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Autore: Mary P_Stark    10/06/2016    0 recensioni
PRIMA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Il regno di Enerios è sull'orlo della guerra con il suo nemico storico, Vartas. Solo il suo principe ereditario, Aken di Rajana, e una ragazza-lupo, Eikhe di Nestar, potranno salvare il loro regno dalla distruzione. Ma non solo per difendere le loro terre, i due giovani dovranno lottare. Anche per difendere il loro amore che, tra le gelide lande dei Monti Urlanti, è divampato come fuoco scarlatto. Incuranti della differente estrazione sociale che li separa, dei loro stili di vita così diversi e del segreto misterioso che si cela dietro gli occhi di lupo di Eikhe, i loro cuori si toccheranno nel momento di maggior pericolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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2.

 

 

 

Dal libro delle Reminiscenze.

Crescita e vita di Hyo, capostipite della Razza.

 

Hyo crebbe in bellezza e virtù, nel regno immortale di Hevos, e il padre scontò caro il suo baratto con il dio.

Pur avendo riavuto la sua amata Zenah, la notizia della perdita della figlia minò l’animo della donna al punto che, da quel giorno per lei così infausto, non emise più parola.

L’uomo pianse e scagliò maledizioni all’indirizzo del dio, ma nulla ne venne.

Il giovane Hevos, troppo preso dal crescere la sua pupilla, non pensò mai di rispondere alle ingiurie di quel singolo essere mortale.

Vestita di rugiada e di petali di fiori, Hyo divenne una giovane fanciulla dalla lunga chioma dorata e il portamento di una ninfa dei boschi.

La divinità, abbagliata da tanta bellezza, un giorno le disse: “La tua avvenenza, mia diletta, è sgargiante come il sole. Essa potrà crearti non solo gioia, ma anche tristezza infinita. Sii dunque cauta nel concedere il tuo cuore, poiché gli uomini sono creature infide, e non si curano di ciò che può provare il tuo animo.”

Hyo, confusa, guardò il suo mentore e replicò: “Perché mi devo preoccupare degli uomini, se io ho te?”

Sorridendo, il giovane dio le carezzò la guancia e mormorò: “Per quanto io lo desideri, non potrò tenerti per sempre con me, per cui voglio che tu sia preparata a ciò che troverai nel mondo da cui provieni. Sii lesta di mano, come di pensiero. Pondera le scelte e le amicizie. Non fermarti alla prima occhiata, e non credere a tutto ciò che ti verrà detto, ma vaglia sempre quello che udirai e cerca da sola le risposte alle tue domande.”

Annuendo, Hyo abbracciò il suo mentore, chiedendo supplichevole: “Potrò rivederti, una volta che sarò tornata nel mio mondo?”

“Io sarò con te, anche se non potrai più vedermi in queste sembianze. Ti darò la capacità di difendere te stessa e la tua discendenza, in modo da essere indipendente dagli uomini che ti abbandonarono così scioccamente. I lupi del bosco, che a me sono devoti e che ti sono amici, saranno i tuoi fidi compagni e ti sapranno aiutare a conoscere il mondo da cui, fino a ora, ti ho tenuta lontana perché tu crescessi e imparassi a vivere libera” le sorrise Hevos, baciandola sulle labbra.

Hyo pianse tra le sue braccia e il giovane dio, stringendola a sé, disse ancora: “Che questi giorni siano lieti, mia diletta. Il tempo che passerò ancora con te, lo voglio trascorrere nella gioia e nella serenità. Vieni dunque con me e comincia a imparare, tramite i miei occhi, ciò che troverai oltre questo luogo ameno e privo di dolore.”

Lei annuì e smise di piangere e la divinità, sfiorandole il ventre, mormorò soave: “Non sarai mai sola, anche grazie a lei.”

“Sì, mio amato” annuì Hyo, nuovamente felice.

***

Due settimane erano passate, dalla loro partenza da Rajana in quella fredda mattina di fine autunno.

Procedendo verso settentrione lungo la Carovaniera, il tempo si era fatto via via più instabile, e l’aria più fredda.

Le piante avevano perso completamente le foglie ingiallite dal freddo, colorando campi e muriccioli di pietra di tinte dal bruno a biondo dorato.

Se quel viaggio avesse avuto scopi diversi, Aken avrebbe gradito quei paesaggi fiabeschi e il lieve sentore di terra umida, misto a quello della legna bruciata nelle case.

Trattandosi di una missione militare, però, l’unico pensiero che lo sfiorò fu che la stagione  invernale si stava avvicinando a grandi passi.

Per diretta conseguenza, il loro viaggio non avrebbe potuto che peggiorare man mano che i cavalli si approssimavano alla meta.

Quando infine raggiunsero la periferia di Marhna, ultima cittadina di Enerios prima del confine con Vartas, la Carovaniera portava i chiari segni di una breve quanto nefasta nevicata.

Fango e poltiglia si mescolavano a fogliame e piccoli rametti, rendendo il loro procedere più lento e difficoltoso di quanto Aken non potesse sopportare.

La sua pazienza, con il procedere del viaggio, era scemata fin quasi a svanire.

Dacché avevano lasciato il paese di Rastanie, il suo umore si era progressivamente rabbuiato.

Se, in un primo momento, i suoi uomini avevano cercato di rabbonirlo con battute di spirito, al loro arrivo a Marhna nessuno di loro aveva più le forze, o la voglia, per capire cosa stesse succedendo al loro principe.

Neppure il bel paesino alle pendici dei monti, con le sue case di sasso e tronchi di legno, riuscì a restituire il sorriso ad Aken.

Solitamente, era un amante di quei luoghi così distanti dai clamori della città eppure, quel giorno, quasi non li notò.

La sua mente non era abbastanza bendisposta per quel genere di attrazioni, in quel momento.

Seguito dai suoi uomini, si limitò a chiedere un paio di informazioni ad alcuni passanti, così da poter raggiungere la casa del Borgomastro.

Fu solo a mattina inoltrata, che il gruppo armato raggiunse l’imponente casa del sindaco di paese.

Scesi che furono da cavallo, Aken guardò indispettito il fango che, durante l’ultimo tratto di strada, aveva schizzato i suoi stivali.

Detestava le formalità, ma non sopportava di presentarsi a estranei meno che in ordine.

Tenendo sollevato l’orlo del mantello perché non facesse la stessa fine, il principe raggiunse in pochi passi la veranda che proteggeva l’ingresso della villa dalle intemperie.

Lì, dopo aver preso in mano il cordone della campana che penzolava a lato del portone d’entrata, tirò un paio di volte, ascoltando distrattamente il suo scampanio allegro.

Di certo, non rispecchiava il suo umore sempre più nero.

In meno di un minuto, si presentò all’entrata una matrona dai capelli canuti e stretti in un rigoroso chignon che, squadrandolo curiosa, sorrise incerta prima di chiedere: “Vostra signoria desidera?”

“Annunciate al Borgomastro che il principe Aken di Rajana desidera parlargli” asserì con voce stentorea e piana.

Spalancando gli occhi per la sorpresa e il timore insieme, la donna si affrettò a eseguire l’ordine, dopo averlo invitato graziosamente a entrare.

Scrutando distrattamente la matrona allontanarsi attraverso il largo atrio di casa, Aken si avvicinò all’enorme camino acceso che si trovava sul lato opposto dell’entrata.

Toltosi i guanti, si massaggiò le mani intirizzite dal freddo, attendendo paziente che il Borgomastro giungesse.

Guardandosi intorno brevemente, Aken notò subito quanto quell’ambiente fosse sfarzoso, nonostante si trattasse di una casa di montagna.

Le pareti erano sapientemente stuccate e tinte d’azzurro e, quasi ogni dove, arazzi riccamente decorati abbellivano l’ambiente.

Ricchi tappeti percorrevano da un angolo all’altro immenso atrio, portando alle scale di marmo e ferro che conducevano al piano superiore.

Sollevando un sopracciglio con evidente curiosità, Aken si chiese come un semplice Borgomastro di una città montana potesse permettersi dei lussi del genere.

Lui non si occupava di economia, ma non credeva possibile che i tributi pagati dai valligiani bastassero per poterlo far vivere in una simile agiatezza, considerando che  tre quarti dei proventi andavano alla Corona.

Nell’udire dei passi frettolosi giungere dalle scale, lasciò a un altro momento quel pensiero.

Volgendosi a mezzo, vide giungere dal piano superiore un uomo rubizzo sui cinquant’anni, abbigliato con vesti di prezioso velluto damascato e bei stivaletti di capretto ai piedi.

L’uomo in questione, raggiuntolo in gran fretta, si inchinò compitamente, dicendo: “Altezza… è un onore avervi qui. In cosa posso esservi utile?”

Scrutandolo per un momento per fissare nella sua memoria quei lineamenti, Aken dichiarò sbrigativo: “Ho bisogno di sapere da voi alcune cose, e riguardano tutte il forte a nord di qui. Quando avete inviato gli ultimi rifornimenti ad Anok Fort? E perché non avete risposto alle missive di mio padre?”

Apparendo sorpreso dal suo dire, il Borgomastro esordì turbato: “Circa due mesi fa, ho inviato al forte un carro carico di viveri e attrezzi, esattamente come prescritto dal contratto di fornitura stipulato con la Corona.  Per quanto riguarda le missive, mio signore, qui non è giunto alcunché.”

Aggrottando impercettibilmente la fronte, Aken allora disse: “Ho bisogno di parlare con gli uomini che hanno eseguito la fornitura. Potete farli venire qui?”

Sbattendo le ciglia un paio di volte con aria sempre più confusa, l’uomo si affrettò a eseguire l’ordine.

Con un forte battito di mani, chiamò a sé uno dei garzoni che, trotterellando instabile sulle smilze gambe, si approssimò al suo padrone, borbottando un saluto e un inchino.

Ossequioso fino a rasentare il timoroso, il giovane mormorò: “In cosa posso esservi utile, signor Nohann?”

“Corri subito a chiamare  Dankor e suo fratello. Di’ a quei due che il principe desidera parlare con loro. In fretta! Vai!” spiegò l’uomo, rigirandosi nervosamente le mani tra loro.

Il ragazzo parve sorpreso, ma si affrettò a correre verso la porta principale per dirigersi alla casa dei commercianti.

Tirato in volto e vagamente pallido, Nohann riportò lo sguardo sul principe e, con una gentilezza quasi forzata, disse: “Posso invitarvi ad accomodarvi nel salottino degli ospiti?”

Guardandosi gli stivali inzuppati, Aken replicò con un mezzo sorriso: “Meglio che non mi muova di qui. Ho già fatto abbastanza danni all’entrata.”

“Come preferite voi” disse Noann, continuando a guardare lui e la porta a intervalli regolari.

E’ molto nervoso. Chissà cosa nasconde? pensò Aken, aggrottando impercettibilmente la fronte.

Dovettero attendere circa una ventina di minuti, prima di veder ricomparire il giovane sguattero.

Era accompagnato da due uomini corpulenti e abbigliati con pesanti maglioni di lana grezza, brache di pelle scamosciata e alti stivali di cuoio nero.

Le loro mani avrebbero potuto spezzare in due un giovane albero, e Aken non fece fatica a capire quale fosse il loro secondo lavoro, oltre a quello di commercianti.

Le piccole asce che portavano legate in vita, ne erano chiara testimonianza.

Presentatisi al principe con rozzi ma sentiti inchini, i due uomini squadrarono Aken in attesa di conoscere i motivi della loro chiamata.

Il giovane principe, senza attendere oltre, andò diritto al punto e chiese: “Com’era la situazione, al forte, quando siete giunti lì l’ultima volta?”

“Non c’era nulla di strano, Altezza. Abbiamo consegnato il carico e siamo tornati indietro con le lettere dei soldati, come al solito” dichiarò  Dankor, un po’ sorpreso da quella domanda.

Sollevando un sopracciglio con evidente meraviglia, Aken borbottò: “Le lettere, eh? Allora, se qualcosa è successo, è accaduto dopo la vostra partenza.”

“Accaduto? Pensate sia successo qualcosa al forte?” chiese preoccupato Nohann, impallidendo.

“Abbiamo questo sospetto” ammise Aken, pensieroso.

Due mesi.

Più o meno, il periodo di tempo da cui non avevano più notizie.

Possibile che i guerrieri di Vartas avessero tenuto sotto controllo le spedizioni delle provviste, per sapere quando attaccare?

Non era da loro agire così abilmente, ma tutto poteva succedere.

“Ho bisogno di una sistemazione per me e i miei uomini, per questa notte” dichiarò alla fine Aken, rivolgendosi al Borgomastro. “Potete provvedere?”

“Subito, Altezza” mormorò ossequioso Nohann, sospingendo verso la porta il giovane garzone che, a più riprese, annuì agli ordini sibilati dal padrone.

Nuovamente, Aken rimase vagamente sconcertato dal comportamento del Borgomastro.

Non volendo mettere a parole i suoi dubbi di fronte a così tanti estranei, preferì astenersi e, dopo aver ringraziato Nohann, uscì assieme ai due commercianti  raggiungendo la strada infangata dinanzi alla casa.

Lì, Dankor, attirandone l’attenzione, disse a bassa voce: “Altezza, una cosa.”

“Sì?” mormorò Aken, voltandosi curioso verso l’uomo.

“Forse non significa nulla, ma… non c’erano lupi” dichiarò Dankor, notando l’evidente sorpresa del principe. “Solitamente, in quella zona, c’è sempre stato un branco di lupi ma, quando siamo passati l’ultima volta, non si è udito un solo ululato.”

Lupi, eh? Forse, avrebbe dovuto chiedere consiglio a Kaihle, prima di passare il valico di Fenak che conduceva al forte.

Un attimo dopo aver concepito quel pensiero, però, si diede dello sciocco e, scuotendo il capo, disse: “Staremo in guardia. Grazie.”

Dopo aver scrutato i due commercianti allontanarsi lungo la via, Aken rimontò a cavallo e attese paziente che il giovane garzone di Nohann tornasse per indicare loro dove avrebbero alloggiato per la notte.

Questo gli diede il tempo di pensare alle ultime parole del nerboruto commerciante.

Era davvero strano che un intero branco cambiasse zona di colpo.

Sapeva con ragionevole margine di sicurezza che i lupi erano ferocemente territoriali, per cui, un cambio di zona di caccia era impensabile.

Trovava difficile credere che un intero clan di lupi si fosse spostato da un luogo all’altro, senza un motivo apparente.

Quelle montagne pullulavano di branchi piuttosto numerosi, che mal avrebbero preso l’invasione da parte di un altro gruppo di predatori.

No, questa faccenda non gli piaceva per nulla ma non aveva il tempo di badare anche ai lupi sulle montagne.

Il suo compito primario era raggiungere il forte.

Quando fosse stato alla presenza di Kaihle, avrebbe chiesto informazioni al riguardo, non un minuto prima si sarebbe occupato della cosa.

***

Raggiunta la stanza assegnatagli, dopo aver attraversato la sala principale dell’unica locanda di paese, Aken si gettò sul letto dopo essersi tolto stivali e mantello.

In quel momento, giunsero due ragazzi con la tinozza per il bagno e dei secchi fumanti di acqua.

Sorridendo soddisfatto,  attese che tutto fosse pronto per quel gradevole interludio.

Non appena i giovani se ne furono andati, assieme ai suoi stivali da ripulire dal fango, una ragazza dalla chioma corvina si fece avanti e, con un sorriso timido, chiese: “Avete bisogno per il bagno, Altezza?”

Era d’uso che gli uomini di alto rango fossero serviti da giovani fanciulle, anche per intrattenersi allegramente con esse, se fosse capitato.

Personalmente, preferiva pensare da solo al proprio bagno per cui, con un sorriso di scuse, scosse il capo e disse: “No, grazie, ma ti sono grato del pensiero.”

Porgendole una moneta d’argento, che lei accettò con un inchino, Aken la guardò uscire silenziosamente dalla stanza e, quando finalmente fu solo, si spogliò.

Fu con un sospiro di sollievo, che immerse il suo lungo e muscoloso corpo nell’acqua fumante, concedendo a se stesso di rilassarsi per un po’.

Calmandosi gradatamente, man mano che l’acqua bollente agiva sui suoi muscoli tesi, Aken affondò leggermente nella tinozza.

Chiusi gli occhi, cominciò a massaggiarsi con la spugna e il sapone al sandalo che si era portato da palazzo, alleviando i dolori causati dal viaggio e dalla lunga permanenza a cavallo.

Quella stanchezza non lo aiutava a ragionare con chiarezza, perciò avrebbe dedicato tutta la sua attenzione a una cosa frivola come il bagno, prima di tornare a focalizzare la propria mente sulla missione.

Staccare ogni tanto faceva bene, anche a lui.

Passando la spugna sulla pelle abbronzata e segnata da diverse cicatrici, che gli rammentavano i suoi trascorsi nell’esercito, Aken si lavò anche i capelli corvini, sentendoli finalmente profumati dopo tanti giorni.

Amava i cavalli, ma non agognava ad avere il loro stesso odore.

Quando l’acqua cominciò a freddarsi, Aken uscì dalla tinozza per avvolgersi in un morbido panno profumato e, sedutosi sul letto, si asciugò strofinandosi con forza.

Frizionati un poco i capelli per togliere quanta più acqua possibile, indossò abiti puliti e scese infine nel salone per la cena.

Raggiunti i suoi soldati, che avevano seguito il suo esempio, li salutò e si sedette accanto a loro a un tavolo di legno grezzo.

Ordinò spezzatino e zuppa per tutti, insieme alla buona birra di montagna che producevano in quella zona.

Farall, accomodato al suo fianco, lo scrutò in viso per un momento prima di dichiarare gaio: “Se avessimo saputo che un bagno avrebbe fatto miracoli sul tuo umore, ti avremmo buttato in qualche torrente giorni fa!”

Ridendo di se stesso, Aken ammise: “Scusatemi, se vi sono sembrato burbero come un orso, ma tutta questa situazione mi sta portando più mal di testa di quanti non ne vorrei. C’è qualcosa che non mi quadra, e non so raccapezzarmi in tal senso.”

“Quando raggiungeremo il forte, sapremo tutto. E’ inutile preoccuparsi adesso, Aken” asserì Finarr, bevendo da un boccale della birra schiumosa e profumata.

Annuendo debolmente all’amico, Aken prese il suo boccale e disse: “Forse hai ragione. E’ inutile fasciarsi la testa prima di rompersela.”

Vassoi di carne e ciotole di zuppa calda vennero portati al loro tavolo, assieme ad altri boccali di birra e sidro speziato.

Quei profumi così deliziosi solleticarono le papille gustative di Aken che, con un sorriso soddisfatto, affondò la forchetta nel piatto.

“Nessuna cucina è migliore di quella di montagna.”

“Forse, il nostro principe ha scordato come si mangia a palazzo” ridacchiò Finarr, mangiando di gusto.

“Me ne ricordo, amico mio…” replicò ridendo Aken “… e credimi, nulla batte la buona cucina contadina.”

La cameriera che aveva servito loro le libagioni, sorrise compiaciuta nel passare accanto al loro tavolo e, poggiato un boccale accanto a quello del principe, dichiarò: “Sua Altezza ha gusto da vendere. Per voi… offre la casa.”

“Grazie, gentile signora. E fate i complimenti al cuoco. La carne è tenerissima e ben cotta” asserì Aken, prendendone un altro pezzo e masticandolo con gusto.

La matrona sorrise e annuì a più riprese, prima di voltarsi verso l’entrata della locanda quando sentì il portone di legno aprirsi e cigolare leggermente.

Abbigliata di pelli di daino e armata di un corto spadino legato al fianco, una fanciulla entrò nel locale assieme a un uomo di circa una quarantina d’anni.

Insieme a loro, enorme e nero come la notte, un lupo li seguì all’interno, senza però destare alcuna sorpresa nelle persone presenti.

Aken, che aveva levato incuriosito lo sguardo, al pari della matrona che aveva servito loro da mangiare, ne rimase sorpreso e allibito al tempo stesso.

Una ragazza-lupo.

Gli altri avventori non fecero caso a quello strano trio, che ora si trovava accanto al bancone dove servivano da bere.

Era evidente che doveva essere di casa, lì.

Colto da uno strano interesse, continuò a puntare lo sguardo sul trio uomo-fanciulla-lupo, chiedendosi chi fossero.

L’oste, vedendoli, andò loro incontro, stringendo la mano all’uomo e porgendo un pacchetto alla ragazza, che ringraziò con un bel sorriso sul volto grazioso.

Subito dopo, carezzò sul capo il grande lupo, che piegò il muso verso il basso come a ringraziare a sua volta.

Un po’ sorpreso, Aken vide l’oste ridacchiare e allungare un osso al lupo che, con cautela, lo prese tra i denti prima di accucciarsi per terra mentre la ragazza dialogava con i due uomini.

La fanciulla, dai capelli ramati stretti in un’unica treccia lunga fino alla vita, rimase a chiacchierare con loro per una ventina di minuti, prima di abbracciare  l’uomo con cui era entrata.

Richiamato a sé il lupo, quindi, se ne andò dalla locanda per immergersi nel buio della notte, all’esterno del locale.

L’oste, a tal riguardo, si rivolse all’amico e chiese: “Sarà il caso che tua figlia se ne torni a casa tutta sola? E’ notte inoltrata.”

L’uomo rise e replicò divertito: “Sola? E quel bestione di sessanta chili che le stava al fianco, cos’era?”

L’oste rise con lui e gli offrì una birra, del tutto ignari dello sguardo di Aken che, come ipnotizzato, continuò a fissare il punto in cui la ragazza era stata fino a pochi momenti prima.

Farall, stupito dal suo comportamento, gli chiese vagamente preoccupato: “Cosa c’è, Aken?”

“Eh? Oh, niente” disse lui, riscuotendosi da quello strano torpore in cui era caduto.

Quindi, quella era una ragazza-lupo!

Si era aspettato di vedere chissà che cosa, non certo quella specie di frugoletto dalla pelle dorata dal sole e dai capelli color del rame.

E quel lupo!

Avrebbe potuto sbranarla in un sol boccone, eppure la seguiva con una devozione a dir poco singolare.

Davvero non capiva come potessero riuscirvi.

Quando se ne tornò in camera, molto più tardi, i suoi pensieri tornarono alla giovane intravista nella locanda, al suo viso giovane e fresco, al suo sorriso e alla sua risata spontanea.

Con un certo sgomento da parte sua, rammentò anche la curva appena accennata dei suoi fianchi e le sue gambe snelle e slanciate.

Scuotendo il capo per il fastidio, Aken disse tra sé: “E’ troppo tempo che non sto con una donna, se mi metto a guardare le ragazzine.”

Ma, a tutti gli effetti, quella non poteva essere una ragazzina, vista la curva del seno che era riuscito a scorgere.

Spalancando gli occhi di fronte a quella constatazione, si sollevò a sedere, disorientato da quei pensieri.

Raggiunta la finestra, la aprì per osservare la foresta baciata dai bianchi raggi della luna.

Subito, si chiese se la fanciulla fosse al sicuro tra quelle fronde buie, con la sola compagnia di un lupo.

“Quelle donne sono folli, se permettono a una ragazzina di aggirarsi da sola, di notte, per la foresta” brontolò a bassa voce, tornando a coricarsi sul letto per cercare di dormire.

Non erano affari suoi, come vivevano quelle donne. Lui aveva ben altro a cui pensare e, per farlo, doveva riposare!

***

La mattina venne presto, anche troppo presto per i suoi gusti e Aken, sbadigliando stancamente, si levò da letto solo per scoprire di aver dormito con gli abiti addosso.

Ridendo di sé, raccolse la sua roba prima di raggiungere gli altri per colazione.

Era davvero messo bene, se si lasciava sconvolgere sensi e vita da una ragazzina di cui non conosceva nulla!

Presto si sarebbero rimessi in viaggio per il valico, lasciandosi alle spalle il paese di Marhna e, con esso, la strana ragazza-lupo.

In serata, avrebbero sicuramente raggiunto il ponte che oltrepassava la sorgente del fiume Fenak, che li separava da Anok Fort e, da lì, alla verità su quella situazione ingarbugliata.

La sua mente doveva essere concentrata solo su queste informazioni basilari.

Quando abbandonarono la cittadina  in sella ai loro destrieri, Aken lanciò uno sguardo alle cime imbiancate della Catena dei Monti Urlanti.

Tra sé, sperò ardentemente che, per una volta, non rendessero onore al loro nome, scatenando una tempesta di neve, almeno finché loro si trovavano tra quelle pendici  impervie.

Quelle alte montagne, ricche di guglie aspre e ripide, non promettevano nulla di piacevole.

Meno ancora, i metri di neve gravanti sui loro fianchi, che attendevano solo una scusa qualsiasi per staccarsi e abbattersi su di loro.

Poco lontana, la Valle della Luna, la profonda gola scavata dal fiume Fenak per giungere a valle, era luogo ricco di pericoli e via seguita solo dai folli e dai disperati.

Aken conosceva pochissime persone che si fossero arrischiate a percorrere quello stretto cunicolo roccioso, e tutti erano concordi nel dire che quel luogo era la dimora dei demoni.

Beh, di sicuro lui non si sarebbe mai avvicinato a quella gola maledetta!

Fu nel tardo pomeriggio, con Marhna ormai lontana e gli spettri di una valanga a tener loro compagnia, che un vento gelido e tagliente cominciò a spirare sulla valle.

Stringendosi il mantello intorno al collo, Aken rallentò l’andatura e borbottò roco: “Ecco il benvenuto dei monti.”

“Davvero caloroso” commentò Rias, sbuffando.

Una leggera lanugine nevosa era caduta nella notte, imbiancando la vallata alle pendici dei monti e rendendo l’intero paesaggio più sinistro di quanto non fosse in realtà.

Osservando le coste ripide delle colline che si andavano a fondere con le montagne poco distanti, sperò ardentemente che, dietro di esse, non vi fossero spie nemiche.

Non erano numerosi a sufficienza per contrastare un agguato, e quel luogo era un ottimo posto per attaccarli.

Tutto, però, andò per il meglio, almeno finché non raggiunsero il valico. O quello che ne rimaneva.

A quanto pareva, un masso si era staccato dai monti vicini, finendo col distruggere il ponte.

Il che poteva, almeno in parte, spiegare la mancanza di notizie dal forte, ma non l’ignoranza palesata dal borgomastro.

Come poteva non sapere della distruzione del ponte?

Possibile che non avesse mandato nessuno a controllare le sue condizioni, in vista dell’inverno?

Che nascondesse la sua inettitudine? O c’era molto di più?

Aggrottando la fronte di fronte a un sospetto sempre crescente, Aken osservò Farall, anch’egli piuttosto accigliato e, voltato il cavallo verso di lui, disse: “La cosa mi piace sempre meno. Il borgomastro non ci ha raccontato tutto, temo.”

“Non sarebbe il caso di tornare indietro e interrogarlo?” domandò Kinas, ringhiando nervosamente.

“No. Potrebbero tenderci una trappola all’imbocco del paese. Se il caro borgomastro è al servizio di Vartas, potrebbe avere ideato un piano per eliminarci, nel caso rimettessimo piede in paese per vendicarci” decretò Aken, scuotendo il capo. “Anzi, mi stupisce molto che non ci siano saltati addosso nel giungere qui.”

“Forse, non si aspettavano una nostra visita, e non hanno potuto predisporre un agguato degno di tale nome ma, come dici tu, potrebbero benissimo aspettarci al ritorno, ora che sanno che siamo qui e che abbiamo scoperto questo” commentò Gar, massaggiandosi un baffo nell’osservare quel che rimaneva del ponte di roccia.

Sbuffando, Aken assentì al suo compagno.

“Dirigiamoci a sud-est, verso il villaggio di Nestar. Lì, chiederemo consiglio a Kaihle. Lei conosce sicuramente una strada alternativa per raggiungere il forte e, forse, sa qualcosa anche del borgomastro.”

“Ci dovremmo affidare all’aiuto di una donna?” brontolò Likas, facendo tanto d’occhi.

“Sarà anche solo una donna, come dici tu, ma quella stessa donna ha salvato mio fratello e la mia matrigna da morte certa, e io mi fido di lei” replicò Aken, avviando il cavallo verso la costa della collina. “Togliamoci da qui e troviamo un posto riparato dove accamparci. Raggiungeremo il villaggio domani.”

Una volta raggiunta la cima dell’altura più vicina e interamente coperta di neve, Aken individuò una bassa coltre di pini di montagna dalla forma nodosa e raggrinzita.

Fatto cenno ai suoi uomini di fermarsi, dichiarò: “Ci accamperemo qui. Questi alberi ci difenderanno da sguardi indiscreti e dal vento.”

In fretta, montarono l’accampamento senza accendere il fuoco.

Ascoltando il sibilare del vento tra i rami secolari di quei bassi pini dalle forme più svariate, Aken pensò a come meglio comportarsi in quella situazione di potenziale pericolo.

Era ormai chiaro che il borgomastro sapeva qualcosa, ed era più che sicuro che, se fossero tornati sui loro passi, avrebbero trovato ad attenderli degli uomini armati.

Era più che probabile che la popolazione di Marhna ne fosse all’oscuro, o li avrebbero ammazzati notte tempo.

Quindi, i fantomatici uomini di Vartas non erano nelle vicinanze,… ma dove?

Sì, rivolgersi a Kaihle era la soluzione ottimale.

Lei non si sarebbe mai alleata con Vartas, e avrebbe saputo consigliarlo su come raggiungere il forte nel più breve tempo possibile.

Non aveva le conoscenze sufficienti di quel luogo, per affrontare la Valle della Luna ma, a nord-est, il passaggio era più agevole.

Sicuramente, Kaihle conosceva un sentiero sicuro per lui e i suoi uomini.

Con quelle convinzioni riuscì finalmente a prendere sonno, nonostante il rumore incessante del vento.

***

Smontato il campo in tutta fretta, cancellarono le tracce della loro presenza con rami di pino legati dietro i loro cavalli.

Direttisi verso Nestar con il sole che brillava oltre le cime delle montagne innevate, gli uomini di Aken cominciarono a chiedersi come si sarebbe risolta quella missione.

Niente stava andando come previsto, e l’idea di un possibile agguato in quelle lande desolate, non rallegrava nessuno.

Persino Aken, solitamente appassionato combattente, trovò la situazione sgradevole.

Guardandosi intorno con espressione torva e preoccupata insieme, si chiese se non sarebbe stato meglio tornare a Rajana da una strada secondaria, piuttosto che rischiare ancora.

Ma lui aveva una missione da compiere, e non poteva tornare alla capitale come un coniglio. Sarebbe andato ad Anok Fort, a costo di arrivarci prono.

Non lontano, l’ululato di un lupo si aprì la strada fino a raggiungerli sullo stretto sentiero che stavano percorrendo.

Volgendo uno sguardo apprensivo alla foresta che li circondava, Aken temette per un momento per le loro vite.

Sapeva che quasi tutti i branchi del luogo erano governati dalle donne-lupo, ma non poteva sapere se, tra quei boschi impervi, qualche animale solitario stesse mietendo vittime incolpevoli.

Loro non erano nelle condizioni di perdere neppure un cavallo.

Quando poi, dal fitto dei cespugli nodosi che li circondavano, un branco di una ventina di lupi li raggiunse sulla mulattiera, Aken alzò una mano per fermare i suoi uomini.

Apprensivo, osservò i predatori dinanzi a loro, chiedendosi cosa avessero in mente.

I lupi li osservarono a loro volta a denti snudati per alcuni attimi dopodiché, ammorbidendo i loro tratti, si disposero intorno al gruppo come a formare una scorta.

Il capo branco, un lupo dal pelo dorato, affiancò il cavallo di Aken e gli fece cenno con il muso di proseguire.

Il principe parve stupito della cosa, ma avviò il suo cavallo e, con lui, si mossero anche i suoi cavalieri e il branco di lupi.

Appurato che questi predatori in particolare non erano lì per cacciare loro, dove li stavano conducendo?

Quella specie di parata andò avanti fino al villaggio di Nestar e, quando finalmente giunsero in vista delle case di legno delle donne-lupo, il branco si sparpagliò.

Sospirando sollevato, Farall borbottò: “Cominciavo a pensare ci stessero conducendo in un luogo dove banchettare.”

“E’ chiaro che ci stavano controllando da un po’” commentò Aken, contrariato.

Non si era affatto accorto di essere spiato!

Avviatisi verso quello che sembrava essere il caseggiato principale del villaggio, Aken osservò con non poca meraviglia le loro abitazioni.

Erano costruite con tronchi levigati, incastrati gli uni sugli altri, e circondate da bassi steccati e piccoli giardini, ora ricoperti da un basso strato di neve.

Accanto alle case, piccole stalle si ergevano per proteggere gli animali domestici e, forse, gli stessi lupi.

Poco più avanti, procedendo lungo la via, scorse con sorpresa alcune bambine di sei o sette anni che, tenendo in braccio i cuccioli di lupo, correvano da un lato all’altro della strada.

Tutte, portarono i piccoli in un grande recinto coperto da un’enorme tettoia di legno.

Enormi caseggiati in sasso fiancheggiavano la via principale e, sbirciando all’interno dei portoni spalancati, Aken vide fieno, casse stivate e pellami accatastati su pianali di legno.

I loro magazzini per l’inverno.

Separata dal resto delle abitazioni e vicina a un piccolo torrente, una fucina in piena operatività faceva sbuffare il camino di pietra, che sorgeva ritto da un tetto spiovente.

Una donna al mantice controllava che la temperatura dell’altoforno fosse adeguata per la preparazione dell’acciaio.

Ogni attività, ogni movimento all’interno del villaggio, era rigidamente controllato da altissime guerriere in armi, che poco avevano a che spartire con le fragili donne della Capitale.

Come la ragazza che Aken aveva visto a Marhna, anche le altre donne presenti portavano abiti di pelle di daino, più o meno lunghi ed elaborati.

Tutte, invariabilmente, portavano i capelli legati in lunghe trecce che giungevano anche fino alla vita.

Sempre più confuso, il principe lanciò uno sguardo sopra il villaggio, scorgendo imponenti frangi valanga in legno e, nuovamente, si chiese come avessero fatto a costruire tutto da sole.

Solo per trasportare i tronchi, e scavare buche sufficienti per contenere i travi principali, dovevano aver lavorato mesi!

Dopo aver attraversato l’intero villaggio, sotto le occhiate divertite delle donne-lupo, Aken si fermò di fronte alla casa più grande tra tutte e legò le redini a una palizzata.

Data solo una fuggevole occhiata al palco di un cervo appeso sopra l’entrata, raggiunse la porta e bussò.

Dopo pochi attimi, il battente si aprì e una giovane dalla chioma corvina e gli occhi verdi come smeraldi lo accolse con un lieve sorriso, dicendo: “Benvenuti al nostro villaggio, cavalieri. Cosa desiderate dalle donne-lupo di Nestar?”

“La Signora del villaggio è in casa? Sono il principe Aken di Rajana. Vorrei conferire con lei, se fosse possibile” esordì Aken, notando lo stupore dipingersi sul volto della ragazza.

“Mia madre è presente. Sarà onorata di parlare con te, principe” poi, arrossendo leggermente, aggiunse: “I tuoi stivali, prego. Non puoi entrare in casa con quelli.”

Osservando le sue calzature sporche e piene di fango, annuì Aken e li tolse in fretta, mentre la ragazza si apprestava a consegnargli un paio di pianelle di pelle di coniglio.

Entrato nella casa, interamente costruita di legno e pietra, il principe ammirò le splendide pelli stese sul pavimento e i magnifici arazzi che decoravano le pareti.

Una volta di più, dovette ricredersi su quanto si diceva di loro. Non erano affatto rozze, tutt’altro!

Quel luogo denotava cura per i particolari, pulizia e ordine.

Accompagnato l’ospite fino a una stanzetta riscaldata da un bel fuoco, che bruciava in un camino di roccia grigia, Tyura si inchinò a sua madre, assisa su uno scranno.

Imitatala, Aken scrutò la donna alta e magra sulla quarantina d’anni, che lo stava osservando da una pesante poltrona ricoperta di pelli.

Con educazione, disse: “Sono lieto di rivederti, Kaihle, Signora di Nestar. Non so se ti ricordi di me, poiché sono passati molti anni dal nostro unico incontro. Sono Aken di Rajana.”

La donna gli sorrise cordiale e, nell’indicargli una poltrona ricoperta di pelle di daino, dichiarò: “Ricordo il tuo volto, giovane principe, anche se i tratti di fanciullo sono ormai scomparsi, sul tuo viso di uomo. Sii il benvenuto, Aken di Rajan. La mia scorta ti è stata utile per raggiungere il villaggio più agevolmente?”

Un po’ sorpreso, lui annuì.

“Li hai mandati tu, mia Signora?”

Annuendo, Kaihle sorrise con lieve malizia e dichiarò: “Ho ricevuto notizia dal mio lupo, della vostra presenza, così ho preferito farvi scortare perché non vi perdeste. Ci sono molti sentieri che portano qui, e non tutti sono sicuri. Dimmi, principe, cosa ti porta tra la mia gente in un momento così infausto? L’approssimarsi dell’inverno non è mai periodo buono, per avventurarsi tra i monti.”

Ammaliato suo malgrado da quella donna così sagace e affascinante, Aken mormorò con un misto di rispetto e timore: “Ti porto i saluti di mia madre Anladi, mia Signora, e doni per te e le tue sorelle. Spezie del sud e filamenti di canapa. Mia madre pensava potessero esservi più utili di gioielli o stole di seta. Inoltre, vorrei chiederti un favore, se fosse possibile.”

Sorridendo, Kaihle disse divertita: “Sono lieta di ricevere i suoi saluti e i suoi doni, visto soprattutto quanto essi siano lungimiranti. Tua madre adottiva non è mai stata una donna vacua, e lo dimostra anche da gesti come questo. Ma dimmi; come posso essere utile al principe di Rajana?”

“Il valico di Fenak è crollato, e io devo raggiungere il forte che si trova sul passo. Sai se esistono altre strade per raggiungerlo?”

Aggrottando impercettibilmente la fronte a quella notizia, Kaihle batté le mani un paio di volte e attese.

Subito, la ragazza che aveva accolto il principe tornò nella stanza, uno sguardo timoroso stampato sul viso abbronzato e serio.

Osservando la voluttuosa ragazza che aveva detto di essere la figlia di Kaihle, Aken si chiese il perché della sua paura, ma non attese molto per scoprirlo.

Come acciaio, la voce di Kaihle sferzò l’aria in direzione della figlia.

“Era compito tuo riferirmi di eventuali cambiamenti sul valico. Perché non sapevo nulla della caduta del ponte?!”

Accusando il colpo, e avvampando di collera e umiliazione per essere stata ripresa davanti al principe, la ragazza reclinò compita il capo e mormorò: “Me ne dispiace, madre. Ho pensato non fosse necessario tornarvi. C’ero stata solo un mese fa e…”

“Tyura, non ti ho dato licenza di pensare al posto mio” replicò secca la donna. “E ora, vai a chiamare tua sorella Eikhe. Ho bisogno di lei.”

“Ma madre…” esalò la ragazza, impallidendo nel rialzare il capo e fissare la madre con occhi che esprimevano sconcerto e dubbio.

“Ora, Tyura” ingiunse la donna, decisa.

La fanciulla fuggì letteralmente dalla stanza e Kaihle, osservando spiacente Aken, disse: “Mi scuso per il suo comportamento. E’ giovane, e non ha ancora compreso l’importanza del suo compito come mia erede.”

“Non deve essere facile, per una ragazza, avere simili pressioni sulle spalle” commentò conciliante Aken.

“Per noi, è normale” replicò affabile Kaihle, con una leggera scrollata di spalle.

Pochi minuti dopo, accompagnata da Tyura, entrò la stessa ragazza del villaggio e Aken, sorpreso, osservò in viso la fanciulla che tanto l’aveva colpito alla locanda.

Anche Eikhe parve sorpresa di vederlo ma, contenendo la propria curiosità, fece un breve inchino al principe prima di sedersi a gambe incrociate ai piedi della madre.

Sorridendo alla fanciulla, accomodata sulle stuoie di pelle di orso, Kaihle chiese: “Vi siete già incontrati, figlia mia?”

Annuendo, Eikhe dichiarò: “Il principe era a Marhna, due sere fa. L’ho visto alla locanda, mentre salutavo papà.”

“Capisco” chiosò pacata la donna, mentre Aken si stupiva sempre di più. “Principe, lei è la mia seconda figlia, Eikhe. Sarà lei a scortarti oltre la Valle della Luna e, da lì, al forte di Anok.”

“Che cosa?!” esclamarono quasi insieme i tre giovani presenti.

Tyura fissò rabbiosa la sorella, lanciando uno sguardo di aperto desiderio in direzione del principe che, del tutto preso nell’osservare sbigottito Eikhe, non si accorse di nulla.

Kaihle, invece, disse serafica: “Non devi stupirti, principe. Eikhe è perfettamente in grado di compiere il compito assegnatole. Conosce quei luoghi meglio di tutte noi, quindi potrà esserti di aiuto nella tua missione.”

“Ma madre, devo finire il lavoro con i cuccioli! E poi, devo recuperare le mie prede!” esalò Eikhe, avvampando d’ira per quell’imprevisto.

“Madre, manda me, ti prego!” intervenne Tyura, stringendo le mani al petto.

“Figlie, ora basta!” esclamò severa Kaihle, azzittendo entrambe. “Farete come vi ho detto, è chiaro?!”

Eikhe annuì di malavoglia e Tyura, fissando duramente la sorella, le sibilò: “Ti odio!”

“E‘ reciproco” le fece la lingua lei, alzandosi con grazia ferina.

Guardato il principe per un momento con aria più che infastidita, Eikhe disse subito dopo: “Partiremo domani con il sorgere del sole.”

“E sia” assentì Aken, ancora sorpreso da quella situazione assurda.

***

Scalciando con rabbia uno dei suoi cuscini, Eikhe si buttò sul suo letto coperto di pelli, imprecando senza freni.

Nys, il suo lupo nero, le si avvicinò lesto, leccandole il viso per consolarla.

Tutto si sarebbe aspettato, tranne che quell’ordine!

Non voleva accompagnare l’arrogante principe delle pianure, che giungeva lì dal nulla e pretendeva di avere tutte ai suoi piedi!

Lei aveva i suoi compiti da svolgere, e le sue trappole da controllare!

Non poteva perdere tempo in futili questioni!

Strillando rabbiosa, si levò dal letto muovendosi rabbiosamente per la sua camera e, con gesti furiosi, prese a preparare le sacche per il viaggio.

All’esterno della sua casa di tronchi, ignari del suo malumore, gli uomini del principe vennero accolti per la notte nelle abitazioni più grandi del villaggio.

Guardando torva il gruppo di guerrieri oltre la superficie gelida della finestra, Eikhe buttò sul letto il necessario per il viaggio e, ripiegato diligentemente il suo prezioso mantello di pelliccia d’orso, disse a Nys: “Mi mancava solo questa… se l’avessi saputo, sarei andata direttamente a controllare le trappole. Non sarei mai tornata qui!”

Nys uggiolò per farle comprendere il suo dispiacere e lei, sedendosi a terra, lo abbracciò affondando il viso nel suo folto pelo nero.

“Almeno, so che ci sarai tu a tenermi compagnia, caro Nys.”

Il lupo le leccò il viso e si sfregò contro di lei confortante ed Eikhe, sospirando, mormorò: “Non potevo nascere lupo?”

 

  
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