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Autore: arsea    12/06/2016    2 recensioni
Post Apocalypse e possibili spoiler!
Charles ed Erik non sono così lontani come è stato in passato, ma l'ennesimo tradimento è troppo vicino per poter essere cancellato. Charles non può permettersi più di perdonare, anche se è certo che il ci sarà presto un'altra occasione per farlo. Non può permettersi di credere alle parole di Erik. Non può più permettersi di credere in Erik e basta.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Dottor Henry 'Hank' McCoy/Bestia, Erik Lehnsherr/Magneto, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Immerso nella vasca da bagno, con gli occhi chiusi e l’acqua a circondarlo interamente, riusciva quasi a rilassarsi.
C’erano gli studenti naturalmente, i loro sussurri e mormorii si concentravano da qualche parte vicino alla sua nuca, volutamente ignorati per lo più, anche se c’era qualche eccezione.
Non poteva ignorare mai del tutto Jean ad esempio, avrebbe potuto aver bisogno di lui, e nemmeno il giovane Scott nel caso aprisse gli occhi nel sonno.
Hank stava progettando una stanza speciale per lui, proprio per ovviare a questo inconveniente, ma non sarebbe stata pronta prima della fine del mese.
Sospirò, fece profondi respiri per cercare di allontanare l’ansia che ormai lo attanagliava perennemente, e si appoggiò al morbido poggiatesta mentre con la mano si massaggiava distrattamente la coscia sinistra percorsa dal dolore ormai familiare.
Non dormiva decentemente da giorni.
Non che se ne stupisse, si sarebbe stupito del contrario piuttosto, ma i ragazzi cominciavano a notare le sue occhiaie e la mancanza di sonno minacciava il suo autocontrollo.
Era una fonte d’ispirazione per tutti loro, erano già abbastanza spaventati senza che si rendessero conto di quanto a pezzi fosse il loro Professore.
Raven cominciava a capire ovviamente, lo conosceva da troppo tempo, ma il loro rapporto si era incrinato troppo in quegli ultimi anni, parlare non era più facile come lo era stato quando erano due ragazzi, mentre Hank era troppo razionale e logico per capire quel che gli stava succedendo.
Vedeva in lui una guida e una colonna prima ancora che un amico e questo Charles non poteva ignorarlo.
Si sollevò a sedere con una piccola flessione del busto, quindi premette il pulsante che lo aiutava ad uscire dalla vasca da bagno allungandosi verso gli asciugamani impilati a portata di mano.
L’aria nella stanza era colma di vapore, gli specchi erano appannati e la sua pelle arrossata dall’acqua calda, ma lui non notò niente di tutto questo, non riconosceva più se stesso nella trappola che era diventato il suo corpo né gli interessava farlo, troppo concentrato nel semplice sforzo di rivestirsi.
La sua telecinesi non era abbastanza forte per sollevarlo, a malapena poteva muovere qualche interruttore o piccolo oggetto, ma visto lo stato in cui si trovava forse avrebbe dovuto allenarsi un po’ con essa, per quanto spossante fosse.
Le sue braccia negli anni si erano fatte muscolose e pratiche, era indispensabile visto quanto poco sopportava l’aiuto altrui, ma nonostante questo indossare il pigiama lo lasciò ansimante e dolorante, con una tempia che pulsava per l’impazienza e l’ira.
Era in momenti come questo che il siero di Hank tornava ad essere incredibilmente allettante, poi però si ricordava chi era e cosa rappresentava, e si malediceva per il proprio egoismo, proprio come adesso.
Con un’imprecazione tirò verso di sé la sedia a rotelle, quindi si issò puntellandosi su uno dei braccioli e fece per prendervi posto, ma proprio nel momento cruciale la sua destra cedette, piegandosi, e lui perse l’equilibrio rovinando a terra e sbattendo con violenza la testa contro la vasca da bagno.
Vide le stelle e il suo intero mondo esplose dietro le palpebre, le voci lo assordarono per un infinitesimo, poi però un paio di mani fredde come marmo gli toccarono la fronte e riconobbe con facilità il profumo di colonia costosa prima ancora di mettere a fuoco la figura << Dovresti farti aiutare >> lo ammonì mentre la sua visuale tornava nitida e restava solo il dolore di un futuro bernoccolo.
Lo sollevò prima che potesse protestare, fu facile per lui a giudicare dalla mancanza di sforzo che provava, ma riuscì a lamentarsi mentre raggiungeva il suo letto e ve lo adagiava delicatamente: << Posso farcela da solo >> azzannò, rimproverandosi subito dopo per la propria rabbia e obbligandosi così ad un respiro profondo.
Sospirò, coprendosi il volto con una mano mentre sentiva i suoi passi tornare al bagno e poco dopo tornare con la sedia a rotelle. *
Lo vide posizionarla di fianco al letto, pronta per il mattino, e non poté fare a meno di lasciar perdere tutto il rammarico a contatto con la sua premura << Erik >> disse, sforzandosi di sorridere come si sentiva di fare << Ogni tanto potresti entrare dal portone invece di intrufolarti dalla finestra come un ladro >> l’uomo non sembrò averlo ascoltato, le maniglie della sedia ancora tra le mani e lo sguardo fisso sull’imbottitura grigia << I miei sistemi d’allarme non ti riconoscono come nemico, lo sai. E ai ragazzi non dispiacerebbe vederti più spesso >> << Se volessi restare l’avrei fatto, Charles >> << E allora perché vieni qui nottetempo? Perché non puoi restare nemmeno lontano? >> si guardarono, gli occhi azzurri dell’inglese appena più chiari del tedesco, ma se un tempo erano stati anche limpidi e luminosi questa volta Erik vi vide un buio opprimente e soffocante << Preferiresti che non tornassi affatto? >> si ritrovò a chiedere, smentito velocemente da una delle sue risatine contenute, mentre distoglieva lo sguardo << Sarei felice di averti qui con noi. Abbiamo un posto vacante a Fisica se sei interessato >> quello diede in uno sbuffo divertito nell’ascoltarlo, raccogliendo una delle sedie imbottite per posizionarla di fianco al letto, sedendosi infine con un gesto disinvolto << Voglio fermarmi per qualche tempo >> disse, e il professore non poté fare a meno di corrugare la fronte perplesso << È successo qualcosa? Ti stanno cercando? >> Erik si strinse nelle spalle << Non più del solito >> fu la sua spiegazione, non aggiunse altro, ma nonostante la propria curiosità Charles non tese le proprie percezioni verso di lui, limitandosi ad assentire lentamente.
Erik se ne accorse, e come altre volte non approvò affatto il suo modo di fare, ma non parlò << Domani farò preparare una stanza per te. Puoi restare il tempo che vuoi >> con un piccolo sforzo il telepate si sollevò a sedere, appoggiandosi quindi alla testata per continuare a guardarlo << Non hai una bella cera >> gli disse, strappandogli un sorriso << I capelli stanno ricrescendo però >> si difese quello passandosi una mano sulla testa e non riuscì a trattenere del tutto un brivido.
Le sue palpebre si serrarono di scatto al ricordo, il suo fiato si mozzò, ma lo lasciò andare dopo un attimo, tornando a sorridere << Come te stai cavando? >> Erik non si lasciava ingannare naturalmente.
Osservò la figura prestante e pacata, il dolcevita nero gli aderiva come una seconda morbida pelle, e cercò di portargli rancore senza riuscirci per quello che gli aveva rubato.
Prima le gambe, Raven, e adesso la pace, eppure ancora non lo odiava << Sto bene >> << Sei un bugiardo penoso >> risero entrambi per questo, anche se Charles usò quel suono per soffocare il groppo che gli si era formato in gola << Posso chiederti di lasciarmi dormire? Sono stanco e... parleremo domani >> << No >> la semplice risposta lo lasciò senza parole, ma Erik si limitò a ricambiarlo, incrociando le caviglie delle gambe allungate sul pavimento e poi le mani sullo stomaco, più rilassato che mai << Cosa? >> << Non fare domande di cui non vuoi sentire la risposta, Professore >> << Sei nella mia stanza, Erik! Almeno rispetta la mia solitudine! >> << Non voglio. Se volessi rispettare la tua solitudine, come dici tu, non mi troverei dove sono >> Charles strinse i pugni con rabbia, mordendosi la lingua per non imprecare, quindi diede in qualche respiro profondo prima di parlare: << È stato Hank a chiamarti? O Raven? Chi dei due? >> << Non ho bisogno che siano loro a chiamarmi per capire che c’è qualcosa che non va >> ribatté l’altro con fermezza, quella fermezza che abbagliava i suoi compagni ed esasperava i nemici.
Si era scontrato troppe volte con quella forza per non saperla riconoscere << Mi basta guardarti in faccia per capirlo >> continuò << Pensavo che saresti stato meglio con il passare del tempo, per questo non mi sono intromesso, ma sono passati tre mesi ormai e tu stai peggio di prima. Adesso non dormi nemmeno? >> indicò la porta del bagno con un dito accusatorio << Cosa credevi di fare poco fa? Sei un dannato paralitico, quindi comportati come tale! >> << Per colpa di chi credi che io sia in questo stato?! >> gridò a quel punto Xavier, gli occhi luccicanti di brucianti lacrime, erano acido nei suoi occhi, e sibilò una maledizione subito dopo mentre se li asciugava.
Il silenzio rese quasi assordante il suo respiro affannoso e quando parlò la sua voce suonò roca e difficoltosa << P-per favore... vai a dormire Erik. N-non sono dell’umore adatto ad una conversazione adesso >> nessuno parlò nemmeno ora, poi l’altro si alzò in piedi e assentì una volta sola.
Charles pensò che si sarebbe allontanato, invece fece semplicemente il giro del letto, calciò le proprie scarpe e si sfilò il dolcevita, infilandosi sotto le coperte subito dopo, con tutta la naturalezza del mondo.
Il professore non riuscì nemmeno a parlare, scioccato, lo fissò e basta mentre si metteva comodo sotto le coperte e incrociava le braccia dietro la nuca per continuare a guardarlo << Sei impazzito? >> ansimò con un filo di voce, ricevendo un sorriso furbo in risposta, malizioso come sapevano esserlo molte delle espressioni di Erik, cupamente divertito probabilmente dal suo buonsenso << Mi hai detto tu di andare a dormire. Ma non avrò una stanza fino a domani, perciò... >> << Questo è il mio letto >> Erik sbadigliò impunemente mentre parlava, si voltò su un fianco e con un cenno distratto della mano dalla giacca che aveva puntellato alla sedia guidò una serie di piccole sfere metalliche che dispose tutte intorno al letto in un cerchio protettivo << Dormi Charles >> disse guardandolo dritto negli occhi.
Quello sguardo pesava come un macigno.
Charles resistette ancora un momento, poi tornò a distendersi ostentando la stessa nonchalance, anche se non era affatto tranquillo all’idea di dormire al suo fianco, e gli diede le spalle dopo l’ennesimo sibilo trattenuto << Non ho bisogno che tu rimanga per me >> si ritrovò a dire, lo sguardo perso sulla biglia di metallo lucido più vicina, sul proprio minuscolo riflesso << Non ho detto che è per te che rimango >> << Puoi aiutare i ragazzi con i loro allenamenti >> lo sentì sospirare << Immagino che in qualche modo dovrò ripagare la mia permanenza. Non temi che io inculchi in loro qualche strana idea? >> Charles a quel punto si voltò mortalmente serio << Non lo farai, vero? >> Erik lo fissò, il volto smagrito e gli occhi incavati, fissò le labbra carnose e quell’azzurro quasi doloroso << Questa è casa tua. Ne rispetterò le leggi, non preoccuparti >> si rimboccò le coperte a quel punto, e chiuse le palpebre.
Il telepate lo guardò ancora per un lungo momento, osservò la sua espressione tranquilla, poi assentì una volta e lo imitò.
Erik ascoltò il suo respiro con attenzione, finse di dormire finché non fu certo che l’altro avesse smesso di farlo, e allora si ritrovò a guardarlo con la preoccupazione che non poteva permettersi di rivolgergli da sveglio, incredibilmente rammaricato per le conseguenze che gli eventi avevano avuto su di lui.
Adesso che sua moglie e sua figlia erano morte, l’unico rimastogli era Charles, quell’uomo così diverso eppure così simile, e una fitta di pura paura lo aggredì al pensiero che anche lui gli fosse strappato via.
Gli sarebbe andato bene averlo come nemico. Poteva sopportare il suo odio e la sua rabbia, poteva vivere dieci vite senza che quegli occhi lo guardassero con l’affetto e l’amicizia incondizionati che avevano avuto, purché però restasse l’uomo che doveva essere, non quel relitto spezzato.
Chiunque lui toccasse raggrinziva e periva come una pianta sottoposta ad un miasma venefico, ed era terrorizzato all’idea che adesso toccasse all’unico amico che avesse mai avuto.
Gli era stato lontano per questo del resto.
Dopo averlo tradito di nuovo, dopo essere stato accolto di nuovo, aveva pensato che l’unica cosa che potesse fare per lui fosse stargli lontano, lui che incarnava tutto ciò che lo faceva star male, e invece non si era ripreso, era circondato solo da incapaci che si lasciavano abbindolare da quel sorriso e quei modi controllati da inglese di buona famiglia, nessuno che si sognasse di grattare sotto la superficie.
Era il loro Professore, nient’altro.
Non aveva la più pallida idea di cosa fosse per lui, ma se stargli lontano non serviva a nulla, in fondo al proprio cuore pregò con tutto se stesso che stargli vicino potesse invece aiutarlo in qualche modo.
 
*
Aveva avuto il buon senso di non uscire dalla sua stanza insieme a lui quella mattina, si era presentato alla porta come una persona normale ed era stato accolto al tavolo della colazione insieme a tutti i ragazzi, ma quello sguardo severo e l’aura d’acciaio che lo circondava aveva appesantito completamente l’atmosfera, trasformando il chiacchiericcio compatto che di solito accompagnava i pasti in uno scambio di sussurri e occhiate più o meno di sottecchi.
Jean e Scott si erano seduti di fianco a lui come al solito, ma il posto che occupava Hank era adesso riempito da Erik invece, seguito da un esagitato Pietro che non faceva che fissarlo mentre divorava un pancake dietro l’altro.
Ovviamente in molti di loro c’era ammirazione, quello era comunque uno dei mutanti più potenti sulla faccia della terra, e l’unica che non sembrava risentire affatto della sua presenza era Raven, che non gli lanciò nemmeno uno sguardo, continuando a sfogliare una rivista di moda mentre mangiava.
Charles si schiarì la gola per attirare l’attenzione dei presenti, il che sembrò essere esattamente ciò che si aspettavano i ragazzi perché quarantasei paia di occhi si posarono su di lui all’istante.
Il quarantasettesimo, accompagnato da un sorrisetto beffardo, fu l’ultimo e il più irritante << Avrete notato che abbiamo un ospite questa mattina. Il professor Lensheer si unirà da oggi ai vostri allenamenti pomeridiani >> << Oh andiamo... non sono un professore >> lo rimproverò, scatenando con il solo suono della sua voce altre occhiate e altri sussurri << È un po’ severo, ma sono sicuro che saprete rendermi orgoglioso di voi >> << Ti stabilisci qui in modo permanente? >> domandò Pietro subito dopo, accaparrandosi una dose abbondante di yogurt e sbriciolandovi dentro altri biscotti al cacao, del tutto disinteressato a chi potesse disapprovare << No >> non lo guardò mentre parlava, gelido << Allora sei qui per nasconderti? >> era la domanda che si ponevano tutti, ma fu solo Scott a farla.
Erik ammirò il suo fegato, gli piaceva quel ragazzo: << No. Cominciate ad essere un po’ troppi e non bisogna essere dei geni per capire che Charles non può occuparsi di tutti voi >> << Allora è vero che sono amici >> disse una ragazzina poco lontano, fissando i due uomini sbigottita << Costringerai Charles a buttarti fuori in meno di una settimana >> interloquì Raven senza alzare gli occhi dalla sua rivista << Non lo caccerei mai! >> esclamò il telepate e lei sollevò un sopracciglio ramato scettica, poi guardò Erik, infine sbuffò << Almeno non ha l’elmetto >> si alzò dopo aver finito la sua tazzina di caffè << Sarà meglio per voi che non ci siano ritardatari da me >> minacciò alla tavolata prima di incamminarsi verso l’uscita.
Charles sospirò portandosi una mano alla tempia, tornando a guardare i fogli che Hank gli aveva lasciato prima di dileguarsi non appena aveva visto il nuovo arrivato, scorrendo con gli occhi la lista di mutanti con un dottorato che si era fatto stilare << Stai contattando degli aiutanti? >> << Non faresti prima con Cerebro? >> aggiunse Pietro adocchiando la macedonia << Ho mandato delle lettere >> disse Charles con un sorriso << Ma non ho ancora ricevuto risposte positive. Stiamo parlando di persone con una vita avviata, sogni, carriera... non possono semplicemente abbandonare tutto per venire qui solo perché io glielo chiedo >> avrebbe potuto obbligarli con un piccolo guizzo di pensiero, ma come al solito quella possibilità non gli sfiorava nemmeno la mente.
A volte Erik si chiedeva se fosse stupido oppure immensamente più intelligente di chiunque altro << Possiamo aiutarla in qualche modo, professore? >> domandò Jean, come sempre con quello sguardo adorante.
Gli aveva salvato la vita, eppure continuava ad essere il suo eroe, il suo modello, la colonna incrollabile che sorreggeva tutto il resto.
E lui lo sapeva da come le sorrise << Troverò una soluzione, cara. Su, andate a lezione adesso. Hank vi sta aspettando. Ci vediamo dopo >> i tre si alzarono contemporaneamente, ma Pietro scomparve per primo, poi tornò indietro a prendere un altro paio di merendine, infine si allontanò del tutto.
Al tavolo rimasero solo i più piccoli, ma ben presto una vecchia Wallwalker si materializzò dalla parete est e i bambini la circondarono entusiasti in un piccolo gruppo chiassoso.
Lei salutò i due uomini con un sorriso indiscriminato, quindi si mosse verso il giardino circondata da quei piccoli mutanti rumorosi, con il passo pesante e paziente che solo i vecchi sanno avere.
Charles mosse la sedia a rotelle subito dopo, dirigendosi verso la biblioteca, fermandosi solo un momento a prendere un libro e i propri appunti nello studio, e Erik lo seguì tranquillamente senza proferire parola, finché non entrarono nell’enorme sala.
I ragazzi si zittirono tutti mentre i due entravano, Erik si fermò sulla scalinata che portava al piccolo ballatoio dei volumi più antichi e sedette su uno dei gradini, mentre invece Charles attraversò il cerchio delle sedie e si pose nel mezzo come in un vecchio simposio greco.
Salutò gli studenti con il suo onnipresente sorriso, volle sapere come avevano trascorso la notte, rispose alle loro domande quando gliele posero e non sgridò il giovane che non aveva portato il compito assegnatoli, ma a giudicare dalle occhiate degli altri sarebbe stata l’ultima volta che accadeva.
Lo adoravano.
Quando cominciò a leggere non volava una mosca, tredici adolescenti pendevano dalle sue labbra come fosse l’attore in uno strano teatro, ogni tanto qualcuno scribacchiava un appunto o sollevava la mano per interromperlo perché non aveva capito un passaggio, ma il professore non sembrava infastidito per questo, anzi, li faceva interagire, incoraggiava lo scambio, anche fra di loro, e quando domandò del pensiero dell’autore non si sbilanciò su quale risposta fosse giusta o sbagliata, lasciò che fossero loro a stabilirlo.
Erik stesso si ritrovò ammaliato dal suo fare, quindi non poté biasimare quei ragazzini.
Dopo di loro fu il turno di un’altra classe, libro diverso ma stesso modo di fare, eterna pazienza e meravigliosa eloquenza, il linguaggio di un telepate che sa come farsi ascoltare, questa volta però pose più domande filosofiche, li spronò al ragionamento, alla discussione, limitandosi spesso a fare da semplice moderatore.
Charles non era un insegnante, era un giardiniere.
Amava quei ragazzi con tutto se stesso, desiderava che si sviluppassero e fiorissero al meglio delle loro possibilità, si limitava semplicemente a curare la loro crescita, a far sì che nessun peso eccessivo li gravasse, che la loro mente crescesse aperta e sicura, che il loro potere non li spaventasse o la solitudine li schiacciasse.
Molti di loro provenivano da famiglie che li rifiutavano, alcuni si nascondevano dalla nascita, altri erano scappati di casa o mentivano ai loro genitori, e Charles si era autoproclamato bersaglio per tutte le loro giovanili pulsioni, che fosse la ribellione di turno o la frustrazione dell’età, un genitore per tutti.
L’ora di pranzo arrivò presto, ma il professore non seguì gli studenti a tavola come quella mattina, li congedò e si ritirò invece nel suo studio << Vuoi continuare a fare l’auditore ancora per molto? >> domandò seccato quando lo vide seguirlo anche lì, si avvicinò ad una brocca d’acqua e si versò un bicchiere dopo essersi schiarito la gola.
Dopo quello però prese una seconda bottiglia, scotch dal profumo corposo che si propagò non appena lo stappò e ne versò per entrambi prima di porgergli un bicchiere.
Erik lo accettò e sedette sulla sedia di fronte alla scrivania mentre l’altro prendeva posto dall’altra parte << Hai sempre voluto fare questo lavoro? >> domandò, più per fare conversazione che per altro, più per occupare i suoi pensieri e impedirgli di ristagnare in altro << Se ti dicessi che non lo so? Non ho mai pensato ad un vero e proprio lavoro... Ho preso il dottorato perché mi interessava, non perché mi serviva >> << Certo, certo... con un castello così immagino che il denaro non sia mai stato un problema >> ascoltò la sua risatina divertita e imbarazzata allo stesso tempo, quella deliziosa umiltà da colletto bianco non era mai riuscita ad essergli fastidiosa.
Bevve un sorso dal proprio bicchiere, appoggiandosi poi allo schienale della sedia con un sospiro << Tu sai che io non sono un insegnante, vero? >> << Sei un leader. E hai guidato altri prima di questi studenti. Non devi fare niente di troppo diverso da quanto fatto con Angel o Azazel >> << Mystica cosa insegna loro? >> << Raven ha la sua classe. Sono un gruppo scelto >> << Oh, certo... i famosi X-Men giusto? Credo che lei sia l’unica ad aver davvero imparato dalle esperienze passate >> Charles sospirò di nuovo, lo guardò, e sembrò mortalmente stanco, così stanco che anche la sua maschera si sgretolò, divenendo la fragile persona che nascondeva << Perché sei qui? >> domandò con voce fievole << Ti supplico, Erik... se vuoi abbandonarmi di nuovo ti prego di farlo adesso. Se vuoi tradirmi, se vuoi scoprire qualcosa... dimmelo e basta. Ti aiuterò se posso. Non posso perdonarti di nuovo. Non ne ho più la forza, lo capisci questo? >> << Ti aspetti da me qualche subdolo piano? >> << Non sto scherzando >> gli fece notare, le iridi zaffirine ridotte adesso a due laghi piatti e morti.
Erik bevve l’ultimo sorso di liquore, poi posò il bicchiere sulla scrivania e tornò a guardarlo << Mi sentirei meglio se mi odiassi >> disse, vedendolo scuotere il capo esasperato con un altro sospiro << Non ti odio, Erik >> disse << Non ti ho mai odiato, nemmeno... nemmeno dopo Cuba. Ti sto solo dicendo che... >> non finì la frase, si massaggiò la fronte esausto e anche lui terminò il suo bicchiere, tenendolo però stretto nella mano << Ti sentiresti meglio se ti permettessi di frugare nella mia mente? >> << Non voglio usare il mio potere su di te >> disse come raccogliendo tutta la sua pazienza << Ti è tanto difficile cercare solo di non tradire la mia fiducia? >> << Lo dici come se fosse inevitabile >> si guardarono, venti anni di vita in uno sguardo, e fu il telepate ad abbassare il suo per primo << Cerca almeno di non ferire gli studenti >> mormorò prima di guidare la sedia a rotelle verso l’uscita.
Erik lo fermò prima che si allontanasse, posandogli una mano sulla spalla e portandolo così a guardarlo di nuovo << Sono mutanti. Non farei mai loro del male >> << Non sono stati solo umani coloro che hai ferito in passato >> fece per andarsene di nuovo, ma l’altro di nuovo lo fermò << Puoi arrabbiarti con me. Non sono uno dei tuoi studenti >> << Lasciami andare >> fu il tono rassegnato, o il tremore nella voce, ma obbedì, limitandosi a guardarlo andar via.
   
 
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