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Autore: Dragasi    12/06/2016    0 recensioni
Una vita da Tiefling.
Una vita dannata, una vita a metà.
La ricerca di uno scopo. La battaglia per la libertà.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rin
Cosa c'è da dire dei miei primi anni di vita? Moltissime cose e, al contempo, quasi nulla.
Quel poco che so dei fatti antecedenti alla mia nascita mi ha portato ad essere quello che sono oggi, la persona che sta scrivendo questo diario.
Mio padre ha sempre desiderato avere dei figli, peccato che la vita non abbia mai desiderato farlo felice.
Pochi mesi prima che io e mio fratello venissimo concepiti, un uomo si presentò a nostro padre, che era un mercante. Aveva bisogno di un lavoro, non esattamente pulito e onesto, dato che quell'uomo era un seguace di Asmodeus. Mio padre rifiutò e non volle sentir ragioni, non voleva avere nulla a che fare con il culto di quell'arcidiavolo sanguinario. Purtroppo, l'uomo che si era presentato da mio padre non era un semplice seguace, ma un sacerdote di Asmodeus e, al rifiuto ricevuto, maledisse mio padre e la sua discendenza.
Tristemente, io ed il mio gemello siamo il frutto di quella maledizione. Si può dire che per certi versi siamo stati fortunati: abbiamo qualcuno che condivide la nostra stessa sorte. Per quanto il mondo ci possa odiare e venire contro, noi avremo sempre qualcuno al nostro fianco.
Quando venimmo al mondo, i nostri genitori si resero conto che eravamo diversi e non come lo possono esseri molti bambini, ma maledetti.
Io nacqui per primo, di pochi minuti, ma sono il maggiore. Quando la levatrice del piccolo villaggio in cui vivevano i nostri genitori mi prese in braccio, non riuscì a soffocare un grido spaventato, o almeno così mi narrò mio padre quando ancora vivevo con lui e mia madre.
Immagino che chiunque si sarebbe spaventato: un neonato con un occhio rosso e un pentacolo sopra l'occhio con una striscia rossa a deturpare il volto. Quello è il simbolo della maledizione che mi porto appresso. Non che Johan sia da meno, lui ha solo l'occhio rosso, e il pentacolo all'interno dell'iride. Meno vistoso, ma non meno inquietante.
Fummo sempre tenuti nascosti dal resto del villaggio, i nostri genitori volevano proteggerci. Appena spuntarono per bene i capelli, si capì subito che io ero quello più segnato esteriormente dalla maledizione: sono completamente bianchi. Vedere un bambino di appena un anno con i capelli bianchi non è esattamente normale.
I primi anni di vita passarono tranquilli e relativamente felici, se si può definire felice un bambino segregato dal resto del mondo. Io e Johan trascorrevamo ogni istante insieme, unici e solitari compagni di giochi e avventure.
Peccato che occhio e capelli non fossero abbastanza. Fin troppo presto ci spuntarono corna e coda e i canini si fecero più aguzzi. A quel punto non potevano più tenerci nascosti. Nel giro di poco tempo, i nostri genitori, terrorizzati da ciò che eravamo diventati, ci scaricarono nelle vie dei sobborghi della città più vicina. Per anni abbiamo vissuto per le strade, maltrattati, insultati e affamati. Fortuna che Johan non si è mai fatto molti scrupoli e, in un modo o nell'altro, qualcosa da mangiare lo procurava.
Io, invece, non volevo rubare. Certo, non rifiutavo il cibo che ci procurava mio fratello, ma non volli mai rubare neanche una pagnotta.
Lui procurava il cibo e io pensavo a proteggerci dalle persone. Ho sempre avuto una specie di sesto senso per le intenzioni della gente, sono sempre stato in grado di capire chi aveva intenzioni malvagie nei nostri confronti e, data la nostra natura, negli anni non sono mancate.
Mi ricordo di un giorno in particolare. Un uomo ci aveva avvicinato cercando di convincerci che aveva del cibo per noi. Sia io che Johan non eravamo del tutto convinti della sua onestà, era più facile che ci sputassero o cercassero di picchiarci, piuttosto che darci anche una sola pagnotta rinsecchita. Ci avvicinammo lo stesso, ma proprio mentre stavamo per afferrare la carne secca che ci stava offrendo, sentii una fitta all'occhio maledetto e, subito dopo, vidi l'uomo circondato da una specie di nuvola rosso sangue. In quel momento mi limitai ad urlare: «Scappa, Johan!»
Fortuna che mio fratello si è sempre fidato di me, come io di lui. Se ci ripenso adesso, probabilmente quell'uomo voleva catturarci e venderci come schiavi.
La nostra è una razza resistente e, inoltre, c'è molta gente malata che pagherebbe montagne d'oro per avere un Tiefling incatenato da mostrare come trofeo.
Nei primi anni della nostra vita di strada, ci rendemmo conto che eravamo in grado di parlare una strana lingua, oltre a quella dei nostri genitori. Non aveva un suono amichevole, ma ci rendemmo conto ben presto che, quando la usavamo, nessuno ci capiva. Iniziammo subito a cercare di parlarla in modo fluido e tra di noi iniziammo ad usare solamente quella, nessuno avrebbe più inteso ciò che pensavamo. Solo alcuni anni più tardi scoprimmo il nome di quella strana lingua, che può definirsi la nostra lingua madre: Infernale, la lingua dei diavoli.
Poi un giorno mio fratello tornò dal giro notturno con una strana espressione in volto, non riuscivo a definirla, ma poi lui mi raccontò. Aveva ucciso un uomo. Non lo biasimavo, né provai il desiderio di rimproverarlo. Sapevo che si era trattato di una scelta tra la sua vita e quella dell'uomo che aveva di fronte, io avrei fatto la stessa cosa. Quello che non approvavo era la sensazione di piacere che aveva provato nel momento in cui il coltello era entrato nella carne dell'uomo. Questo non glielo dissi mai, ho sempre saputo che mio fratello non è malvagio e sono convinto che non ucciderebbe solo per il gusto di farlo.
Quelli che seguirono furono gli ultimi giorni della nostra vita di strada. Fummo trovati. La nostra paura iniziale dell'essere arrestati e, molto probabilmente, anche giustiziati, scemò in fretta quando i due uomini che avevamo davanti iniziarono a parlare. Sembravano essere dalla nostra parte. Erano due uomini: uno grasso e dal viso rubicondo, portava una lunga veste rossa con due boccali ricamati all'altezza del petto; il secondo indossava vestiti normali, sembrava un ricco locandiere, ed era decisamente robusto, anche lui portava un boccale ricamato all'altezza del petto. Volevano aiutarci, renderci davvero liberi di vivere secondo la nostra strada, di scegliere ciò che volevamo nella vita e di poterci godere i suoi piaceri. Io ero affascinato dai loro discorsi, dalle possibilità che ci stavano offrendo… tutto in nome di un certo dio, dicevano che era la sua volontà. Quel giorno credetti alla parola di quei due uomini e la mia vita e quella di mio fratello cambiò, il loro dio divenne il mio.

Angolino di Dragasi
Eccoci qua! Allora questa storia è il frutto della fantasia di due persone, oltre a svariate serate passate con un magnifico gruppo di amici. Le avventure di questi due Tiefling ci hanno molto entusiasmato, e ci hanno fatto divertire e continueranno a farlo. Spero che il loro viaggio possa appassionare anche voi come ha fatto con noi. Rin e Johan sono felici di potervi narrare la loro storia.
Se avete domande, mandate un messaggio qua su EFP e riceverete risposta entro 24 ore!
A presto!
   
 
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