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Autore: Adrienne    15/04/2009    4 recensioni
Gabriel Reeve è un ragazzo a cui importano solo poche cose: le sigarette, il sesso, il disegno e i Led Zeppelin. E' cinico, freddo, praticamente solo, e non sa cosa voglia dire amare. E se, per caso, si trovasse a scoprirlo?
Genere: Generale, Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mille notti ancora

Mille notti ancora.

 

 

 

 

« Le persone che amiamo sono abbozzi di possibili quadri.»

Hugo van Hafmannsthal, Il libro degli amici

 

 

 

 

Prologo.
« La ricordi anche tu, quella notte? Non era niente di concreto, niente di conosciuto, niente di possibile. Quella notte era oro potabile, raggio lunare toccabile con mano; era una pietra filosofale e l'Elisir di lunga vita. Ricordi ancora la storia di mille e una notte? La principessa Shahrazàd  continuava a raccontare la sua storia ogni notte al re che la imprigionava, solo per non poter essere uccisa dal re stesso. La situazione non è esattamente quella, ma.. beh, avrei voluto che tu fossi la mia Shahrazàd, la mia principessa da mille e una notte. Mia, e di nessun altro. E mille, mille notti ancora. »

 

 

 

 

Capitolo uno.

 

« And if you feel that you can't go on and your will's sinkin' low,  just believe and you can't go wrong. In the light you will find the road, you will find the road. »

Led Zeppelin, In the Light


“Dove accidenti l'ho messo?!”

La mia voce esasperata echeggiò nella stanza grigia e vuota. Bel modo di iniziare la giornata, davvero! Imprecai a bassa voce, muovendomi come un leone in gabbia ed esibendo uno sguardo omicida. Misi in disordine la piccola scrivania, sopra la quale degli oggetti come temperini e lattine vuote di coca cola stavano lì a prendere la polvere. Niente da fare, non c'era neanche lì.
Allora rimasi fermo al centro della stanza, mettendomi una mano fra i capelli e guardandomi attorno, riflettendo. All'improvviso il mio sguardo cadde sui jeans appoggiati allo schienale della sedia vicino lo scrittoio. Dalla testa, la mia mano passò alla fronte, sbattendola con un grande paf: vuoi vedere che come un cretino l'avevo lasciato lì un'altra volta? Mi avvicinai, e in maniera quasi frenetica insinuai la mia mano dentro la tasca destra posteriore dei jeans: toccai qualcosa di rettangolare e duro.
Con un gesto secco e trionfante, estrassi dalla tasca il mio accendino.

Esibendo un'espressione di puro godimento, e sotto le note di un'ipotetica quinta sinfonia di Beethoven, afferrai il mio pacchetto di sigarette che giaceva immobile sulla scrivania, e mi sedetti sul letto sfatto, dato che mi ero svegliato da pochissimo. Guardai oltre la finestrella vicino a me, e notai un cielo azzurrissimo e un sole splendere timido. Era una bella giornata, fuori. Dopo di ciò mi dedicai alla mia sigaretta, mettendola fra le labbra e accendendola, e soprattutto posando l'accendino in un posto ben visibile, cioè sul comodino accanto al pacchetto di sigarette. In teoria non avrei dovuto fumare dentro quelle quattro mura; ma chi avrebbe potuto vedermi? Espirai lentamente, osservando le nuvolette di fumo che si disperdevano pian piano nell'aria, avvicinandosi alla finestra.
Nel frattempo cercai di organizzarmi mentalmente la giornata: che avrei fatto? Come al solito, un bel niente. A quel pensiero consumai la sigaretta quasi con rabbia, sentendomi qualcosa implodere dentro. Con la fronte corrugata, mi avvicinai al comodino, dove stava il posacenere, e feci un gesto con le dita per far cadere un po' di cenere dalla sigaretta.
Perché doveva essere tutto così orrendamente difficile? Feci un altro tiro, mentre tornavo a guardare quel cielo azzurrissimo, desiderando di perdermici dentro, desiderando di urlare a pieni polmoni, di rotolare giù per una collina verdissima.
Desiderando di sentirmi libero.
Mi allungai di nuovo verso il comodino e spensi la sigaretta, schiacciandola sul posacenere e lasciandola giacere insieme ad altri relitti, che sarebbero rimasti lì chissà quanto altro tempo. Mi alzai in piedi, stiracchiandomi, portando le braccia in alto. In fondo, pensai, qualche mese ancora di quella vita e sarei stato libero. Avevo stretto i denti per tutto quel tempo, cos'erano pochi mesi al confronto?
Velocemente mi infilai i soliti jeans, recuperai dall'armadio una maglia a maniche lunghe blu scuro, e infilai delle malridotte scarpe da ginnastica. Presi il mio blocco da disegno e matita dalla scrivania, agguantai il mio lettore cd e finalmente uscii da quella brutta e polverosa stanzetta.

   
 
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