catena montuosa che si dispiegava all'orizzonte: anche da lontano appariva imponente e minacciosa rispetto al nostro piccolo accampamento e immaginai che da lassù la nostra ferrovia doveva sembrare un unico, sottile filo argentato.
Abraham mi riconsegnò il piccone e mi accompagnò mugugnando dagli altri: la nostra squadra era composta per la maggior parte da tarriers* come me, e da qualche ex-schiavo sfuggito alla schiavitù prima del 1861 o liberato al termine della guerra. I nostri rivali, invece, sfruttavano i coolies, gli immigrati cinesi che, si diceva, lavoravano instancabilmente procedendo molto più velocemente di noi. A preoccupare me e i miei compagni, però, non era tanto la gara in corso tra le due compagnie, ma problemi molto più immediati e vicini: le condizioni di lavoro disastrose, la spinosa questione di come attraversare le Montagne Rocciose e le bellicose tribù indiane, tra cui quella dei temibili Cheyenne. La costruzione della ferrovia era problematica anche per questo: i terreni su cui sarebbe passato il treno in breve tempo sarebbero valsi una fortuna, ma in gran parte appartenevano agli Indiani.
-Ben tornato, Russell!- esclamò Chuck Turner, sputando per terra e asciugandosi il sudore dalla fronte. Era mio coetaneo, ma non era stato richiamato alle armi perché da bambino era rimasto cieco ad un occhio in un incidente; era perciò rimasto a lavorare alla ferrovia ed era esperto di tutto ciò che riguardasse i treni. Era anche l'unico a chiamarmi per nome; gli altri al campo mi apostrofavano con il cognome, o con il soprannome di "Colt", per la pistola che mi portavo sempre dietro. Non era da tutti possedere un'arma del genere, o saperla usare, e per questo ne ero molto geloso: mi ero guadagnato il diritto di portarla negli orrori della guerra, sebbene poi fossi risultato un fallito con un lavoro duro e umile. Guardandola rievocavo non solo gli spari, il dolore della ferita e l'amarezza di quegli anni, ma anche l'abilità che aveva colpito i miei commilitoni e i superiori. Ero un bravo tiratore e forse avrei potuto fare carriera nell'esercito, se le cose fossero andate diversamente.
Iniziammo a lavorare sotto il sole di mezzogiorno e anche se era autunno inoltrato, ben presto mi ritrovai con la camicia fradicia di sudore e il respiro mozzato: ero ancora indolenzito dall'incidente e non avevo la forza neanche per intonare i canti di lavoro, l'unica distrazione concessa dai controllori. I controllori rappresentavano, nella rigida gerarchia della ferrovia, il gradino appena superiore al nostro: ugualmente poveri e spesso con un passato poco pulito alle spalle, ma dotati di polso e capaci di usare una pistola, avevano il compito di dirigere gli scavi e coordinare le squadre di lavoratori. Alcuni erano brave persone, ma Bernard King non era tra questi: crudele e marcio fino al midollo, avevo sempre sospettato che fosse un bandito messicano in incognito, per la carnagione scura e l'accento nascosto nella voce rauca. Di certo, molti al campo lo volevano morto e non ne facevano mistero.
-Perché non cerchi di fregargli il posto?- chiese Chuck per l'ennesima volta, mentre picconavamo una roccia particolarmente dura. King aveva appena colpito col calcio del fucile Javier, un ragazzino pelle e ossa di appena diciott'anni, perché si era fermato troppo a lungo durante la pausa.
-Te l'ho detto mille volte, Chuck, conciato come sono non mi affiderebbero mai dieci, undici uomini da sorvegliare.-
-Però ti fanno picconare, furbi, eh? E poi noi ti conosciamo, ce ne staremmo buoni!-
-Questo lavoro l'ho chiesto io, idiota, e ringrazio il cielo che me l'hanno dato!-
-Lascialo stare Chuck!- intervenne un altro operaio davanti a noi, Lee Morris -Colt tira sempre fuori la scusa della ferita di guerra se si tratta di King!-
Evitai di rispondergli a tono, anche perché King ci teneva d'occhio, e mi concentrai sul mio lavoro. "Non capiscono." mi dissi "Non potranno mai capire."
-Dai, Russell! Non vedi che ci tratta come schiavi? Basterebbe un colpo della tua pistola e ce ne libereremmo per sempre!-
Alla parola "schiavi" Abraham aveva alzato gli occhi dal terreno duro e polveroso e aveva iniziato a seguire in silenzio la conversazione. Allora anche io mi fermai per un attimo, e dopo essermi accertato con un'occhiata che King fosse distratto fissai Chuck negli occhi.
-Non sono un assassino. Non lo sono mai stato e non lo diventerò mai, anche se tutti starebbero meglio se King si beccasse una pallottola tra gli occhi!- sibilai. Chuck sbuffò e tornammo a lavoro. Solo Abe, di tanto in tanto, si soffermava su di me per carpire i miei pensieri.
 
Quella sera stessa, seduto nella mia tenda, mi rigiravo tra le mani la piccola scatola di legno che racchiudeva tutti i miei averi più preziosi. Era da tempo che non avvertivo più la smania di aprirla e accarezzare i ricordi che conteneva; avvertivo sul petto il contatto freddo della chiave che portavo legata al collo con un laccio di cuoio, ma non mi decidevo ad usarla. Ad un tratto vidi la figura di Abraham stagliarsi contro il tessuto della tenda e mi affrettai a nascondere la scatola tra le mie coperte. Il nero si chinò per affacciarsi dentro: era alto e robusto, caratteristiche che avevano permesso ai mercanti di schiavi di venderlo a peso d'oro. Mi squadrò e sogghignò nel vedermi seduto compostamente sul mio giaciglio; non so come facesse, ma Abraham era perfettamente in grado di capire quando un uomo mentiva. La maggior parte delle volte, però, teneva le sue opinioni per sé.
-Vieni a bere con noi? E' una bella serata e fa troppo freddo per starsene da soli.-
Assicurai la fondina alla cintura e lo seguii dagli altri che, in cerchio attorno ad un bivacco, erano già alticci. C'era tutta la squadra: Chuck, Lee, Javier, i due fratelli irlandesi Bryan e John Lynch (due ragazzini dai capelli rossi e dagli occhi verdi che reggevano l'alcool molto meglio di un uomo adulto), Kasper Nowak, taciturno immigrato polacco, Eric Collins, Scott Adams e Jacob Fano. Mi fu passata una bottiglia di whiskey scadente che mi fece bruciare gli occhi e a malapena udii Javier domandare timidamente:
-Secondo voi gli indiani ci attaccheranno?-
-Anche se fosse, noi abbiamo qui Colt!- rispose ridendo Jacob, che con l'allegria tipica degli italiani mi passò un braccio sulle spalle e mi scompigliò i capelli. Gli rifilai un'occhiata ammonitrice e sbuffai contrariato per la sua battuta.
-Dai, Colt, non te la sarai mica presa? Lo sai che ci pensa l'esercito, agli indiani!-
-Sì, ma ancora non abbiamo visto l'ombra di un soldato... Eppure lo sanno che i Cheyenne non gradiscono la presenza dei bianchi sul Bozeman Trail**!- commentò cupo Adams.
-I soldati arriveranno non appena saranno riusciti a tranquillizzare i coloni e i cercatori d'oro abbastanza incauti da avvicinarsi al Wyoming.- intervenne Lee accendendosi la pipa -Quelli sì che rischiano lo scalpo! Credetemi, agli indiani interessa la loro terra, non certo la ferrovia.-
-Sì, ma è sui loro terreni che dovremo poggiare le rotaie!- replicò Javier.
-Robinson, andiamo, davvero credi che il governo degli Stati Uniti riconosca queste terre come proprietà degli indiani? Il treno è più importante, ragazzo, e di sicuro porta più soldi. I Cheyenne dovranno farsene una ragione.-
Mentre Lee diceva queste cose, io lasciavo vagare lo sguardo sopra il fuoco, oltre il campo, fino ad abbracciare con lo sguardo le colline che portavano al Wyoming, al territorio degli indiani Cheyenne. Avevo già incontrato degli indiani, ma solo in grandi città e di sfuggita: erano ombre che si trascinavano stanche nei vicoli bui attorno ai saloon, uomini spezzati dal gioco d'azzardo e dall'alcool. Non avevo mai visto dei veri guerrieri indiani, insomma, né tantomeno donne o bambini. Fu quindi con un brivido che vidi stagliarsi tre fiaccole sulla sommità di una collina, quella notte.
Erano molto lontani e io non potevo distinguere altro che le loro figure a cavallo, ma seppi con certezza che non erano lì per caso. Probabilmente erano stati mandati a vedere cosa combinavano i bianchi nel Nord del loro paese, e probabilmente ciò che vedevano non gli piaceva per niente. Non dissi nulla per non allarmare i miei compagni, ma da quella sera mi mantenni vigile e pronto ad impugnare la pistola anche durante le ore di lavoro: i Cheyenne sarebbero arrivati presto.
 
 
 * gli ex-soldati della guerra civile e gli immigrati (polacchi, irlandesi e italiani, per la maggior parte) che lavoravano per la Union Pacific erano detti "tarriers" come assonanza con i cani terriers, che scavano fino a trovare l'osso come loro scavavano il tragitto per le rotaie. Nonostante le condizioni di lavoro proibitive, se la passavano meglio dei loro colleghi/avversari cinesi, costretti a costruire la ferrovia quasi a mano.
 
**Il Bozeman Trail era una strada battuta dai cercatori d'oro e dai pionieri che andava dal Sud Dakota al Montana e attraversava i territori dei Lakota, che insieme ad altre tribù (tra cui i Sioux ed i Cheyenne) non gradirono la presenza degli invasori. Si scatenò quindi una guerra che durò dal 1866 al 1868 e si concluse con il trattato di Fort Lamaine che formalmente riconosceva agli indiani il possesso del Bozeman Trail e l'area del Powder River.
 
 
Angolo Autrice:
Adesso che Hereditas sta finendo, nonostante abbia altre long da continuare, l'idea di questa storia ha iniziato ad infastidirmi come un tarlo e quindi, dopo essermi documentata sulla First Transcontinental Railroad, eccomi qui!
Premetto che è un contesto stimolante su cui scrivere, perché è un periodo in cui alla Storia con la S maiuscola si intrecciano tante "storie" più piccole: l'accesa competizione tra la Union Pacific e la Central Pacific, le due compagnie incaricate di costruire la prima ferrovia che unisse le due coste degli Stati Uniti; l'immigrazione da tutte le parti del mondo, che fece confluire nel West polacchi, irlandesi, italiani, tedeschi, cinesi; gli strascichi della guerra civile e la ferita ancora aperta della schiavitù; il dramma dei numerosi nativi americani, schiacciati dagli europei. E poi vedere Hell on Wheels ha dato un incentivo non indifferente alla nascita di questa storia (mi è stato d'aiuto anche per rendermi conto dell'ambientazione e di come poteva essere vivere accanto ad una ferrovia in costruzione)
Non so con che cadenza potrò pubblicare... Ammesso e non concesso che questa storia vi piaccia! Perciò fatemi sapere, sono ansiosa di vedere se The Railroad vi ha incuriosito almeno un po'!
 
Crilu
 
P.S. Il Russell Walker del banner, che spero vi piaccia, è Tim Rozon, ovvero Doc Holliday nella serie tv Wynonna Earp :)  
   
 
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