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Autore: Kary91    13/06/2016    3 recensioni
[child!Simon&Clary (friendship) | Missing Moment | Introspettivo, slice of life]
Solo Simon poteva capirla: Simon, con quegli occhiali grandi come fondi di bottigliai. Simon che non aveva un papà, proprio come lei, e che amava tenerle compagni quando la vedeva triste o arrabbiata. Proprio come in quel momento.
Clary studiò il disegno che le aveva passato Simon.
“Questa … è Ariel?” bisbigliò , quando la maestra diede loro le spalle.
“Veramente… saresti tu” ammise il bambino, spingendosi gli occhiali contro gli occhi.
Un accenno di risata premette contro le labbra di Clary.
“Oh, Simon…” bisbigliò, scuotendo divertita la testa. “… Non ci sai proprio fare con i disegni!”
Simon divenne, se possibile, ancora più rosso. Tuttavia, non sembrava arrabbiato.
Era contento: contento per essere riuscito a farla ridere.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clary Fairchild, Simon Lewis
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è stata scritta per il drabble event del 6 Maggio del gruppo We are Out of Prompts. I prompt utilizzati sono child!Clary/Simon – “Simon è stata la prima cosa che abbia mai disegnato, che adesso le sembrasse un centopiedi viola era tutt'altra storia” di Sharon e child!Clary/Simon - "Quella è... Ariel?" "Veramente saresti tu..." "Oh, Simon... non ci sai proprio fare coi disegni.” di Chara.

 

 

 

What matters stays the same;

 

 

 

 

 

“Guarda qua!”

Simon sventolò sotto i suoi occhi un foglietto spiegazzato, sporco di baffi a pastello.

Clary gli rivolse un’occhiata interrogativa.

“L’ho trovato mentre frugavo tra i cassetti…” spiegò l’amico, lasciandoglielo cadere sulle ginocchia. “Cercavo la password per il mio account di Dungeun and Dragons. Non giudicare…” aggiunse in fretta, l’imbarazzo disegnato nello sguardo: se non fosse stato un vampiro, probabilmente, sarebbe arrossito. “… Si sa che le vecchie abitudini sono dure a morire. Un po’ come me, insomma.”

Clary rispose alla pessima battuta con una smorfia e spiegò il foglietto.

Un volto tratteggiato a pastello rispose al suo sguardo, sorridendo beato: era il ritratto sghembo di quello che sembrava un bambino, i capelli marroni ritratti come aculei di porcospino e un paio di cerchi grigi a incorniciare i puntini degli occhi.

“Me lo ricordo, questo!” esclamò la ragazza, lisciando la pagina di quaderno. “Te l’ho fatto in prima elementare.”

“Dopo aver saputo che mi avrebbero tolto le tonsille” confermò Simon, sedendosi sul proprio letto, di fianco all’amica. Sospirò, un accenno di sorriso divertito ad arricciarli le labbra. “Io ero terrorizzato, ti ricordi?”

“Chiunque lo sarebbe stato a sei anni…” ribatté Clary, sfiorando con tenerezza l’ovale violetto che fungeva da volto al Simon di carta e pastello. “… Non ho mai capito perché, ma in quel periodo eri convinto che il tuo dottore fosse un alieno...”

“… Ma sì! Avevo paura che durante l’operazione il dottore-alieno avrebbe fatto degli esperimenti su di me” proseguì l’amico, rabbrividendo al solo pensiero. “Pensavo che mi sarei svegliato con la coda, gli occhi fosforescenti o qualcosa di simile, così tu hai disegnato il mio ritratto per rassicurarmi. Perché così, svegliandomi dopo l’operazione, avrei potuto guardarlo e ritrovarci la mia faccia: avrei avuto la certezza di essere ancora lo stesso Simon di sempre.”

Un sorriso ironico piegò ulteriormente le labbra del ragazzo.

Clary inseguì con gli occhi le linee imprecise che si univano a formare la bocca del Simon disegnato e quelle dritte che collegavano il suo volto a una breve porzione del fusto. Due righe viola spuntavano dagli angoli del foglio, a rappresentare le braccia del bambino. Alle loro estremità, le mani sembravano un concentrato di zampe d’insetto.

Le venne da ridere nel ricordare il pomeriggio in cui aveva fatto quel ritratto: Simon era stata la prima cosa che avesse mai disegnato. La prima persona che aveva attirato la sua attenzione a punto tale da spingerla a volerne intrappolare l’aspetto in un foglio, per potersela portare sempre con sé. Il fatto che adesso ciò che un tempo aveva considerato un piccolo capolavoro le sembrasse un centopiedi viola era tutt’altra storia.

“Non sarebbe stato più semplice farti una foto?” obiettò, scompigliando i capelli dell’amico.

Simon si strinse nelle spalle.

“Avevamo sei anni… Che pretendi?” replicò, sfilandole il disegno dalle mani. “Non ci sarà venuto in mente.”

Il suo sguardo assunse un’insolita sfumatura malinconica, mentre tornava ad esaminare il ritratto.

Clary, che se ne accorse, gli sfiorò la mano: sapeva a cosa stava pensando.

“È buffo ripensare a certe cose adesso” commentò infatti Simon, sforzandosi di suonare divertito. “È come se già da bambino sentissi che un giorno mi sarebbe successo qualcosa: come se pensassi che sarei cambiato e che non avrei potuto fare nulla per tornare quello di una volta.”

Le dita di Clary avvolsero le sue con maggior fermezza. Lo sguardo della ragazza si soffermò sui piccoli dettagli nel volto di Simon che lo rendevano così diverso dalla sua versione bambina: la pelle incredibilmente pallida, l’assenza di occhiali, le pupille scurite. E poi si soffermò sulle altre cose: quelle che le avrebbero permesso di riconoscerlo ovunque anche se il suo aspetto fosse stato completamente stravolto.

Studiò la piega del sorriso appena abbozzato, la sensazione di fiducia emanata dal contatto con la sua mano, l’umanità evidente nel suo sguardo che ancora resisteva, nonostante - biologicamente parlando - Simon fosse morto ormai da diverse settimane.

E, in mezzo a tutte quelle analogie e differenze, vide Simon, un Simon solo: il suo migliore amico, né umano né vampiro, ma semplicemente il fratello che si era scelta da bambina, sin dalla prima volta che il suo sguardo si era posato su di lui.

Sin dal momento in cui, in prima elementare, lui le aveva fatto scivolare un foglietto spiegazzato tra le mani di nascosto dalle maestre.

Un foglietto non così diverso da quello che Simon stava stringendo tra le mani.

 

***

Clary rivolse un’occhiata scontrosa alla maestra.

La donna non si accorse di nulla, intenta com’era a parlare del lavoretto che la classe avrebbe dovuto produrre per la festa del papà.

Clary non capiva come mai le insegnanti li obbligassero ogni anno a disegnare cravatte e a costruire macchinine di pongo quando sapevano benissimo che alcuni dei ragazzini della classe, il papà, nemmeno ce l’avevano.

Stava pensando proprio a questo, le braccia conserte sul banco e gli occhi contesi fra la rabbia e la tristezza, quando una mano esile le bussò sulla spalla.

Simon le passò un foglio piegato in due da sotto il banco, bene attento che le maestre non li vedessero. Era diventato il suo compagno di banco solo da pochi mesi, eppure Clary si era già irrimediabilmente affezionata a lui. La faceva ridere quando incominciava a parlare così tanto da diventare rosso o quando, per salvare una matita sfuggita al portapenne, ne faceva cadere altre dieci – e questa cosa accadeva almeno un paio di volte al giorno.

Solo Simon poteva capirla: Simon, con quegli occhiali grandi come fondi di bottiglia che lo rendevano così strano, eppure così simpatico ai suoi occhi. Simon che non aveva un papà, proprio come lei, e che amava tenerle compagnia, soprattutto quando la vedeva triste o arrabbiata per qualcosa.

Di solito le volte in cui la vedeva giù di tono, l’amico le passava sotto-banco qualche caramella o una figurina. Quel pomeriggio, tuttavia, le aveva fatto un disegno.

Clary analizzò confusa l’enorme faccione rosa che riempiva il foglio e le strisce rosse che spuntavano dal cucuzzolo della persona disegnata: più che capelli sembravano dei raggi di sole. Aggrottò le sopracciglia nell’esaminare le gambe della figura raffigurata, con i piedi così vicini l’uno all’altro da ricordare una coda di pesce.

“Quella … è Ariel?” gli bisbigliò all’orecchio non appena la maestra diede loro le spalle. Giusto qualche giorno prima avevano visto assieme la Sirenetta e Clary era rimasta affascinata dalla figura della protagonista: non erano molte le eroine dai capelli rossi come i suoi. Simon non aveva apprezzato il film quanto lei, tuttavia sembrava che gli fossero piaciute almeno le canzoni. Clary ne era certa – nonostante l’amichetto si ostinasse a negarlo – perché di tanto in tanto l’aveva sorpreso a canticchiare a mezza voce alcuni pezzi di “In fondo al mar”.

Simon arrossì vistosamente.

“Veramente… saresti tu” ammise, spingendosi gli occhiali contro gli occhi.

Clary squadrò confusa il disegno, cercando di riconoscere in quell’insieme di righe e cerchi colorati qualcosa che le ricordasse se stessa. A stento si riusciva a capire che la persona disegnata fosse una femmina. Le gambe, poi, sembravano davvero una coda.

Un accenno di risata premette contro le sue labbra e Clary fu costretta a coprirsele con le mani per nasconderlo alla maestra.

“Oh, Simon…” bisbigliò, scuotendo divertita la testa. “… Non ci sai proprio fare con i disegni!”

Simon divenne, se possibile, ancora più rosso. Tuttavia, non sembrava arrabbiato: la guardava di sottecchi, un insolito luccichio negli occhi.

Era contento: contento per essere riuscito a farla ridere.

Clary ripiegò con cura il foglietto e lo infilò nel diario.

“Grazie” bisbigliò all’amico, allungando la mano sotto il banco.

Simon gliela strinse – un sorriso a concordare con l’improvvisa punta di allegria nel suo sguardo.

Quel pomeriggio, Clary costruì il suo lavoretto per la festa del papà senza mettere mai il broncio: ormai, la tristezza era scivolata via.


***

 

“Potrai anche essere cambiato, Simon, ma le cose più importanti di te sono rimaste.”

L’espressione di Clary si addolcì, mentre l’amico le stringeva più forte la mano. “Tutte le cose che ci hanno reso così uniti fin da piccoli ci sono ancora: la simpatia, la tua lealtà, il modo in cui sei sempre riuscito a farmi sentire a casa e al sicuro, anche quando siamo rimasti travolti in cose che pensavamo fossero più grandi di noi.”

Simon le sorrise, l’insicurezza asciugata via dal suo volto grazie alle parole della migliore amica.

“Non m’importa se sei un vampiro, non importa se adesso fai parte dei Nascosti: per me resterai sempre quel bambino tutto braccia e gambe con gli occhiali storti sugli occhi. Quello che mi passava le caramelle sotto il banco e che guardava la Sirenetta con me solo per farmi felice. Questo bambino” aggiunse, indicando il ritratto del piccolo Simon.

Appoggiò la fronte contro la sua spalla e, per la prima volta da settimane, non rabbrividì nel riconoscere quanto fosse freddo quel contatto.

Si sentì al caldo, invece. Si sentì serena: le cose erano semplici in compagnia di Simon. Lo erano sempre state e avrebbero continuato ad esserlo, a prescindere dalle pieghe che le loro vite avrebbero preso in futuro.

Simon le cinse le spalle con un braccio e appoggiò il mento sui suoi capelli.

“Dai, la Sirenetta non era poi così male, in fondo” replicò con un sorrisetto scherzoso. “Aveva delle belle canzoni.”

Anche Clary sorrise.

“Potremmo guardarlo stasera: sai, in onore dei vecchi tempi.”

Simon inarcò un sopracciglio.

“Un vampiro che guarda la Sirenetta? Ti prego… Se Raphael venisse a saperlo mi bandirebbe dalla comunità dei Nascosti” ribatté, scuotendo categorico la testa. “O comunque mi prenderebbe per il culo in eterno – letteralmente parlando.”

Il sorriso di Clary si allargò.

“Vado a cercare il DVD!” esclamò, dirigendosi verso l’armadio dove – lo sapeva – l’amico custodiva gelosamente le sue reliquie d’infanzia: i film della Disney non facevano eccezione.

Simon si lasciò cadere sul letto, sospirando sonoramente: nonostante i tanti cambiamenti che la sua amicizia con Clary aveva subito nel corso degli ultimi tempi, molte cose erano rimaste invariate fra di loro.

E il fatto che lei, alla fine dei loro diverbi, continuasse a spuntarla sempre era decisamente una di queste.

 

   
 
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