E’
terribilmente divertente
girare sulla giostra della vita. Un vortice inarrestabile,
coinvolgente, a
tratti surreale, che ti intrappola, famelico, e ti sbatte in ogni
direzione
assieme a tante altre persone, tutte come te, insensibili,
inconsapevoli, ma
terribilmente reali.
Non trovi anche
tu che sia
una cosa fantastica? Vedere il mondo che ruota attorno a questo centro
pulsante, brulicante di vita, cosciente della sua perfezione e della
sua
importanza.
E’
divertente sì, … poi a un
tratto la musica finisce, la giostra rallenta … lentamente i
sorrisi si
deformano in smorfie apatiche, amorfe … e tutti si
trasformano in pupazzi di cera
a cui una bambina distratta si è dimenticata di dare la
voce, abbandonandoli sul
dondolo, per andare a scegliere un gioco più bello.
Ecco, succede
adesso. E’ questo
il momento. L’esatto istante in cui ti alzi, barcollando,
incespichi, e capisci
che la giostra della vita, tutto sommato, ti fa solo venire voglia di
vomitare.
-Sei arrabbiato
con me?-
Istintivamente
abbassi la
voce. Ti senti impudica nel fare questa domanda. Impudica e cattiva.
Perché lo
sai che lui è arrabbiato con te. E sai anche il motivo di
questo silenzioso
astio. Ma finche non te lo dice, per te è come se ogni cosa
fosse a posto.
-No, va tutto
bene-
Non gli credi.
Lo vedi
tormentarsi le mani e corrugare la fronte. Lo vedi fissare ancora di
più gli
occhi sul pavimento, sforzandosi di non voltarsi verso di te.
Aspetti qualche
secondo. Forse
un minuto. Poi decidi che ne hai abbastanza. Perché in fondo
cosa ti trattiene
lì, con il fiato sospeso e quella strana agitazione nelle
vene, nell’intento di
aspettare una spiegazione da un tuo amico? Quale obbligo hai ne suoi
confronti?
Tuttavia, non ti
senti
tranquilla. Succederà qualcosa e non sarà
piacevole. Accadrà e, in un modo o
nell’altro, ti farà del male. Eppure non fai
nulla. Aspetti che ti parli.
Aspetti e tendi l’orecchio per sentire meglio il rumore di
un’amicizia che se
ne va in frantumi.
Alza lo sguardo
su di te. Ti
guarda un po’ di sbieco. Ti bastano i suoi occhi. Sai cosa ti
stanno dicendo.
Ti stanno dicendo che sei solo una stupida cagna cattiva. E ti sei
comportata
male. Oh, sì, ti sei comportata da vera bastardella. E a lui
non piace questo
comportamento. Quindi, che tu lo voglia o no, questa notte, verrai
rimessa in
riga.
-Tu Anne pensi
che a me non
importi un accidente di te, vero?-
-No, io non
… -
-Tu pensi che
non mi freghi
un cazzo se ti lasci toccare da qualsiasi coglione ubriaco, giusto?-
Non è
arrabbiato. E’
furioso. E sa tutto. Il suo tono non ammette repliche. E forse sarebbe
meglio
non replicare. Ma tu sai che non devi dare giustificazioni a nessuno,
tanto
meno a lui. Eppure è come se dentro di te una voce ti
gridasse che, in fondo,
sei stata solo una stronza. Perché lo sapevi che a lui
importava. Lo sapevi che
ti ama. Hai solo preferito fare finta di niente, attendendo questo
momento. Perché,
oh, certo, sapevi anche fino a che punto vi sareste trascinati.
Naturalmente lo
sapevi. E, masochisticamente, hai lasciato che i minuti scorressero e i
giorni
passassero, tutto in preparazione di questa eventualità
ineluttabile.
-Io non ti devo
niente-
-No, certo. A me
non devi
proprio un cazzo. Invece a quegli sfigati che ti mettono la lingua in
bocca …
cosa devi a loro, eh? Perché cazzo ti fai trattare
così da degli sconosciuti?-
Si è
alzato in piedi e ti
sta guardando. Ti fissa, furente. Ne sei sicura, anche se tieni lo
sguardo
basso, perché, sebbene tu non ti debba giustificare, almeno
un po’ ti vergogni.
Lui è davvero bravo nel farti provare vergogna. Nel farti
sentire in colpa.
Lo vedi
stringere i pugni.
No, non credi di poter sostenere ancora questa conversazione. Eppure
rimani e
lo fissi di rimando, i tuoi occhi sono due fessure.
-E’ la
mia vita e tu non hai
alcun diritto di … -
-Non farmi
incazzare, Cristo
santo! La verità è che a te della tua vita non
frega niente, ecco qual è la
verità!-
Sobbalzi alle
sue urla.
Trattieni il respiro pronta ad affrontare tutto il resto.
Perché ormai si è
passato il confine. Non c’è più niente
da fare. E sai che più parlerai, più lui
si arrabbierà, ma in qualche modo, lo vuoi. Desideri che lui
si arrabbi.
Desideri che per la prima volta nella tua vita una persona ti faccia
capire
quanto tiene a te. Così, rimani ferma e immobile, con
l’ansia di sapere fin
dove riuscirete ad arrivare.
-Ti hanno dato
della puttana
… ti toccano la fica, ti leccano il collo e intanto ti
chiamano troia … e a te
piace vero? Ti piace farti usare da tutti quei bastardi, eh?-
Rimani scossa
dalle sue
parole. Non ti sembra vero e, sul momento, vorresti dirgli che sono
solo bugie,
che è tutto falso, che tu non sei così. Ma rimani
in silenzio. Resti zitta, perché
invece le cose stanno proprio così. Lui non fa altro che
dirti la verità,
scarnificando il tuo orgoglio secondo dopo secondo. Ecco come si svolge
la
storia. Ecco come vanno le cose.
-Adesso che lo
hai detto sei
contento? Sei soddisfatto di avermi sbattuto in faccia la
realtà? Di aver fatto
l’amico premuroso e sensibile?-
Sei scattata,
rabbiosa. E’ la
vergogna che ti fa parlare. La vergogna dettata dalla rabbia. Non lo
vuoi
ferire e, tuttavia, godi nel vederlo stare male. Godi nel sapere che
è lui
quello che sta soffrendo di più. Perché per te,
in questo momento, lui è solo
uno schifoso bastardo. E tu non lo accetti.
-Sei solo una
troia egoista,
ecco quello che sei, nient’altro che una stupida puttana
egoista.-
Vedi il suo
sguardo carico
di disgusto e recriminazione. E allora ti avvicini quel tanto che basta
per
alzare una mano e colpirlo. Quel tanto che basta per far tacere quel
fiume di
verità scomode che ti si sta riversando addosso. Quel tanto
che basta per capire
che ormai non c’è più niente da fare.
Non ci riesci,
perché lui è
più veloce. Ti afferra il braccio e ti spinge sul divano. Ti bacia,
stringe il tuo corpo,
blocca ogni tuo tentativo di liberarti dalla sua presa. Lo senti
palparti il
seno da sopra la maglietta, mentre con la lingua si insinua a leccarti
il
palato. Ti divincoli, cercando una via d’uscita. Vorresti
essere altrove.
Ovunque, ma non lì. Invece sei esattamente intrappolata
sotto di lui, e ti
chiedi il perché di tutto questo. In fondo, eravate amici,
no?
Lo senti tirarti
i capelli e
costringerti a mostrare il collo. E’ come venire spolpata a
morsi. In questa
favola lui interpreta il cattivo, mentre tu sei la sua preda. Ma questa
è una
favola vera. E nelle favole vere il lieto fine non esiste. Non
è mai esistito.
Appena senti
allentare la
presa della sua mano ci provi. Stringi gli occhi e lo colpisci. Si
scansa,
appena in tempo per darti la possibilità di scappare. Riesci
a malapena a
rimetterti in piedi e, improvvisamente, lui ti arriva uno schiaffo.
Forte, sul
volto. E’ come se tutto ruotasse intorno a te. Con una spinta
ti sbatte contro
la parete. Con una mano ti afferra il volto e ti costringe a guardarlo.
Ecco
come finiscono sempre le storie vere.
-Ti sei fatta
scopare in
quello schifoso vicolo dietro la discoteca … lo so che
è così, me lo hanno
raccontato. E io non riesco a sopportarlo, Anne. Non ce la faccio, lo
capisci? Non
posso sopportare tutto questo.-
La sua voce
è rotta contro
la tua spalla. Tenendo lo sguardo fisso in avanti, cominci ad
accarezzargli i
capelli, lentamente. La guancia ti fa ancora male e ci sono degli
ematomi già
visibili sulle tue braccia, accanto alle cicatrici, ma queste te le sei
fatte
da sola anni fa, non hanno niente a che fare con lui. Vi fissate negli
occhi e
intanto lo senti trafficare con le zip dei vostri pantaloni. La
penetrazione è
netta, intensa e fa male, perché, nonostante ciò
che possono pensare gli altri,
ti sei fatta scopare solo un paio di volte, niente di più.
Sei docile, ti stringi
a lui, tieni il passo. E quando sta per uscire, poco prima
dell’orgasmo, lo
costringi a venirti dentro. Senti il suo seme caldo invadere la vagina,
mentre
il suo sesso ti incalza con le ultime spinte.
E poi si finisce
così,
attaccati a una parete, illuminati dal sole morente
dell’autunno.
Ecco come finisce una
favola
vera. Ecco come va a finire davvero.