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Autore: JulyChan    08/06/2016    21 recensioni
Era un pomeriggio umido di Ottobre quando Draco se la ritrovò nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Daphne era entrata nella stanza senza tanti convenevoli, così come era già entrata e uscita dalla sua vita in passato.
«Da che parte stai, Greengrass?»
«Ovunque, ma non dalla tua.»
[Daphne/Draco]; [Prima classificata ai contest "Fatemi innamorare... della vostra OTP!" di Mitsuki91, "One shot per tutti i gusti!" di Freya Crystal, "AAA Cercasi capolavoro" di La_Dama_Del_Lago, "Don't leave us aside" di zarte ros e "Al modo in cui appassiscono le rose" di aware_ e kosmos_;]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Draco Malfoy | Coppie: Draco/Astoria
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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QUANDO IL TEMPO
NON PASSAVA

| i l   f u t u r o   è   t u t t o   d a   v e d e r e ,
t u   l o   v e d i   p r i m a . |
 
 
 


 

 
    Daphne Greengrass era sempre stata una creatura sfuggente.
    Da che aveva memoria, Draco Malfoy la ricordava sgusciare via di nascosto per allontanarsi da ogni tipo di decoro imposto e girovagare a casaccio per i giardini del Manor, nascondendosi ogni volta in un posto diverso, per la dannazione dei suoi genitori.
    Ricordava le estati appiccicose e il profumo di erba dei suoi capelli arruffati, le mani piene di graffi a furia di arrampicarsi chissà dove. Ricordava i bui mesi invernali e il suo naso screpolato, i vestiti svolazzanti schizzati inevitabilmente di fango quando pioveva.
    A undici anni l’aveva paragonata a una cavalletta, per il suo aspetto selvatico, per le gambe magre e affusolate, per l’andatura dinoccolata. Narcissa lo aveva rimproverato, perché non era cortese paragonare una bambina a un insetto così sgradevole. Allora lui l’aveva paragonata a una libellula, per i suoi capelli lucenti e per la grazia con la quale pareva librarsi in volo ogni volta che correva a piedi nudi tra i fiori. Daphne l’aveva guardato di traverso in entrambi i casi e, con la fronte aggrottata come aveva visto fare ai più grandi, se n’era andata sbuffando, strappando qualche petalo alle rose lungo il viale, per dispetto.
    Più tardi, mentre i grandi prendevano il tè delle cinque e ripetevano estasiati quanto fosse cresciuta la piccola Astoria, Draco l’aveva raggiunta di nascosto e le aveva strappato il fiocco dal vestito, per ripicca. Lei lo aveva lasciato fare e, con un guizzo di selvaggio divertimento negli occhi, si era liberata anche degli altri fronzoli.

 

 
***

 
 

«Come mai sei in punizione?»
«Ho tirato i capelli ad Astoria.»
«Perché?»
«Ha rubato il mio diario.»
«Forse hai esagerato.»
«Ma lei mi ruba sempre tutto, Draco.»


 
 
***
 


 
    Non era mai stata di tante parole, Daphne, non con lui, perlomeno, ma era sempre stata di tante facce, una più incisiva dell’altra. Che poi quelle facce si sarebbero trasformate in maschere, nessuno l’aveva previsto.
    Quando entrambi erano cresciuti, i loro incontri erano diminuiti, i loro scontri anche. Nonostante si fossero ritrovati nella stessa Casa di Hogwarts, era sempre più raro che condividessero gli stessi spazi. Quando durante le lezioni e durante i pasti la convivenza si faceva forzata, Daphne era solita sedersi da sola, alle estremità della tavolata, nei recessi più bui delle aule. Non gradiva nessuna compagnia se non quella di se stessa, glielo si leggeva in faccia, e piuttosto che unirsi alla cricca elitaria di Pansy Parkinson, preferiva osservare il bestiario della Hogwarts bene in disparte, appartata nei suoi anfratti prediletti.
    Draco avrebbe anche vissuto questo allontanamento con più afflizione, se non avesse imparato sin da subito a cementare ogni emozione dietro la fredda lama dell’impassibilità. Così, il ricordo della ragazzina sbilenca si era affievolito e la sua mente aveva fatto posto a ben altri diversivi, a partite di Quidditch, duelli illegali e passatempi poco raccomandabili.
    Lei si era fatta sempre più silenziosa, lui sempre più distante, ma lei continuava a cercare con lo sguardo le spalle sempre più marcate di lui e lui continuava a osservare rapito la nuca sempre più dorata di lei.
 

 

***
 


 
«Hai dimenticato in classe il tema di Trasfigurazione.»
«Mi stai parlando, Greengrass. A cosa devo l’onore?»
«Solo necessità. Le parole sono sopravvalutate.»
«Puoi venire a Hogsmeade con noi anche senza parlare.»
«Non credo lo farò.»
«Perché?»
«È più facile starvi lontano.»

 

 
***
 

 
    Era un pomeriggio umido di Ottobre e la pioggia picchiettava sulle finestre del settimo piano, proiettando ombre formicolanti sul pavimento di pietra, quando Draco se la ritrovò nel posto sbagliato al momento sbagliato.
    Lei sedeva ai piedi di una rientranza del muro con le lunghe gambe incrociate in una posa scomposta e la testa piegata leggermente di lato. Sul suo viso imperava un’espressione rilassata, mentre soffiava piccole nuvolette violacee di fumo verso il soffitto, noncurante del fatto che potesse essere scoperta e ricevere una punizione. La statua di un grosso gargoyle lì vicino le gettava addosso un’ombra lunga, ma non abbastanza da nascondere la cascata dorata che le si riversava sulla spalla, non abbastanza da renderla irriconoscibile.
    Lui le passò davanti e Daphne alzò appena lo sguardo, degnandolo di una blanda attenzione, ma la sicurezza sul viso venne tradita dai suoi gesti quando, a causa di uno scatto inquieto della mano, una pioggia di cenere le si sparse sulla gonna.
    Draco la superò svelto, per poi rallentare l’andatura una volta svoltato l’angolo. L’incertezza dei suoi passi era ormai sintomo dell’inevitabile quanto inspiegabile smania di fare marcia indietro, ma si stupì di sentire il rintocco dei suoi passi pochi istanti dopo, quando si era deciso finalmente a proseguire e la porta della Stanza delle Necessità era appena apparsa sulla parete prima intonsa. Non fece in tempo a maledirsi per essersi fatto fregare così ottusamente, che lei lo aveva oltrepassato lasciando dietro di sé una scia di fumo e fiori selvatici.
    Daphne era entrata nella stanza senza tanti convenevoli, così come era già entrata e uscita dalla sua vita in passato.
 


 
***
 

 

«Mi hai spiato.»
«Io non spio. Io osservo.»
«Esci da qui, Greengrass.»
«Cosa stai facendo?»
«Quello che non sai non può farti male.»
«Questo dovrei deciderlo io.»
«Esci da qui, Daphne
«Solo quando lo farai tu.»
 

 

***
 
 


    Draco non si stupì quando, il giorno dopo e quello dopo ancora e tutti gli altri a venire, l’aveva ritrovata sempre lì, ad aspettarlo. E non si stupì nemmeno quando, nonostante i suoi numerosi tentativi di bloccarla, minacciarla e persuaderla ad andarsene, si era limitata a lanciargli uno sguardo velenoso e non aveva accennato a cambiare idea.
    Lei aveva continuato a ignorarlo come aveva sempre fatto e lui, alla fine, si era abituato a quella figura silenziosa appollaiata su un vecchio comodino in palissandro, alternandosi tra un tema di Pozioni e un libro del Reparto Proibito, con una sigaretta sempre in bilico tra le dita e del fumo violetto ad avvolgerla.
    Non gli aveva più fatto domande, di questo Draco le era grato, e avrebbe continuato così se lui non avesse permesso il contrario, di questo Draco era certo. Piuttosto, era lui che avrebbe voluto porgliene alcune, ma vi era fra di loro un qualche patto segreto stipulato tacitamente anni e anni prima, tra una rosa spezzata e un nastro stracciato.
    C’era sempre stato il silenzio, fra di loro. Anche quando lui aveva imprecato e lei aveva distolto gli occhi dalle pagine dei suoi libri, indugiando un attimo sulla sua mascella contratta, prima di tornare a sfogliarle. Anche quando lui aveva scagliato per la rabbia la bacchetta lontano e lei l’aveva recuperata con un incantesimo non-verbale. Anche quando lui aveva preso a pugni l’anta dell’Armadio Svanitore e lei era scivolata silenziosa al suo fianco per prendergli la mano e pulirgli la ferita. Anche quando lui aveva urlato per il dolore tenendosi l’avambraccio e lei l’aveva schiantato per farlo svenire, concedendogli una parvenza di tregua.

 

 
***
 

 

«Silente è morto.»
«Lo so.»
«Non hai nulla da dirmi nemmeno ora?»
«Ti preferivo quando non parlavi.»
«Hai ucciso un essere umano, Draco!»
«Non sono stato io, Daphne.»
«Lo so, ma l’hai ucciso comunque.»
 

 

***
 
 


    Draco aveva tentato di spiegarle tutto durante uno di quei giorni in cui trattenersi era diventato impossibile, ma sapeva che un solo passo falso avrebbe potuto essere decisivo. Allora, aveva ricordato che le parole spesso vengono sopravvalutate e aveva cercato un altro modo per esporre le sue ragioni, ma quella capacità non era mai stata una sua prerogativa.
    Nel bene e nel male.
    Daphne aveva tentato di trascinarlo dalla sua parte, una parte fatta di camminate rasenti ai muri e pomeriggi all’ombra delle querce più lontane e ore trascorse in un angolo della biblioteca a sfogliare tomi polverosi, mentre tutt’intorno la guerra imperversava e le fazioni si schieravano e la gente si pugnalava alle spalle.
    Nel bene e nel male.
    Lui le aveva rinfacciato l’obbedienza al dovere e l’importanza della purezza, ma Daphne questo non l’aveva mai capito. Lei aveva provato a salvarlo con tutta se stessa - e anche di più -, ma Draco questo non l’aveva mai capito.
    Il sangue è più denso dell’acqua, Daphne aveva sentito spesso ripeterlo, ma non ne aveva mai compreso appieno il vero significato, almeno fino al momento in cui non aveva osservato i Malfoy stringersi e guardarsi attorno, circondati dal fumo del treno in partenza per Hogwarts e sormontati da un qualcosa forse più grande delle loro possibilità. Eppure, continuava a non capire come si potesse essere così ciechi e stupidi, così privi di spina dorsale da non riuscire a scostarsi per un po’ da una situazione talmente asfissiante da esser diventata un vicolo cieco.
    Lei aveva ottenuto carta bianca, più per esasperazione che per nobiltà d’animo; lei aveva cara la pelle, più per istinto di sopravvivenza che per amor proprio; lei aveva scelto di nuovo il silenzio, più per propensione che per convenienza.
    Nel bene e nel male.
 

 

***
 
 


«Hai torturato la Weasley.»
«Se l’è cercata. È una traditrice del suo sangue.»
«Siamo più che sangue e carne e ossa, Draco.»
«Da che parte stai, Greengrass?»
«Ovunque, ma non dalla tua.»
«Cosa vuoi dire?»
«È più facile starti lontano.»
 

 

***
 
 


    L’estate era ormai giunta e il sole particolarmente cocente picchiava sui vetri delle finestre, creando giochi di luce a dir poco scenografici, tanto da chiedersi se fosse stata fatta qualche magia anche lì.
    Era da anni che Draco aveva imparato a detestare le giornate di sole. La sua costante abitudine a vivere nell’ombra si era ormai consolidata a tal punto da mascherare perfettamente con l’odio ciò che bramava e non poteva avere.
    Nei sotterranei il sole non arrivava mai, pertanto tale assenza ne aveva reso più facile il netto distacco. Ciò che non aveva previsto, però, era che le sue abilità dissimulatrici gli sarebbero tornate utili anche per mascherare ciò che bramava e non voleva avere.
    Odiare Hogwarts e tutto ciò che essa rappresentava era stato facile, all’inizio, quando pensava di conoscere il suo destino, quando pensava di sapere come sarebbe andata a finire, quale sarebbe stato il suo posto. Si era crogiolato in una convinzione ammaliatrice che l’aveva irretito con false promesse, per poi tradirlo, sciogliendosi come neve al sole, bagnandolo di una consapevolezza talmente forte da farlo smettere di respirare, da farlo annaspare mentre cercava di risalire in superfice. E ora Hogwarts era diventata la sua prigione, i suoi corridoi un’arena piena di belve assetate di sangue – del suo sangue -, Serpeverde un’eterea bolla di sapone attorniata da un reticolo spinato; ma era anche diventata la sua ancora di salvezza, un posto lontano dal mondo e lontano da quel futuro che ora gli era ignoto e con cui non voleva scontrarsi, ma che sapeva essere ormai giunto nell’esatto momento in cui, quella mattina, aveva messo il punto vicino l’ultima parola dell’ultima risposta all’ultima domanda dei M.A.G.O., una piccola macchiolina nera che aveva fissato attonito per qualche istante prima di costringersi ad alzarsi e incamminarsi verso l’uscita. Si era voltato solo una volta, lanciando un’occhiata impercettibile alla porta dell’aula mentre si chiudeva ermeticamente con un incantesimo, per poi avviarsi con una scrollata di spalle verso i sotterranei.
    Nei sotterranei il sole non arrivava mai.
    Ciò che non l’avrebbe abbandonato affatto, invece, era la certezza che nascondersi dietro la sua impassibilità fosse tanto utile per raggirare gli altri, quanto vano per ingannare Daphne Greengrass, lei che aveva sempre un asso nella manica, che era sempre un passo avanti pur restando indietro, lei che vedeva sempre tutto prima.
    Quel giorno, lui l’aveva trovata nella sua stanza, nella penombra, lontana dal sole accecante, ma capace di splendere di luce propria. Era appoggiata con il suo fare indolente sul suo letto, le dita affusolate scorrevano sulle lenzuola di seta sgualcite e, a intermittenza, le stringevano in una lieve morsa convulsa.
    Mentre lei scrutava sorniona il disordine sul pavimento, Draco sentì l’impulso di mettersi sulla difensiva e raccolse alcuni libri, gettandoli con un po’ troppa ferocia in uno dei bauli aperti, tirando poi fuori la bacchetta per scagliare alla rinfusa anche una manciata di indumenti non meglio identificati. Quando sentì lo sguardo inquisitorio di Daphne farsi insistente, sbuffò sonoramente e si sedette per terra, lasciando andare la bacchetta e artigliando una cravatta, alla quale iniziò a dedicare la sua più completa attenzione. 
    L’ultimo anno era trascorso così, in una penombra dove lei presto o tardi l’aveva raggiunto, tentando di portare, se non un po’ di luce, almeno un pallido bagliore, la smunta imitazione di un sollievo che lei non era capace di dare e lui non era sicuro di meritare. Gli era stata vicino, ma sempre a un passo di distanza, e l’aveva visto sottostare a un processo che, più che un vero atto di giustizia, era stato una mera farsa, un premio di consolazione per coloro che ancora vagavano disperati alla ricerca di qualcuno da incolpare. L’aveva guardato seguire le lezioni con il capo chino sui libri, sfuggire gli sguardi accusatori e spavaldi che ormai avevano cambiato direzione e destinatario, stringersi convulsamente la manica della camicia quando pensava di non esser visto. L’aveva osservato scivolare cupo per i corridoi del castello, riempirsi di misure cautelari per passare inosservato, scagliare al colmo dell’esasperazione oggetti alle pareti pur di non lanciare Schiantesimi alle persone.
    E ora teneva gli occhi puntati sulla sua nuca, ancora, per un’ultima volta, guardandolo da una certa distanza, in attesa, tentando di scorgere quella minima increspatura alla quale si sarebbe aggrappata pur di scalfirlo e leggergli dentro.
    Era tempo di saluti, quel giorno, e Daphne attendeva che lui smettesse di ignorarla, ostinato, e di stropicciare tra le mani quella povera cravatta, e che alzasse gli occhi e la guardasse e le desse finalmente l’opportunità di congedarsi, di recidere quel filo intimo e invisibile che sembrava ancora congiungerli tenacemente. Sarebbero usciti da lì insieme, ancora, per un’ultima volta, ma poi ognuno sarebbe andato per la sua strada, e Daphne voleva sapere se lui fosse pronto a tale eventualità - doveva saperlo -, perché almeno uno dei due doveva esserlo, e lei non poteva – non sapeva - essere quella persona.
    Lui si voltò quando sentì le molle del materasso cigolare debolmente e non si stupì nel ritrovarsela davanti, inginocchiata alla sua stessa altezza. Nonostante il breve lampo di arrendevolezza nei suoi occhi, la guardò con studiato atteggiamento di sfida e afferrò la bacchetta, ricominciando a riordinare abiti a caso, questa volta con più delicatezza. Quando anche l’ultimo baule si chiuse con uno schiocco, la stanza ormai sgombra irradiò solamente un senso di inquietudine.
    Era tempo di saluti, quel giorno, e allora Daphne gli disse addio nell’unico modo ammissibile per una persona che le parole le utilizza con parsimonia.
    Draco avrebbe voluto prenderla per un braccio e fermarla, avrebbe voluto chiederle le ragioni di quel bacio, per poi fare solo finta di ascoltarle, quelle ragioni, perché non sempre se ne ha bisogno. Avrebbe voluto dirle che non doveva trattarsi per forza di un addio, quel bacio, e che lui invece di ragioni sarebbe stato disposto a dargliene - tutte le ragioni del mondo -, se lei le avesse chieste, e poi avrebbe trovato altri mille modi per baciarla, per baciarla senza dirle addio.
    Ma Daphne era uscita dalla stanza senza tanti convenevoli, così come era già entrata e uscita dalla sua vita in passato.
    Nei sotterranei il sole non arrivava mai.
 


 
***
 

 

«Tu lo sapevi.»
«Astoria mi ruba sempre tutto, Draco.»
«Da quando lo sai?»
«Da quando mi hai strappato il fiocco.»
«E non hai mai detto niente?»
«Le parole sono sopravvalutate.»
 

 

***
 
 


    Lui voleva amarla, dolcemente e pazientemente, adagiandola sull’erba bagnata, tra i petali di rosa caduti, e lei si era fatta amare, disperatamente e furiosamente, trascinandoselo addosso con veemenza, contro la pietra grezza e fredda del maniero. E si erano amati, contro ogni presupposto, contro ogni parola, contro ogni certezza, contro quel muro, al di là del quale venivano celebrati voti infrangibili e legami propizi, figli di antiche promesse, auspici per l’eternità.
    Lei gli aveva sorriso, mentre erano stesi lì, come sospesi nella morsa della foschia estiva, i corpi nudi solleticati da un refolo di vento. Lei aveva sorriso, Draco poteva giurarlo, aveva sorriso come sorride qualcuno che ha appena conquistato il mondo. Lui allora aveva allungato una mano per sfiorarle la pelle baciata dal sole calante e lei l’aveva guardato, ma il suo sorriso era svanito e quel mondo le era crollato addosso.
    Avevano perso.
    Avevano perso e si stavano aggrappando all’ultimo labile appiglio a cui valesse la pena tenersi prima di tornare alla realtà.
    Poi l’aria si fece greve e opprimente, si riempì del fragore delle foglie spezzate e dei leggeri fruscii dei vestiti svolazzanti e del brusio impacciato degli ultimi sussurri e dell’eco scemante dei suoi passi.
    Mentre lei si allontanava dalla sua vita, lui distolse tenace lo sguardo, rifiutandosi di imprimere nella sua mente un’ultima, pallida ombra del suo ricordo.
    Daphne sarebbe passata, prima o poi.
    Con il tempo.
    Come il tempo.
 

 

***
 
 


«Perché lei, Draco? Perché non me?»
«Forse perché sei sempre stata troppo.»
 
Troppo vicina, troppo spavalda, troppo sincera.
Troppo feroce, troppo sfrontata, troppo sfuggente.

 

 
***

 
 

    «Oggi, siamo qui riuniti per celebrare…»
    La voce magicamente amplificata sopraggiunse cristallina, intrecciandosi con il rombo dei tuoni che stava squarciando il cielo da qualche parte non molto lontano.
    Le sarebbe piaciuto pensare di esser stata colta di sorpresa, ma sapeva che era inutile prendersi in giro quando sapeva che, prima o poi, quel momento sarebbe arrivato. E quel momento era arrivato, e lei si era resa conto troppo tardi che il tempo era scaduto, che era stato inutile passare anni a prepararsi per affrontare la situazione di petto, che non era pronta e che, in realtà, nessuno è mai pronto quando si tratta della vita.
    Si era sentita cadere nel vuoto quando non era riuscita a trovare una giustificazione decorosa per il sussulto che l’aveva colta come un lampo, quando, in un secondo, le corde già tese dentro di sé si erano spezzate. Aveva provato a raccogliere i resti, a tenerli stretti, ma quelli le erano scivolati fra le dita, formando un piccolo cumulo di macerie lì, ai piedi delle rovine del suo cuore. Poi, allo stremo delle forze, aveva rincorso la sua identità ed era riuscita a portare a casa almeno una vittoria. Aveva recuperato il suo orgoglio e la sua maschera, superando così l’attimo di smarrimento interiore senza scalfire il suo desueto contegno impassibile, una superficie liscia e inviolabile come il più puro dei marmi.
    Impegnati sempre a vincere e mai a morire.
    «Vuoi tu Astoria Delilah Greengrass prendere il qui presente Draco Lucius Malfoy come tuo legittimo sposo…»
    E voleva lei, Daphne Greengrass, abbassare le palpebre e tornare indietro, in quel passato che poi tanto remoto non era, ma che nella sua mente gravava come un ricordo antico e polveroso, a quel tempo che non passava in cui le giornate si protraevano eternamente e si trascinavano indolenti, come legate dalla vischiosità di un filo impalpabile?
    Si vide fare un passo indietro e tornare a quei momenti, quei fragili istanti congelati tra un respiro e l’altro, e osservarli di nascosto invece di infrangerli con violenza scagliandovisi contro.
    Lo voleva?
    Avrebbe assistito a qualcosa di diverso, a qualcuno di diverso, qualcuno non a sua immagine e somiglianza, ma che si sarebbe collocato lì, in quello spazio vitale che forse non le era mai spettato, ma nel quale si era insinuata e al quale si era aggrappata con le unghie e con i denti.
    Lo voleva?
    E poi avrebbe capito che era giunta l’ora di farsi da parte, avrebbe voltato l’angolo e si sarebbe allontanata lentamente, in punta di piedi, in bilico lungo la linea della sua vita che scorreva parallela a ogni circostanza, prima della sua deviazione.
    Lo voleva?
    «Sì, lo voglio.»

 
 
 
 
 

 

 

 

 

NOTE:
 
Prima classificata al contest Fatemi innamorare… della vostra OTP! indetto da Mitsuki91 e vincitrice anche del premio "Maggiore Innamoramento";
Prima classificata al contest AAA Cercasi capolavoro indetto da La_Dama_Del_Lago;
Prima classificata al contest Al modo in cui appassiscono le rose di kosmos67 e sunshower;
Terza classificata  al contest Let's make war... with OTPs indetto da TheHeartIsALonelyHunter e vincitrice del premio "Miglior Personaggio Femminile";
Prima classificata al contest Don't leave us aside! indetto da zarte rose;
Prima classificata al contest One shot per tutti i gusti indetto da Freya Crystal;

Daphne/Draco, in realtà, non è la mia OTP in assoluto (quella è e rimarrà per sempre la Dramione <3), ma è un pairing al quale ho iniziato a interessarmi da poco e per il quale sto piano piano sviluppando un’ossessione. Nella mia concezione di questa coppia, però, come avete ben visto e per ovvie ragioni, non è contemplato l’Happy Ending, e la fine (della storia, ma anche della coppia, sempre nella mia percezione) si ricollega all’Epilogo originale della saga della Rowling. Mi piace quindi considerare tale oneshot come una serie di missing moments su un personaggio (Daphne) e un rapporto di cui non sappiamo praticamente niente.
Lo stile un po’ frammentario, l’alternanza netta tra dialoghi e descrizioni, così come le continue ripetizioni e il richiamo di determinate frasi nel corso del testo, sono tutte cose ovviamente volute, proprio per evidenziare la discontinuità di tale relazione negli anni, una relazione fatta di piccoli momenti intensi che ho voluto mettere in luce, momenti apparentemente disconnessi fra di loro, ma in realtà collegati sottilmente.
Per quanto riguarda il contesto temporale: come appena detto, la oneshot è ambientata durante vari anni, sia pre che durante che post-Hogwarts, e in ogni paragrafo viene specificato tra le righe (o alluso a) il periodo in cui la narrazione si sta svolgendo.
 
 

CITAZIONI e RIFERIMENTI:
  • Quando il tempo non passava – il futuro è tutto da vedere, tu lo vedi prima: “Ci sei sempre stata” (Luciano Ligabue)  
  • Quello che non sai non può farti male: “Cujo” (Stephen King)  
  • Il sangue è più denso dell’acqua: “Blood is thicker than water” (Proverbio Inglese)  
  • Hai torturato la Weasley: si riferisce, ovviamente, a quando ne “I Doni della Morte” Ginny e gli altri vengono puniti per aver tentato di opporsi al regime dei Mangiamorte. Non credo sia espressamente specificato se viene torturata, né tantomeno da chi, quindi prendetela come una “licenza poetica”.  
  • Aveva rincorso la sua identità e Aveva recuperato il suo orgoglio e la sua maschera e Impegnati sempre a vincere e mai a morire: “Al Ballo Mascherato” (Fabrizio de André)  
  • Astoria Delilah Greengrass: il secondo nome di Astoria non è mai stato rivelato, in realtà non è nemmeno certo che ne abbia uno, ma ho notato che la Rowling ne ha dato uno un po’ a tutti i personaggi della saga, quindi ho pensato potesse averne uno anche lei. Ho scelto Delilah per due ragioni: mi piaceva la musicalità espressa, in netto contrasto con il primo nome e il cognome che hanno una pronuncia decisamente più ruvida; per il suo significato etimologico (“colei che impoverisce o indebolisce o sradica”) che reputo adatto al contesto, visto il ruolo che gioca nella storia.
 
   
 
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