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Autore: Walpurgisnacht    13/06/2016    1 recensioni
Allora ragazzi, vi capita mai di avere idee folli su cui vi sale un hype incontrollabile e che DOVETE mettere per iscritto? Ecco, se vi è successo sapete cosa è passato per la testa mia e della mia socia. Spiegazioni sul crossover e altri tecnicismi nel primo capitolo.
Aggiornamenti settimanali, due a botta. Numero finale di capitoli: ventuno.
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Un aereo cade. Nove ragazzi ammaccati si leccano le (piccole) ferite e cercano di capire come andarsene da quel posto dimenticato da chiunque.
Sul serio, non c'è nessun tizio psicopatico che vuole farli giocare alla sua personalissima versione de La Ruota della Fortuna.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note necessarie:

Se vi state apprestando a leggere questa bestia (ma c’è davvero qualcuno che ha intenzione di farlo? :°D) avrete bisogno di qualche spiegazione.

Questa storia è un AU di Dangan Ronpa ispirato da 999, gioco per 3DS sviluppato dalla Spike Chunsoft (sì, gli stessi di Dangan Ronpa): le situazioni e le meccaniche che troverete, quindi, saranno prese da 999, e se lo conoscete forse sapete cosa aspettarvi.

Forse.

Per chi non lo conoscesse, in breve: nove persone si ritrovano intrappolate in una nave con al polso un braccialetto elettronico che sul display ha un numero (i numeri vanno ovviamente da 1 a 9). Quei numeri servono per aprire le famigerate porte numerate tramite radice digitale (verrà spiegata nella storia). E chi ha messo questi poveretti là dentro? Il fantomatico Zero. E cosa vuole questo Zero da loro, e perché l’ha fatto? Ora chiedete troppo, ragazzi miei.

Di conseguenza per far funzionare il Nonary Game abbiamo inserito due personaggi di SDR2 (Peko e Kuzuryuu) nella classe 78 per arrivare a 18 studenti. Non compaiono nella storia ma vengono nominati, ci è sembrato giusto spiegare prima il perché della loro presenza.

Inoltre, per esigenze di trama, alcune cose sono leggermente diverse (ad esempio, Jin Kirigiri è vivo ed è il preside della Kibougamine, e il rapporto tra lui e Kyouko è un po’ migliore che nel gioco). Abbiamo inserito anche un po’ di easter eggs sparsi qua e là, riferiti sia a Dangan Ronpa che a 999. Riuscite a trovarli tutti? :D

Questo è quanto, e se dopo queste note infinite avete ancora voglia di leggere… siete dei coraggiosi. O dei pazzi. XD

Un grazie a francy20000 che ha betato questa storia!

 

L’associazione a delinquere Mana Sputachu & Subutai Khan.


 

***

 

L’unica cosa che ricordava era che si trovava sull’aereo, e poi uno schianto terribile.

Aveva creduto di essere morto, ma poi aveva aperto gli occhi e aveva fatto male. Era la conferma che, in qualche modo, era ancora vivo.

E gli altri? era stata la domanda successiva.

Makoto si sforzò di alzare la testa: il dolore era forte, ma sopportabile. Mentre cercava di mettere a fuoco la scena attorno a sé cercò di riportare alla mente quanto era successo: ricordava il viaggio in aereo, il chiacchiericcio dei compagni di classe, Oowada che prendeva in giro il povero Ishimaru… e poi la turbolenza e lo schianto. Ciò che stava in mezzo al momento non riusciva a ricordarlo. Cercò di guardarsi attorno per vedere come stavano gli altri: qualcuno era ancora svenuto (o quantomeno se lo augurava), qualcun altro stava riprendendo conoscenza e i due assistenti di volo si stavano occupando di chi aveva bisogno. Apparentemente erano tutti ancora vivi.

“Naegi-kun?”

La voce di Kyouko Kirigiri gli fece tirare un sospiro di sollievo.

“K-Kirigiri-san, tutto ok?” chiese, rendendosi subito conto che data la situazione era una domanda incredibilmente stupida, ma lei non sembrò notarlo: “Un po’ ammaccata e frastornata, ma poteva decisamente andare peggio.”

“Meno male” si lasciò sfuggire con forse troppo trasporto.

In quel momento ci fece caso. L’interno del veivolo non sembrava reduce da un incidente: non penzolavano le mascherine dell’ossigeno, non erano scoppiati airbag, non un solo sedile era stato sradicato dalla propria sede.

Anzi, tutto sommato la situazione appariva abbastanza tranquilla. Certo, i lamenti e i versi della gente che si stava riprendendo da uno svenimento facevano intendere che qualcosa fosse ben successo, ma non dava davvero l’idea di un disastro in piena regola.

“Mannaggia al porco, che male! Ho preso una craniata pazzesca!” urlò Oowada mentre, con un movimento rabbioso, si slacciava la cintura di sicurezza. Aveva un taglio sulla fronte ma, a parte quello, non parevano esserci ulteriori danni. Makoto si aspettò di vederlo vomitare fuoco e fiamme.

Pian piano tutti e nove rinvennero e si appurò che, ammaccature assortite a parte, si stava piuttosto bene. Per un attimo si pensò che Mukuro potesse essersi rotta un braccio, ma fu lei stessa a smentire rimarcando con orgoglio che una ex Fenrir è fatta di tutt’altra pasta e non basta un piccolo disguido come quello per metterla fuori uso.

“Ok gente, vado a parlare col pilota per capire cosa diamine è successo” disse ancora Mukuro, prendendo l’iniziativa a nome di tutti loro. Gli steward la seguirono a ruota.

“Sì, buona idea” le diede manforte Sakura, impegnata a cercare di calmare quella poveretta di Aoi che stava tremando come una foglia.

Passarono pochi minuti, poi lei, il pilota e gli assistenti emersero dalla cabina di comando.

“Dunque” iniziò lui “innanzitutto vi chiedo scusa per l’atterraggio brusco. Abbiamo attraversato una turbolenza e siamo stati costretti a compiere una manovra di emergenza. Purtroppo non siamo riusciti a raddrizzare l’aereo e ne abbiamo perso il controllo. Per fortuna mi pare di vedere che stiate tutti bene”.

“Sì, poteva andare peggio. La ringrazio a nome dei miei compagni per l’ardita impresa che ha portato a termine, consentendoci di uscirne relativamente integri” disse Ishimaru con il suo modo di parlare magniloquente. Makoto si permise una risata mentale.

“Ha idea di dove possiamo trovarci adesso?” chiese Kyouko.

“No, onestamente no. Gli strumenti di bordo sono rimasti danneggiati nell’impatto e non abbiamo modo di stabilirlo”.

“Capisco” fu la laconica risposta, con il suo classico grattarsi il mento. A Makoto scappò una risatina quando sentì Mondo lamentarsi: “Ma… questa non è Sapporo! Dov’è il museo della birra?!”

“C-Che vogliamo f-fare adesso? S-Siamo dispersi non si sa dove… chissà se gli altri s-stanno bene...”. Tutti si girarono verso Touko Fukawa, l’autrice di questa domanda, perché in quel momento aveva dato corpo ai loro più tetri dubbi. Lo stesso Makoto soppresse una vocina stridula nel retro della sua testa.

“Propongo di andare in esplorazione” sentenziò Byakuya Togami, al solito freddo come un iceberg “per farci un’idea del luogo in cui siamo disgraziatamente finiti. Magari possiamo rimediare un posto adatto per passare la notte”.

“Non sarà pericoloso, m-mio bianco cavaliere?”

“Non sono il cavaliere bianco di nessuno. Incredibile a dirsi la tua obiezione non è così stupida, ma tieni presente che fra di noi ci sono il Super Soldato, la Super Artista Marziale e il Super Gorilla”.

“Scion di ‘Staceppa! Ti rivolto come un calzino!”.

“Santo cielo” si lasciò sfuggire Aoi, a quanto pareva ripresasi completamente “non cominciate a litigare voi due! La situazione è abbastanza delicata già così, non credete?”.

Ci misero un po’ ma la pace venne ristabilita.

Decisero di uscire tutti assieme in perlustrazione, mentre il pilota e il suo secondo restavano a bordo per cercare di riaggiustare la strumentazione e tentare un contatto radio con la torre di controllo più vicina.

Stavano per andare (a riprova del fatto che l’incidente era stato molto meno grave di quanto potevano pensare non servirono scivoli strani o scappatoie d’emergenza) quando Makoto notò, per puro caso, Kyouko che dava un’occhiata dietro di sé e la colse in uno strano stato d’animo. Sembrava… turbata.

“Qualcosa non va, Kirigiri-san?”.

“Eh? No no, tutto ok. È solo che…”.

“Che?”.

“No, nulla. Andiamo. Non facciamo aspettare gli altri”.

Qua gatta ci cova. Non è tipo da elucubrare gratuitamente. Che cosa potrebbe sospettare o temere, però?

Decise di lasciar perdere, non serviva a nessuno star lì a farsi domande forse inutili.

Raggiunsero il resto della combriccola che aveva già provveduto a mettere i piedi a terra. Un rapido sguardo gli fece subito realizzare che si trovavano su un’isola, data la spiaggia non poi troppo distante dalla loro posizione.

Direi che questo non è un atollo tropicale pullulante di turisti. Almeno, di solito in quei posti vicino al mare c’è sabbia finissima e non quel cumulo di terra e sassi che vedo.

Risolsero di andare verso l’entroterra.

Il giro ricognitivo durò più del previsto. Dopo alcune ore non avevano ancora trovato un segno di presenza umana e ormai il sole stava per tramontare.

Poi, con il morale sotto ai tacchi e le prime lamentele sulla fame, la sete e tutto il resto…

Di fronte a loro si stagliò come per magia un palazzo. A vederlo così, dall’esterno, assomigliava alla facciata di qualche chiesa medievale europea… stando a quel poco che Makoto ricordava in merito dalle lezioni di architettura.

“Oh. Un edificio. Cosa vogliamo fare, entriamo?” chiese Aoi in tono innocente.

“Certo, entriamo pure in un edificio sconosciuto, senza sapere cosa potemmo trovarci dentro” le fece eco Togami, “edificio che tra l’altro non dovrebbe neanche trovarsi qui perché non mi risulta che l’architettura gotica sia tipica delle isole tropicali. Assolutamente non sospetto, neanche un po’.”

Aoi si incupì, nascondendosi dietro Sakura; tuttavia, seppur con la mancanza di tatto che lo aveva sempre contraddistinto, lo Scion aveva detto una cosa giusta: quell’edificio simile a una cattedrale stonava in un posto come quello, e non avevano alcuna certezza che dentro potesse non esserci un qualche pericolo.

Dopo qualche attimo di silenzio Makoto decise di parlare: “Sentite, Togami avrà anche ragione, ma che alternative abbiamo? Perlustrare tutta l’isola? Non sappiamo quanto è grande e potrebbero volerci giorni visto quanto ci abbiamo messo a trovare questa specie di chiesa” disse, e tutti convennero che non aveva torto. “Direi che potremmo entrare a dare un’occhiata, magari vedere se c’è del cibo o qualche aiuto…”

“O una radio” intervenne Ishimaru, “suppongo che quella dell’aereo sia danneggiata, e non abbiamo modo di contattare l’aeroporto… o l’altro aereo” aggiunse funereo, e un senso di angoscia sembrò calare su tutti loro: il preside aveva deciso di avvalersi di un aeroporto privato per quella gita scolastica (la Kibougamine poteva permettersi questo ed altro), dividendo la classe in due gruppi e facendola viaggiare su due aerei.

Makoto si chiese che fine poteva aver fatto l'altro aereo e il resto degli studenti: anche loro avevano avuto difficoltà con la turbolenza? Si erano schiantati? Erano ancora vivi? Che ne era stato di Maizono, di Yamada, di Pekoyama, di Kuzuryuu?

Queste e altre mille domande affollarono la sua testa, ma purtroppo non aveva ancora risposte. Si scambiò un veloce sguardo con Kyouko alla ricerca di un aiuto, e dopo un veloce cenno d'assenso, quasi avesse intuito cosa gli passasse per la testa, fu lei a prendere parola: "Io propongo di seguire il suggerimento di Naegi-kun" disse, "ora come ora c'è la possibilità di trovare pericoli qui fuori come là dentro" indicò l'edificio, "con la differenza che lì magari troveremo qualcosa di utile per la nostra sopravvivenza. Inoltre, nonostante ci siano volute un paio d'ore di cammino, il percorso è stato piuttosto lineare e ritrovare la strada per l'aereo non dovrebbe essere particolarmente difficile.”

Ci fu qualche istante di discussione in cui chi era d'accordo con Makoto e Kyouko cercò di fare pressione sugli indecisi, ma alla fine decisero tutti di entrare a dare un'occhiata a quel luogo strano e fuori posto: ci volle l'aiuto di Sakura e Mondo per aprire il pesante portone, ma quando riuscirono ad entrare si trovarono davanti uno spettacolo assai bizzarro.

"Ok... tutto mi aspettavo tranne che questo" borbottò Mondo, guardandosi attorno insieme agli altri.

"Ma non doveva essere una chiesa?" domandò Aoi a Togami, che le scoccò un'occhiata torva: "Ho detto che sembrava una chiesa, ma non potevo certo immaginarmi che dentro fosse... questo" disse, indicando lo spazio attorno a loro: al posto della navata centrale c'era un grande salone riccamente decorato, con al centro una scalinata che portava presumibilmente a un secondo piano; al posto delle navate laterali c'erano invece diverse porte apparentemente chiuse. Chiunque avesse costruito quel posto doveva essere fin troppo eccentrico, pensò Makoto.

Un tonfo li ridestò dai loro pensieri, e quando si voltarono per cercare di intuirne la provenienza notarono con orrore che il portone era chiuso.

"Maledizione, è sbarrato!" ringhiò Oowada, che insieme a Sakura si era lanciato contro la pesante porta nel vano tentativo di riaprirla.

Si scambiarono sguardi interrogativi, quando un altro rumore simile a statica riecheggiò nell'enorme salone.

Un istante di silenzio, poi una voce metallica parlò.

"Benvenuti."

Per un attimo i ragazzi si guardarono basiti, non capendo cosa stesse succedendo. Senza il minimo rispetto per il loro sbigottimento la voce riprese: “Mi presento, il mio nome è Zero. Sono il proprietario dell’edificio in cui vi trovate al momento, e non solo. Sono proprietario di un’altra cosa. Le vostre vite”.

In un petosecondo fu un susseguirsi di urla e proteste, che la voce prontamente ignorò: “Ora stringo fra le mie dita i vostri soffici colli e posso romperli in qualunque momento. Ma sarebbe troppo facile e nonostante tutto ingiusto persino per voi peccatori. Pertanto, nella mia immensa magnanimità, ho deciso di concedervi una possibilità di salvezza. Prima di spiegarvi, però, è tempo che vi facciate una dormitina”.

Nessuno fece in tempo a dire nulla che dal soffitto cominciò a diffondersi per la stanza uno strano gas verdastro.

“Maledizione, dev’essere sonnifero!” sbraitò Mukuro portandosi istantaneamente una manica a protezione delle vie respiratorie “Non inalatelo!”.

“Come f-facciamo?” guaì Touko “Si sta diffondendo o-ovunque!”.

“Proteggetevi!”.

Makoto non si fece pregare e tentò di fare quanto gli era stato suggerito, ma la considerazione di Fukawa si rivelò ovviamente veritiera e in pochissimi minuti si sentì venir meno. Al contrario suo che rimase fermo e con i sensi che si affievolivano si accorse dei nuovi, ripetuti tentativi di Mondo e Sakura di scardinare il portone. Ovviamente falliti. Riuscì giusto a constatare, con un pizzico di delusione, di essere forse il primo a cedere.

Ugh.

Maledizione, che mal di testa terribile…

Fu questo il primo pensiero a galleggiare nella sua mente quando rinvenne.

Ci mise un secondo a tirarsi in piedi, anche grazie all’aiuto degli altri che a quanto pareva erano rinvenuti prima di lui. Tanto per cambiare, eh.

“Naegi” sentì uno sgradevole richiamo alle proprie spalle “prova a guardarti le mani”.

Riconobbe Togami-san ma non seppe spiegarsi il perché di quanto aveva detto. Nonostante quello ubbidì e… ohibò, cos’era quel robo sul suo polso sinistro?

Lo girò per guardarlo meglio. Era come un orologio piuttosto ingombrante, solo che non aveva un quadrante con le lancette e sullo schermo campeggiava un grande 3 colorato di rosso.

Buttò un occhio sui suoi compagni e puntualmente, al polso di ognuno di loro, c’era un aggeggio simile.

“Che numero sei, Naegi-kun?” chiese con sin troppo entusiasmo Aoi. Come se la cosa non la inquietasse minimamente.

“Io ho il tre. Perché, voi?”.

“Eeeeeeeeeh, io l’uno! Numbah one!”. Quella esagerata manifestazione di gioia da parte della Super Nuotatrice venne accolta da grugniti e altri suoni non esattamente felici.

“Bene, la vostra dormitina è conclusa e ho potuto stabilire il mio predominio” riprese senza alcun preavviso la voce metallica, che a farci caso sembrava provenire da ovunque e da nessuna parte “I braccialetti che ora indossate rappresentano il vostro marchio vitale e dovrete sempre tenerlo presente perché, per aprire le varie porte che troverete sul vostro cammino, dovrete fare la radice digitale dei rispettivi identificativi. Ricordandovi che per aprire una porta dovrete sempre essere almeno in tre, non di meno”.

“Eh?” non poté trattenersi dal chiedere Makoto, al quale il concetto di radice digitale era davvero oscuro.

“Te lo spiego dopo” gli rispose Togami, molto ciarliero per i suoi standard. Certo, ebbe la gentilezza di un rottweiler ma d’altronde…

“In pratica è la somma delle somme” si inserì Kyouko. Al mutismo rassegnato di Makoto lei sbuffò, probabilmente convinta di non dover scendere oltre nei dettagli: “Ad esempio la radice digitale di 628 è 6+2+8, 16, 1+6… è 7”.

“Ok, ora ho capito” annuì lui, meno convinto di quanto appariva ma se non altro non del tutto spaesato.

“Aoi Asahina, numero 1. Touko Fukawa, numero 2. Makoto Naegi, numero 3. Mondo Oowada, numero 4. Sakura Oogami, numero 5. Byakuya Togami, numero 6. Kiyotaka Ishimaru, numero 7. Kyouko Kirigiri, numero 8. Mukuro Ikusaba, numero 9. Voi siete i miei piccoli topi da laboratorio e non vedo l’ora di assaporare la vostra disperazione. Sarà la giusta punizione per farvi pagare i vostri torti. Questo è il Nonary Game e sarà la vostra tomba”.

“Torti? Quali torti?!” ringhiò Oowada verso un punto non ben precisato della sala, ma la voce di Zero ignorò la sua domanda: “Quasi tutte le porte di questo edificio possono essere aperte, ma solo nove sono quelle importanti. Ognuna di esse sarà marchiata con un numero tra uno e nove, e per entrare avrete bisogno della radice digitale che dia quel numero specifico. Inoltre ogni porta avrà un dispositivo di scansione delle impronte digitali, che permetterà l’apertura della porta solo a chi ha il numero corretto sul braccialetto. Una volta entrati avrete nove secondi per toccare l’altro dispositivo gemello, pena l’iniezione tramite il braccialetto prima di un anestetico e poi di un rilassante… che vi fermerà il cuore.”

L’apatia con cui spiegò loro il modo in cui sarebbero morti se non avessero seguito le indicazioni fu, almeno per Makoto, la cosa più agghiacciante.

"Questo è quanto."

Con quest'ultima frase Zero si congedò, lasciandoli nella confusione più assurda.

"E ora cosa facciamo?" chiese qualcuno con voce tremante, probabilmente Aoi. "Dobbiamo... dobbiamo fare quello che dice?"

"Ma neanche per sogno! Mi rifiuto di abbassarmi ad eseguire gli ordini di chicchessia, men che meno qualcuno che non ha nemmeno il coraggio di farsi vedere in faccia!"

Quella frase, detta con un tono incredibilmente altezzoso, non poteva che essere di Togami, e gli squittii di approvazione di Fukawa ne furono un'ulteriore prova.

"Che mi venga un colpo se per una volta non sono d'accordo con lo Scion di 'Staceppa!" ringhiò Mondo, "Non ho intenzione di obbedire agli ordini di un pazzo!"

Ci volle poco perché gli animi si infervorassero e la discussione degenerasse, dividendo il gruppo tra chi condivideva il pensiero di Togami e Oowada e chi invece si opponeva del tutto ritenendola una follia.

Makoto rimase in silenzio, incerto se intervenire o no, quando qualcuno alle sue spalle attirò la sua attenzione: "E tu cosa ne pensi?"

Si voltò di scatto verso Kyouko, la quale osservava impassibile gli altri sette litigare animatamente: "Pensi sia meglio ribellarci o seguire le regole che ci sono state imposte?" chiese, e lui ci pensò qualche secondo prima di rispondere: "Credo... credo che al momento fare quanto dice sia la cosa migliore. Insomma, rimanere qui a non fare nulla non risolve certo il nostro problema..."

"Sono contenta di sapere che siamo sulla stessa lunghezza d'onda" rispose con un mezzo sorriso, e Makoto sentì un inopportuno (ma assurdamente piacevole) calore al basso ventre.

"ASCOLTATEMI TUTTI!" tuonò lei, in genere così silenziosa e pacata, e forse per questo riuscì ad attirare subito l'attenzione degli altri: "So che la prospettiva di fare quanto questo misterioso Zero ci dice fa paura, ma credo sia la soluzione migliore" disse, ma non fece in tempo a spiegarne il motivo che subito venne assalita da chi era contrario. Lei non fece una piega, ma Makoto non riuscì comunque a rimanere in disparte: "M-Ma ragazzi, Kirigiri-san ha ragione!" disse, e qualcuno si zittì. "Pensateci un attimo: cosa risolviamo a stare qui, in silenzio, a non far nulla? Nella migliore delle ipotesi moriremo di fame... a questo punto dare retta a Zero è davvero l'opzione migliore, con un po' di fortuna potremmo trovare indizi o una via d'uscita..."

"O una radio" lo interruppe Ishimaru, inizialmente tra quelli che si opponevano a Zero, ma che la prospettiva di trovare qualcosa di utile sembrava aver fatto rinsavire.

"Io concordo con Kirigiri-san e Naegi-kun" annuì Sakura, che già aveva deciso di seguire le regole, "rimanere qui è pressoché inutile, e abbiamo già appurato che non c'è modo di aprire il portone d'entrata dall'interno."

Ci furono diversi cenni d'assenso e ben presto anche i più riluttanti dovettero capitolare.

"Ok, ma anche decidessimo di seguire le regole, come caspita facciamo?" chiese Mondo. "Questo posto è enorme, e dobbiamo trovare le porte... e sperare di non morire dopo averle aperte" aggiunse, meno spavaldo di prima.

"Possiamo sempre separarci" propose Kyouko, "senza aprire le porte numerate, ma solo per capire dove sono e decidere chi va in quale porta in base ai numeri. Quindi, se siete d'accordo, possiamo iniziare ad esplorare quelle che si trovano qui al piano terra."

Nessuno ebbe da ridire e velocemente si sparpagliarono per la sala con l'intento di esaminare le varie porte presenti.

Makoto si ritrovò, in maniera piuttosto involontaria, a camminare assieme a Kyouko, Byakuya e Mukuro. La Detective si era silenziosamente autonominata capo del loro drappello, nonostante qualche tentativo da parte di Togami di minare la sua autorità, e aveva preso la strada opposta a quella imboccata da Sakura e dagli altri.

“Quindi a noi tocca la navata destra, eh?”.

“Una vale l’altra, Ikusaba. E fra l’altro è possibile che, dovessimo trovare una porta numerata, la radice digitale dei nostri numeri non ci permetta di aprirla”.

“In tal caso cosa conti di fare, Kirigiri?”.

“Due rapidi calcoli ed eventualmente recuperare l’elemento che ci serve per quello scopo, Togami”.

“Mpf. Mi chiedo come tu faccia a essere così tranquilla”.

“Come dovrei essere, scusa? L’isterismo gratuito non ci è di nessun aiuto”.

“Su questo sono obbligato a concordare, ma trovo veramente strano il fatto che tu reagisca con tutta questa freddezza di fronte a minacce di morte così plateali”.

“Per tua informazione non è la prima volta che mi trovo in un’impasse simile, e probabilmente ho rischiato di lasciarci la pelle molte più volte di tutti voi otto messi assieme… esclusa Ikusaba, visto il tuo mestiere”.

“Sì, ho un record molto poco invidiabile in merito” si schernì l’interpellata abbassando lo sguardo.

Mentre seguiva il resto del gruppetto verso il loro obiettivo (quel posto era grande, molto grande, e anche un’operazione semplice come quella richiedeva una certa quantità di tempo) Makoto non poté impedirsi di provare stupore… e perché no, ammirazione dinanzi al grande coraggio che la loro compagna stava dimostrando in una situazione così delicata.

Cioè, è pur vero che il tutto poteva essere un grande e complesso scherzo o qualcosa del genere e che non necessariamente il pericolo fosse reale. Ma quando una voce senza volto si prodiga nel raccontarti come ti vuole morto… beh, è legittimo farsi spaventare e non nasconderlo.

Lei invece nulla. Appariva posata, focalizzata, tranquilla. Gli dava l’idea di una che stava facendo una scampagnata nel parco, non di una intrappolata in una specie di gigantesco labirinto dal quale poteva non uscire viva.

Ce ne vuole di fegato per impedire che una cosa del genere ti scuota sin nelle fondamenta.

Finalmente arrivarono.

La porta, a occhio fatta in acciaio, non presentava alcuna stranezza.

Tranne una.

Il pomello, di forma rotonda, era rosso.

“Che diavolo…?” esclamò Mukuro.

“Eccoci al primo dei vostri piccoli ostacoli a premi” si sentì rimbombare dall’alto. Gli sguardi dei ragazzi si alzarono e videro un altoparlante.

Era Zero.

“Cosa intendi dire?”.

“E abbiamo la prima vincitrice. Kyouko Kirigiri, fatti avanti. So che ci sei”.

Tutti presero ad osservarla, quasi fosse colpevole di qualcosa.

La voce proseguì imperterrita: “Ora da brava aprirai quella porta. Non è difficile, su. Devi solo afferrare il pomello, stringerlo e girarlo. Poca roba. Sul fatto che sia incandescente… beh, non è niente di nuovo per te o mi sbaglio?”.

“C-Cosa?” balbettò Makoto, non capendo l’ultima parte del discorso.

“Per chi si intromette ci sarà una punizione e non posso assicurare sulla salute del malcapitato. Solo lei ha il diritto di farlo”.

“M-Ma perché? Perché proprio lei?”.

“Perché proprio lei, eh? Potrei rispondere ma lascerò che sia lei stessa a spiegarsi. Forza Kirigiri, parla ai tuoi amichetti. Mostra loro perché questa innocente prova ti calza come un guanto, è proprio il caso di dirlo”.

Prima che la protagonista designata potesse imbastire un discorso, un infuriato Togami si fece avanti mormorando qualcosa su insensatezza e stupidità. Quando però si trovò di fronte alla porta, fermo ad osservare la parte bollente, ebbe un ripensamento e tentennò. Cercò di mascherare l’esitazione con parole sprezzanti, ma gli scarsi risultati che ottenne scatenarono una mal velata ilarità negli altri.

“Sapete, se abbiamo deciso di seguire le regole sarebbe opportuno farlo fino in fondo” chiosò Mukuro.

“Ma… ma… è rovente… come può...” si trovò a dire inconsciamente Makoto, seriamente preoccupato per l’evolversi degli eventi.

“Oh insomma, finiamola con questa sceneggiata” sbottò Kirigiri. Si pose di fronte agli altri tre e con cadenzata, quasi studiata lentezza, alzò la mano sinistra di fronte al proprio volto. Poi si tolse il guanto che l’aveva sempre coperta da che la frequentavano, lasciandolo cadere per terra con noncuranza.

Provvide a fare lo stesso con la destra.

Gli occhi di Makoto triplicarono di dimensioni: le mani di Kyouko erano tappezzate di ustioni sulla loro intera superficie. Carne marcita, nerastra.

Stesse mute, stupefatte reazioni le ebbero gli altri due. Almeno così pensò, non riusciva a scollare gli occhi di dosso da quell’agghiacciante spettacolo.

“Adesso capite il motivo per cui Zero vuole che sia io ad aprire quella porta”. Il tono usato dalla ragazza sconvolse ulteriormente il povero Naegi, ma non per i motivi che ci si potrebbe aspettare. Invece di essere freddo come una glaciazione (cosa perfettamente legittima dato il soggetto) vi colse una leggera, leggerissima nota di… sofferenza.

“Va bene, a noi due” sentenziò voltandosi.

 

*

 

Kyouko Kirigiri non poteva credere a quanto aveva detto. O meglio, a come l’aveva detto. Naegi la conosceva abbastanza bene da potersene essere accorto.

Maledì la propria debolezza e pregò non fosse successo.

Nessuno poteva avere accesso a quella esecrabile parte della sua persona se non nei modi e coi tempi che era lei a stabilire.

Era stata lei a voler fare la piazzata togliendosi i guanti. Le era capitato raramente in passato, ma se ne stava pentendo.

Il suo maggior motivo di vergogna e rimpianto spiattellato ai quattro venti senza il minimo pudore. Se lo sarebbe volentieri trascinato fino alla tomba (che, si trovò a pensare con una punta di macabro humour nero, poteva non essere così lontana) e invece era stata praticamente costretta a rivelarlo. D’accordo che non c’era stato alcun ordine specifico da parte del loro aguzzino, ma era facile prevedere che una sua reticenza sull’argomento avrebbe finito col seminare paranoia e dubbi superflui nelle menti degli altri.

Si usa dire via il dente, via il dolore. Lei avrebbe potuto coniare la variante col guanto e il dolore che non se ne va.

Finiscila, Kyouko. Hai una porta da aprire.

Coprì la breve distanza che la separava dallo strumento di tortura.

Sospirò impercettibilmente.

Afferrò il pomello.

Per fortuna non sentì nulla a un mero livello fisico. Quella parte del suo corpo era insensibile a calore, freddo e sollecitazioni esterne varie da ormai molto, troppo tempo.

Questo avrebbe voluto poter pensare, ma così non fu. Faceva male.

Sicuramente meno male di quanto avrebbe potuto fare agli altri, ciononostante bruciava. D’altronde non poteva aver perso del tutto la sensibilità, altrimenti le sue mani sarebbero state due appendici inutilizzabili.

Strinse i denti. Letteralmente.

Folle. Sei una folle, lo sai?

Stava per girare, togliendosi quindi la grana dal groppone una volta per tutte, quando la sua mente le giocò il peggior scherzo possibile: ebbe come un flash in cui rivide istante per istante, a una lentezza esasperante, l’incidente che anni prima le provocò quelle orride cicatrici. Fu durante un caso, quando era ancora una novellina alle primissime armi.

Le fiamme, il pianto, le urla, il terrore di una ragazzina che aveva affrontato da sola qualcosa di molto più grande di lei…

Ebbe un giramento di testa e un intorpidimento delle palpebre, dai quali però si riprese con invidiabile prontezza di spirito.

No, non era disposta a dargliela vinta. Non a Zero, non a un passato che era sepolto e superato come un ostacolo durante una corsa. A nessuno di loro.

Era più forte e lo avrebbe dimostrato a tutti, in primis a se stessa.

CLACK.

...è fatta Kyouko, è fatta.

Spalancò la porta in un gesto di trionfo.

Lasciò che Byakuya e Mukuro la superassero ed entrassero.

Quando stava per seguirli si sentì ticchettare sulla spalla.

Girandosi trovò Naegi che le porgeva i guanti con uno sguardo contrito, si poteva dire persin dispiaciuto.

“Tieni Kirigiri-san, te li ho raccolti da terra”.

“Grazie” fu la sua risposta mentre li prendeva e se li infilava in tasca.

“Uh? Perché non li indossi?”.

“Ho intenzione di non farlo, almeno fino alla fine di questa… qualunque sia il nome giusto per definire quanto ci sta capitando”.

“Ma… ma… le tue… ferite…”.

“Tu, Togami e Ikusaba le avete viste. Per quale motivo non dovrei mostrarle agli altri?”.

“Non… non te ne vergogni? Scusa, scusa! Sono stato indelicato!”. Era carino quando si agitava e cominciava a muovere convulsamente le braccia.

“No Naegi-kun, hai ragione. Me ne vergogno. Me ne vergogno come non mi vergogno di nient’altro al mondo. Sono il costante monito di cosa succede se prendo le cose sottogamba, se sottovaluto un pericolo, se mi lascio andare al pressapochismo. Ma ho idea che non ci sia spazio per tutto questo ora come ora. Perché…”.

“Perché?”.

“Perché Zero vuole le nostre anime. È evidente che intendeva colpirmi in profondità, e non posso dire che non ci sia almeno parzialmente riuscito. Non mi meraviglierei se ci fossero altre torture mirate a distruggerci in maniera più personale di una semplice morte fisica”.

“Su che basi lo affermi?”.

“Non mi vorrai far credere che sono stata l’unica ad aver ascoltato con attenzione quanto ci ha detto e come ce lo ha detto. Ha parlato di torti che dovremmo pagare. Per qualche motivo che non ti so spiegare ci crede colpevoli di qualcosa”.

“Ma se non sappiamo neanche chi è!”.

“Ne sei davvero sicuro?”.

“Eh? Dovremmo?”.

“Ti fidi del mio giudizio professionale?”.

“Più delle predizioni di Hagakure”.

Una breve risata. “È confortante saperlo. Bene, il mio giudizio professionale mi sta dicendo che qua qualcosa non torna. Per ora ho solo qualche vago sospetto, ma il mio senso di detective pizzica. Ad esempio mi viene da chiedermi come faceva Zero a sapere che ero presente di fronte alla porta che avrei dovuto aprire. E soprattutto come è venuto a conoscenza del mio… problema. Ti dà da pensare, no?”.

“E quindi?”.

“Quindi niente, almeno per ora. Drizza le orecchie e tieni gli occhi aperti per qualsiasi evenienza”.

Lui annuì.

Gli fece cenno di seguirla.

Mentre si avviavano non mancò di notare lo sguardo di lui fisso sulle sue mani, totalmente esposte. Evitò di dire qualcosa, anche se sapeva bene che una scena simile si sarebbe ripetuta più volte in futuro.

In un suo attimo di distrazione si concesse una rapida occhiata alla mano con cui aveva aperto la porta. E di nuovo, contro ogni sua abitudine più radicata, sospirò lieve.

Forse non è stata proprio una trovata geniale si trovò a dire fra sé e sé con una certa dose di rammarico.


Per gentile concessione di Mana Sputachu.

 
   
 
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