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Autore: Yu_Kanda    12/06/2016    0 recensioni
[LaviYuu]
[Storia partecipante al contest Fiume "A mille ce n'è... di slash da narrar!" indetto da Sango sul forum di EFP]
Genere: Angst, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Rabi/Lavi, Yu Kanda | Coppie: Rabi/Kanda
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Book of Lairs'
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Il Difensore
 


Capitolo 1: K106

 

Il grande schermo a cristalli liquidi mostrava su di sé le opzioni disponibili per accedere ai diversi servizi erogati in quel posto; il giovane davanti a esso lo fissava con aria confusa. Aggrottò le sopracciglia e sollevò lo sguardo, esaminando la stanza: che accidenti ci faceva dentro un ufficio postale? Non aveva la minima idea di come fosse giunto lì... un colpo di tosse proveniente da dietro di lui ne interruppe bruscamente i pensieri e il giovane premette un riquadro a caso sul display.

La macchina vibrò e un bigliettino fuoriuscì da una delle fessure sulla destra: numero K106. Cosa doveva farci con quello? Il giovane si spostò al centro dell'ufficio, indietreggiando fino alla parete, per restare in disparte e osservare cosa avrebbero fatto gli altri clienti.

La luce in quel posto era così fredda e innaturale, gli impiegati troppo formali quasi... artificiali? Le vetrate dietro di lui non lasciavano filtrare nulla, erano trasparenti eppure non riusciva a vedere cosa ci fosse dall'altra parte, come se fuori regnasse il buio più assoluto. Come se fossero sospesi nel tempo e, ora che ci faceva caso, non riusciva a individuare l'ingresso. Da dove veniva la gente? Come se ne andava? Perché lui era lì con loro?

Gli sportelli, tuttavia, funzionavano.

– F95 – chiamò un impiegato, e qualcuno s'avvicinò.

Questo lo riportava al quesito principale: cos'era venuto a fare all'ufficio postale? Cercò di sforzarsi di ricordare. Chiuse gli occhi e si concentrò; un sottile panico s'impadronì di lui quando l'operazione lo fece rendere conto che qualcosa definitivamente non andava. Non ricordava il proprio nome!

Vedeva immagini confuse di posti e situazioni, ma non sapeva assolutamente collocarle o dare nomi ai volti che vi comparivano.

Chiuse di nuovo gli occhi.

 

 

– Dottor Edgar, ho bisogno di sapere cosa diavolo è successo. Perché il ragazzo ha picchiato a sangue uno dei suoi compagni d'addestramento? Proclamando, nientemeno, che doveva proteggere il suo migliore amico!

L'uomo, di mezza età, capelli corti brizzolati e un paio di baffetti tronchi che gli conferivano un aspetto sempre stizzito, pose la domanda con un tono estremamente accusatorio, lo sguardo rovente. Un tono che prometteva serie ripercussioni, ove la risposta non gli fosse parsa soddisfacente.

– Lavi... – mormorò, ottenendo che si voltasse subito verso di lui.

– Chi è mai questo Lavi, dottore? – incalzò l'uomo con i baffetti. – Come è entrato in contatto con un Difensore? Dobbiamo...

Il dottor Edgar fece un cenno con la mano, come se volesse dire a quell'uomo tanto sgradevole di aspettare prima di affrontare quel discorso. Questi serrò le labbra, sbuffando con impazienza; il dottore allora sorrise e si chinò su di lui, posando quella stessa mano sul suo petto nudo.

– Va tutto bene, Yuu, le tue ferite stanno già guarendo – lo sentì dire – ora riposa.

Yuu. Il suo nome era Yuu, dunque? Vide che toccava il tubicino che aveva infilato nel braccio; del liquido iniziò a scendere e lui a sentirsi confuso. Il mondo iniziò a fluttuare e le voci attorno a lui si fecero ovattate. Cercò comunque di seguire il discorso, perché era certo lo riguardasse.

– Censore Lvellie, Yuu è il pupillo del Generale Tiedoll – si difese Edgar – e il Generale ha...

Al nome di Tiedoll l'uomo coi baffetti trasalì ed esplose, stroncando la spiegazione del povero dottore sul nascere.

– Tiedoll! Che ha fatto quel folle? – esclamò, agitando in aria un pugno.

– Il Generale ha chiesto che Yuu non fosse sottoposto a condizionamento cerebrale. – rivelò il dottor Edgar, affrontando l'espressione scioccata del Censore. – Vuole crescerlo come fosse un figlio. Non... non ho potuto dire di no.

Il volto del Censore divenne paonazzo per la rabbia.

– Vecchio pazzo! – sibilò fra i denti, afferrando una manica del camice di Edgar e trascinandolo un po' più lontano dal lettino medico. – Questo ragazzino è l'unico sopravvissuto della seconda generazione di cloni! È troppo importante perché vada in giro a fare di testa sua! Ripristini il blocco mentale subito!

Il dottore scosse lentamente la testa, allargando le braccia con gesto impotente.

– Non posso impiantare il chip una volta che il clone è uscito dalla capsula di coltura – spiegò in tono pacato – il cervello, ormai formato, lo rigetterebbe. Sarà sottoposto al condizionamento mentale, vedrà, Censore Lvellie, che funzionerà egregiamente.

Lo sguardo che ricevette in risposta lasciava chiaramente capire che il Censore non credeva affatto all'efficacia del metodo non cibernetico.

– Questo clone è irrimediabilmente compromesso – annunciò solenne – concederò che sia impiegato per dieci anni, poi sarà disattivato.

Disattivato? Intendeva dire che lo avrebbero ucciso, così, senza ragione, alla scadenza del periodo deciso da quell'uomo terribile?

Il dottor Edgar giunse le mani, avvicinandosi; avrebbe supplicato se doveva, strisciato ai piedi di Lvellie se fosse servito a salvare la vita del ragazzo che gli era stato affidato.

– La prego, signor Censore, riconsideri... ha solo nove anni, deve imparare – disse con enfasi – se non ci fossero più incidenti, perché privarsi di lui?

Nove anni... era solo un bambino, quindi? Non riusciva a sollevare la testa per guardarsi, era legato al lettino e si sentiva tanto debole. L'unica cosa che poteva fare era fissare impotente le due figure sfocate che discutevano di lui, del suo destino, finché restava cosciente.

– La decisione è definitiva. – fu l'ultima cosa che sentì. – Potrà presentare un appello quando verrà il momento, se ci saranno i requisiti.

 

 

– Hai bisogno d'aiuto, giovanotto? Stai fissando quel bigliettino da un bel po' di tempo, ormai.

L'aria gli riempì nuovamente i polmoni; fu come se la vita avesse ripreso a scorrere in quel momento, con la voce della persona che s'era rivolta a lui. La luce che l'abbagliava lasciò il posto alle sue mani, che stringevano fra le dita il numero assegnatogli dalla macchina all'ingresso. K106.

Deglutì, un senso di timore che, lentamente, s'insinuava nel suo cuore, e si voltò verso chi gli aveva posto la domanda. Incontrò lo sguardo amichevole di una signora piuttosto anziana, i capelli ormai grigi raccolti in una crocchia e il viso rivolto verso l'alto in attesa della sua risposta.

Sbatté un paio di volte le palpebre, riconoscendo il posto. Considerato che la nonnina gli arrivava a malapena al torace, era piuttosto evidente che lui non aveva nove anni; non più, almeno. A cosa aveva assistito, esattamente? E dove? O forse la domanda giusta era quando?

La donna lo colpì bonariamente sul piede col bastone su cui si appoggiava.

– Io... non so cosa devo fare. – disse infine.

La nonnina gli sorrise, sollevando la mano libera per prendere la sua e avvicinarsela.

– Su, fammi vedere quel numero – comandò – se ti sei distratto potrebbero averti già chiamato.

– V125 – scandì in quel momento uno dei cassieri.

Sentì la stretta sul suo polso farsi più salda, poi la mano che lo stringeva tremare leggermente. La fronte della nonnina si aggrottò e quando sollevò il viso per guardarlo di nuovo la sua espressione si era fatta indecifrabile.

– Non conosco questa lettera – disse, scuotendo ripetutamente la testa per poi riportare l'attenzione sul bigliettino – non posso aiutarti. Perché sei venuto, cosa devi fare?

– Io... non lo so.

A quelle parole la nonnina sollevò un sopracciglio, appoggiando entrambe le mani sul suo bastone.

– Se non sai perché sei qui, allora temo che il tuo numero non uscirà mai – commentò seria – cerca di ricordare in fretta, giovanotto, o aspetterai per sempre.

Un attimo. Era bastato che spostasse lo sguardo sul suo numero e quando aveva voltato la testa per fare alla vecchia signora un'altra domanda, lei non c'era più.

In compenso, su uno degli schermi sospesi sopra le casse per visualizzare le operazioni in corso si attivò un video che catturò subito la sua attenzione.

– Yuu! Yuu, andiamo in città a far baldoria! Da oggi sono ufficialmente uno Storico!

Sgranò gli occhi, perché in esso qualcuno aveva appena chiamato quello che forse era il suo nome e il giovane che aveva risposto aveva chiamato quel qualcuno Lavi. Era lui il giovane nel video? Capelli neri lunghi raccolti in una coda alta e occhi scuri... o era l'altro, zazzera rossa corta e ribelle, occhi verdi e un sorriso disarmante sul volto? Non c'erano posti in cui si potesse specchiare per verificarlo ed era strano, perché le vetrate dell'ufficio avrebbero invece dovuto riflettere la sua immagine; ma non lo facevano.

Il giovane dai capelli neri stava per rispondere quando lo schermo emise una luce abbagliante che riempì la stanza.

 

 

– Non dovresti essere qui, l'ultima volta che ti hanno pescato nei quartieri dei Difensori ho dovuto fare a botte per salvarti il culo, ricordi?

E ho rischiato di essere terminato... probabilmente sono ancora a rischio.

Era lui? Erano ricordi suoi? Il giovane appena entrato era quello con i capelli rossi del video che stava guardando poco prima; oppure aveva solo sognato? Gli sorrideva in un modo così aperto, così terribilmente luminoso, che guardarlo gli faceva un effetto davvero strano.

– Andiamo, Yuu, è stato secoli fa ed eravamo tutti soltanto dei mocciosi – protestò con finta aria offesa – lo dici tutte le volte e nessuno mi ha mai beccato.

Si sentì emettere un sospiro rassegnato e scuotere la testa. Il giovane non demordeva mai, in un modo o nell'altro riusciva sempre a fargli fare quel che voleva e questa volta non sarebbe stata diversa, ne era certo.

– Sai bene che non mi è permesso di lasciare il Quartier Generale – rispose in tono piatto – e sai anche che non dovrei mostrare interesse per svaghi o quant'altro.

– Sì, lo so, lo so – recitò il giovane lanciandosi a sedere sul suo letto e incrociando le mani dietro la nuca, quasi ripetesse la cantilena ogni giorno (il che probabilmente era vero) – un Difensore non ha sentimenti né desideri, cosa in cui tu abitualmente eccelli, per poter combattere al meglio; così come uno Storico non deve possedere un cuore ma limitarsi a registrare gli eventi che muovono il mondo.

– Tch.

Aveva sbuffato? La cosa certa era che stava di fronte al letto con i pugni piantati in vita lanciando al seccatore disteso su di esso uno sguardo decisamente contrariato; diciamo pure omicida, al quale però il giovane appariva immune.

– Tu però non sei stato condizionato come gli altri Difensori – continuò come se nulla fosse – me l'ha detto mio nonno, grazie al Generale Tiedoll che ti considera suo figlio. Hai più libertà degli altri Difensori, non dirmi che non te ne sei accorto; e io posso bardarti in modo che nessuno ti riconosca né quando usciamo di qui né mentre ci divertiamo. Affare fatto?

Un altro sospiro. Come aveva previsto, stava per cedere alle insistenze dell'amico. Perché erano amici, giusto? Scosse di nuovo la testa, leggendogli negli occhi che sapeva di aver vinto.

– Lavi, se succede qualcosa siamo entrambi fottuti e lo sai. – ammonì serio, mentre il giovane si alzava di scatto e lo prendeva per mano, trascinandolo via con sé.

– Non succederà, tranquillo, Yuu!

 

 

– Va tutto bene, figliolo?

Aprì gli occhi di scatto, inspirando dalla bocca come uno che stesse annegando e raddrizzandosi in maniera scomposta sulla scomoda sedia di plastica. L'uomo chino su di lui lo scrutava con aria sinceramente preoccupata.

Si era addormentato? Come era potuto succedere? Attimi prima era in piedi a parlare con la vecchia signora e ora si ritrovava accasciato sui sedili dell'ufficio postale, non aveva senso!

– Io... sto bene. Devo essermi distratto.

L'uomo gli sorrise con aria benevola e sedette accanto a lui.

– Devi cercare di prestare più attenzione – disse – altrimenti il tuo turno non arriverà mai. Oh – aggiunse poi, scorgendo il suo numero – sei uno di loro. Mi dispiace, figliolo, davvero; ma se riesci a ricordare, può essere che qualcuno venga a prenderti. O che il sistema ti lasci andare.

Il sistema? Che intendeva con ciò? E come diavolo faceva a ricordare una qualunque cosa, quando la sua mente pareva essere stata completamente cancellata? Le uniche immagini che riaffioravano erano solo frammenti di eventi, inutili; nemmeno il suo nome conosceva per intero. Ma, soprattutto, cosa accidenti era che doveva ricordare e perché era tanto importante?

– A116

Un altro numero fu scandito e la sua attenzione si spostò momentaneamente sui monitor sopra le casse. Sopra la stessa cassa vuota di poco prima, con un lieve ronzio iniziò un filmato. C'era di nuovo il giovane con i capelli rossi, che ora era piuttosto sicuro si chiamasse Lavi e... lui? Lavi era su di lui? S'irrigidì, incapace di distogliere lo sguardo dalla sequenza. Lo stava baciando, giacevano su un letto dalle lenzuola candide e Lavi lo baciava con passione. Il cuscino era spostato più in basso, sotto il suo collo, in modo che stesse comodo ed entrambi erano sopra le coperte, vestiti. Un rivolo di saliva gli colava lungo la guancia e aveva un'espressione piuttosto scossa, imbarazzata perfino, se doveva giudicare dal leggero rossore sulle proprie guance. Qualcosa gli diceva che era il loro primo bacio e che lui non sapeva come comportarsi, soprattutto il modo in cui lo fissava senza reagire. Aveva le braccia aperte e sollevate, come se prima le tenesse incrociate sotto la testa e Lavi le avesse spostate per stendersi su di lui... Gli aveva afferrato i polsi e lo premeva sul letto gentilmente ma con fermezza, gli occhi socchiusi mentre labbra impazienti reclamavano le sue. Poi, d'improvviso, s'era svincolato e abbracciava Lavi con trasporto, premendolo contro di sé mentre ricambiava il bacio con altrettanta passione.

Deglutì e prese fiato, lentamente, sbirciando con la coda dell'occhio per capire se anche il suo interlocutore avesse visto il video appena trasmesso; non sembrava, la sua attenzione era ancora su di lui. Gli sorrideva, come se fosse in attesa di qualcosa. Si voltò e l'uomo proprio allora si mosse.

Ne seguì i movimenti mentre si alzava; ora era chino su di lui, gli occhi gentili che lo guardavano con bonario interesse. Aveva capelli incolti di un castano chiaro un po' spento, baffi e un lieve accenno di barba dello stesso colore. Indossava occhiali classici con montatura marrone, che gli conferivano un'aria paterna. Gli posò la mani sulle spalle e d'improvviso gli mancò il fiato. Il mondo tutt'attorno si fuse in un vortice di colori finché non riuscì più a vedere né sentire nulla, solo un fastidioso eco nella sua mente della voce di quell'uomo: “Abbi fiducia,” sussurrava, “Abbi fiducia.”

 

 

Doveva per forza essere tutto uno scherzo. Si trovava di nuovo nella stanza futuristica in cui aveva visto Lavi l'ultima volta ed era seduto sul proprio letto, il viso fra le mani. Adesso ricordava di più, sapeva perché era così sconvolto e la causa era Lavi stesso.

Lavi era un civile, uno scienziato, lui era un soldato. La casta cui apparteneva addestrava combattenti clonati e condizionati artificialmente per non avere emozioni, per essere soldati perfetti. Lui era un'anomalia, con il suo condizionamento parziale unicamente psicologico, molti non si fidavano e forse avevano pienamente ragione. Non funzionava, le sue emozioni erano diventate instabili, il suo controllo fragile. Si sentiva... attratto da Lavi, in un modo che non sapeva identificare, provava... sentimenti per il giovane, sentimenti molto forti. La sua istruzione era incompleta da quel punto di vista, ma sapeva abbastanza da capire che non era un bene ciò che gli stava succedendo.

Era innamorato del suo migliore amico? Probabilmente sì e certo non poteva dirglielo. Non sapeva cosa fare, come comportarsi, come gestire una situazione del genere. Così, per quanto imbarazzante o doloroso potesse risultare, aveva deciso di non fare assolutamente nulla.

– Yuu? Yuu, so che sei lì dentro, aprimi!

Tuttavia, non poteva impedire all'altro pezzo del puzzle di fare quel che voleva e il bussare di Lavi alla sua porta ne era la riprova.

– Abbassa la voce, idiota! – l'apostrofò a denti stretti mentre apriva.

– Ti comporti in modo strano ultimamente, sai Yuu? – fu la prima cosa che il giovane disse appena entrato, l'aria preoccupata e un tantino troppo seria per il suo modo di essere, sempre solare e sorridente. – Mi eviti. È per qualcosa che ho detto? Qualcosa che ho fatto? Spiegami, qualunque cosa sia mi dispiace, m'kay?

Doveva immaginarlo, Lavi era troppo intelligente per bersi le sue patetiche scuse. Aveva scelto una soluzione fallimentare, ne prendeva atto.

– Non ti evito, stai diventando paranoico? Ho solo avuto molto da fare.

Il suo tono suonava falso persino alle sue stesse orecchie, ma finse di non accorgersene. Sedette sul letto e Lavi accanto a lui, abbozzando un sorriso.

– Mi avevi spaventato – mormorò – allora andiamo in città stasera? – propose, e allungò la mano per prendere la sua.

Istintivamente la ritrasse e il suo corpo fremette a dispetto del suo tentativo di controllare le proprie emozioni. Lavi lo fissò a bocca aperta per un istante e lui si sentì spregevole, come se ne avesse tradito la fiducia.

– Yuu, devo aver fatto qualcosa che ti ha irritato – disse il giovane in tono supplice – ogni volta che ti sfioro ti ritrai. Sono preoccupato, lo capisci? Tu sei importante per me, non voglio perderti!

L'enfasi nelle parole di Lavi cresceva, sebbene il tono fosse tenuto volontariamente basso per evitare che la discussione venisse ascoltata, e l'emozione negli occhi del giovane era così intensa, così... Fremette e distolse subito lo sguardo, non poteva rischiare che Lavi vi leggesse dentro quel che provava.

– Non è come credi, non è colpa tua. – rispose, ma era troppo tardi, il suo corpo aveva confessato per lui.

Mani gentili gli presero il viso, facendolo voltare verso il loro proprietario, costringendolo a incontrarne nuovamente lo sguardo. L'espressione di Lavi mostrava sorpresa e incredulità le labbra socchiuse in un sorriso incerto, la sua era certo mostrare invece vergogna e mortificazione; e desiderio. Deglutì a fatica.

Quello che s'aspettava però non accadde. Non ci furono scuse, nessun discorso pietoso sull'amicizia che li legava. Era talmente pietrificato che fissò Lavi avvicinare il viso al suo senza battere ciglio e quando le loro labbra s'incontrarono la sensazione lo travolse.

Si ritrovò disteso sul letto con Lavi sopra di sé e la sua mente non poté evitare di ricollegarsi agli eventi del video. Indossavano gli stessi vestiti e ora riconosceva la stanza, le lenzuola, il cuscino; le mani che gli stringevano i polsi, le labbra appassionate sulle proprie, era tutto identico, persino la sua reazione. Assenza di reazione, più precisamente.

Addestrato a reprimere i propri sentimenti, non aveva alcuna esperienza di contatto fisico, di relazioni e tanto meno di pratiche sessuali. Era il suo primo bacio, la prima volta per ognuna di quelle cose, desiderava Lavi così tanto eppure non aveva idea di cosa fare.

Esattamente come nel video, liberò le mani e strinse il giovane a sé con tutta la forza della passione che sentiva dentro.

– Ehi, Yuu, calmati, sei troppo forte, mi stritoli! – Lavi ansimò, interrompendo il bacio; lentamente si sollevò, scostò gentilmente le braccia che gli cingevano la schiena e si portò a sedere su di lui. Doveva avere un'espressione a metà fra persa e turbata, perché ricevette un sorriso rassicurante e un bacio fugace sulla fronte. – In caso non fosse evidente, sono innamorato di te, Yuu. – gli disse, e dovette sforzarsi di non ridere per non ferirlo, anche se lui ne capiva perfettamente il motivo. La faccia che aveva fatto in quel momento doveva essere impagabile. Si ritrovò un dito sulle labbra. – Shh, va tutto bene. So come ti senti; se mi vuoi, rilassati e lascia che ti guidi.

Chiuse gli occhi e inspirò lentamente e quando li riaprì afferrò i fianchi di Lavi, facendo scivolare le mani sotto la sua maglia, sollevandola.

– Spogliami. – rispose semplicemente, e l'altro ubbidì di buon grado.

In un attimo erano entrambi nudi e Lavi lo baciava con foga, carezzandolo in ogni parte del corpo, provocandolo con il contatto del suo sesso contro il proprio. Oh, era tutto così intenso che non riusciva a formulare pensieri coerenti, semplicemente voleva di più di quel piacere, di Lavi.

Arrivare a fare l'amore con lui era certo l'ultima cosa che si aspettava, eppure lì si erano ritrovati.

In qualche modo, adesso ne vedeva il senso.

Aveva trovato il punto. Il punto in cui tutto era cominciato.

 

   
 
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