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Autore: F l a n    07/06/2016    1 recensioni
[KiyoHyuu - AU Roommates]
Hyuuga Junpei cerca una stanza e un nuovo coinquilino. Quando vede Kiyoshi per la prima volta gli sembra di aver trovato l'occasione perfetta. E non solo quella.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Junpei Hyuuga, Teppei Kiyoshi, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note: A volte mi sento una persona tremenda. Ho scritto questa fanfiction un anno fa e l'ho lasciata morire sul mio Google Drive fino a oggi per... pigrizia (e dimenticanza). Dovevo rileggerla, nonostante sia stata betata (grazie a Umbry) e diciamo che mi ero un po' innervosita perché non ero riuscita a consegnarla per un contest per il quale era nata. Comunque, meglio tardi che mai. Mi auguro che possiate godervi la lettura. Il prompt è semplice: Hyuuga e Teppei non si sono mai conosciuti, non hanno frequentato entrambi il Liceo Seirin (solo Hyuuga) e la storia è settata all'inizio dell'università.
Ci vediamo a fine one-shot! 

 

Accidentally In Love 
 

“Salva.”

Dopo l’ennesimo click su un annuncio, Hyuuga Junpei distese le braccia verso il cielo e scaricò il peso sulla schiena, alzando lo sguardo verso il soffitto. Annunci, annunci, annunci. Ne aveva guardati così tanti, troppi per essere in cerca di una stanza da soli cinque giorni, ma a quanto pare trovare un posto con un buon compromesso qualità prezzo in un posto come Osaka, sembrava pressoché impossibile. Aveva anche provato a mettere l’annuncio nel “cerca stanza” ma le persone che gli rispondevano sembravano essere tutti casi umani, a partire dall’offerente di una stanza a un prezzo indicibile a persone che gli proponevano stanze dall’altra parte del mondo.

Hyuuga non adorava l’idea di trasferirsi con uno sconosciuto, principalmente perché era un tipo un po’ particolare e pieno di fisse che nessuno avrebbe condiviso, come il suo spassionato amore per le figure sul Sengoku Basara.

Tuttavia non vi era altra soluzione: doveva andare a studiare fuori per il college e quella era la sua unica alternativa: trovare un appartamento con uno sconosciuto. E se avesse trovato un fumatore? O magari una persona sporca? Non avrebbe potuto sopportarlo.

Chiamò l’ultimo numero registrato e decise di terminare lì gli appuntamenti. Avrebbe dovuto fare un bel giro e i suoi genitori non sarebbero stati felicissimi di dover accogliere la quota da pagare ogni mese per la stanza, ma avrebbe cercato di risparmiare - vivere da soli a Osaka poteva costare davvero molto per uno studente universitario.

Il suo primo appuntamento fu di martedì. Era il giorno della settimana che preferiva: non era pigro come il lunedì né stanco come il venerdì e non aspettava con ansia il weekend come il resto dei giorni.

Sfortunatamente a differenza del sentimento di fortuna che lo aveva pervaso fin dall’inizio della giornata, non andò così bene: si versò il tè addosso, sbagliò direzione della metro e si perse nella ricerca del palazzo dove aveva appuntamento. Niente girava per il verso giusto e la cosa cominciava a dargli sui nervi.
Passò in un negozio a comprarsi una camicia, non poteva certo presentarsi a un nuovo potenziale coinquilino con una macchia enorme sul petto. La prima impressione era importante, specialmente in questi casi.
Si ritrovò di nuovo di fronte al palazzo e suonò il campanello contrassegnato come “Kiyoshi”. L’etichetta sembrava piuttosto nuova, forse anche lui era lì da poco.

“Sono Junpei Hyuuga, per l’appartamento!” disse al citofono.

“Entra pure, terzo piano” l’altro ragazzo aprì il portone del palazzo e lasciò che entrasse, accogliendolo sulla porta.

Il tizio di fronte a lui aveva un sorriso enorme ed era altissimo, non gigantesco ma sicuramente altissimo, e sembrava una di quelle persone affabili, amabili, insomma tutto ciò che lui non era.

“Kiyoshi Teppei,” disse stringendogli la mano. La sua presa era forte, rassicurante, e talvolta si può capire davvero molto da una stretta di mano.

“Accomodati,” Kiyoshi lo lasciò passare. “Posso offrirti qualcosa? Una tazza di tè o una bevanda fresca?” Hyuuga scosse la testa. “Non ce n’è bisogno, grazie,” sorrise, cortesemente.

Si guardò intorno: sembrava un tipo ordinato. Non c’era quasi niente fuori posto, la casa era piccola ma luminosa e le stanze erano pulite.

“È il primo anno che vivi fuori?” domandò il ragazzo, e Hyuuga annuì.

“Sono costretto a cercare casa per l’università.”

“Io sono fortunato, questa è casa di mio zio e la affitta sempre a studenti, perciò ne ho approfittato e ho deciso di venire qui a vivere per il mio percorso di studi. Tuttavia, vista la portata delle spese, dovevo per forza cercare un coinquilino… ah! Ecco la tua camera.”
Aprì la stanza e Hyuuga fece qualche passo al suo interno. Non era male, e quel Kiyoshi sembrava davvero un tipo apposto.

“Le utenze sono incluse nel prezzo,” aggiunse Teppei, guardandolo. Sembrava che in qualche modo sperasse che Junpei dicesse di sì.
“Ho cercato per molto tempo qualcuno che fosse tranquillo, ma alla fine ho sempre preferito vivere solo, nonostante la mole delle spese fosse un po’ alta. I miei parenti mi facevano lo sconto, ma ora come ora, visto il periodo economico, dovevo davvero cercare qualcuno…” specificò Kiyoshi, guardando Hyuuga. Sì, stava decisamente tentando di convincerlo, ma in fondo perché no? La casa era in ottimo stato, Kiyoshi sembrava un bravo ragazzo…

“Facciamo che stasera ti do la risposta, puoi attendere qualche ora?” domandò Junpei e l’altro annuì.

“Nessun problema. Non ho altri appuntamenti per oggi e poi…” Kiyoshi sorrise, “devo essere sincero ma spero prenda tu questa camera. Ho un’ottima sensazione al riguardo.”

Hyuuga stirò un sorriso forzato - non era un tipo che lo faceva spesso - e si sistemò gli occhiali sul naso.

“Perfetto allora.”

Si strinsero la mano e Junpei tornò a casa, praticamente certo che avrebbe accettato la sua proprosta.

 

Iniziò tutto da quel “Sì” dato la sera stessa dopo qualche ora che aveva visto la casa. Hyuuga non aveva trovato nessun’offerta migliore e Kiyoshi sembrava il coinquilino perfetto, o almeno più vicino alle sue esigenze.

Non sapeva, però, cosa lo aspettasse.

Dopo aver trasferito tutti i suoi effetti personali con l’aiuto di suo padre, aveva cominciato ad arredare la propria stanza. Per prima cosa aveva sistemato le sue adorate figure su una mensola, poi aveva rifatto il letto e inserito i propri vestiti nell’armadio. Era strano cambiare casa, sentiva che quell’appartamento sarebbe diventato casa sua in qualche modo, ma ancora non lo era. E non era nemmeno un hotel, ma uno strano incrocio tra un posto di passaggio e qualcosa di permanente. Quella sensazione in un certo qual modo irritava Junpei, ma sapeva che sarebbe stato necessario qualche giorno per ambientarsi.

Solo dopo qualche ora sentì un profumino provenire dalla cucina: il suo coinquilino si era già messo ai fornelli e a suo giudizio, stava cucinando qualcosa di buono.

Sgattaiolò fuori di camera e si affacciò sulla porta, notando il ragazzo armeggiare con padelle e pentole.

“Oh! Sei qui,” disse, quasi con aria sorpresa, “sto preparando la cena per entrambi. Mi piaceva l’idea di accoglierti con qualcosa di buono.”

Hyuuga rimase sorpreso da quel gesto ma compiaciuto, era davvero ben educato. Doveva aver scelto bene - anche se una parte di sé sperava che non desiderasse sempre cenare con lui. Ogni tanto era un tipo un po’ solitario.

Teppei aggiunse le ultime cose sul tavolo basso - tipico delle case giapponesi - e si sedette incrociando le gambe, invitando l’altro a fare lo stesso. Versò un po’ di tè verde per entrambi e gli disse di servirsi.

Mentre Hyuuga assaggiava pietanza dopo pietanza in silenzio, si chiedeva perché Teppei lo stesse fissando a tratti. Che fosse finito in casa con un maniaco?

“Hai l’aria di qualcuno che ha giocato a basket” intervenne, interrompendo il ragazzo, il quale si fermò e strabuzzò gli occhi. Come lo sapeva?

“In effetti sì. Ero nella squadra del mio liceo.”

“Credo di averti visto a qualche partita, anche io giocavo a basket,” ribatté e improvvisamente fu chiaro. “Io sono uno dei Re senza corona,” concluse, più che per vantasi per fargli capire chi fosse. In effetti, Hyuuga aveva pensato che quel tizio avesse un’aria familiare.

Per un attimo Junpei appoggiò le bacchette sul tavolo e squadrò il suo nuovo coinquilino. Si ricordava appena di lui e non lo aveva pensato immediatamente, ma lo aveva visto giocare contro altre squadre che avevano perso miseramente. Chissà perché non gli era venuto in mente subito.

“Io giocavo nella Seirin, ma non ci siamo mai incrociati, deduco.”

Kiyoshi scosse la testa.

“No, e forse è meglio così. Anche se devo ammettere che ora sarei curioso di vederti giocare, un giorno potremmo farci una partita one on one.”

Hyuuga annuì debolmente. “Possiamo considerare l’idea,” mormorò e tornò alla sua cena.

Per qualche motivo, lo sguardo dolce e affabile del suo coinquilino lo metteva in soggezione: sembrava potergli guardar dentro e poterlo giudicare.

Non appena tirò giù l’ultimo boccone, ringraziò Kiyoshi e fece per alzarsi da tavola. Lo sguardo dell’altro cambiò e sembrò quasi dispiaciuto di quel gesto, come se avesse capito che non voleva passare lì ulteriore tempo.

La verità era che Hyuuga aveva bisogno di stare un po’ da solo, perché quelle mura non gli appartenevano ancora e sapeva che avrebbe passato metà nottata senza riuscire a chiudere occhio.

Una volta che Kiyoshi finì di sparecchiare - non permise a Hyuuga di muovere un dito - tornò a sedersi con lui, portando con sé le sue carte da Hanafuda*.

“Ti avviso, sono un bravo giocatore,” disse, mentre le sfilava dalla confezione. “Sai, durante il liceo e tra le scuole medie e le superiori ho passato una fetta di tempo in ospedale, a fare riabilitazione per il mio ginocchio, lì ho giocato un sacco con i vecchietti del mio reparto. Erano simpatici... “ constatò e Hyuuga lo guardò con aria un po’ confusa.
“Devo dedurre che non sai giocare?”

“No, in effetti. Ma in verità mi stavo chiedendo cosa avessi fatto al ginocchio.”

Kiyoshi alzò le spalle.

“Un infortunio…”

“E hai continuato a giocare a basket?” il tono di Hyuuga si fece più serio, quasi severo.

“Solo per un anno, dopo di che ho dovuto operarmi. Sono andato negli Stati Uniti per quello. Sai gli americani sanno essere piuttosto simpatici e non mi è pesato troppo il soggiorno. Sono molto più aperti di noi giapponesi e ho avuto modo di imparare molto da loro.”

Hyuuga prese le piccole carte in mano e le guardò. Non aveva mai avuto modo di giocarci nonostante avesse visto suo nonno farlo quando era piccolo.

“È stato da incoscienti giocare mentre si è infortunati,” mormorò, osservando le figure sovrappensiero, “non avresti fatto meglio a lasciare il basket?”

Teppei abbassò lo sguardo e per la prima volta in quella serata, sembrò seriamente pensieroso.

“Volevamo vincere a tutti i costi… Volevo avere il mio momento di gloria.”

“E lo avete avuto?”

Kiyoshi alzò lo sguardo e lo puntò verso i suoi occhi. Junpei si sentì rabbrividire.

“No.”

Hyuuga abbassò lo sguardo e strinse un pugno.

“Lo capisco.”

Lo capiva davvero, per questo volle cambiare argomento e imparare a giocare con quelle maledette carte minuscole, fin troppo piccole per le loro mani.

 
Passò qualche giorno dal suo trasloco e Hyuuga cominciava, passo dopo passo, ad ambientarsi nella nuova casa e a conoscere il suo coinquilino.

A volte se ne girava per casa con una maglietta rosa e un sorriso così enorme da essere irritante, principalmente perché non aveva nessuna ragione per sorridere così tanto.
C’erano giorni in cui provava a evitarlo perché star dietro alle sue pacche sulla spalla e al suo inconfondibile ottimismo lo irritavano ancora di più.

Lui non era ottimista. O almeno, non così tanto.

Non tanto quanto lui.

Kiyoshi era lo stesso che si affacciava fuori dalla finestra e anche se pioveva sorrideva; diceva che probabilmente dopo quel maledetto temporale sarebbe arrivato un arcobaleno e, ironia della sorte, novantanove su cento era sempre così. Spuntava sempre un dannato arcobaleno.
Era anche quello che gli aveva insegnato a giocare a Hanafuda, ma che forse truccava le carte perché vinceva sempre lui. E quelle due volte che non è successo era perché aveva sbagliato di proposito, Junpei lo sapeva.
Teppei era anche quel genere di persona che tornando a casa passava dalla pasticceria per regalarti i tuoi dolcetti preferiti, e Hyuuga non poteva far a meno di odiarlo perché sapeva sempre come essere imbarazzante - o come farlo imbarazzare.


Dopo quasi tre settimane, Junpei poteva dirlo con certezza: odiava il suo coinquilino. Era un odio strano, non quel tipo di odio da “voglio ucciderti” ma un odio rivolto al suo essere troppo carino e puro. Come poteva non avere difetti se non quello di essere più di un metro e novanta di stupidità? Stupidità e bontà, ovvio. Perché uno così poteva essere solo stupido e buono, e Hyuuga si chiedeva che male avesse fatto per avere intorno qualcuno di così diverso, qualcuno che non odiasse il mondo e il destino quanto lui. 

Forse però ne aveva bisogno, di qualcuno come Teppei.


“Potremmo provare a iscriverci insieme a una squadra di basket,” buttò là un giorno, mentre gli offriva del tè freddo.

Faceva piuttosto caldo, le cicale cantavano come ogni primavera e lui non riuscì a rispondere immediatamente.

“Perché?” era la domanda più stupida che avesse mai fatto.

“Perché potrebbe essere divertente giocare insieme, sono sicuro che tu sia un ottimo giocatore, e io ho voglia di tornare in pista.”

Hyuuga appoggiò il bicchiere sul ripiano della cucina con fin troppa energia.
“Puoi andarci anche da solo, se vuoi tornare in pista.”

L’altro sembrò accigliarsi.

“Non volevo farlo da solo,” disse, finendo anche il suo bicchiere di tè.

“Allora perché proprio con me? Non sai nemmeno se sono un bravo giocatore…”

“Ho visto dei video online delle tue partite con la Seirin, eri il capitano.”

Hyuuga arrossì, facendo un passo indietro. Per lui era sempre stato un motivo di onore essere un capitano, ma al tempo stesso di rammarico e vergogna, visto che non era riuscito a portare la propria squadra alla vittoria.

“C’ho creduto, al tempo. Ma ormai le cose sono cambiate,” rispose semplicemente. Una morsa gli afferrò lo stomaco e avrebbe voluto stringerselo forte, perché l’idea di tornare a giocare a basket lo metteva in ansia tanto quanto lo esaltava.

“Non abbiamo nemmeno mai fatto il nostro one on one,”

“Non ne abbiamo mai avuto l’occasione, ma non sarà questo a convincermi di tornare a giocare, non lo farò.”

“Recuperiamo.”

Kiyoshi sorrise, lo prese per mano e Hyuuga si sentì morire a quel tocco, mentre veniva trascinato fuori di casa.

La stretta di Kiyoshi era sicura, esattamente come quella della prima volta che si erano incontrati. Il cuore gli batteva fin troppo forte nel petto e una sensazione di imbarazzo lo pervase all’istante. Forse, constatare quanto le mani di Kiyoshi fossero effettivamente grandi, non era una cosa geniale da fare.

Ritrasse la propria mano non appena ne ebbe l’occasione e si ritrovò nel campetto da basket vicino alla loro casa.

“È ora di pareggiare i conti,” ridacchiò Kiyoshi, passandogli la palla in modo perfetto.

Sentì una scarica di energia attraversargli il corpo: adrenalina. Voleva davvero giocare con lui.

Hyuuga si aggiustò le maniche della maglietta cercando di avvolgerle sulle spalle e si sistemò, cominciando a correre per tentare di sfilare la palla a Kiyoshi. Era un giocatore formidabile e nonostante la sua stazza fisica e la sua altezza, era molto più scattante di ciò che si potesse pensare. Per un momento, dopo essere riuscito a sfilargli la palla, si bloccò di fronte al canestro. Si mise in posizione, lo guardò e pensò a tutte le volte che aveva desiderato vincere, tutte le volte che aveva fatto quel tiro da tre e i suoi compagni avevano gioito. Sentì l’amore e il sentimento che provava per quello sport e non desiderò altro che fare canestro. Almeno per un’altra volta.

E così fece.

La palla toccò il bordo e poi finì dentro, cadendo attraverso la rete intrecciata del canestro. Ricadde per terra, rimbalzando una, due volte, e poi rotolando fino ai piedi di Kiyoshi, che era vicino a lui.

Si chinò a raccogliere la palla e lo guardò con un sorriso d’intesa, dandogli una pacca sulla spalla come era solito a fare.

“Dovevi soltanto crederci,” affermò con un sorriso. Hyuuga avrebbe voluto strapparglielo via, ma in fondo non avrebbe potuto farlo davvero, non in quel momento.

Si sentiva felice anche lui, ed era tanto tempo che non provava quella sensazione.

Soltanto quando il sole cominciò a tramontare, Hyuuga e Kiyoshi smisero di giocare, e Junpei si sedette sull’asfalto del campetto con la schiena appoggiata alla rete, un sorriso un po’ stanco e la testa all’indietro. Kiyoshi gli offrì la propria bottiglietta d’acqua e Hyuuga la prese, sorseggiandone un po’.

“Ti ho fatto stancare,” ridacchiò divertito, sedendosi al suo fianco.

Junpei gli rivolse uno sguardo fugace.

“Ci vuole molto di più per distruggermi…” rispose, cogliendo la provocazione.

“Siamo entrambi fuori allenamento. Tuttavia credo che con la giusta lucidata, possiamo entrambi tornare al nostro splendore originario,” Kiyoshi afferrò la propria bottiglietta, riprendendola dalle mani di Hyuuga.

“Sei un idiota,” mormorò Junpei, abbassando la testa e guardandolo. Il suo profilo era illuminato dalla luce del tramonto e lui non poteva far a meno di notare come il suo sguardo fosse dolce e tranquillo anche dopo tutte quelle ore di gioco, come il suo sorriso fosse ancora più genuino di prima - e in parte come le sue sopracciglia fossero fin troppo spesse. Si sorprese per quei pensieri quasi romantici, ma Teppei riusciva a tirar fuori qualcosa che aveva sempre lasciato seppellito dentro se stesso, ovvero la propria parte sentimentale.

“Ehi! Cosa sono questi insulti a caso? Ti ho aiutato, mi sembra.”

Hyuuga scosse la testa.
“Sei un idiota perché riesci sempre a fare cose imbarazzanti, come portarmi qui per giocare ore e ore contro di te a basket.”

Teppei lo guardò con aria confusa.

“Lascia stare,” Junpei scosse la testa. “È che non mi sentivo così da una vita. È come se mi sentissi libero, come se ogni cosa fosse tornata al suo posto.”

Kiyoshi sorrise.

“Avevi solo bisogno della spinta giusta, probabilmente. O della persona giusta.” Kiyoshi aggiunse quell’ultima parte alla frase con voce un po’ meno sicura, e Hyuuga notò quella leggera sfumatura di tono.

Arrossì violentemente, provando imbarazzo per Dio solo sa cosa.

“Devi sempre dire cose imbarazzanti, non è vero?” borbottò Junpei.

Kiyoshi sorrise e gli passò una mano tra i capelli, scompigliandoglieli e causando una reazione nervosa in Hyuuga.

“Sei tu che le trovi imbarazzanti, non posso certo ogni giorno essere musone come te,” scherzò.

In quel momento il suo cuore perse un battito. Sperava che la mano di Teppei rimanesse lì, continuasse a passare nei suoi capelli e se lo tirasse al petto.

Ma questo non poteva ammetterlo né a lui, né tantomeno a se stesso.

Il suo odioso coinquilino era una persona amabile e di buon cuore e lui non era indifferente a tutte queste qualità. Le persone leali e determinate erano sempre state le sue preferite, anche se ogni tanto negava di avere anche solo dei sentimenti per altri ragazzi.

Doveva anche ammettere che i suoi sentimenti per Teppei erano diversi, a momenti quasi strani, ma non aveva mai voluto approfondire o indagare questo lato del loro rapporto.

“Sai Hyuuga, lo so che sotto quello strato di indifferenza verso le emozioni in verità tu sei una delle persone più emotive che io conosca. Ecco perché ho voluto giocare con te a basket, oggi. Volevo che tu ti mostrassi per quello che sei senza quelle inutili catene che ti metti giornalmente per sembrare una persona distaccata da tutto. Tu non sei questo. Tu vivi le emozioni più profondamente di chiunque altro e prima, mentre giocavi a basket, ho visto chi sei. Ho visto un ragazzo determinato che ha fatto il capitano e che probabilmente ha voglia di farlo di nuovo, ho visto una persona che si è sentita viva e interessata sul serio a qualcosa. Questa è la tua strada,” Kiyoshi prese la palla da basket al suo fianco e gliela passò. “E tu dovresti davvero prendere in considerazione di seguirla.”

A quel punto, Junpei chinò la testa e strinse la palla, poggiando la fronte su di essa, perché non poteva più trattenersi. Quell’idiota gli aveva fatto riscoprire la voglia di giocare a basket, ma anche quella di essere se stesso, di tornare a vincere. Si tolse gli occhiali e soffocò i singhiozzi, cominciando a piangere. Non era tristezza, ma piuttosto una liberazione, e odiava l’idea di farlo davanti al suo coinquilino ma non poteva più trattenersi. Si sentiva felice di poter ricominciare a giocare senza vedere il fantasma della Rakuzan - la squadra che lo aveva sconfitto - perseguitarlo ogni volta che teneva la palla da basket tra le mani.

Kiyoshi lo avvolse tra le sue braccia con un gesto fraterno, affettuoso, e Hyuuga si lasciò semplicemente andare, pensando che avrebbe fatto finta che tutto ciò non fosse mai successo, nonostante le braccia di Teppei fossero decisamente un bel posto dove stare.

 

In men che non si dica Teppei tirò su un club di basket o qualcosa del genere. Non era una vera e propria squadra, non ancora, più un gruppo di amici disposto a ritrovarsi per qualche partita fuori dagli orari universitari. Era riuscito a coinvolgere un certo Kagami Taiga e un altro ragazzino piuttosto strano, chiamato Kuroko Tetsuya. Aveva occhi grandi e azzurri e l’aria un po’ smarrita, senza contare che nessuno si accorgeva mai della sua presenza. Sembrava un tipo interessante, però, perché nel momento in cui cominciava a giocare riusciva a tirare fuori la sua straordinaria abilità di “fantasma.”
Hyuuga invece aveva deciso di coinvolgere uno dei suoi più cari amici del liceo, Shun Izuki. Era uno dei migliori giocatori della squadra e lui gli era davvero molto affezionato.
Ogni giorno si ritrovavano insieme ad altri ragazzi tirati dentro da Kiyoshi, dove c’erano anche tipi non troppo esperti - come quel Furihata Kouki, sicuramente dotato di buona volontà ma ancora molto acerbo - ma non era la cosa fondamentale: riuscivano a divertirsi, e Hyuuga non era sicuro di aver mai vissuto il basket da quel punto di vista. Era tutto molto più leggero e giocare con Teppei rendeva le cose facili: con un solo sguardo sapeva già cosa avrebbe fatto l’altro e non c’era bisogno di gesti o parole. Sapeva che ogni suo passaggio o tiro sarebbe andato a segno e si basavano sulla reciproca fiducia.

Junpei si chiedeva se fosse possibile che appena un paio di mesi di convivenza riuscissero a creare un legame del genere ma, evidentemente, loro erano la prova tangibile che era possibile.

Insieme a tutti quei ragazzi, a loro si unì anche Riko Aida, che cominciò a far parte delle loro vite: una ragazza energica e piuttosto informata per tutto ciò che riguardava il basket. Era diventata la loro coach ed era anche un’amica storica di Hyuuga. Era stato lui a ricercarla e sebbene lei fosse un po’ in disappunto, Teppei era riuscita a convincerla. A volte Junpei guardava Riko chiacchierare con Kiyoshi durante le pause o mentre erano a casa e, per qualche ragione, lui provava una fitta allo stomaco ogni volta. Una fitta che sembrava più simile a un sentimento e che avrebbe potuto chiamare ‘gelosia’ ma che non voleva denominare così.

Il peggio era che la gelosia non fosse nei confronti di Riko, ma di Teppei, e questo complicava molto le cose.
L’idea di provare un sentimento anche soltanto vicino alla gelosia per il suo coinquilino era… assurda. Perché mai avrebbe dovuto volere l’esclusiva sul rapporto che aveva con Kiyoshi? In fondo era giusto che avesse degli amici o delle amiche o magari anche una fidanzata.

 

Un giorno Teppei gli si avvicinò, sorridente come al suo solito e gli porse un bicchiere di tè freddo. Era quasi estate e ormai era passato anche qualche mese dall’inizio della loro convivenza.

“Pensieroso?” domandò sedendosi vicino a lui.

Hyuuga alzò lo sguardo.

“Solo un po’ stanco.”

“Mh…”

Kiyoshi fece ondeggiare un poco il bicchiere osservando i cubetti di ghiaccio.

“Credevo di aver imparato a conoscerti ormai, ma sei sempre pieno di sorprese. In questo periodo stai dando il massimo con gli altri e credo che farti capitano sia stata la scelta più saggia.”

Junpei fece scorrere lo sguardo sulla maglietta di Kiyoshi: era fastidiosamente rosa, un po’ come le sue parole, sempre così velatamente romantiche.

“Non so, a volte credo abbiate sbagliato. Saresti stato più indicato tu come capitano, mi chiedo spesso perché Riko non abbia scelto te…”

Kiyoshi scosse la testa “io sono un buon motivatore, ma non abbastanza per fare il leader. Tu hai il polso e il carisma, e credo che sia giusto che lo faccia tu.”

Hyuuga mormorò un “grazie” appena sussurrato e arrossì violentemente. Quell’idiota lo metteva sempre in soggezione.

Teppei appoggiò il bicchiere sul tavolo.

“Allora, c’è qualcosa tra te e Riko?” domandò improvvisamente e Hyuuga sussultò sul posto. Era forse una domanda per capire se avesse via libera? La cosa lo spaventava.

“No, piuttosto mi chiedevo se non piacesse a te,” rispose Junpei con sincerità. Non voleva girarci troppo attorno.

Teppei fece un’espressione sorpresa, seguita da una confusa.

“Do quell’impressione?”

Hyuuga annuì, mentre dentro di lui si apriva una battaglia fatta di ansie e paranoie contro la razionalità e il saggio ‘cosa te ne frega se questo tipo vuole stare con Aida?’.

“Sì.”

Kiyoshi si lasciò scappare una risata.

“No, non mi piace Riko. Forse l’argomento non era ancora venuto fuori in questi mesi di convivenza perché beh… avevo paura di spaventarti, ma io non sono attratto dalle ragazze,” rispose con semplicità, fin troppa semplicità. Hyuuga si chiese come fosse possibile che Teppei gli avesse appena confessato la sua omosessualità con una tale leggerezza, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
E se fosse stata la cosa più naturale del mondo? In fondo lui era il primo a vederne tanti, di omosessuali. Fin da piccolo era cresciuto con suo padre e andava ogni giorno nel suo negozio di parrucchieri per vederlo tagliare e creare acconciature sempre nuove. Ne erano passate tante di persone in quegli anni e di tutti i tipi.
Eppure, per qualche ragione, il fatto che Kiyoshi fosse effettivamente gay lo sconvolgeva e in parte compiaceva allo stesso tempo. Da anni Hyuuga aveva cominciato a farsi domande sulla propria omosessualità e da tempo aveva trovato una risposta che non voleva dire a voce alta. Tutta colpa di quel ragazzo che aveva visto al liceo, un certo Reo Mibuchi, che aveva odiato con ogni fibra di sé per avergli anche soltanto scatenato quel genere di pensieri.

Tutt’ora Junpei non accettava sul serio ciò che era, ma comunque aveva cominciato ad abbracciare l’idea che potesse piacergli un uomo.

“Non mi spaventa. Suppongo che lo avrebbe fatto fino a qualche anno fa,” rispose Hyuuga, smettendo di sorseggiare il suo tè, “ma non ora.”

Kiyoshi tirò un sospiro di sollievo e si appoggiò una mano sul petto.

“Piuttosto, Riko sembra proprio cotta di te,” disse, alzandosi.

Junpei notò il sorriso sulle sue labbra e provò un moto di irritazione. Per quanto Riko fosse in gamba, non era di lei la persona di cui si stava innamorando.

 

Una delle tante regole della loro casa era “niente festini”, e ciò significava: niente alcol, niente confusione e mai più di uno o due ospiti che rimanevano a dormire. Tuttavia, quella sera avevano deciso di fare uno strappo a quella regola e si erano concessi un po’ di alcol in più a tavola e qualche amico. Kiyoshi era stato entusiasta di cucinare per più persone e Hyuuga decise di approfittarne per anneggare, almeno un po’, i propri pensieri nell’alcol.
Qualcosa in lui stava cambiando e quel qualcosa erano i propri sentimenti verso il suo dannatissimo coinquilino.

L’atmosfera era allegra, quasi familiare: tutti erano al loro posto, in un certo senso. Kuroko e Kagami sembravano essersi trovati, una coppia destinata a stare insieme ma che aveva avuto modo di legarsi solo grazie al basket, un po’ come lui e Teppei. Poi c’erano Izuki e tutti gli altri, che parlottavano tra di loro piuttosto allegramente dopo qualche bicchiere di saké.
Infine c’era lui: che beveva l’ennesimo sorso di liquore e crollava lentamente verso Kiyoshi, desiderando con ogni fibra del proprio corpo appoggiarsi alla sua spalla e lasciarsi coccolare. Le mani di Kiyoshi erano grandi e anche le sue spalle, e stava perdendo il conto di quante volte avrebbe desiderato accasciarsi lì ed addormentarcisi. Peccato che non ci fosse niente di più sbagliato che desiderare il proprio coinquilino come fidanzato. I punti di svantaggio erano così tanti che Hyuuga si stancava non appena pensava ai primi due: era un ragazzo ed erano coinquilini. Stare insieme sarebbe equivalso ad una sorta di convivenza, e comunque solo perché Teppei aveva praticamente ammesso di essere gay non significava che gli piacesse lui. Esattamente come Junpei aveva dei gusti precisi, anche l’altro forse non provava attrazione immediata verso tutti gli uomini.
Finì il sorso di saké nel proprio bicchierino e se ne versò dell’altro: non sarebbe mai stato abbastanza, ma avrebbe tanto voluto che l’alcol lo sciogliesse fino a permettergli di far parlar il cuore. In vino veritas, in fondo.

Giocare ad Hanafuda da quasi ubriachi non era il talento di nessuno, ed è per questo che le ripetute vittorie di Kiyoshi gli fecero pensare che quest’ultimo, in fondo, non fosse poi così brillo. Certo, Junpei vedeva tutto un po’ sfuocato e forse Teppei non stava nemmeno vincendo veramente, ma sicuramente sembrava il più sobrio di tutti.
Si odiò per qualche minuto: perché aveva bevuto? Lui e l’alcol avevano un pessimo rapporto, ci voleva davvero poco per farlo uscire di senno e altrettanto poco per farsi salire una sbronza triste da far paura.
Si fece da parte mentre gli altri continuavano a giocare a Hanafuda, cercando aria fresca e possibilmente tanta acqua.

“Hai bisogno di una doccia?” dietro di lui spuntò Teppei, con un bicchiere di acqua fresca tra le mani. Hyuuga si era seduto sulle assi di legno fuori dalla porta, cercando di osservare la luna che in quel momento sembrava un disco doppio, o qualcosa di simile. Avrebbe voluto afferrarla quella luna, e per questo teneva il braccio teso verso l’alto di tanto in tanto.

“Con te?” ribatté Junpei, con una voce poco stabile.

“O senza. Ma hai sicuramente una sbornia paurosa. Domani mattina ti pentirai di aver strafatto,” gli porse il bicchiere e Junpei lo afferrò un po’ tremolante, bevendo l’acqua. Kiyoshi gli si sedette vicino.

“Che importa, quando comunque l’unico modo per sciogliermi un po’ è questo…”

“E non lo odi?”

Hyuuga gli rivolse uno sguardo enigmatico, in parte per l’alcol, in parte perché sapeva la risposta che stava per dare.
“Sì, ma non troverei mai il coraggio di fare ciò che sto per fare se non avessi bevuto almeno un po’.”

Si avvicinò pericolosamente a lui, gli prese il volto tra le mani e senza troppe cerimonie lo baciò. Fu un bacio goffo e impacciato, perché Hyuuga era davvero troppo brillo per capire cosa stesse facendo e Kiyoshi sembrava non aspettarsi una mossa del genere. Le loro labbra si mossero con incertezza, ma nessuno dei due sembrava volersi allontanare. Junpei sentì le braccia di Teppei stringerlo forte, mentre cominciava a spingere la lingua nella sua bocca come se fosse l’ultima cosa al mondo che potesse fare.
Hyuuga non capì più niente e ogni suo senso andò letteralmente a puttane, perdendo ogni briciolo di integrità. Ricambiò il bacio con entusiasmo, stringendosi all’altro, senza davvero comprendere ciò che stava facendo. Era come se non fosse lui a baciare Teppei, ma qualcun altro.
Si distaccò portandogli le mani sul petto e spingendolo via, quasi come se avesse realizzato solo in quel momento cosa stavano facendo. Si toccò il labbro inferiore, incredulo.
La cosa peggiore che potesse capitargli, apparentemente, non era un coinquilino disordinato, stupido o drogato, ma qualcuno di così perfetto da farsi amare da lui.

“Junpei?”

Hyuuga alzò gli occhi e lo guardò, allontanandosi da lui.
“Non chiamarmi per nome,” mormorò, lasciando la stanza qualche istante dopo, sconvolto da ciò che era appena successo.

 

L’indomani, vivere in casa con l’imbarazzo e il senso di colpa attanagliante, era qualcosa che Hyuuga non riusciva a sopportare. Doveva vivere con l’orecchio attaccato alla porta e fare attenzione ai rumori: per nessun motivo voleva incontrare Kiyoshi per caso. Avrebbe vissuto fuori dalla propria camera solo e soltanto quando il suo coinquilino fosse uscito.
Era ridicolo? Sì, ovviamente lo era, ma comunque non voleva incrociare il suo sguardo e notare i suoi occhi dolci e probabilmente il suo sorriso da ebete.
Erano entrambi innamorati, forse, ma Junpei faceva molta fatica a pensarlo, figuriamoci accettarlo.

Quando sentì sbattere la porta di casa, Hyuuga fece capolino fuori dalla sua camera, guardandosi intorno. Kiyoshi sembrava davvero essere uscito.
Andò in cucina a prepararsi la colazione, per fortuna Teppei usciva sempre prima di lui al mattino.

“Buongiorno!” una voce provenne a dietro le sue spalle e Junpei si voltò, trovandosi Kiyoshi di fronte al proprio naso.

Quel bastardo.

“Pensavi davvero di potermi evitare? Credo di conoscerti abbastanza bene, per questo ho sbattuto la porta, prima. Immaginavo che non avresti voluto vedermi e non potevo permetterti di fare una cavolata del genere,” Teppei gli rubò il bicchiere con del succo che aveva appena preparato e cominciò a sorseggiarlo. Hyuuga deglutì, arrossendo visibilmente.

“Non ti permettere-” Junpei cominciò e cercò di riprendersi il bicchiere, ma si interruppe non appena vide che i loro volti erano di nuovo troppo vicini.

“Rilassati,” sussurrò Kiyoshi, allontanandosi appena e guardando l’altro negli occhi. “E comunque, i tuoi occhiali sono sporchi,” disse, uscendo poi dalla stanza e prendendo la propria tracolla. Hyuuga se li tolse e pulì le lenti, sfregandole con troppa energia.

Quel maledetto idiota riusciva sempre a farlo sentire in imbarazzo.

Lo odiava. O forse no.

Forse lo amava.

 

6 anni dopo

Un suono forte risuonò nella stanza e Hyuuga lasciò vagare la propria mano sul comodino, fino a trovare la sveglia. La colpì con una certa forza, tanto che questa cadde a terra.

Odiava svegliarsi la mattina, odiava vivere la mattina, odiava tutto al mattino in effetti.

Si guardò intorno, al contrario suo Kiyoshi era ancora avvolto nel lenzuolo e aveva la testa ben piantata sul cuscino. Riusciva a dormire come un sasso in qualunque situazione. 

Si stiracchiò e scostò le coperte, andando in cucina per preparare la colazione: non era mai stato lui quello bravo a cucinare, ma occasionalmente lo faceva comunque.Ogni tanto, Junpei si soffermava a pensare come un semplice annuncio gli avesse cambiato la vita. Lui e Kiyoshi convivevano da quasi 7 anni, il primo anno da coinquilini e successivamente da fidanzati. Il percorso non era stato facile e spesso Hyuuga aveva pensato di chiudere tutto, prendere ogni cosa e andarsene. Kiyoshi gli aveva sempre dato sempre una ragione per restare ed era più che sufficiente.

Come fossero passati dall’essere coinquilini a conviventi non gli era stato ben chiaro: una sera Kiyoshi si era infilato nel suo letto e da quel momento tutto era cambiato; non c’erano più due bicchieri per gli spazzolini, non più due camere separate, non più “mio” e “tuo” ma semplicemente più un “nostro”. Se ci pensava, Junpei si sentiva un po’ imbecille, perché tutto ciò era stato estremamente semplice, Teppei lo aveva reso semplice anche quando sembrava non esserlo. C’era naturalezza nel loro rapporto, come se fosse semplicemente sempre stato destinato ad essere così. Come se non avesse mai potuto amare o incontrare qualcun altro di così adatto a sé. Erano tutte banalità da pensare, ma quando Hyuuga si ritrovava stretto tra le braccia di Kiyoshi, si sentiva sempre come una quattordicenne alla prima cotta, nonostante facesse di tutto per negarlo e si ostinasse a non proferir parola, ma anzi a mostrarsi sempre un po’ scocciato e imbarazzato.

Le più piccole cose erano diventate abitudini: come apparecchiare per due o fare il bucato per entrambi, erano compiti che si spartivano e non c’erano più i turni sulla loro lavagnetta in cucina.

“Buongiorno,” delle mani lo cinsero da dietro e Teppei gli diede un bacio leggero sul collo. Hyuuga sorrise. Non poteva essere in nessun posto migliore di quello: era giusto. Era giusto il modo in cui Teppei lo stringeva a sé, il modo in cui gli teneva le mani e come lo rassicurava.

“Ho quasi finito di preparare la colazione.”

“È sempre strano quando sei tu a farlo,” rispose Kiyoshi, prendendosi un toast e sedendosi lì vicino.

“Lo so, non sono un grande cuoco.”

La prima volta in cui Hyuuga si era accorto di essere innamorato di lui era proprio in quell’esatto punto della cucina: aveva guardato verso l’ingresso ed aveva capito di essere disperatamente innamorato del suo coinquilino. Per qualche giorno si era odiato per esser giunto a quella conclusione, e aveva anche cercato di evitare Teppei il più possibile, fino a quando non si era ritrovato di nuovo attaccato al muro con le labbra dell’altro sulle proprie. In quel momento, Hyuuga era sceso a patti con se stesso. Si era innamorato di Kiyoshi Teppei e non vi era nessuna opportunità per tornare indietro.

 

Il suo stupido coinquilino dai sorrisi delle sette del mattino, quando lui avrebbe solo voluto buttarsi di nuovo sotto le coperte e odiare il mondo per le tre ore successive.

Il suo stupido coinquilino dagli abbracci forti e caldi, dai discorsi imbarazzanti e dall’aria rassicurante.

Il suo stupido coinquilino, che gli portava a casa un pacco di biscotti dopo le lezioni e che lo invitava sul divano per divorarselo insieme, come se niente fosse e non contenessero calorie.

Il suo stupido coinquilino: quello di cui si era perdutamente e irrimediabilmente innamorato.

La loro non era stata una storia speciale: nessun colpo di scena, nessuna stramba avventura, tuttavia, per quanto banale, quella era stata la loro storia.

Note finali: Prima di pubblicarla mi sono chiesta se non fosse stato il caso di riscriverla, poi mi son resa conto di non riuscire ad immaginare un'evoluzione diversa, per cui l'ho lasciata così. Doveva essere una one shot e tale è rimasta...
Mi mancano i KiyoHyuu e mi manca scrivere, ecco perché l'ho ripresa in mano. Spero di poter tornare attiva dopo gli esami e di rimettere mano alla tastiera. Qualcuno si starà chiedendo che fine ho fatto (o forse no, non in questo fandom) ma quest'anno la mia vita è stata piacevolmente piena d'impegni. Comunque, fatemi sapere cosa ne pensate se ne avete voglia, sono sempre aperta a commenti e messaggi :)

-Flan 

 
   
 
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