Serie TV > Hawaii Five-0
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Autore: _Pulse_    13/06/2016    2 recensioni
Danny abbassò gli occhi e guardò le loro mani, ancora unite sul bracciolo che separava i loro sedili. Avrebbe dovuto ritrarsi, lo sapeva, eppure quel contatto lo rendeva così tranquillo da fargli dimenticare qualsiasi preoccupazione.
«Comunque nemmeno io ti volterei mai le spalle», esclamò Steve, prima di posare il capo contro il poggiatesta e chiudere gli occhi, forse nel tentativo di riposare qualche ora.
Danny sorrise malinconico, guardando fuori dal finestrino l'ala dell'aereo tagliare le nuvole.
[McDanno - Nel 4x20 - Segue Buried together]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Danny Williams, Steve McGarrett, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Hidden track'
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Ciao a tutti! :)
Con questa OS si torna alla serie "Hidden Track", in particolare trattiamo i retroscena dell'episodio 4x20, uno dei più belli ed emotivamente coinvolgenti della quarta stagione.
Come sappiamo, Steve non parla mai del suo passato e questo episodio mi ha dato l'opportunità di costruirgliene un pezzo, ovviamente con le mie limitate conoscenze del mondo della marina e dei Navy SEAL in particolare. Spero sia venuto decentemente, ma se così non fosse accetto consigli!
Disclaimer: I personaggi non sono di mia proprietà e questa storia non è scritta a scopo di lucro.
Ringrazio chi sta seguendo la serie, chi commenta ogni singola one-shot e chi legge soltanto: vi voglio bene :)
Buona lettura!
Vostra,

_Pulse_



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I'LL NEVER TURN MY BACK ON YOU




Era stato fin troppo facile mentire ad Amber, nascondendole il vero motivo per cui aveva voluto a tutti i costi passare al quartier generale della Five-0 prima della fisioterapia.
Come aveva immaginato, a Maui sarebbe stato tutto perfetto se non avesse pensato a Steve in continuazione; in particolare, si era chiesto come avesse reagito alla "vacanza" di Catherine e alla solitudine. Conoscendolo, se l'era immaginato tutto il tempo nel suo garage, al lavoro sulla Marquis, oppure intento a provare delle nuove tipologie di granate su un'isola deserta.
In un paio di occasioni l'aveva sentito al telefono, ma non aveva avuto il coraggio di aprire l'argomento, tranquillizzato anche dal fatto di non aver notato nulla di diverso nel suo tono di voce.
Forse non doveva preoccuparsi tanto per lui: era o non era un SEAL? Già, il suo SEAL...
«Guarda un po' chi c'è!», esclamò Chin non appena lo vide percorrere il corridoio.
Il tenente Kelly accantonò per un attimo ciò che stava facendo sul tavolo elettronico e gli andò incontro per una virile stretta di mano.
A Danny non piacevano molto gli abbracci tra uomini, se non in casi di estremo sollievo, come ad esempio dopo essere uscito vivo e vegeto dalle fondamenta di un edificio crollato su se stesso, o  a meno che non fosse un certo McGarrett a stringerlo.
«Allora, come va?», gli domandò Chin Ho, guardandolo dalla testa ai piedi con un sorriso gentile. «Mi sembri in forma».
«Grazie, ma non c'è bisogno di mentire per compassione».
«Ehi, guarda che sto dicendo sul serio!».
Danny sorrise, indicando l'ufficio vuoto del comandante. «Steve non c'è?».
«L'ho sentito poco fa, stava rientrando».
«Siete nel bel mezzo di un caso?».
«Proprio così».
«Ehi, se avete bisogno di una mano contate su di me», disse, dirigendosi verso il proprio ufficio. Poi ci ripensò, decidendo di tastare il terreno prima dell'incontro vero e proprio col moro.
«Chin, hai notato nulla di diverso in Steve ultimamente?».
Il tenente Kelly lo fissò assottigliando gli occhi ed arricciando le labbra. «Diverso? No, non mi pare. Perché?».
«Sai... ne sono successe di cose ultimamente».
«Ti riferisci all'ex-agente della CIA che lo voleva morto?».
Danny rimase in silenzio, pietrificato dallo shock. Quando fu di nuovo in grado di parlare, lo fece con tono nervoso: «Di che cosa stai parlando?».
Chin fu parecchio sorpreso che non ne sapesse nulla e per un attimo dovette sentirsi in colpa per aver in qualche modo "tradito" Steve, ma poi non potendo tirarsi indietro gli raccontò quello che  avevano scoperto subito dopo averli tirati fuori dalle macerie.
Ecco dov'era andato tanto di fretta Steve: a rintracciare quell'agente per estorcergli le informazioni che cercava a proposito della tomba in Cambogia a cui era collegata sua madre.
«E che cosa gli ha detto questo Cobb?», gli domandò un Danny sulle spine.
Chin sospirò dispiaciuto. «Questo non ce l'ha detto. Sappiamo solo che Cobb ha provato a sparargli, ma Steve è stato più veloce. È morto sul colpo».
«Dannazione», disse tra i denti, prima di voltarsi per andare nel suo ufficio, quella volta senza più tornare indietro.
Con uno sbuffo di dolore si lasciò cadere sulla poltrona e rimase lì seduto a pensare per qualche minuto, nel silenzio più profondo.
Un terribile sospetto gli stava pesando sul cuore: che Steve fosse riuscito ad farsi dire da Cobb la verità e gli avesse sparato in un'esplosione di rabbia? Forse quell'ex-agente della CIA aveva toccato un nervo scoperto, o gli aveva rivelato quello che più temeva - che sua madre aveva messo un cadavere in una tomba anonima in Cambogia - e Steve non era riuscito a trattenersi.
Danny respirò profondamente e chiuse gli occhi, cercando di immaginarsi la scena. Quando li riaprì si era già convinto che non era possibile: Steve era molte cose, ma non era un assassino.
Ancora corrucciato per non essere stato subito informato dal diretto interessato, si alzò ed uscì dal proprio ufficio per tornare da Amber. Fu allora che Steve fece la sua comparsa, girando l'angolo e salutandolo con espressione seria, probabilmente ancora concentrato sul caso. Indossava una semplice polo blu scura col colletto sbottonato e dei jeans, ma per il detective fu comunque un colpo basso, specialmente in quel senso. Come poteva essere così sexy così naturalmente? Lo invidiava da morire e invidiava chiunque avrebbe messo le mani su quel fisico statuario.
«È l'ora della fisioterapia?», gli domandò, fermandosi di fronte a lui.
Danny lo fissò, chiedendosi come avesse fatto a guarire così in fretta dal taglio che gli attraversava in obliquo il setto nasale. Lui portava ancora i segni sul viso! Che nell'Esercito - pardon, nella Marina, iniettassero alle reclute dei sieri in stile Captain America in grado di accelerare i processi di guarigione?
Non potendo darsi una risposta, si limitò ad annuire: «Sì, l'infermiera Rachet mi aspetta per la mia ora di tortura, grazie a te».
«Grazie a me?», ribatté, incredulo.
«Mm-mmh».
«Vuoi dire che se quel palazzo ci è crollato addosso è colpa mia?».
«Certo, sì».
«E in che modo ne sarei responsabile?», gli domandò, portandosi una mano sul fianco e l'altra sul badge.
Danny sorrise candidamente, pronto a rispondere con la sua solita gestualità da mezzo italiano. «Circa... quattro anni fa, hai bussato alla mia porta e hai detto che dovevo lavorare con te, quindi sei responsabile di ogni disgrazia che mi è successa da allora».
«Mmm», fece Steve, fingendosi impressionato.
«Sei una nuvola», continuò Danny, imperterrito, sollevando una mano per muoverla come un banco di nubi temporalesche. «Una nuvola nera che mi insegue».
Gli rivolse un breve sorriso, per fargli capire che scherzava, ma Steve sembrò non cogliere l'ironia e gli rispose fin troppo seriamente, indicandosi la tempia con l'indice: «Quando sei con l'infermiera Rachet, dille di controllare anche la testa mentre lavora sul resto, devi avere qualche problema anche lì».
Forse non era il momento giusto per scherzare e Danny preferì tagliare corto per evitare di farsi mangiare dal nervosismo. Ancora non riusciva a spiegarsi per quale diavolo di motivo non gli avesse raccontato del suo incontro con Cobb. Che avesse davvero fatto qualcosa di cui vergognarsi?
«Okay, finito? Amber mi aspetta qui fuori», esclamò, dandogli una pacca sul braccio - mossa non molto furba, visto quanto gli mancavano quei muscoli - mentre gli passava accanto.
«Amber ti aspetta?».
«Sì, mi sta aspettando in macchina», spiegò voltandosi, col pollice rivolto verso l'ipotetica uscita.
«Ah...». Steve incrociò le braccia al petto ed abbozzò un sorriso, ma evitò di guardarlo negli occhi. «Le cose devono essere andate bene a Maui».
«E perché sembri sorpreso?», gli chiese, portandosi una mano sul fianco sano.
«Beh», rispose stringendosi nelle spalle, «conosco la tua propensione a mandare all'aria le relazioni importanti».
Lo sapeva. Danny lo sapeva che non avrebbe mai dovuto dirgli quelle cose, neanche se pensava fossero le loro ultime ore di vita. E adesso ne avrebbe sofferto le conseguenze per sempre. Ma se voleva giocare a frecciatine, anche lui ne aveva alcune pronte.
«La mia propensione?», ridacchiò. «È buffo detto da chi ha la fidanzata che ha tagliato la corda».
«Tagliato la...?».
«Già».
«No, so dov'è: è sulla terra ferma da amici».
«Per non vedere te», tirò le fila Danny, rendendosi conto troppo tardi di aver superato il limite.
Gli occhi di Steve si annuvolarono e dopo un lungo attimo di silenzio gli ricordò: «La terapia».
«Vado», rispose subito, ben deciso a porre fine a quel disastroso botta e risposta. Era possibile che fosse stato lui quella volta a fraintendere la sua ironia per commento pungente, ma dopotutto avevano entrambi altro per la testa; avrebbero ripreso più tardi.
«Divertiti».
«Grazie».
«Spero faccia male».
«Ah-ah».
«Tanto».
Danny decise di dargli l'ultima parola e rimase in silenzio, ma proprio prima di girare l'angolo lo sentì esclamare: «I love you!».
La risposta gli uscì dalle labbra ancor prima che potesse formularla nella sua mente, troppo tardi per rimangiarsela: «Love you too!».
Avevano fatto un patto, uno di quelli silenziosi, quando erano stati salvati dall'esplosione di quell'edificio e Danny sapeva che avrebbero dovuto mettere dei paletti tra loro, ma era stato più forte di lui. E così spontaneo, poi... Non aveva detto "Ti amo" con così tanta leggerezza a nessuno. Nemmeno a Rachel, che era stata sua moglie per dieci anni, si era mai sentito così sollevato nell'esprimere in quelle semplici due parole tutto quello che provava; al contrario, ogni volta che glielo diceva aveva il terrore che lei replicasse con una negazione, rifiutando il suo amore.
Ciò nonostante, sperò che Steve intendesse "Ti voglio bene" e che avesse interpretato lo stesso in risposta. Non voleva alimentare false speranze, per nessuno dei due.

*

Quando aveva detto a Lou che aveva bisogno di tutta la sua squadra per capire quale fosse quel "qualcosa di più complesso" che sospettava ci fosse dietro un solo ragazzo che si era messo a fabbricare bombe e che, una volta braccato, aveva preferito gettarsi giù da un tetto piuttosto che venire arrestato, dava per scontato che avrebbe avuto a disposizione anche tutta la propria. Peccato che Danny fosse ancora alla seduta di fisioterapia e non rispondesse al cellulare e Catherine... beh, era vero che dopo la morte di Billy le aveva dato un badge, ma non l'aveva mai sentita pienamente parte della Five-0; la riteneva più come Jenna, un'aiutante esterna, con l'unica differenza che con Catherine ci andava a letto. Andava, appunto, perché il fatto che avesse voluto prendersi quell'ennesimo periodo di pausa, lasciando persino le Hawaii, non lo faceva ben sperare. Lo stesso Danny pensava che avesse tagliato la corda, perché avrebbe dovuto convincersi del contrario?
Non riusciva nemmeno ad immaginare come si fosse sentita quando aveva scoperto della sua relazione col detective e non l'avrebbe biasimata, se avesse voluto porre fine alla loro, di relazione. Prima però voleva parlarle, spiegarle che quello che provava per Danny e quello che provava per lei erano entrambi sentimenti veri. Voleva che sapesse che non le aveva mai mentito in quel senso, ma prima doveva trovare il coraggio, coraggio che non aveva avuto quando Catherine gli aveva comunicato del suo viaggio sulla terra ferma.

Era passata la mezzanotte quando tornò a casa e trovò Catherine seduta sugli scalini della veranda.
Steve percheggiò la Silverado nello spazio davanti alla serranda del garage e dopo essersi concesso un respiro profondo scese dal pick-up per andarle incontro.
Era stanco e aveva un aspetto terribile, ancora sporco di polvere e sangue, eppure Cath non se ne curò e una volta di fronte a lei gli avvolse le braccia intorno al collo, con una mano a stringergli la spalla sinistra e l'altra ad accarezzargli i capelli.
Sarebbe stato troppo chiedere che quella tremenda giornata finisse così, rasserenato dall'abbraccio della ragazza per cui aveva rinunciato a Danny, per questo Catherine si scostò un poco per posare la fronte contro la sua e guardarlo negli occhi.
«Devo andare via da Oahu per un po'», sussurrò.
«Cosa?».
Prima era tornata al suo appartamento, ora voleva andare via dall'isola. Non poteva credere che stesse succedendo sul serio, che lei, lei che c'era sempre stata per lui e che pensava che nonostante tutto l'avrebbe sempre trovata ad aspettarlo, si stava allontanando sempre di più. Proprio ora che stava cercando di mettere da parte l'amore per Danny, oltretutto.
«Lo so che è il momento peggiore, però ne ho bisogno. Entrambi ne abbiamo bisogno, per schiarirci le idee».
Non glielo stava dicendo direttamente, ma ora che Steve sapeva era fin troppo chiaro intuire che si riferisse a quello strano triangolo che si era creato: Catherine voleva sentirsi dire che era e sarebbe stata l'unica nel suo cuore e gli stava concedendo del tempo per farlo. Quello che in tempi di guerra si sarebbe chiamato ultimatum.
«Va bene», mormorò alla fine, socchiudendo gli occhi mentre le posava un bacio sulla fronte, con le mani ad accarezzarle le guance. «Posso sapere almeno dove andrai?».
Catherine gli rivolse un sorriso intriso di tristezza e gli prese le mani con delicatezza per spostarsi di lato, in modo tale da poter scorgere meglio l'espressione del suo viso grazie alla pallida luce della luna.
«Da amici, sulla terra ferma», fu la sua risposta evasiva. Di che cosa aveva paura?
Steve decise di non indagare oltre ed annuì, sottraendo le mani per infilarsele nelle tasche dei cargo.
«A presto, Steve», lo salutò la mora e senza aspettare una risposta si diresse a passo svelto verso la Corvette.
Proprio come aveva fatto quel pomeriggio, non si voltò mai a guardarlo, ferendolo con la stessa intensità di una pugnalata al cuore. Ma forse se lo meritava, tutto quel dolore. Non era niente in confronto a quello che doveva aver patito lei scoprendo che per chissà quanto tempo l'aveva tradita con Danny.
«Fai buon viaggio», le disse prima che si infilasse al posto di guida, sollevando una mano.
Il tenente Rollins abbozzò l'ennesimo sorriso malinconico e chiuse la portiera con un tonfo, poi girò le chiavi nel quadro e fece marcia indietro per immettersi nella strada. I fari lo accecarono per un attimo, ma si costrinse a non perdere mai di vista l'auto azzurra fino a quando non fosse più alla sua portata.
Entrò in casa e senza nemmeno accendere la luce in soggiorno salì al piano superiore per infilarsi direttamente in bagno, dove si spogliò e si gettò sotto la doccia. L'acqua calda lavò via lo sporco e il sangue ormai secco, ma non lenì le ferite che riportava sulla pelle e sul cuore.
Rimase sotto il getto ben più di tre minuti. Ci rimase il tempo necessario a rilassarsi e quando uscì indossò dei semplici boxer e con i capelli ancora umidi si gettò sul letto, su cui crollò in un sonno spesso interrotto dagli incubi.

Da quando era partita non l'aveva mai sentita e nonostante più volte avesse tenuto tra le mani il cellulare con l'intento di chiamarla, non era mai andato fino in fondo. Lui aveva preso la sua decisione e ora voleva dare a lei del tempo per fare lo stesso.
Doveva solo tenere duro e concentrarsi sul caso, senza pensare a quanto si fosse sentito sollevato quando aveva visto Danny e a quello che aveva provato quando come uno stupido aveva concluso il loro primo battibecco della giornata con un "Ti amo" uscitogli dal cuore più che dalla bocca. Se davvero aveva deciso di stare con Catherine non avrebbe dovuto dirglielo in primo luogo, ma soprattutto non avrebbe dovuto sentire il proprio cuore perdere un battito quando il detective aveva risposto: «Ti amo anch'io».
Di comune accordo avevano scelto di prendere strade separate, giusto? Sì, ne era sicuro. Forse Danny aveva interpretato le sue parole come un semplice e fraterno "Ti voglio bene" e aveva risposto a modo, senza voler intendere nient'altro.
Steve cercò di convincersene e mettendo da parte i sentimenti raggiunse Kono al tavolo touch-screen. Doveva focalizzarsi totalmente sul caso, solo così avrebbe evitato di pensare.
Peccato che quel caso in particolare avrebbe riaperto ferite che il SEAL avrebbe voluto restassero chiuse per sempre.

*

Danny provò a chiamare di nuovo Steve, ma ancora una volta gli risultò irraggiungibile. Spinse la porta a vetri che dava sul centro operativo del quartier generale e trovò Chin e Kono davanti al tavolo touch-screen, intenti ad esaminare quelli che sembravano progetti di bombe.
Un brutto presentimento gli fece accapponare la pelle, ma cercò di non darlo a vedere e salutò i cugini, per poi andare direttamente al cuore della questione: «Steve mi ha cercato, ma non riesco a contattarlo».
«Perché è di sotto con una sospettata», gli spiegò Chin, indicando la foto di una ragazza sul monitor di fronte a loro.
I colleghi lo aggiornarono sugli sviluppi del caso e ben presto Danny dovette dar ragione al suo sesto senso: quando c'erano di mezzo dei soldati Steve diventava un'altra persona, o meglio il SEAL che era e che sarebbe sempre stato tornava a prendere il sopravvento, rischiando di allontanarlo dalle procedure che avrebbero adottato per casi normali. Se lasciato allo sbando, era in grado di fare vere e proprie pazzie e Danny non poteva permetterlo, non sotto il suo naso.
«Vado a vedere a che punto è», disse a Chin e Kono prima di dirigersi verso l'ascensore.
Davanti alla porta blindata della blue room, Danny si fermò ad ascoltare quello che stava avvenendo all'interno. Non era una rarità che McGarrett si mettesse ad urlare in faccia ai sospettati, ma la rabbia e il dolore che trasudavano dalle sue parole lo colpirono come un pugno ben assestato nello stomaco.
«Vigliacchi? Vuoi parlare di vigliacchi? Potevi dirlo. Okay, parliamo di vigliacchi. Cominciamo con il tuo amico Nazaria, il vostro mentore: dov'è adesso? Si nasconde in una grotta sulle montagne dello Yemen. Credi davvero che gli importi di te? Credi che a quel traditore gli importi se tu e i tuoi amici morirete o se passerete il resto della vostra dannata vita a marcire in una prigione federale?».
«Muhammed Nazaria è un guerriero, è un soldato di Dio, che persegue la verità e la luce! Lui è il nostro leader!».
«I leader combattono in prima linea. Io non lo vedo, e tu?».  
Danny posò la fronte contro la fredda superficie della porta, socchiudendo gli occhi. Poteva immaginarsi benissimo Steve nella sua tuta mimetica e col fucile sotto braccio, che combatteva accanto ai suoi compagni. Poteva farlo, perché era uno dei suoi incubi ricorrenti. E quando si svegliava, ricoperto di sudore e ancora scosso dalla paura di averlo perso, ringraziava Dio che i suoi giorni da Navy SEAL fossero finiti.
«Non lo capisci, Dawn?», riprese a parlare, con tono frustrato. «Ti hanno scelta loro, chiaro? Perché scelgono persone come te! Scelgono persone vulnerabili, persone che sono emotivamente fragili, che hanno una profonda ferita dentro, che sono piene di rabbia per qualche motivo. Poi ti fanno sentire una parte importante di qualcosa, una causa... una causa più grande di te, tanto grande da valere la pena di sacrificare la tua vita».
Il detective riaprì gli occhi, allontanandosi di un passo dalla porta. Quello che Steve aveva appena detto... c'era qualcosa, una certa dose di esperienza, di verità e di dolore dietro quelle parole. Quante cose non sapeva del suo passato? Quante ferite portava sotto la pelle, di cui non sarebbe mai venuto a conoscenza?
«...devono combattere per la causa di Dio!», sentì gridare la ragazza, Dawn. Aveva poco più di vent'anni e rabbrividiva al solo pensiero che qualcuno fosse riuscito ad indottrinarla in quel modo. Che cosa avrebbe fatto, se qualcuno fosse riuscito a trasformare la sua dolce scimmietta in una martire?  
«Non sai quello che dici! Queste parole che escono dalla tua bocca non sono parole tue! Sono frasi tratte da un libro sacro e adattate per farvi credere alle bugie che vi hanno raccontato!». Danny si sforzò di sentire quello che le stava dicendo, ma Steve aveva abbassato il tono di voce e lo spessore della porta non lo aiutava. Rimase in attesa, con l'orecchio teso, e per quella che gli sembrò un'eternità non sentì nulla; poi fu Dawn a gridare di nuovo: «...lottando contro i pacifici figli di Allah!».
Esitò nuovamente, indeciso se interrompere o meno, ma alla fine decise che poteva bastare. Inserì il codice di accesso ed aprì la porta, trovando Steve inginocchiato di fronte alla ragazza. Da dov'era non poteva scorgere l'espressione scossa sul suo viso, ma fu come se fosse riuscito a percepire il suo stato d'animo.
«Steve, a Quantico hanno trovato un riscontro», disse con tono di voce fermo.
Il comandante respirò brevemente e gli rispose senza interrompere il contatto visivo con Dawn: «Arrivo».
Danny, con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, piegò un poco il capo in avanti e si ritrasse, decidendo di aspettarlo in corridoio. Steve fu da lui un minuto dopo, col volto scuro.
«Ehi, tutto okay?», gli chiese, quasi carezzevole.
Steve annuì, distratto, e si avviò verso l'ascensore. Danny non osò chiedergli nulla e lo seguì in silenzio, anche se dentro fremeva per sapere quello che gli stava passando per la testa.
L'ascensore aveva appena iniziato a salire, quando Steve colpì con forza il pulsante dell'arresto e si ritrovarono fermi e con la sola luce di emergenza ad illuminarli. Il detective sentì l'aria mancargli nei polmoni e aprì la bocca per gridargli contro, ma il SEAL lo batté sul tempo, dicendo: «Non riesco a credere che stia succedendo di nuovo».
Si coprì il volto con le mani ed appoggiandosi alla parete alle sue spalle scivolò a terra, con le ginocchia strette al petto.
Danny si fece forza, cercando di ignorare la propria claustrofobia, e si sedette al suo fianco per posargli una mano sulla spalla. «Che cosa sta succedendo di nuovo?».
«Questo. Ho già visto una ragazza disperata sacrificare se stessa per la causa della jihad. È successo sotto i miei occhi e non mi sono accorto di nulla, fino a quando non... non è stato troppo tardi».
«Steve... non è colpa tua. Cose del genere... sono fuori dall'immaginazione di chiunque. Non avresti potuto fare nulla comunque».
«Lo credi sul serio? Perché non c'è giorno in cui io non mi alzi pensando il contrario». Sollevò gli occhi e il detective si sentì morire, scorgendovi l'infinito rammarico che li rendeva spenti come non mai. «Faceva parte della squadra, Danny. Capisci? È come se domani Kono arrivasse con una bomba legata al petto e si facesse esplodere, gridando "Allah è grande!"».
«È terribile, Steve, ma non puoi incolpartene, okay?». Si abbandonò contro la parete dell'ascensore, accanto al partner, e si passò una mano sulla fronte sudata. «Inoltre, hai fermato Dawn prima che potesse fare del male a qualcuno. Io la vedo come una vittoria».
«Per me rimane sempre una sconfitta», mormorò, alzandosi in piedi per far ripartire l'ascensore.
Quando le luci si riaccesero e ripresero a salire, Danny ringraziò il Signore.
«Mi dispiace, mi ero dimenticato della tua claustrofobia», gli disse poco dopo il SEAL, porgendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.
Danny l'afferrò con un mezzo sorriso, perdonandolo, e si alzò appena in tempo: le porte si aprirono di fronte al loro piano e come se nulla fosse Steve si diresse verso la base operativa.
Forse aveva sbagliato a non fargli pressioni perché gli raccontasse la storia completa, dato che probabilmente si era già pentito di avergliene parlato e d'ora in avanti avrebbe fatto finta che non fosse mai successo, ma curiosità a parte sapeva di aver fatto la cosa giusta.
Ad un tratto Steve si fermò nel bel mezzo del corridoio e si lasciò superare dal detective per tirare fuori il cellulare e fissare lo schermo in silenzio. Danny lo aspettò, chiedendosi se stesse controllando se avesse ricevuto una chiamata da Catherine.
Sentendosi in colpa per quello che gli aveva detto quella mattina, esclamò: «Catherine non ha tagliato la corda, tornerà presto».
Il comandante alzò il capo di scatto, stupito. Impiegò qualche secondo per realizzare quello che intendeva dire veramente e finalmente sorrise, ringraziandolo silenziosamente.
In parte rincuorato, Danny aprì la porta di vetro e raggiunse per primo Chin accanto al super computer. Non l'avrebbe fatto, se avesse saputo che stava per mostrare loro un filmato che avrebbe ferito Steve in quel modo.
L'FBI, analizzando gli schemi che avevano trovato a casa dei tre ragazzi iniziati alla jihad, aveva trovato un riscontro con delle bombe utilizzate per colpire i mezzi dei marines americani a Kandahar. In uno di quegli attacchi avevano perso la vita quattro uomini e l'unico sopravvissuto, il sergente Kirk Emerson, aveva perso entrambe le gambe e parte di un braccio.
Danny non avrebbe mai dimenticato l'espressione di Steve quando nel filmato avevano visto esplodere il convoglio: aveva chiuso gli occhi e voltato leggermente il capo verso di lui, cercando di non esprimere tutto il dolore che provava. Il detective non riusciva nemmeno ad immaginarlo, soprattutto dopo quello che gli aveva confessato nell'ascensore.
Ancora una volta, ringraziò Dio per aver protetto il partner durante le sue missioni da SEAL.

*

Steve si abbandonò contro lo schienale della propria poltrona e chiuse gli occhi, ma i ricordi, ancora così vividi nella sua memoria, glieli fecero riaprire quasi subito, giusto in tempo per vedere Danny dirigersi verso il suo ufficio ed entrare.
«Ehi», lo salutò il detective con un cenno del capo.
«Ehi», replicò piano, sedendosi più composto. «Pensavo fossi andato a casa».
«Stavo andando, ma sono tornato indietro».
Steve increspò la fronte, confuso. Il partner però non lo lasciò molto sulle spine e gli spiegò: «Penso che non dovresti dire tutto alla stampa».
«Che cosa?», quasi urlò, tanto gli sembrava da pazzi quell'affermazione. Puntando fermamente l'indice sulla scrivania, aggiunse: «La gente deve sapere che abbiamo catturato due terroristi, che finalmente i marines che sono morti a Kandahar sono stati vendicati».
«Sono perfettamente d'accordo con te, solo... non ora».
Steve si alzò in piedi, sentendo il nervosismo iniziare a scaldargli il sangue nelle vene. Danny però lo sorprese con un sorriso dolce, avvicinandosi alla scrivania per mostrargli una conferma di prenotazione sul proprio cellulare.
«Spero tu non abbia preso impegni per domani».
Due biglietti aerei per San Diego, dove si trovava il Veteran's Affairs Medical Center. Avrebbero conosciuto Kirk Emerson, il marine che aveva perso i suoi compagni.
Il comandante alzò gli occhi, commosso, ma prima che potesse esprimere la propria gratitudine Danny disse: «Spero che almeno il sergente Emerson riesca a farti capire quanto bene hai fatto e quanto ne farai ancora».
Non riuscì a trovare una risposta adeguata a quelle parole, perciò rimase in silenzio, a fissare il partner mentre lasciava gli uffici della Five-0. Prima di uscire definitivamente dal suo campo visivo però si guardò indietro per sorridergli e Steve sentì aprirsi l'ennesima ferita sul cuore: perché Danny si era voltato e invece Catherine no?
Quel quesito lo tormentò fino a sera, quando arrivò il momento di mettersi a letto. Dopo tanto, troppo tempo, grazie al pensiero che il giorno seguente avrebbe in parte redento i suoi peccati - grazie a Danny - non ebbe paura di chiudere gli occhi ed addormentarsi.

*

Nonostante le sue proteste, Steve si era accaparrato il posto accanto al finestrino e da quando avevano preso quota non aveva quasi più aperto la bocca.  Danny aveva pensato di sfruttare quelle duemilaseicento miglia di viaggio per parlare un po' con lui e farsi spiegare perché non gli avesse detto di Cobb, ma non era facile iniziare quel tipo di conversazioni col SEAL. Specialmente con le fitte di dolore al fianco che gli stavano facendo vedere le stelle.
«Mi scusi», esclamò fermando una hostess dell'Hawaiian Airlines. «Potrei avere un bicchiere d'acqua, per cortesia?».
«Certo signore, glielo porto subito».
Steve si voltò a guardarlo mentre tirava fuori dalla tasca dei pantaloni il suo astuccio porta pillole e ne inghiottiva una con l'aiuto dell'acqua che l'hostess gli aveva appena portato.
«Stai male?», gli chiese, apprensivo.
«A volte è come se avessi quel pezzo di ferro ancora piantato nel fianco. Ma passerà, col tempo».
Il SEAL prese un depliant dalla tasca del sedile davanti a lui e lo sfogliò distrattamente, chiedendo a bassa voce: «Pensi ancora sia colpa mia, se quell'edificio ci è crollato addosso?».
«No, Steve. Come potrebbe essere colpa tua? Non l'hai mica fatto esplodere tu. Però...».
«Però è come se l'avessi fatto. Se non fosse stato per le mie domande...».
Non era quello che intendeva aggiungere, ma lasciò correre.
Danny gli posò una mano sul braccio, attirando su di sé il suo sguardo addolorato. «So cos'è successo, me l'ha detto Chin».
«Perfetto», mormorò, stringendo i pugni sui braccioli. «Allora sai che è per colpa mia, se hai rischiato di morire. Cobb voleva morto me e tu ci sei rimasto in mezzo».
«È per questo che gli hai sparato?», gli chiese a bruciapelo, sentendo il cuore salirgli in gola. Per quanto andasse contro i suoi principi morali, l'avrebbe capito se avesse premuto il grilletto per rabbia, per amore. L'avrebbe fatto anche lui per Steve, no?
«Che cosa?». Steve lo fissò sbigottito, esitante. «Cobb... Cobb ha portato una mano sotto la scrivania, dove nascondeva una pistola, e ho agito d'istinto. Io... ero arrabbiato per quello che ti era successo per colpa mia, perciò... non lo so se è stata solo legittima difesa, non lo so».
Il detective si umettò le labbra e percorse il suo braccio fino a raggiungere il suo pugno chiuso, che stese con una carezza per intrecciare le loro dita.
«Hai fatto quello che dovevi», lo rassicurò, rivolgendogli un breve sorriso.
«Ma ho anche perso l'unica pista che avevo per scoprire dov'è il padre di Wo Fat».
Ad una sua occhiata confusa, Steve gli raccontò cosa gli aveva rivelato Cobb prima di morire con un proiettile conficcato nel cuore: la tomba in Cambogia apparteneva alla madre di Wo Fat, il risultato di un'operazione andata male. Sua madre, già agente della CIA, aveva avuto l'ordine da Cobb di uccidere il padre del criminale - allora solo un bambino - e quando le cose si erano fatte incasinate Doris era sparita, lasciando Cobb a risolvere l'irrisolvibile. L'agente infatti era stato cacciato dalla CIA, ma per tutti quegli anni non aveva mai voltato pagina e quando aveva scoperto che Steve stava facendo domande riguardo a quella faccenda aveva architettato quell'ingegnoso piano per eliminarlo dall'equazione.
Quando Steve finì di raccontare, entrambi rimasero in silenzio per qualche minuto, ognuno perso nei propri pensieri, ma con le dita delle mani ancora saldamente intrecciate. Alla fine fu il detective a parlare per primo, affermando: «Sono contento di esserci finito in mezzo».
«Che cosa?».
«Sì... di essere rimasto bloccato là sotto con te. Anche se ho rischiato di lasciarci le penne. E in fondo... senza di me non saresti mai riuscito ad uscirne».
«Ah no?», gli domandò il comandante, ridacchiando.
Danny ricambiò il sorriso, incrociando il suo sguardo. «Assolutamente no».
Il silenzio cadde ancora tra di loro, velato d'imbarazzo. Pur di liberarsene, il detective decise di affrontare un altro argomento spinoso, chiedendo a Steve:  «Perché non mi hai detto subito di Cobb?».
«E rischiare che decidessi di non andare a Maui con Amber?», rispose, guardandolo di sottecchi. «Non se ne parla».
«Sono il tuo partner, avresti dovuto dirmelo! Non spettava a te preoccuparti dei miei impegni, okay? E poi che ne sai, magari una volta sicuro che stessi bene sarei partito lo stesso per Maui!».
Steve trattenne una risata arricciando gli angoli della bocca. «Dici sul serio?».
«No», mugugnò, stringendosi le braccia al petto. «Non ti avrei mai voltato le spalle, se l'avessi saputo. Con Catherine lontana, oltrettutto...».
«Che cosa?».
Danny raggelò sul posto e si morse la lingua, realizzando di aver commesso una gaffe epocale.
«Tu sapevi che Catherine aveva intenzione di partire?».
«Cosa? Ma sei matto? Come avrei potuto saperlo?».
«Non lo so, ma Cath mi ha detto di voler andare sul continente dopo la mia visita a Cobb».
«Hai capito male, Steve. Volevo solo dire che se avessi saputo quello che ti era successo e che Catherine sarebbe partita, non ti avrei mai lasciato solo».
Il SEAL lo squadrò per una dozzina di secondi, ma Danny resse il confronto e alla fine vide comparire sul suo volto un'espressione quasi convinta, abbastanza per fargli tirare un sospiro di sollievo interiore.
Danny abbassò gli occhi e guardò le loro mani, ancora unite sul bracciolo che separava i loro sedili. Avrebbe dovuto ritrarsi, lo sapeva, eppure quel contatto lo rendeva così tranquillo da fargli dimenticare qualsiasi preoccupazione.
«Comunque nemmeno io ti volterei mai le spalle», esclamò Steve, prima di posare il capo contro il poggiatesta e chiudere gli occhi, forse nel tentativo di riposare qualche ora.
Danny sorrise malinconico, guardando fuori dal finestrino l'ala dell'aereo tagliare le nuvole.
L'hai già fatto una volta.


*

«Com'è? Ripetimelo un'ultima volta, credo di aver capito».
Steve scosse il capo, ridacchiando. «Hoorah», spellò di nuovo, ma Danny non ce la faceva proprio a pronunciare il grido di battaglia dei Navy SEAL.
Sarebbe stato un pessimo soldato, per quello e altre mille motivi. Sarebbe stato il soldato di cui Steve si sarebbe comunque innamorato.
«Ehi, perché ci siamo fermati?».
Steve uscì dall'auto a noleggio e lo stesso fece Danny, raggiungendolo sul cofano caldo. Rimasero per qualche minuto in silenzio, a guardare l'oceano che bagnava San Diego. Era lo stesso che bagnava le Hawaii, eppure per Steve sarebbe sempre stato diverso, meno bello.
Mancavano ancora due ore prima che potessero salire sull'aereo di ritorno ed era deciso a sfruttarlo al meglio.
«Volevo ringraziarti, Danno», disse alla fine, senza cercare lo sguardo del partner.
«Ringraziarmi? Di che cosa stai parlando?».
«Per avermi portato qui, per avermi dato un po' di pace».
«Ehi». Il detective gli portò una mano sulla schiena e finalmente Steve si voltò per incrociare quegli occhi azzurro cielo che erano il suo Inferno tanto quanto il suo Paradiso.
Danny aprì la bocca per continuare, ma qualcosa lo bloccò e anche la mano che aveva ancora tra le sue scapole si fece più rigida, nervosa. Quindi mascherò il disagio con quel sorriso venato di sarcasmo che era il suo marchio di fabbrica ormai.
«È strano che tu dica questo, sai? Dici sempre che ti intristisco l'esistenza».
Steve abbozzò un sorriso amaro, senza dirgli che per loro era sempre valso il gioco dei contrari. Danny lo sapeva, lo sapeva benissimo, dato che era stato il primo ad esprimere i suoi sentimenti in quel modo.
«Si chiamava Meredith», esordì invece, tirando fuori il cellulare dalla tasca dei jeans.
«Chi?».
«La ragazza che non sono riuscito a salvare».
Gli mostrò una fotografia della sua squadra di allora, scattata nel bel mezzo del deserto, in cui lui - col viso nascosto da una barba insolitamente lunga e degli occhiali da sole - abbracciava da un lato Freddie e da un lato una ragazza dagli occhi color cioccolato e i capelli ramati, tanto ricci da uscirle dal casco protettivo.
«Lei... era appena arrivata, quando partecipammo ad una missione che andò a finire nel peggiore dei modi. Cademmo in una trappola degli jihadisti e molte persone, tra cui decine di bambini, morirono in un incendio provocato da una bomba. Meredith non è più stata la stessa da quella notte e nonostante abbia provato a parlarle molte volte, dicendole che non c'era nulla che avremmo potuto fare per aiutarli, lei aveva iniziato a dubitare e a trascorrere sempre più tempo con la gente del villaggio vicino alla base. Ad un certo punto mi sono detto che le sarebbe passato, che il tempo l'avrebbe aiutata. Mi sbagliavo, ovviamente».
La mano di Danny tornò sicura, sincera sulla sua schiena, e Steve provò a trarne la forza necessaria per continuare quel racconto di cui non avrebbe mai dovuto parlare in primo luogo.
«Tre settimane dopo, ci fu un attacco alla nostra base e Meredith venne rapita. La cercammo ovunque, eravamo pronti anche ad abbassarci e a fare uno scambio di prigionieri, ma non fummo mai contattati. Alla fine ci costringemmo a credere che fosse morta, perché pensare che fosse ancora intrappolata, torturata, era un'ipotesi molto peggiore».
Danny si avvicinò un po' di più e la mano che si trovava tra le sue scapole risalì fino alla spalla sinistra, in modo da circondarlo come l'ala di un angelo. Steve si sentì rincuorato da quella vicinanza, ma  i ricordi erano ancora così vividi, ancora così dolorosi, che dovette sforzarsi per ricacciare indietro le lacrime.
«Passarono due mesi e una notte, mentre io ero di turno di guardia, vidi una donna avvicinarsi alle nostre tende. Indossava un burqa nero, come usavano la maggior parte delle donne del villaggio, eppure... in quel preciso istante mi si accapponò la pelle, come se avessi visto la morte in persona.
«Le chiesi più volte chi fosse, cosa voleva, ma solo quando le puntai contro l'arma si fermò a darmi risposte: lentamente si tolse il velo e riconobbi Meredith. Era viva! Ero talmente sollevato, talmente felice, che non mi accorsi del suo sguardo spento, né di ciò che teneva in mano. Furono i miei compagni, svegliati dalle mie grida, a strapparmi via da quel sogno ad occhi aperti e a salvarmi la vita.
«Stavo già correndo verso di lei, quando Freddie mi prese per un braccio e mi spinse dietro una delle nostre jeep corazzate, evitando che l'esplosione mi uccidesse sul colpo».
«Mi sarebbe piaciuto conoscerlo», sussurrò Danny, accarezzandogli i capelli sulla nuca, e Steve chiuse gli occhi, posando il capo nell'incavo della sua spalla.
«Anche se è stato il mio primo amore?».
Il detective lo osservò intensamente - poteva sentire i suoi occhi lasciare una traccia invisibile sulla sua pelle - e alla fine gli baciò la fronte, sussurrando: «Ti ha salvato la vita e questo l'avrebbe reso automaticamente il mio secondo migliore amico».
Steve abbozzò un sorriso, concludendo: «Ora capisci perché il comportamento di Dawn mi ha tanto scosso...».
«È tornato tutto a galla, lo capisco».
«Ma vedere Kirk, parlargli, mi ha ridato un po' di fiducia. Ed è tutto merito tuo», si sollevò per guardare Danny negli occhi e dopo essersi scambiati un breve sorriso si abbracciarono stretti, dandosi delle pacche sulle spalle.
«Grazie di avermene parlato», gli sussurrò il detective.
«Grazie per aver ascoltato».
«Stai insinuando che mi racconteresti più cose del tuo passato se io parlassi di meno?».
Steve rise e si scostò per fare il giro dell'auto. «Che differenza fa? Tanto non succederà mai!», urlò prima di rimettersi al volante, con ancora le labbra arcuate da un sorriso.
In quel momento iniziò anche a vibrargli il cellulare e guardando Danny chiudere la portiera se lo portò all'orecchio, rispondendo: «McGarrett».
«Yo, questa sera sei invitato al Tropics per gustare il meraviglioso pesce che ho pescato».
«Ehi Grover!», lo salutò. «Ti ringrazio per l'invito. Dimmi a che ora, così almeno vado lì un po' prima e mangio qualcosa di più nutriente».
«Molto divertente, McGarrett. Ci vediamo lì alle otto. Avvisi tu Williams, okay?».
Steve guardò il detective, seduto in silenzio al suo fianco, e sorrise dolcemente. «Nessun problema, lo avviso io. Ciao Lou».

*

Catherine fermò l'auto di fronte a casa McGarrett e le luci spente e l'assenza della Silverado nel vialetto furono indizi sufficienti a farle capire che Steve non era in casa. Ciò nonostante decise di entrare e di aspettarlo. Il tempo trascorso sul continente, lontana da lui, le aveva fatto capire quanto fosse innamorata e voleva dirglielo il prima possibile. Sperava soltanto che anche Steve fosse arrivato a quella conclusione.
Accese la luce in salotto e poi si diresse in cucina per bere un bicchiere d'acqua, ma il foglietto che scorse sul tavolo attirò tutta la sua attenzione, essendo indirizzato proprio a lei.
«Se dovessi tornare a casa questa sera, sappi che siamo tutti a cena al Tropics. Ti aspetto, Steve», lesse a mezza voce, sentendo il cuore correrle nel petto.
Rimise il biglietto dove l'aveva trovato ed uscì di corsa per salire sulla Corvette e guidare verso il Bar & Grill dell'Hilton Hawaiian Village.
«Ha una prenotazione, signora?», le chiese la ragazza al ricevimento, sorridendole gentile.
«Dei miei amici sono qui a cena», iniziò a spiegare, quando guardando verso i tavoli esterni scorse proprio Steve, il capitano Grover, Danny e tutta l'allegra brigata.
Un sorriso le incurvò le labbra, ma morì nel momento in cui vide il SEAL bere un sorso di birra e scambiare un'occhiata complice con Danny, a cui sorrise persino con gli occhi. Poco dopo si accese uno scambio di battute in cui il detective lanciò una sfida a Steve, ma il suo viso era il manifesto della felicità. Il modo in cui quei due si parlavano con gli occhi le fece fare automaticamente un passo indietro, col cuore a pezzi. Pensava davvero che si sarebbe abituata, che prima o poi si sarebbe messa l'anima in pace, ma come avrebbe potuto? Steve e Danny non avrebbero mai fatto a meno l'uno dell'altro e il loro amore sarebbe stato sempre lì, nell'aria, e se per loro era l'ossigeno con cui andare avanti, per lei era gas letale.
«Signora, si sente bene?», le domandò la cameriera.
Catherine scosse il capo. «Mi scusi, io... ho sbagliato ristorante».
Tornò all'auto e una volta seduta al posto di guida si asciugò la lacrima che le aveva tracciato un solco sulla guancia; quindi respirò profondamente e mise in moto. Diretta verso il proprio appartamento, si chiese se Steve non avesse fatto un errore, scegliendo lei anziché Danny, e se sì, con quale forza sarebbe riuscita a farglielo capire? 


.


Note dell'autrice
1) La parte in cui Steve e Danny si scambiano quel "I love you" è come sempre interpretabile, dato che nella lingua inglese non c'è un modo per distinguere il "Ti voglio bene" dal "Ti amo" vero e proprio.
2) La scena dell'ascensore invece è un chiaro omaggio a Gibbs, della serie originale di NCIS. Quanto amo quell'uomo :)

Se avete altre domande, chiedete pure lasciando una recensione, scrivendomi per mp o sulla mia pagina Facebook!

Saluti!
_Pulse_
   
 
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