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Autore: jamesguitar    07/06/2016    3 recensioni
Il ragazzo sentì un’ondata di emozioni accavallarsi dentro di sé: tutto ciò che avrebbe voluto fare era prendere Clarke fra le sue braccia e abbracciarla, chiederle di promettergli che sarebbe andato tutto bene e che avrebbero trovato una soluzione insieme, baciarla e lasciar trasportare via tutto il dolore e la preoccupazione. Eppure c’era qualcosa in lui che gli ordinava, allo stesso tempo, di rimandare quei sentimenti e pensare al bene di lei, al loro popolo, al mondo intero. C’era qualcosa che veniva prima, c’era sempre stata, e benché forse fosse giusto così, era frustrante.
Genere: Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You're my weakness
 
Il frastuono nella sala del trono dei Terrestri era assordante, le voci di un popolo confuso si sovrapponevano ai pensieri di Bellamy che guardava Clarke in attesa di risposte, e sentiva un vuoto nel cuore che l’uscita di scena di Octavia aveva causato. Avrebbe dovuto essere felice di aver protetto Clarke abbastanza a lungo, di essere riuscito a sconfiggere A.L.I.E, eppure la ragazza gli aveva fatto intendere che la loro battaglia era appena iniziata; non si sentiva al sicuro, anzi, era come se si sentisse peggio di prima, quando Kane rischiava di strangolarlo. Abby abbracciava quest’ultimo in un angolo della sala, Jaha giaceva rannicchiato su se stesso, Murphy stringeva a sè Emori con un’emotività che Bellamy non credeva avrebbe mai visto in lui. La ragazza bionda che aveva lottato con tutte le sue forze di salvare era in piedi accanto a lui e lo guardava con la comprensione di cui aveva bisogno; cercò la sua mano per la seconda volta quel giorno e la strinse forte, per poi sorridergli quando Bellamy afferrò il suo sguardo.
Il ragazzo sentì un’ondata di emozioni accavallarsi dentro di sé: tutto ciò che avrebbe voluto fare era prendere Clarke fra le sue braccia e abbracciarla, chiederle di promettergli che sarebbe andato tutto bene e che avrebbero trovato una soluzione insieme, baciarla e lasciar trasportare via tutto il dolore e la preoccupazione. Eppure c’era qualcosa in lui che gli ordinava, allo stesso tempo, di rimandare quei sentimenti e pensare al bene di lei, al loro popolo, al mondo intero. C’era qualcosa che veniva prima, c’era sempre stata, e benché forse fosse giusto così, era frustrante.
Bellamy lasciò la mano della bionda e si diresse fuori dalla stanza, asciugando con il dorso della mano sporca di sangue la lacrima che minacciava di uscire dal suo occhio destro. Si era mostrato debole di fronte a lei tante volte, era l’unica che non lo influenzava in questo; Clarke era sempre stata brava a conoscerlo com’era davvero, senza finzioni, senza drammi e senza troppi giri di parole.
La torre era senza uscita, l’olio aveva reso impraticabili le finestre e l’ascensore era crollato, perciò Bellamy si limitò ad entrare in una stanza quasi del tutto buia e chiudersi la porta alle spalle. Si appoggiò ad essa e chiuse gli occhi, abbandonandosi ad un pianto che aveva bisogno di uscire da giorni, se non settimane o mesi. Una leggera luce tagliava l’aria stantia della stanza, passando dalla fessura fra le due tende spesse che coprivano delle ampie finestre. L’ambiente era pieno di oggetti accatastati di natura imprecisa, sembrava non essere utilizzato da molto tempo.
Bellamy sentiva di non riuscire a sopportare il peso di tutto ciò che sarebbe avvenuto, non senza Octavia, la sorella che gli era sempre stata accanto; aveva mandato tutto quello che aveva costruito fino a quel momento all’aria, era passato dalla parte sbagliata perché aveva dimenticato ciò per cui valesse la pena combattere e lottare. Credeva di fare il meglio per il suo popolo, invece aveva lasciato che la rabbia per la morte di Gina e il dolore per l’abbandono di Clarke gli facessero necessitare di credere in qualcosa, giusta o sbagliata che fosse. Così era passato dalla parte di Pike, rovinando tutta la fatica che aveva fatto per essere uno dei buoni, diverso da come era appena arrivato sulla terra; per essere il ragazzo che Clarke aveva sempre visto in lui.
Il riccio sentì una presenza appoggiarsi alla porta dall’altra parte di essa, e senza un vero motivo capì subito di chi si trattava. «Clarke, vattene» disse di getto. Come diavolo lo aveva trovato, in un tale trambusto e in una situazione del genere?
«Non voglio andare via» la risposta della ragazza lo fece tremare, mentre innumerevoli lacrime continuavano a scendere senza che riuscisse a fermarle. «Bellamy, non posso lasciarti qui a piangere»
«Mi sento stupido» ammise lui, con un peso sul petto che si faceva sempre più arduo da sostenere. «E debole» non riconosceva la propria voce, si sentiva così lontano dal se stesso di quel momento. Eppure non riusciva a controllare quelle emozioni che gli rivoltavano il cuore.
«L’unica cosa che so è che debolezza è amore, e l’amore è raro da queste parti» disse Clarke, e improvvisamente il ragazzo pensò a quando lo aveva fatto partire per Mount Weather sostenendo che la sua paura di perderlo fosse stata una debolezza. Quante cose erano cambiate in quel lasso di tempo? Molte, forse troppe. Con una spinta  alla porta Clarke riuscì ad entrare, e Bellamy non ebbe la forza di mandarla davvero via. Si passò una mano sul volto, esasperato, e buttò a terra il fucile, che poco prima teneva ancora in braccio, con un tonfo. Poi guardò Clarke, di cui non riusciva a vedere bene il volto, e la sentì sospirare. Bellamy fece per dirle di non provare a consolarlo, di farsi gli affari suoi, ma lei non gliene diede il tempo: si gettò al suo collo senza pensarci due volte, per stringerlo in un abbraccio che lui non avrebbe dimenticato. Lo lasciò senza respiro nel buio di quella stanza, nel silenzio che quasi permetteva loro di sentire il battito del cuore dell’altro, e Bellamy la sentì iniziare a singhiozzare. «Non so cosa fare, Bellamy» disse la ragazza a bassa voce «Volevo salvarvi, mettere tutti al sicuro, ma questa cosa è più grande di me»
Bellamy rimase sorpreso da quelle parole. Non si aspettava quella confidenza nei suoi confronti, non più; era tanto tempo che Clarke non si apriva a lui in quel modo, mettendosi a nudo e parlando apertamente di ciò che sentiva. Un’ondata di emozioni colpì il ragazzo, qualcosa di più forte del solito, che gli impedì di controllarsi.
«Clarke, se non vuoi, non devi dirmi adesso di cosa si tratta» ribatté «Non importa cosa sia, lo affronteremo insieme come abbiamo sempre fatto, e niente o nessuno potrà impedirci di farlo» si staccò da lei ma non le diede il tempo di prendere le distanze, poiché afferrò la sua vita e la tenne vicina alla propria. Clarke guardò in basso per una frazione di secondo, sorpresa da quel gesto, ma non si spostò.
«Ho paura che moriremo tutti, questa volta» mormorò la ragazza, mentre delle lacrime le scivolavano sul volto e un singhiozzo scuoteva il suo corpo; Bellamy asciugò quelle lacrime e si sforzò di fare un piccolo sorriso.
«Io ho paura di questo continuamente» ammise poi, un po’ ironicamente e un po’ seriamente.
Un breve silenzio che sembrò durare un’eternità iniziò, spezzato solo dai singhiozzi di lei e quelli di lui, il rumore del silenzio e dei loro sospiri. Clarke aveva lo sguardo rivolto a terra, ma Bellamy non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. La fioca luce della stanza illuminava leggermente i suoi tratti, mettendo in risalto quelle labbra sottili che tante volte Bellamy aveva immaginato di baciare. Non sapeva come consolarla, non quando lui stesso temeva per loro due, per ogni cosa.
«Mi dispiace, Clarke» disse infine il ragazzo, in un sussurro che la portò a guardarlo improvvisamente negli occhi – il cuore di lui sussultò quando incontrò gli occhi color ghiaccio di Clarke. «Mi dispiace per ogni cosa» lo sguardo pieno di pietà di lei lo fece sprofondare nel vuoto che provava.
«Bellamy…»
«Mi dispiace per quando ho provato a far credere all’Arca che fossimo tutti morti e ho rotto la radio di Raven per salvarmi il culo, per quando i miei metodi estremi ci hanno portato ad una guerra in cui nessuno credeva» disse Bellamy «Mi dispiace per essermi sempre messo contro Lexa anteponendo i miei sentimenti alla pace, per aver permesso che Finn uscisse di testa, per essere diventato matto dopo il tuo abbandono e aver permesso che la rabbia e il dolore mi portassero dalla parte sbagliata e mi impedissero di capire cosa diavolo stesse facendo Jaha sotto il nostro naso» abbassò lo sguardo e si lasciò andare ad un ultimo singhiozzo, poi trattenne le lacrime «è tutta colpa mia»
Bellamy si sentì improvvisamente più leggero, come se liberarsi di quelle parole tenute dentro per giorni potesse dargli un po’ di sollievo. Non ne aveva la certezza, ma la ottenne quando Clarke gli afferrò il mento e lo costrinse a guardarla. Il suo cuore cominciò a battere più forte, e le sue braccia strinsero la ragazza più vicino a sé, finché non sentì il suo respiro affannoso sul collo. «Bellamy, hai fatto una lunga strada finora» disse Clarke, con una voce ferma e decisa che però lasciava spazio all’emotività unica di quella ragazza. «Sei stato uno stronzo all’inizio, lo sappiamo entrambi, ma da lì sei rimasto indispensabile per tutti, per me. Niente di ciò che è accaduto qui è colpa tua»
Bellamy si sentì confortato, quasi giustificato; i suoi sensi di colpa non sarebbero svaniti in un istante, eppure, in quella stanza buia e lontani dal trambusto del mondo che li opprimeva sempre, con Clarke così vicina, sentiva di poter fare qualsiasi cosa. Di averla accanto di nuovo come una volta, ma in un modo quasi migliore, come se adesso non fosse l’unico a sentire una vampata di calore dentro di sé ogni qualvolta Clarke si avvicinasse un po’ di più.
«Al massimo sono io quella che dovrebbe essere incolpata, in questa storia» aggiunse la ragazza. «Se non fossi andata via, se non ti avessi abbandonato e non avessi lasciato tutti quanti, forse adesso saremmo salvi»
Bellamy capì che quelle parole significavano tanto per lei, che ci aveva pensato a lungo, e improvvisamente tutti i residui di rabbia nei suoi confronti svanirono; provò solo tanta tenerezza a guardarla. Era così piccola e forte al tempo stesso, così giovane, così autoritaria ma allo stesso tempo fragile. Sentiva che avrebbe voluto proteggerla sempre, anche se non ne aveva bisogno, anche se forse non lo voleva nemmeno.
Le passò una mano fra i capelli e catturò il suo sguardo in una pioggia di fiocchi di neve azzurri come i suoi occhi, conservando il suo piccolo sorriso nella memoria e immaginando che potessero essere solo loro, senza nessun altro, senza nessun problema e rischio di morte. «Forse ci sopravvalutiamo un po’, non credi?» disse, ed entrambi iniziarono a ridere come mai avrebbero immaginato di poter fare in quella situazione. Vedere quelle labbra aprirsi in un sorriso fece scoppiare di gioia il cuore di Bellamy, che non riuscì a trattenersi oltre: la baciò all’improvviso, azzerando la distanza rimasta fra lei e lui, senza pensare alle conseguenze. Per la prima volta non immaginò che lei lo rifiutasse, non pensò a nulla. Si perse in quel bacio che fu ricambiato contro ogni aspettativa; Clarke si alzò sulle punte e lasciò che Bellamy la attirasse a sé ancora di più, finché non ci furono che due figure mischiate insieme. C’era qualcosa di sbagliato e tremendamente giusto insieme in quel gesto, che faceva fremere entrambi di un amore e un desiderio che superava ogni difficoltà, ogni fatica, ogni sofferenza. Bellamy sentì il vuoto dentro di sé colmarsi nel momento in cui la ragazza affondò le dita nei suoi capelli, e improvvisamente si sentì come se potesse esserci un posto per lui.
«Sei la mia debolezza» sussurrò Clarke sulle sue labbra, colta da un’improvvisa spontaneità: dopo tutto quel tempo, dopo tutte le vicissitudini e le difficoltà di amori andati male che la avevano distratta, lui restava l’unica cosa per cui valesse la pena combattere. La cosa che la rendeva debole, che le impediva di essere forte al cento per cento, la cosa senza la quale sentiva che sarebbe andato tutto male. Clarke non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita così, che la sua debolezza sarebbe stata lui e che avrebbe sentito un nuovo sentimento per quel ragazzo dentro di sé, eppure, per la prima volta da quando era arrivata sulla terra, si sentì a casa.
  
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