2.
Dal libro delle Reminiscenze.
Crescita e vita di Hyo, capostipite della Razza.
Hyo crebbe in bellezza e virtù, nel regno immortale di
Hevos, e il padre scontò caro il suo baratto con il dio.
Pur avendo riavuto la sua amata Zenah, la notizia
della perdita della figlia minò l’animo della donna al punto che, da quel
giorno per lei così infausto, non emise più parola.
L’uomo pianse e scagliò maledizioni all’indirizzo del
dio, ma nulla ne venne.
Il giovane Hevos, troppo preso dal crescere la sua
pupilla, non pensò mai di rispondere alle ingiurie di quel singolo essere
mortale.
Vestita di rugiada e di petali di fiori, Hyo divenne
una giovane fanciulla dalla lunga chioma dorata e il portamento di una ninfa
dei boschi.
La divinità, abbagliata da tanta bellezza, un giorno
le disse: “La tua avvenenza, mia diletta, è sgargiante come il sole. Essa potrà
crearti non solo gioia, ma anche tristezza infinita. Sii dunque cauta nel
concedere il tuo cuore, poiché gli uomini sono creature infide, e non si curano
di ciò che può provare il tuo animo.”
Hyo, confusa, guardò il suo mentore e replicò: “Perché
mi devo preoccupare degli uomini, se io ho te?”
Sorridendo, il giovane dio le carezzò la guancia e mormorò:
“Per quanto io lo desideri, non potrò tenerti per sempre con me, per cui voglio
che tu sia preparata a ciò che troverai nel mondo da cui provieni. Sii lesta di
mano, come di pensiero. Pondera le scelte e le amicizie. Non fermarti alla
prima occhiata, e non credere a tutto ciò che ti verrà detto, ma vaglia sempre
quello che udirai e cerca da sola le risposte alle tue domande.”
Annuendo, Hyo abbracciò il suo mentore, chiedendo
supplichevole: “Potrò rivederti, una volta che sarò tornata nel mio mondo?”
“Io sarò con te, anche se non potrai più vedermi in
queste sembianze. Ti darò la capacità di difendere te stessa e la tua
discendenza, in modo da essere indipendente dagli uomini che ti abbandonarono
così scioccamente. I lupi del bosco, che a me sono devoti e che ti sono amici,
saranno i tuoi fidi compagni e ti sapranno aiutare a conoscere il mondo da cui,
fino a ora, ti ho tenuta lontana perché tu crescessi e imparassi a vivere
libera” le sorrise Hevos, baciandola sulle labbra.
Hyo pianse tra le sue braccia e il giovane dio,
stringendola a sé, disse ancora: “Che questi giorni siano lieti, mia diletta. Il
tempo che passerò ancora con te, lo voglio trascorrere nella gioia e nella
serenità. Vieni dunque con me e comincia a imparare, tramite i miei occhi, ciò
che troverai oltre questo luogo ameno e privo di dolore.”
Lei annuì e smise di piangere e la divinità,
sfiorandole il ventre, mormorò soave: “Non sarai mai sola, anche grazie a lei.”
“Sì, mio amato” annuì Hyo, nuovamente felice.
***
Due settimane erano passate, dalla loro partenza da
Rajana in quella fredda mattina di fine autunno.
Procedendo verso settentrione lungo la Carovaniera, il
tempo si era fatto via via più instabile, e l’aria più fredda.
Le piante avevano perso completamente le foglie
ingiallite dal freddo, colorando campi e muriccioli di pietra di tinte dal
bruno a biondo dorato.
Se quel viaggio avesse avuto scopi diversi, Aken
avrebbe gradito quei paesaggi fiabeschi e il lieve sentore di terra umida,
misto a quello della legna bruciata nelle case.
Trattandosi di una missione militare, però, l’unico
pensiero che lo sfiorò fu che la stagione
invernale si stava avvicinando a grandi passi.
Per diretta conseguenza, il loro viaggio non avrebbe
potuto che peggiorare man mano che i cavalli si approssimavano alla meta.
Quando infine raggiunsero la periferia di Marhna,
ultima cittadina di Enerios prima del confine con Vartas, la Carovaniera
portava i chiari segni di una breve quanto nefasta nevicata.
Fango e poltiglia si mescolavano a fogliame e piccoli
rametti, rendendo il loro procedere più lento e difficoltoso di quanto Aken non
potesse sopportare.
La sua pazienza, con il procedere del viaggio, era
scemata fin quasi a svanire.
Dacché avevano lasciato il paese di Rastanie, il suo
umore si era progressivamente rabbuiato.
Se, in un primo momento, i suoi uomini avevano cercato
di rabbonirlo con battute di spirito, al loro arrivo a Marhna nessuno di loro
aveva più le forze, o la voglia, per capire cosa stesse succedendo al loro
principe.
Neppure il bel paesino alle pendici dei monti, con le
sue case di sasso e tronchi di legno, riuscì a restituire il sorriso ad Aken.
Solitamente, era un amante di quei luoghi così
distanti dai clamori della città eppure, quel giorno, quasi non li notò.
La sua mente non era abbastanza bendisposta per quel
genere di attrazioni, in quel momento.
Seguito dai suoi uomini, si limitò a chiedere un paio
di informazioni ad alcuni passanti, così da poter raggiungere la casa del
Borgomastro.
Fu solo a mattina inoltrata, che il gruppo armato
raggiunse l’imponente casa del sindaco di paese.
Scesi che furono da cavallo, Aken guardò indispettito
il fango che, durante l’ultimo tratto di strada, aveva schizzato i suoi
stivali.
Detestava le formalità, ma non sopportava di
presentarsi a estranei meno che in ordine.
Tenendo sollevato l’orlo del mantello perché non
facesse la stessa fine, il principe raggiunse in pochi passi la veranda che
proteggeva l’ingresso della villa dalle intemperie.
Lì, dopo aver preso in mano il cordone della campana
che penzolava a lato del portone d’entrata, tirò un paio di volte, ascoltando
distrattamente il suo scampanio allegro.
Di certo, non rispecchiava il suo umore sempre più
nero.
In meno di un minuto, si presentò all’entrata una
matrona dai capelli canuti e stretti in un rigoroso chignon che, squadrandolo
curiosa, sorrise incerta prima di chiedere: “Vostra signoria desidera?”
“Annunciate al Borgomastro che il principe Aken di
Rajana desidera parlargli” asserì con voce stentorea e piana.
Spalancando gli occhi per la sorpresa e il timore
insieme, la donna si affrettò a eseguire l’ordine, dopo averlo invitato
graziosamente a entrare.
Scrutando distrattamente la matrona allontanarsi
attraverso il largo atrio di casa, Aken si avvicinò all’enorme camino acceso
che si trovava sul lato opposto dell’entrata.
Toltosi i guanti, si massaggiò le mani intirizzite dal
freddo, attendendo paziente che il Borgomastro giungesse.
Guardandosi intorno brevemente, Aken notò subito
quanto quell’ambiente fosse sfarzoso, nonostante si trattasse di una casa di
montagna.
Le pareti erano sapientemente stuccate e tinte
d’azzurro e, quasi ogni dove, arazzi riccamente decorati abbellivano
l’ambiente.
Ricchi tappeti percorrevano da un angolo all’altro
immenso atrio, portando alle scale di marmo e ferro che conducevano al piano
superiore.
Sollevando un sopracciglio con evidente curiosità,
Aken si chiese come un semplice Borgomastro di una città montana potesse
permettersi dei lussi del genere.
Lui non si occupava di economia, ma non credeva
possibile che i tributi pagati dai valligiani bastassero per poterlo far vivere
in una simile agiatezza, considerando che
tre quarti dei proventi andavano alla Corona.
Nell’udire dei passi frettolosi giungere dalle scale,
lasciò a un altro momento quel pensiero.
Volgendosi a mezzo, vide giungere dal piano superiore
un uomo rubizzo sui cinquant’anni, abbigliato con vesti di prezioso velluto
damascato e bei stivaletti di capretto ai piedi.
L’uomo in questione, raggiuntolo in gran fretta, si
inchinò compitamente, dicendo: “Altezza… è un onore avervi qui. In cosa posso
esservi utile?”
Scrutandolo per un momento per fissare nella sua
memoria quei lineamenti, Aken dichiarò sbrigativo: “Ho bisogno di sapere da voi
alcune cose, e riguardano tutte il forte a nord di qui. Quando avete inviato
gli ultimi rifornimenti ad Anok Fort? E perché non avete risposto alle missive
di mio padre?”
Apparendo sorpreso dal suo dire, il Borgomastro esordì
turbato: “Circa due mesi fa, ho inviato al forte un carro carico di viveri e
attrezzi, esattamente come prescritto dal contratto di fornitura stipulato con
la Corona. Per quanto riguarda le
missive, mio signore, qui non è giunto alcunché.”
Aggrottando impercettibilmente la fronte, Aken allora disse:
“Ho bisogno di parlare con gli uomini che hanno eseguito la fornitura. Potete
farli venire qui?”
Sbattendo le ciglia un paio di volte con aria sempre
più confusa, l’uomo si affrettò a eseguire l’ordine.
Con un forte battito di mani, chiamò a sé uno dei
garzoni che, trotterellando instabile sulle smilze gambe, si approssimò al suo
padrone, borbottando un saluto e un inchino.
Ossequioso fino a rasentare il timoroso, il giovane
mormorò: “In cosa posso esservi utile, signor Nohann?”
“Corri subito a chiamare Dankor e suo fratello. Di’ a quei due che il
principe desidera parlare con loro. In fretta! Vai!” spiegò l’uomo, rigirandosi
nervosamente le mani tra loro.
Il ragazzo parve sorpreso, ma si affrettò a correre
verso la porta principale per dirigersi alla casa dei commercianti.
Tirato in volto e vagamente pallido, Nohann riportò lo
sguardo sul principe e, con una gentilezza quasi forzata, disse: “Posso
invitarvi ad accomodarvi nel salottino degli ospiti?”
Guardandosi gli stivali inzuppati, Aken replicò con un
mezzo sorriso: “Meglio che non mi muova di qui. Ho già fatto abbastanza danni
all’entrata.”
“Come preferite voi” disse Noann, continuando a
guardare lui e la porta a intervalli regolari.
E’ molto nervoso. Chissà cosa nasconde? pensò Aken, aggrottando impercettibilmente la fronte.
Dovettero attendere circa una ventina di minuti, prima
di veder ricomparire il giovane sguattero.
Era accompagnato da due uomini corpulenti e abbigliati
con pesanti maglioni di lana grezza, brache di pelle scamosciata e alti stivali
di cuoio nero.
Le loro mani avrebbero potuto spezzare in due un giovane
albero, e Aken non fece fatica a capire quale fosse il loro secondo lavoro,
oltre a quello di commercianti.
Le piccole asce che portavano legate in vita, ne erano
chiara testimonianza.
Presentatisi al principe con rozzi ma sentiti inchini,
i due uomini squadrarono Aken in attesa di conoscere i motivi della loro
chiamata.
Il giovane principe, senza attendere oltre, andò
diritto al punto e chiese: “Com’era la situazione, al forte, quando siete
giunti lì l’ultima volta?”
“Non c’era nulla di strano, Altezza. Abbiamo
consegnato il carico e siamo tornati indietro con le lettere dei soldati, come
al solito” dichiarò Dankor, un po’
sorpreso da quella domanda.
Sollevando un sopracciglio con evidente meraviglia,
Aken borbottò: “Le lettere, eh? Allora, se qualcosa è successo, è accaduto dopo
la vostra partenza.”
“Accaduto? Pensate sia successo qualcosa al forte?”
chiese preoccupato Nohann, impallidendo.
“Abbiamo questo sospetto” ammise Aken, pensieroso.
Due mesi.
Più o meno, il periodo di tempo da cui non avevano più
notizie.
Possibile che i guerrieri di Vartas avessero tenuto
sotto controllo le spedizioni delle provviste, per sapere quando attaccare?
Non era da loro agire così abilmente, ma tutto poteva
succedere.
“Ho bisogno di una sistemazione per me e i miei uomini,
per questa notte” dichiarò alla fine Aken, rivolgendosi al Borgomastro. “Potete
provvedere?”
“Subito, Altezza” mormorò ossequioso Nohann, sospingendo
verso la porta il giovane garzone che, a più riprese, annuì agli ordini
sibilati dal padrone.
Nuovamente, Aken rimase vagamente sconcertato dal
comportamento del Borgomastro.
Non volendo mettere a parole i suoi dubbi di fronte a
così tanti estranei, preferì astenersi e, dopo aver ringraziato Nohann, uscì
assieme ai due commercianti raggiungendo
la strada infangata dinanzi alla casa.
Lì, Dankor, attirandone l’attenzione, disse a bassa
voce: “Altezza, una cosa.”
“Sì?” mormorò Aken, voltandosi curioso verso l’uomo.
“Forse non significa nulla, ma… non c’erano lupi” dichiarò
Dankor, notando l’evidente sorpresa del principe. “Solitamente, in quella zona,
c’è sempre stato un branco di lupi ma, quando siamo passati l’ultima volta, non
si è udito un solo ululato.”
Lupi, eh? Forse, avrebbe dovuto chiedere consiglio a
Kaihle, prima di passare il valico di Fenak che conduceva al forte.
Un attimo dopo aver concepito quel pensiero, però, si
diede dello sciocco e, scuotendo il capo, disse: “Staremo in guardia. Grazie.”
Dopo aver scrutato i due commercianti allontanarsi
lungo la via, Aken rimontò a cavallo e attese paziente che il giovane garzone
di Nohann tornasse per indicare loro dove avrebbero alloggiato per la notte.
Questo gli diede il tempo di pensare alle ultime
parole del nerboruto commerciante.
Era davvero strano che un intero branco cambiasse zona
di colpo.
Sapeva con ragionevole margine di sicurezza che i lupi
erano ferocemente territoriali, per cui, un cambio di zona di caccia era
impensabile.
Trovava difficile credere che un intero clan di lupi
si fosse spostato da un luogo all’altro, senza un motivo apparente.
Quelle montagne pullulavano di branchi piuttosto
numerosi, che mal avrebbero preso l’invasione da parte di un altro gruppo di
predatori.
No, questa faccenda non gli piaceva per nulla ma non
aveva il tempo di badare anche ai lupi sulle montagne.
Il suo compito primario era raggiungere il forte.
Quando fosse stato alla presenza di Kaihle, avrebbe
chiesto informazioni al riguardo, non un minuto prima si sarebbe occupato della
cosa.
***
Raggiunta la stanza assegnatagli, dopo aver
attraversato la sala principale dell’unica locanda di paese, Aken si gettò sul
letto dopo essersi tolto stivali e mantello.
In quel momento, giunsero due ragazzi con la tinozza
per il bagno e dei secchi fumanti di acqua.
Sorridendo soddisfatto, attese che tutto fosse pronto per quel
gradevole interludio.
Non appena i giovani se ne furono andati, assieme ai
suoi stivali da ripulire dal fango, una ragazza dalla chioma corvina si fece
avanti e, con un sorriso timido, chiese: “Avete bisogno per il bagno, Altezza?”
Era d’uso che gli uomini di alto rango fossero serviti
da giovani fanciulle, anche per intrattenersi allegramente con esse, se fosse
capitato.
Personalmente, preferiva pensare da solo al proprio
bagno per cui, con un sorriso di scuse, scosse il capo e disse: “No, grazie, ma
ti sono grato del pensiero.”
Porgendole una moneta d’argento, che lei accettò con
un inchino, Aken la guardò uscire silenziosamente dalla stanza e, quando finalmente
fu solo, si spogliò.
Fu con un sospiro di sollievo, che immerse il suo
lungo e muscoloso corpo nell’acqua fumante, concedendo a se stesso di
rilassarsi per un po’.
Calmandosi gradatamente, man mano che l’acqua bollente
agiva sui suoi muscoli tesi, Aken affondò leggermente nella tinozza.
Chiusi gli occhi, cominciò a massaggiarsi con la
spugna e il sapone al sandalo che si era portato da palazzo, alleviando i
dolori causati dal viaggio e dalla lunga permanenza a cavallo.
Quella stanchezza non lo aiutava a ragionare con
chiarezza, perciò avrebbe dedicato tutta la sua attenzione a una cosa frivola
come il bagno, prima di tornare a focalizzare la propria mente sulla missione.
Staccare ogni tanto faceva bene, anche a lui.
Passando la spugna sulla pelle abbronzata e segnata da
diverse cicatrici, che gli rammentavano i suoi trascorsi nell’esercito, Aken si
lavò anche i capelli corvini, sentendoli finalmente profumati dopo tanti
giorni.
Amava i cavalli, ma non agognava ad avere il loro
stesso odore.
Quando l’acqua cominciò a freddarsi, Aken uscì dalla
tinozza per avvolgersi in un morbido panno profumato e, sedutosi sul letto, si
asciugò strofinandosi con forza.
Frizionati un poco i capelli per togliere quanta più
acqua possibile, indossò abiti puliti e scese infine nel salone per la cena.
Raggiunti i suoi soldati, che avevano seguito il suo
esempio, li salutò e si sedette accanto a loro a un tavolo di legno grezzo.
Ordinò spezzatino e zuppa per tutti, insieme alla
buona birra di montagna che producevano in quella zona.
Farall, accomodato al suo fianco, lo scrutò in viso
per un momento prima di dichiarare gaio: “Se avessimo saputo che un bagno
avrebbe fatto miracoli sul tuo umore, ti avremmo buttato in qualche torrente giorni
fa!”
Ridendo di se stesso, Aken ammise: “Scusatemi, se vi
sono sembrato burbero come un orso, ma tutta questa situazione mi sta portando
più mal di testa di quanti non ne vorrei. C’è qualcosa che non mi quadra, e non
so raccapezzarmi in tal senso.”
“Quando raggiungeremo il forte, sapremo tutto. E’
inutile preoccuparsi adesso, Aken” asserì Finarr, bevendo da un boccale della
birra schiumosa e profumata.
Annuendo debolmente all’amico, Aken prese il suo
boccale e disse: “Forse hai ragione. E’ inutile fasciarsi la testa prima di
rompersela.”
Vassoi di carne e ciotole di zuppa calda vennero
portati al loro tavolo, assieme ad altri boccali di birra e sidro speziato.
Quei profumi così deliziosi solleticarono le papille
gustative di Aken che, con un sorriso soddisfatto, affondò la forchetta nel
piatto.
“Nessuna cucina è migliore di quella di montagna.”
“Forse, il nostro principe ha scordato come si mangia
a palazzo” ridacchiò Finarr, mangiando di gusto.
“Me ne ricordo, amico mio…” replicò ridendo Aken “… e
credimi, nulla batte la buona cucina contadina.”
La cameriera che aveva servito loro le libagioni,
sorrise compiaciuta nel passare accanto al loro tavolo e, poggiato un boccale
accanto a quello del principe, dichiarò: “Sua Altezza ha gusto da vendere. Per
voi… offre la casa.”
“Grazie, gentile signora. E fate i complimenti al
cuoco. La carne è tenerissima e ben cotta” asserì Aken, prendendone un altro
pezzo e masticandolo con gusto.
La matrona sorrise e annuì a più riprese, prima di
voltarsi verso l’entrata della locanda quando sentì il portone di legno aprirsi
e cigolare leggermente.
Abbigliata di pelli di daino e armata di un corto
spadino legato al fianco, una fanciulla entrò nel locale assieme a un uomo di
circa una quarantina d’anni.
Insieme a loro, enorme e nero come la notte, un lupo
li seguì all’interno, senza però destare alcuna sorpresa nelle persone
presenti.
Aken, che aveva levato incuriosito lo sguardo, al pari
della matrona che aveva servito loro da mangiare, ne rimase sorpreso e allibito
al tempo stesso.
Una ragazza-lupo.
Gli altri avventori non fecero caso a quello strano
trio, che ora si trovava accanto al bancone dove servivano da bere.
Era evidente che doveva essere di casa, lì.
Colto da uno strano interesse, continuò a puntare lo
sguardo sul trio uomo-fanciulla-lupo, chiedendosi chi fossero.
L’oste, vedendoli, andò loro incontro, stringendo la
mano all’uomo e porgendo un pacchetto alla ragazza, che ringraziò con un bel
sorriso sul volto grazioso.
Subito dopo, carezzò sul capo il grande lupo, che
piegò il muso verso il basso come a ringraziare a sua volta.
Un po’ sorpreso, Aken vide l’oste ridacchiare e
allungare un osso al lupo che, con cautela, lo prese tra i denti prima di
accucciarsi per terra mentre la ragazza dialogava con i due uomini.
La fanciulla, dai capelli ramati stretti in un’unica
treccia lunga fino alla vita, rimase a chiacchierare con loro per una ventina
di minuti, prima di abbracciare l’uomo
con cui era entrata.
Richiamato a sé il lupo, quindi, se ne andò dalla
locanda per immergersi nel buio della notte, all’esterno del locale.
L’oste, a tal riguardo, si rivolse all’amico e chiese:
“Sarà il caso che tua figlia se ne torni a casa tutta sola? E’ notte
inoltrata.”
L’uomo rise e replicò divertito: “Sola? E quel
bestione di sessanta chili che le stava al fianco, cos’era?”
L’oste rise con lui e gli offrì una birra, del tutto
ignari dello sguardo di Aken che, come ipnotizzato, continuò a fissare il punto
in cui la ragazza era stata fino a pochi momenti prima.
Farall, stupito dal suo comportamento, gli chiese
vagamente preoccupato: “Cosa c’è, Aken?”
“Eh? Oh, niente” disse lui, riscuotendosi da quello
strano torpore in cui era caduto.
Quindi, quella era una ragazza-lupo!
Si era aspettato di vedere chissà che cosa, non certo
quella specie di frugoletto dalla pelle dorata dal sole e dai capelli color del
rame.
E quel lupo!
Avrebbe potuto sbranarla in un sol boccone, eppure la
seguiva con una devozione a dir poco singolare.
Davvero non capiva come potessero riuscirvi.
Quando se ne tornò in camera, molto più tardi, i suoi
pensieri tornarono alla giovane intravista nella locanda, al suo viso giovane e
fresco, al suo sorriso e alla sua risata spontanea.
Con un certo sgomento da parte sua, rammentò anche la
curva appena accennata dei suoi fianchi e le sue gambe snelle e slanciate.
Scuotendo il capo per il fastidio, Aken disse tra sé:
“E’ troppo tempo che non sto con una donna, se mi metto a guardare le ragazzine.”
Ma, a tutti gli effetti, quella non poteva essere una
ragazzina, vista la curva del seno che era riuscito a scorgere.
Spalancando gli occhi di fronte a quella
constatazione, si sollevò a sedere, disorientato da quei pensieri.
Raggiunta la finestra, la aprì per osservare la
foresta baciata dai bianchi raggi della luna.
Subito, si chiese se la fanciulla fosse al sicuro tra
quelle fronde buie, con la sola compagnia di un lupo.
“Quelle donne sono folli, se permettono a una
ragazzina di aggirarsi da sola, di notte, per la foresta” brontolò a bassa voce,
tornando a coricarsi sul letto per cercare di dormire.
Non erano affari suoi, come vivevano quelle donne. Lui
aveva ben altro a cui pensare e, per farlo, doveva riposare!
***
La mattina venne presto, anche troppo presto per i suoi gusti e Aken, sbadigliando stancamente, si
levò da letto solo per scoprire di aver dormito con gli abiti addosso.
Ridendo di sé, raccolse la sua roba prima di raggiungere
gli altri per colazione.
Era davvero messo bene, se si lasciava sconvolgere
sensi e vita da una ragazzina di cui non conosceva nulla!
Presto si sarebbero rimessi in viaggio per il valico,
lasciandosi alle spalle il paese di Marhna e, con esso, la strana ragazza-lupo.
In serata, avrebbero sicuramente raggiunto il ponte
che oltrepassava la sorgente del fiume Fenak, che li separava da Anok Fort e,
da lì, alla verità su quella situazione ingarbugliata.
La sua mente doveva essere concentrata solo su queste
informazioni basilari.
Quando abbandonarono la cittadina in sella ai loro destrieri, Aken lanciò uno
sguardo alle cime imbiancate della Catena dei Monti Urlanti.
Tra sé, sperò ardentemente che, per una volta, non
rendessero onore al loro nome, scatenando una tempesta di neve, almeno finché
loro si trovavano tra quelle pendici
impervie.
Quelle alte montagne, ricche di guglie aspre e ripide,
non promettevano nulla di piacevole.
Meno ancora, i metri di neve gravanti sui loro
fianchi, che attendevano solo una scusa qualsiasi per staccarsi e abbattersi su
di loro.
Poco lontana, la Valle della Luna, la profonda gola
scavata dal fiume Fenak per giungere a valle, era luogo ricco di pericoli e via
seguita solo dai folli e dai disperati.
Aken conosceva pochissime persone che si fossero
arrischiate a percorrere quello stretto cunicolo roccioso, e tutti erano
concordi nel dire che quel luogo era la dimora dei demoni.
Beh, di sicuro lui non si sarebbe mai avvicinato a
quella gola maledetta!
Fu nel tardo pomeriggio, con Marhna ormai lontana e
gli spettri di una valanga a tener loro compagnia, che un vento gelido e
tagliente cominciò a spirare sulla valle.
Stringendosi il mantello intorno al collo, Aken rallentò
l’andatura e borbottò roco: “Ecco il benvenuto dei monti.”
“Davvero caloroso” commentò Rias, sbuffando.
Una leggera lanugine nevosa era caduta nella notte,
imbiancando la vallata alle pendici dei monti e rendendo l’intero paesaggio più
sinistro di quanto non fosse in realtà.
Osservando le coste ripide delle colline che si
andavano a fondere con le montagne poco distanti, sperò ardentemente che,
dietro di esse, non vi fossero spie nemiche.
Non erano numerosi a sufficienza per contrastare un
agguato, e quel luogo era un ottimo posto per attaccarli.
Tutto, però, andò per il meglio, almeno finché non
raggiunsero il valico. O quello che ne rimaneva.
A quanto pareva, un masso si era staccato dai monti
vicini, finendo col distruggere il ponte.
Il che poteva, almeno in parte, spiegare la mancanza
di notizie dal forte, ma non l’ignoranza palesata dal borgomastro.
Come poteva non sapere della distruzione del ponte?
Possibile che non avesse mandato nessuno a controllare
le sue condizioni, in vista dell’inverno?
Che nascondesse la sua inettitudine? O c’era molto di
più?
Aggrottando la fronte di fronte a un sospetto sempre
crescente, Aken osservò Farall, anch’egli piuttosto accigliato e, voltato il
cavallo verso di lui, disse: “La cosa mi piace sempre meno. Il borgomastro non
ci ha raccontato tutto, temo.”
“Non sarebbe il caso di tornare indietro e
interrogarlo?” domandò Kinas, ringhiando nervosamente.
“No. Potrebbero tenderci una trappola all’imbocco del
paese. Se il caro borgomastro è al servizio di Vartas, potrebbe avere ideato un
piano per eliminarci, nel caso rimettessimo piede in paese per vendicarci” decretò
Aken, scuotendo il capo. “Anzi, mi stupisce molto che non ci siano saltati
addosso nel giungere qui.”
“Forse, non si aspettavano una nostra visita, e non
hanno potuto predisporre un agguato degno di tale nome ma, come dici tu,
potrebbero benissimo aspettarci al ritorno, ora che sanno che siamo qui e che
abbiamo scoperto questo” commentò
Gar, massaggiandosi un baffo nell’osservare quel che rimaneva del ponte di
roccia.
Sbuffando, Aken assentì al suo compagno.
“Dirigiamoci a sud-est, verso il villaggio di Nestar.
Lì, chiederemo consiglio a Kaihle. Lei conosce sicuramente una strada
alternativa per raggiungere il forte e, forse, sa qualcosa anche del
borgomastro.”
“Ci dovremmo affidare all’aiuto di una donna?”
brontolò Likas, facendo tanto d’occhi.
“Sarà anche solo una donna, come dici tu, ma quella stessa
donna ha salvato mio fratello e la mia matrigna da morte certa, e io mi fido di
lei” replicò Aken, avviando il cavallo verso la costa della collina.
“Togliamoci da qui e troviamo un posto riparato dove accamparci. Raggiungeremo
il villaggio domani.”
Una volta raggiunta la cima dell’altura più vicina e
interamente coperta di neve, Aken individuò una bassa coltre di pini di
montagna dalla forma nodosa e raggrinzita.
Fatto cenno ai suoi uomini di fermarsi, dichiarò: “Ci
accamperemo qui. Questi alberi ci difenderanno da sguardi indiscreti e dal
vento.”
In fretta, montarono l’accampamento senza accendere il
fuoco.
Ascoltando il sibilare del vento tra i rami secolari
di quei bassi pini dalle forme più svariate, Aken pensò a come meglio comportarsi
in quella situazione di potenziale pericolo.
Era ormai chiaro che il borgomastro sapeva qualcosa,
ed era più che sicuro che, se fossero tornati sui loro passi, avrebbero trovato
ad attenderli degli uomini armati.
Era più che probabile che la popolazione di Marhna ne
fosse all’oscuro, o li avrebbero ammazzati notte tempo.
Quindi, i fantomatici uomini di Vartas non erano nelle
vicinanze,… ma dove?
Sì, rivolgersi a Kaihle era la soluzione ottimale.
Lei non si sarebbe mai alleata con Vartas, e avrebbe
saputo consigliarlo su come raggiungere il forte nel più breve tempo possibile.
Non aveva le conoscenze sufficienti di quel luogo, per
affrontare la Valle della Luna ma, a nord-est, il passaggio era più agevole.
Sicuramente, Kaihle conosceva un sentiero sicuro per
lui e i suoi uomini.
Con quelle convinzioni riuscì finalmente a prendere
sonno, nonostante il rumore incessante del vento.
***
Smontato il campo in tutta fretta, cancellarono le
tracce della loro presenza con rami di pino legati dietro i loro cavalli.
Direttisi verso Nestar con il sole che brillava oltre
le cime delle montagne innevate, gli uomini di Aken cominciarono a chiedersi
come si sarebbe risolta quella missione.
Niente stava andando come previsto, e l’idea di un
possibile agguato in quelle lande desolate, non rallegrava nessuno.
Persino Aken, solitamente appassionato combattente,
trovò la situazione sgradevole.
Guardandosi intorno con espressione torva e
preoccupata insieme, si chiese se non sarebbe stato meglio tornare a Rajana da
una strada secondaria, piuttosto che rischiare ancora.
Ma lui aveva una missione da compiere, e non poteva
tornare alla capitale come un coniglio. Sarebbe andato ad Anok Fort, a costo di
arrivarci prono.
Non lontano, l’ululato di un lupo si aprì la strada
fino a raggiungerli sullo stretto sentiero che stavano percorrendo.
Volgendo uno sguardo apprensivo alla foresta che li
circondava, Aken temette per un momento per le loro vite.
Sapeva che quasi tutti i branchi del luogo erano
governati dalle donne-lupo, ma non poteva sapere se, tra quei boschi impervi,
qualche animale solitario stesse mietendo vittime incolpevoli.
Loro non erano nelle condizioni di perdere neppure un
cavallo.
Quando poi, dal fitto dei cespugli nodosi che li
circondavano, un branco di una ventina di lupi li raggiunse sulla mulattiera,
Aken alzò una mano per fermare i suoi uomini.
Apprensivo, osservò i predatori dinanzi a loro,
chiedendosi cosa avessero in mente.
I lupi li osservarono a loro volta a denti snudati per
alcuni attimi dopodiché, ammorbidendo i loro tratti, si disposero intorno al
gruppo come a formare una scorta.
Il capo branco, un lupo dal pelo dorato, affiancò il
cavallo di Aken e gli fece cenno con il muso di proseguire.
Il principe parve stupito della cosa, ma avviò il suo
cavallo e, con lui, si mossero anche i suoi cavalieri e il branco di lupi.
Appurato che questi predatori in particolare non erano
lì per cacciare loro, dove li stavano conducendo?
Quella specie di parata andò avanti fino al villaggio
di Nestar e, quando finalmente giunsero in vista delle case di legno delle
donne-lupo, il branco si sparpagliò.
Sospirando sollevato, Farall borbottò: “Cominciavo a
pensare ci stessero conducendo in un luogo dove banchettare.”
“E’ chiaro che ci stavano controllando da un po’”
commentò Aken, contrariato.
Non si era affatto accorto di essere spiato!
Avviatisi verso quello che sembrava essere il
caseggiato principale del villaggio, Aken osservò con non poca meraviglia le
loro abitazioni.
Erano costruite con tronchi levigati, incastrati gli
uni sugli altri, e circondate da bassi steccati e piccoli giardini, ora
ricoperti da un basso strato di neve.
Accanto alle case, piccole stalle si ergevano per
proteggere gli animali domestici e, forse, gli stessi lupi.
Poco più avanti, procedendo lungo la via, scorse con
sorpresa alcune bambine di sei o sette anni che, tenendo in braccio i cuccioli
di lupo, correvano da un lato all’altro della strada.
Tutte, portarono i piccoli in un grande recinto
coperto da un’enorme tettoia di legno.
Enormi caseggiati in sasso fiancheggiavano la via
principale e, sbirciando all’interno dei portoni spalancati, Aken vide fieno,
casse stivate e pellami accatastati su pianali di legno.
I loro magazzini per l’inverno.
Separata dal resto delle abitazioni e vicina a un
piccolo torrente, una fucina in piena operatività faceva sbuffare il camino di
pietra, che sorgeva ritto da un tetto spiovente.
Una donna al mantice controllava che la temperatura
dell’altoforno fosse adeguata per la preparazione dell’acciaio.
Ogni attività, ogni movimento all’interno del
villaggio, era rigidamente controllato da altissime guerriere in armi, che poco
avevano a che spartire con le fragili donne della Capitale.
Come la ragazza che Aken aveva visto a Marhna, anche
le altre donne presenti portavano abiti di pelle di daino, più o meno lunghi ed
elaborati.
Tutte, invariabilmente, portavano i capelli legati in
lunghe trecce che giungevano anche fino alla vita.
Sempre più confuso, il principe lanciò uno sguardo
sopra il villaggio, scorgendo imponenti frangi valanga in legno e, nuovamente,
si chiese come avessero fatto a costruire tutto da sole.
Solo per trasportare i tronchi, e scavare buche
sufficienti per contenere i travi principali, dovevano aver lavorato mesi!
Dopo aver attraversato l’intero villaggio, sotto le
occhiate divertite delle donne-lupo, Aken si fermò di fronte alla casa più
grande tra tutte e legò le redini a una palizzata.
Data solo una fuggevole occhiata al palco di un cervo
appeso sopra l’entrata, raggiunse la porta e bussò.
Dopo pochi attimi, il battente si aprì e una giovane
dalla chioma corvina e gli occhi verdi come smeraldi lo accolse con un lieve
sorriso, dicendo: “Benvenuti al nostro villaggio, cavalieri. Cosa desiderate
dalle donne-lupo di Nestar?”
“La Signora del villaggio è in casa? Sono il principe
Aken di Rajana. Vorrei conferire con lei, se fosse possibile” esordì Aken,
notando lo stupore dipingersi sul volto della ragazza.
“Mia madre è presente. Sarà onorata di parlare con te,
principe” poi, arrossendo leggermente, aggiunse: “I tuoi stivali, prego. Non
puoi entrare in casa con quelli.”
Osservando le sue calzature sporche e piene di fango,
annuì Aken e li tolse in fretta, mentre la ragazza si apprestava a consegnargli
un paio di pianelle di pelle di coniglio.
Entrato nella casa, interamente costruita di legno e
pietra, il principe ammirò le splendide pelli stese sul pavimento e i magnifici
arazzi che decoravano le pareti.
Una volta di più, dovette ricredersi su quanto si
diceva di loro. Non erano affatto rozze, tutt’altro!
Quel luogo denotava cura per i particolari, pulizia e
ordine.
Accompagnato l’ospite fino a una stanzetta riscaldata
da un bel fuoco, che bruciava in un camino di roccia grigia, Tyura si inchinò a
sua madre, assisa su uno scranno.
Imitatala, Aken scrutò la donna alta e magra sulla
quarantina d’anni, che lo stava osservando da una pesante poltrona ricoperta di
pelli.
Con educazione, disse: “Sono lieto di rivederti,
Kaihle, Signora di Nestar. Non so se ti ricordi di me, poiché sono passati
molti anni dal nostro unico incontro. Sono Aken di Rajana.”
La donna gli sorrise cordiale e, nell’indicargli una
poltrona ricoperta di pelle di daino, dichiarò: “Ricordo il tuo volto, giovane
principe, anche se i tratti di fanciullo sono ormai scomparsi, sul tuo viso di
uomo. Sii il benvenuto, Aken di Rajan. La mia scorta ti è stata utile per
raggiungere il villaggio più agevolmente?”
Un po’ sorpreso, lui annuì.
“Li hai mandati tu, mia Signora?”
Annuendo, Kaihle sorrise con lieve malizia e dichiarò:
“Ho ricevuto notizia dal mio lupo, della vostra presenza, così ho preferito
farvi scortare perché non vi perdeste. Ci sono molti sentieri che portano qui,
e non tutti sono sicuri. Dimmi, principe, cosa ti porta tra la mia gente in un
momento così infausto? L’approssimarsi dell’inverno non è mai periodo buono,
per avventurarsi tra i monti.”
Ammaliato suo malgrado da quella donna così sagace e
affascinante, Aken mormorò con un misto di rispetto e timore: “Ti porto i
saluti di mia madre Anladi, mia Signora, e doni per te e le tue sorelle. Spezie
del sud e filamenti di canapa. Mia madre pensava potessero esservi più utili di
gioielli o stole di seta. Inoltre, vorrei chiederti un favore, se fosse possibile.”
Sorridendo, Kaihle disse divertita: “Sono lieta di
ricevere i suoi saluti e i suoi doni, visto soprattutto quanto essi siano
lungimiranti. Tua madre adottiva non è mai stata una donna vacua, e lo dimostra
anche da gesti come questo. Ma dimmi; come posso essere utile al principe di
Rajana?”
“Il valico di Fenak è crollato, e io devo raggiungere
il forte che si trova sul passo. Sai se esistono altre strade per
raggiungerlo?”
Aggrottando impercettibilmente la fronte a quella
notizia, Kaihle batté le mani un paio di volte e attese.
Subito, la ragazza che aveva accolto il principe tornò
nella stanza, uno sguardo timoroso stampato sul viso abbronzato e serio.
Osservando la voluttuosa ragazza che aveva detto di
essere la figlia di Kaihle, Aken si chiese il perché della sua paura, ma non
attese molto per scoprirlo.
Come acciaio, la voce di Kaihle sferzò l’aria in
direzione della figlia.
“Era compito tuo riferirmi di eventuali cambiamenti
sul valico. Perché non sapevo nulla della caduta del ponte?!”
Accusando il colpo, e avvampando di collera e
umiliazione per essere stata ripresa davanti al principe, la ragazza reclinò
compita il capo e mormorò: “Me ne dispiace, madre. Ho pensato non fosse
necessario tornarvi. C’ero stata solo un mese fa e…”
“Tyura, non ti ho dato licenza di pensare al posto
mio” replicò secca la donna. “E ora, vai a chiamare tua sorella Eikhe. Ho
bisogno di lei.”
“Ma madre…” esalò la ragazza, impallidendo nel
rialzare il capo e fissare la madre con occhi che esprimevano sconcerto e
dubbio.
“Ora, Tyura” ingiunse la donna, decisa.
La fanciulla fuggì letteralmente dalla stanza e
Kaihle, osservando spiacente Aken, disse: “Mi scuso per il suo comportamento.
E’ giovane, e non ha ancora compreso l’importanza del suo compito come mia
erede.”
“Non deve essere facile, per una ragazza, avere simili
pressioni sulle spalle” commentò conciliante Aken.
“Per noi, è normale” replicò affabile Kaihle, con una
leggera scrollata di spalle.
Pochi minuti dopo, accompagnata da Tyura, entrò la
stessa ragazza del villaggio e Aken, sorpreso, osservò in viso la fanciulla che
tanto l’aveva colpito alla locanda.
Anche Eikhe parve sorpresa di vederlo ma, contenendo
la propria curiosità, fece un breve inchino al principe prima di sedersi a
gambe incrociate ai piedi della madre.
Sorridendo alla fanciulla, accomodata sulle stuoie di
pelle di orso, Kaihle chiese: “Vi siete già incontrati, figlia mia?”
Annuendo, Eikhe dichiarò: “Il principe era a Marhna,
due sere fa. L’ho visto alla locanda, mentre salutavo papà.”
“Capisco” chiosò pacata la donna, mentre Aken si
stupiva sempre di più. “Principe, lei è la mia seconda figlia, Eikhe. Sarà lei
a scortarti oltre la Valle della Luna e, da lì, al forte di Anok.”
“Che cosa?!” esclamarono quasi insieme i tre giovani
presenti.
Tyura fissò rabbiosa la sorella, lanciando uno sguardo
di aperto desiderio in direzione del principe che, del tutto preso
nell’osservare sbigottito Eikhe, non si accorse di nulla.
Kaihle, invece, disse serafica: “Non devi stupirti, principe.
Eikhe è perfettamente in grado di compiere il compito assegnatole. Conosce quei
luoghi meglio di tutte noi, quindi potrà esserti di aiuto nella tua missione.”
“Ma madre, devo finire il lavoro con i cuccioli! E
poi, devo recuperare le mie prede!” esalò Eikhe, avvampando d’ira per
quell’imprevisto.
“Madre, manda me, ti prego!” intervenne Tyura,
stringendo le mani al petto.
“Figlie, ora basta!” esclamò severa Kaihle, azzittendo
entrambe. “Farete come vi ho detto, è chiaro?!”
Eikhe annuì di malavoglia e Tyura, fissando duramente
la sorella, le sibilò: “Ti odio!”
“E‘ reciproco” le fece la lingua lei, alzandosi con
grazia ferina.
Guardato il principe per un momento con aria più che
infastidita, Eikhe disse subito dopo: “Partiremo domani con il sorgere del
sole.”
“E sia” assentì Aken, ancora sorpreso da quella
situazione assurda.
***
Scalciando con rabbia uno dei suoi cuscini, Eikhe si
buttò sul suo letto coperto di pelli, imprecando senza freni.
Nys, il suo lupo nero, le si avvicinò lesto,
leccandole il viso per consolarla.
Tutto si sarebbe aspettato, tranne che quell’ordine!
Non voleva accompagnare l’arrogante principe delle
pianure, che giungeva lì dal nulla e pretendeva di avere tutte ai suoi piedi!
Lei aveva i suoi compiti da svolgere, e le sue trappole
da controllare!
Non poteva perdere tempo in futili questioni!
Strillando rabbiosa, si levò dal letto muovendosi
rabbiosamente per la sua camera e, con gesti furiosi, prese a preparare le
sacche per il viaggio.
All’esterno della sua casa di tronchi, ignari del suo
malumore, gli uomini del principe vennero accolti per la notte nelle abitazioni
più grandi del villaggio.
Guardando torva il gruppo di guerrieri oltre la
superficie gelida della finestra, Eikhe buttò sul letto il necessario per il
viaggio e, ripiegato diligentemente il suo prezioso mantello di pelliccia
d’orso, disse a Nys: “Mi mancava solo questa… se l’avessi saputo, sarei andata
direttamente a controllare le trappole. Non sarei mai tornata qui!”
Nys uggiolò per farle comprendere il suo dispiacere e
lei, sedendosi a terra, lo abbracciò affondando il viso nel suo folto pelo nero.
“Almeno, so che ci sarai tu a tenermi compagnia, caro
Nys.”
Il lupo le leccò il viso e si sfregò contro di lei
confortante ed Eikhe, sospirando, mormorò: “Non potevo nascere lupo?”