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Autore: Lumos and Nox    16/06/2016    4 recensioni
Una ragazzina tenta ogni strada per non essere costretta a seguire un futuro già tracciato, due ragazzini smaniano per seguire le orme di loro zio. In che modo potrebbero intrecciarsi i loro percorsi?
Dopotutto, a tutti è concesso di essere ciò che si desidera. O forse no?
[Tip e Tap | The Phantom Brat | Macchia Nera | Topolino] [vagamente angst]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Topolino, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il Doppio Inganno





La gente si aspetta sempre che il pericolo si manifesti in modo eclatante, quasi dovesse scendere dal cielo in una sorta di malvagio e alquanto sgradevole deus ex machina. D'altronde, dopo minacce subite dall'alto di astronavi o di grattacieli, o dopo pericoli sottoforma di esplosioni di caveur, di rapine eclatanti e di mezzi sempre più sofisticati, la città di Topolinia si aspettava questo e quant'altro (insieme alla soluzione del caso in questione grazie all'efficiente polizia e all'ancor più efficiente detective Topolino). Qualcosa di eclatante.
A dire il vero, in questo caso, l'intera Topolinia, o quanto meno quella parte della città che si adeguava meglio allo scorrere degli avvenimenti, si sbagliava. Perché ogni piano eclatante nasce dal lavoro nascosto, dal lavoro piccolo di giorno, dopo giorno. È dalle cose piccole, che ne possono nascere di grandi.
E la vecchia zona industriale ne sarebbe stata presto testimone.

Faceva freddo, nel magazzino. Non che si fosse aspettata niente di meglio, quando l'avevano condotta lì: era un edificio lungo e alto, che una volta doveva essere stato grigio, ma che era finito per incrostarsi in più punti, senza nemmeno qualche graffito dei ragazzi che giravano in periferia ad abbellirlo. Il tetto era in lamiere, una accanto all'altra, e c'erano quattro grandi finestre su entrambe le pareti, come a confermare che no, quel grande salone non poteva essere una scatola. Alcuni vetri delle finestre erano rotti, specie quelli della seconda a destra, e il vento per questo si infiltrava spesso lì dentro, facendo dondolare i ganci arrugginiti che penzolavano dal soffitto in cigoli stridenti (le facevano sempre paura quei rumori, un sacco di paura); oppure il vento arrivava a scivolare nel salone in ventate nascoste, e non si capiva mai se era lui o se erano i propri passi a far correre e sbandare qua e là i cumuli di polvere o i fogli svolazzanti- giornali, vecchi appunti o anche dépliant- che si accumulavano. Anche non capire cosa facesse cosa le faceva paura.
E le faceva freddo.
Pur abitando sotto quel grande salone di quel brutto magazzino, in una specie di bunker, il freddo del vento e dell'inverno arrivavano anche lì e le pareti delle stanze lì sotto o la terra che li separava dal fuori e dal vero freddo (e neanche le coperte che si era messa addosso) servivano a granché.
Rabbrividì e si tirò ancora più su il bavero della giacca grossa e bitorzoluta (e arancione, e lei odiava l'arancione), immergendo le mani nelle tasche. La coperta che si era avvolta attorno alla vita le scivolava giù per la gamba sinistra fino al pavimento e strisciava ad ogni suo passo, tracciando un percorso sulla polvere. Era già la quarta volta che cercava di stringerla meglio, ma davvero quella coperta si ostinava a fare quello che voleva!
La ragazzina tirò su col naso e si passò la manica a pulirsi il viso mentre continuava ad arrancare. Non ne poteva davvero più del freddo, non di quel freddo così silenzioso e cupo. Solo un anno prima, nel suo appartamento al secondo piano (di un palazzo che le sembrava così lontano, ma così lontano), con delle vere finestre e con l'aria e la luce (non quella luce fredda e grigia delle lampadine al neon lì sotto, ma quella calda del sole), la mamma d'inverno la portava a pattinare e a giocare nel parco, tra la neve, e allora il freddo... il freddo era tutta un'altra cosa, diventava una piccola ombra che c'era ma che non si sentiva, perché la gente era tanta, nel parco e a pattinare, e tutti ridevano e si divertivano con la neve bianca e morbidissima, e c'era la cioccolata calda, mmh, la cioccolata calda con la panna... La mamma era sempre stata bravissima a fare la cioccolata, quando lei era stata molto molto piccola, prima che smettesse di cucinare e di fare qualsiasi altra cos- la mamma era stata bravissima e a Natale, oltre che alla cioccolata calda, faceva anche quei biscotti a forma di fiocco di neve che però, usciti dal forno, avevano la forma di grosse palle informi. Erano buonissimi lo stesso, si ricordava lei, e la mamma sorrideva mentre li mangiavano assieme e, nel periodo di Natale, la mamma non lavorava mai troppo, no, lasciava i fogli con le bozze dei gioielli e tutti i suoi progetti nei libri accanto al computer...
Scosse la testa bruscamente e avanzò ancora un po'. Le faceva sempre male pensare alla mamma, a qualsiasi cosa che gliela ricordasse, e anche se si trattava di un ricordo dolce-amaro, doveva muoversi, in quel momento. Aveva così tanto freddo che stava diventando sicura che, se non si fosse mossa, si sarebbe congelata. La sua pancia diede in un sordo gorgoglio mentre avanzava- si, aveva anche tanta fame e forse lo stomaco vuoto contribuiva a farle pesare ancora maggiormente il freddo- e fece gli ultimi passi che la separavano dalla porta in due saltelli.
Poi però si fermò. Quella porta di metallo divideva il resto del bunker dal laboratorio, dal laboratorio di quella persona che al momento era lì dentro a lavorare, e lei sapeva che non le era permesso entrare se non per ordine diretto di quella persona... e il laboratorio le faceva sempre provare un sacco di emozioni contrastanti, un po' di odio e un po' di meraviglia... qualcosa di strano.
Era quasi tentata di ritornare nelle altre stanze ad aspettare, quando un altro brontolio dello stomaco la convinse ad afferrare con uno scatto la maniglia. Prese un respiro profondo e poi spinse piano la porta, che stranamente non cigolò nemmeno, limitandosi a raschiare un poco il pavimento.
Si affacciò con circospezione, il cuore che le cominciava a battere più forte.
Guardando quel grande salone, la paura di entrare si faceva più forte. Se se ne fosse ritornata a quel punto nelle altre stanze, lui non se ne sarebbe accorto- era occupato, e di sicuro non si era ancora reso conto che lei era entrata. Dei colpi di assestamento a qualsiasi-cosa-stesse-lavorando echeggiavano fino a lì, da un luogo imprecisato. Non riusciva a vederlo. Il laboratorio era zeppo macchine, di cavi, e di tavoli nascosti sotto enormi marchingegni. Forse poteva avvicinarsi, dare un'occhiata a cosa stava facendo e poi decidere se parlargli o se andarsene di nascosto. D'altronde, la mamma le aveva sempre detto che aveva un passo felpato, quando voleva. Poteva farcela.
Si intrufolò dentro la stanza e accompagnò la porta fino ad appoggiarla allo stipite, senza chiuderla però- se avesse dovuto scappare, tanto valeva che fosse facile e immediato aprirla. Poi cominciò a camminare piano verso la zona da cui proveniva il rumore- poggiava le piante dei piedi sul pavimento con la massima attenzione, per riuscire a evitare qualsiasi macchia d'olio o cavo e per fare il minimo rumore possibile. Anche solo un passo troppo forte avrebbe potuto avere delle conseguenze. Doveva solo concentrarsi e arrivare fino a circa metà salone.
Prese un piccolo e silenzioso respiro, mentre scivolava vicino ad un bancone alla sua sinistra per evitare una macchina mezza crollata dal tavolo a destra. Come aveva previsto, le facevano un po' impressione tutti quei macchinari. Non poteva fare a meno di chiedersi a che cosa servissero e come fossero stati creati, ma allo stesso tempo le sembrava quasi che la circondassero come nella gola di un alto canyon e la scrutassero... e a quel pensiero, i tasti di quella macchina viola lì in alto si tramutavano in due piccoli occhi puntati su di lei, mentre quella griglia poco più sotto diventava la sua bocca, aperta in una sorta di ringhio... Rabbrividì e si scostò bruscamente. Urtò una chiave inglese, che tintinnò per un attimo contro il suo piede. Si bloccò, i nervi all'erta e il cuore che le batteva a mille, in un rimbombo assordante nelle orecchie.
I colpi di assestamento proseguivano come prima, senza interrompersi, ma anzi, diventando quasi più forti. Emise un altro respiro, stavolta più tremante. Doveva concentrarsi maggiormente, se voleva raggiungere il suo scopo.
Si costrinse a ignorare i marchingegni inquietanti e riprese a camminare, tenendosi entrambe le braccia ben strette sullo stomaco per evitare brontolii sgraditi e sospettosi.
Se i colpi si stavano facendo più forti, doveva per forza dire che si stava avvicinando di più a lui. E quindi doveva prestare davvero davvero la massima attenzione. I tavoli poco più avanti sembravano svoltare a destra e, se lei ricordava qualcosa dell'unica volta che era stata lì, dopo quella curva ce ne sarebbe dovuta essere un'altra (anche se non riusciva a ricordare verso quale direzione) e dopo ancora ci sarebbe dovuto essere uno spiazzo completamente aperto. Ora che ci si concentrava del tutto, era abbastanza ovvio che lui stesse lavorando in quell'esatta zona- avrebbe avuto più spazio e forse era lì che teneva tutte le sue macchine più importanti.
Annuì a se stessa e continuò a camminare. Poteva farcela, e se era riuscita a inquadrare bene la struttura del laboratorio, avrebbe potuto trovarsi in una situazione di vantaggio.
Si stava avvicinando alla curva, illuminata dalla luce candida che fuoriusciva da una piccola finestrella lì in alto, quasi a sfiorare il soffitto. Scivolò a destra per evitare un minaccioso braccio robotico che penzolava giù dal tavolo accanto a lei- non aveva la minima intenzione di scoprire se quel pezzo fosse o meno funzionante.
Ecco. Svoltò a destra e...
Sbatté fragorosamente contro qualcosa. Per un attimo, non capì bene cos'era successo, finché non si scostò- o meglio, finché non venne scostata via. Spalancò gli occhi e strinse i denti in una smorfia intimorita.
Era finita addosso a lui in persona.
Trattenne il respiro mentre la sua testa si lanciava in un grido interiore. Oh no, quello non andava bene. Per niente. Era... era davvero davvero nei guai.
«Cosa ci fai, esattamente, qui?» chiese. Indossava uno dei suoi completi da lavoro, precisamente quello blu scuro- un paio di pantaloni con qualche macchia qua e là e una giacca che lasciava intravedere il colletto della camicia. Probabilmente aveva lasciato la sua solita tunica nera nelle altre stanze o forse l'aveva solo appesa nella piccola piazza del laboratorio- dalla quale continuavano a rimbombare i colpi. Senza la tunica, era più facile essere messi in soggezione. Avrebbe potuto fingere di parlare con una persona qualunque, se avesse passato il tempo a guardare le proprie scarpe, ma trovandosi a guardarlo in faccia si sentiva completamente schermata dalla sua espressione impassibile- la indossava così spesso, quando parlava con lei- e dai suoi occhi neri neri.
Deglutì, cercando di recuperare la saliva e il coraggio necessari a esprimersi in modo dignitoso. «Io... io avevo fame» abbassò lo sguardo a fissarsi le scarpe. Uhm, si, erano davvero molto belle, specie con la punta rovinata. «Non volevo disturbarti e avrei preso qualcosa dalla dispensa, ma è com-completamente vuota».
Alzò per un attimo gli occhi a guardarlo, e, quando si ritrovò di nuovo sondata, riuscì a sostenere lo sguardo. «In più fa davvero davvero parecchio freddo, ho dovuto mettermi anche... anche questa coperta e i guanti. Quindi magari pensavo che, uh, avresti potuto dirmi dove trovare altri vestiti o coperte... e visto che la dispensa è, bè, vuota, stavo anche pensando che potrei andare io a prendere qualcosa. Non... non avrei atteggiamenti strani o roba del genere, davvero. Mi comporterei in modo assolutamente naturale. E, ehm, così potrei anche vedere la neve.. mi... mi è sempre piaciuta un sacco e l'ultima volta che sono uscita non-non c'era, quindi in pratica è dall'anno scorso che non la vedo. Ecco... ah, e poi, se uscissi, non ti disturberei per un po', potresti lavorare anche senza meno interruzioni del solito».
Si fermò a fissare la sua espressione. Aveva giocato gran parte delle sue carte e lui si era accigliato. E poi aveva alzato un sopracciglio. Questo... questo lei non sapeva davvero come interpretarlo. Doveva ancora ben imparare a catalogare le sue varie reazioni. Era troppo difficile, centinaia di volte in più per quanto lo era stato per la mamma- la mamma...
Prima che lei potesse perdersi nei pensieri e ricordi che quella parola portava, lui emise qualcosa che avrebbe potuto assomigliare ad un mezzo sospiro, per poi superarla e camminare verso la porta. Di quella reazione sapeva abbastanza da capire che doveva seguirlo, così gli trotterellò dietro. «Se hai freddo» cominciò lui «puoi aumentare il riscaldamento di alcune determinate aree attraverso il meccanismo centrale, altrimenti trovi altre coperte nel ripostiglio accanto alla cucina».
«Ehm, ok». Asserì lei. Non aveva ancora capito, a dire il vero, dove si trovava quel famoso meccanismo centrale, né come avrebbe potuto regolare la temperatura. Probabilmente avrebbe dovuto imparare a farlo da sola, e, tutto sommato, forse era anche quello che lui si aspettava. Da quanto aveva capito e vissuto in quei mesi lì, più cose era in grado di fare da sola, migliore era la situazione. Era tutto così diverso rispetto a quando aveva undici anni con la mamma...
Arrivarono fino alla porta del laboratorio, ancora socchiusa. Anziché uscire, lui si diresse verso la parete sinistra- e lei si fermò, incerta. Avrebbe dovuto seguirlo o uscire direttamente alla ricerca del "meccanismo centrale"?
Lui, scivolato nella penombra della stanza già di per sè non così illuminata, sembrava la figura di uno di quei fantasmi cattivi dei cartoni che lei guardava sempre il sabato mattina... ok, concentrazione. Si sforzò al meglio per capire che cosa stesse facendo, senza osare avvicinarsi troppo. Lui aveva sfiorato con un movimento quasi casuale un determinato punto della parete- e il non sapere nemmeno a precisamente quale avrebbe potuto essere un problema, in futuro...
Un colpo più forte la fece sobbalzare e d'istinto si voltò nella direzione della piazzetta- provenivano ancora dei colpi da lì, probabilmente provocati da una macchina...
Si era girata nella direzione sbagliata. Un appendiabiti lungo e in ferro scattò all'improvviso precisamente davanti a lei, ondeggiando per l'eccessivo peso dei vestiti, di cui era stracolmo. Stoffe di ogni tipo e colore dardeggiavano le une sulle altre e in particolare attirò la sua attenzione quella che sembrava una divisa da postino.
Prima che potesse tentare un passo avanti per osservare meglio- dovevano essere dei travestimenti o qualcosa del genere- lui la precedette. Fece due passi, analizzò (con una prontezza e con una velocità che anche lei avrebbe tanto voluto avere) i vestiti e poi scelse un lungo impermeabile color ocra, completo di cappello abbinato e di un paio di eleganti pantaloni marroni.
In effetti, pensò lei, spostando il peso da un piede all'altro, con una maschera adeguata sarebbe stato difficile riconoscerlo. E magari... magari in quel caso sarebbe potuta uscire anche lei. Nessuno la conosceva, dopotutto. Tornò a guardarlo prepararsi con una scintilla di speranza che sembrava quasi schiacciare la fame.
Dopo essersi sfilato la giacca blu e averla appesa con accuratezza su una gruccia, lui sembrò rendersi conto di essere attentamente fissato- lo vide accigliarsi leggermente mentre si allaciava con cura i bottoni del colletto. «Credevo volessi aumentare la temperatura o scaldarti con qualche coperta».
«Ehm, si. Però volevo sapere, insomma, se allora andavamo insieme a prendere qualcosa, dato che ti stai cambiando».
«Andrò da solo» decretò lui. Evidenziò le sue parole lanciandole una delle sue famose occhiate inespressive. «E, prima che tu possa replicare, anche se la gente non ti conosce, c'è una possibilità che io, malgrado il travestimento, venga riconosciuto o che per qualche... motivo la polizia si interessi a me e mi insegua. So perfettamente come seminarli, ma tu no. Quindi, andrò da solo».
Anche se il suo cervello aveva calcolato una probabilità di una risposta del genere, fu comunque come ricevere una secchiata di acqua gelida addosso. La sensazione di essere chiusa in una scatola, la stessa che aveva quando si trovava nel magazzino fuori dal bunker o nel silenzio delle stanze lì sotto, si faceva sempre più forte e opprimente. Non avrebbe visto la neve o un po' di vera luce e sapeva benissimo che discutere con lui - e con la testa e l'intelligenza che lui aveva- non avrebbe portato a nulla. Annuì soltanto e poi uscì di fretta dal laboratorio, portandosi dietro il sibilo della coperta trascinata sul pavimento.
Quando, una decina di minuti dopo, aveva finalmente capito dove doveva essere il meccanismo centrale (gettarsi a capofitto in qualcosa di difficile l'aiutava sempre, in quei momenti) e si trovava nelle prossimità della sala-cucina a cercare di aprirlo, un fruscio di vesti dal corridoio le fece intuire che lui stava uscendo.
Alzò lo sguardo dai cavetti rossi e blu giusto per vedere uscire dalla stretta scala Macchia Nera nelle vesti di un distinto signore dall'impermeabile ocra.

Quando rientrò, l'improvvisa aria calda rischiò di fargli scivolare la presa sulla botola nascosta del magazzino. Non si era aspettato un cambio di temperatura così drastico e ne fu sorpreso in positivo, da un certo punto di vista. Il calore era piacevole, specie dopo il freddo gelido e pungente della strada, e la sua presenza significava che la... ragazzina doveva aver capito come alzare la temperatura del rifugio. D'altro lato, però, doveva assicurarsi che l'accumulo di un così grosso assembramento di energia non attirasse troppo l'attenzione- la sua ultima invenzione ne consumava già parecchia e, se si aggiungeva il riscaldamento, di certo la situazione non migliorava. Il sistema di rifornimento energetico autosufficiente che aveva installato fino a quel momento aveva funzionato senza problemi, ma doveva essere previdente. Aveva già fruito delle spese statali nei penitenziari per troppo tempo per sottigliezze del genere. Con uno sbuffo, entrò nella sala-cucina, appoggiò le borse e poi tornò vicino alla botola per riattivare i sistemi di sicurezza. Aveva dovuto modificarli tutti e aggiungerne addirittura qualcuno da quando si era ritrovato con... un altro occupante nel rifugio. E se erano bastati il Q.I. di un avvocato e di un notaio*1 pari alle capacità intellettuali di un opossum a trovarlo, di certo non voleva pensare a chi altro avrebbe potuto farg...- fare loro visita né ripetere l'esperienza con quei due irritanti gemelli. Anche se ciò comportava il dover lavorare maggiormente ai sistemi di sicurezza.
Armaneggiò ancora un po', digitando i codici di controllo o le varie password e selezionando determinate opzioni. Dopo cinque minuti buoni- precisamente, a detta del suo orologio, cinque minuti e quarantasei secondi- si ritenne abbastanza soddisfatto. Gli allarmi erano tutti operativi, come anche i sistemi di illusione, e l'energia prelevata in eccesso dal riscaldamento sembrava ancora essere sotto il tetto del suo rifornimento autosufficiente. Bene.
E benedetta la sua previdenza. Se non avesse eseguito un controllo anche quella mattina sui nuovi parametri impostati sulla ragazzina, anziché tentare il brivido di introdursi nel suo laboratorio, lei avrebbe provato l'eccitante esperienza di una scarica elettrica quasi mortale.
Un altro sbuffo gli uscì naturale. Il rifugio di un supercriminale era adatto ad una ragazzina più o meno come poteva esserlo una fabbrica di esplosivi. O come lo era lui.
Si tolse con un gesto secco la maschera, infilandola in una tasca dell'impermeabile. Poi si passò una mano tra i capelli, resi bagnaticci sia dalla neve che dalla struttura poco permeabile della finta faccia che aveva indossato, e, riflettendo su quanto i suoi pensieri potessero essere simili ad una patetica un'autocommiserazione, se ne andò nella sala-cucina. Le borse con la spesa erano ancora da sistemare, ben distinte da quelle con alcune parti meccaniche per le sue invenzioni- ed era meglio dare la precedenza alle seconde e portare subito il suo materiale in laboratorio. La spesa avrebbe potuto sistemarla la ragazzina, così al tempo stesso avrebbe potuto mangiare qualcosa ed evitare di disturbarlo. La serata era lunga e il pensiero che il suo lavoro lo avrebbe reso l'uomo più potente del Calisota gli rendeva difficile avere degli orari fissi come la ragazzina- cenare alle otto o alle undici di sera non cambiava così tanto per lui.
Afferrò le borse con i suoi componenti e uscì di nuovo nel corridoio, per raggiungere la terza porta- la camera della ragazzina. La luce grigia delle lampade al neon lo accompagnava insieme alla sua ombra proiettata sulla parete sinistra. Quel determinato tipo di luce faceva un po' male agli occhi, doveva ammetterlo. Aveva notato che alla ragazzina dava fastidio in particolar modo, e forse avrebbe potuto trovare qualcosa di migliore, in futuro, al posto di qualche lampada persa "sfortunatamente" dal camion di un'azienda...
Arrivato alla porta della camera, bussò brevemente, per poi aprire. La stanza aveva conservato ancora qualcosa del secondo laboratorio che era stato. Le macchine e i tavoli erano spariti, certo (e lui aveva controllato cento dannatissime volte di non aver dimenticato nulla di potenzialmente letale), ma le pareti in grigio sbiadito erano rimaste uguali- se non per l'aggiunta di un certificato premio per "il miglior progetto per la biblioteca della scuola elementare Geremia Ratt di Topolinia". Ad eccezione di qualche foglio di carta e di due matite, la scrivania era in gran parte vuota, come la libreria lì a fianco, che conteneva soltanto i libri di testo della prima media. La sua attenzione (avrebbe dovuto trovare qualche libro da darle) si spostò sulla sedia in metallo, stranamente non occupata. Lo sguardo allora andò al letto in fono alla sala, rifatto da poco e in malo modo ma privo di ragazzine sopra.
Macchia avvertì un piccolo spasmo di panico sotto la sua affinata anima logica. Altro piccolo sbuffo. Analizzando la situazione con lucidità, se la ragazzina non si trovava né lì né nella sala-cucina, rimanevano soltanto la sua camera personale (altamente improbabile e poco desiderabile da visitare), il bagno (la seconda porta del corridoio, socchiusa e perciò non occupata) e il suo laboratorio. Il laboratorio era zeppo di invenzioni di decenni, di progetti in corso e, inoltre, era lì che stava lavorando alla sua ultima creazione, che la ragazzina aveva sentito lavorare poche ore prima quando si era intrufolata. Anche se lei avesse sviluppato soltanto una minima parte della curiosità tipica del suo- del loro- albero genealogico, si sarebbe diretta lì.
Uscì dalla stanza e si diresse verso la fine del corridoio. Quella atavica sensazione simile alla preoccupazione non era scomparsa con l'ausilio di deduzioni logiche e quasi cercava di costringerlo a correre nel laboratorio, spingendo parte della sua testa a immaginare scenari molto diversi tra loro che però terminavano tutti con una morte molto atroce di uno dei due occupanti del rifugio- non necessariamente lui. La ferrea logica che lo aveva accompagnato in quegli anni gli venne in aiuto: la ragazzina era quantomeno intelligente, si sperava, e non avrebbe attivato nessuno dei macchinari. Se ci fosse stato qualche problema nel laboratorio, il sistema degli allarmi che prima aveva esaminato glielo avrebbe comunicato. E lo avrebbe fatto anche il microdispositivo che aveva installato nel suo orologio da polso.
Arrivato al suo obiettivo, il suo volto e il suo animo erano ritornati completamente lucidi. Si concesse solo un profondo respiro e poi aprì la porta- forse con troppo impeto.
A prima vista, tutto sembrava normale. Ma dopo anni ai vertici della malavita, nulla lo era, in nessun caso. Ancor di più se a prima vista lo sembrava.
Si sfilò l'impermeabile, tenendolo appoggiato sul braccio destro, e cominciò a camminare verso lo spazio centrale del laboratorio- la sua macchina ormai aveva terminato gli ultimi colpi di assestamento e ora nel laboratorio si udiva soltanto, di tanto in tanto, qualche sbuffo dell'impianto di riscaldamento.
Approfittando di quel silenzio, Macchia cominciò a calcare appositamente con forza i piedi, facendo rimbombare ogni passo- in quel modo avrebbe evidenziato il suo arrivo e la ragazzina avrebbe fatto meglio a non trovarsi troppo nei guai. Ma da quando non camminava in quel modo? Forse dalle elementari?
L'istinto sviluppato in anni di attività criminose portò quasi in automatico la sua mano a scivolare nella tasca interna dell'impermeabile, dove teneva una pistola. Teoricamente non c'era davvero nulla da temere, avrebbe trovato solo la ragazzina, ma chi poteva dirlo, dopotutto? Da questo punto di vista, avrebbe dovuto muoversi in modo decisamente più felpato... Finì per adeguare il ritmo dei suoi passi a "leggermente udibile" poco prima di trovarsi a metà della strada principale. Oltrepassò velocemente i banconi con le sue varie invenzioni e arrivò alla curva verso destra. Stava per procedere oltre, quando un particolare insolito attirò la sua attenzione.
Si fermò.
Sul pavimento, la poca luce che di solito la finestra lasciava filtrare calava in modo meno fluido del solito, quasi ci fosse qualcosa a frapporsi tra il vetro e la stanza.
Macchia alzò la testa di scatto- e cercò di ignorare il fastidioso particolare che il suo cuore potesse (forse) aver perso un battito.
La ragazzina stava appoggiata alla finestra, a quattro metri (quattro metri e settantacinque centimetri ricordò) da terra. Si era arrampicata tra macchinari vari per guardare fuori, o meglio, per guardare la neve. Le sue invenzioni potevano sembrare in un bilico precario- ad ogni sbuffo del riscaldamento gli sembrava che ondeggiassero verso destra e verso sinistra in modo decisamente poco rassicurante- ma di per sè la struttura reggeva. Da sotto il tavolo traboccante, si intravedeva una grossa chiave inglese e forse... forse la ragazzina aveva rinforzato le parti portanti di quella sorta di torre improvvisata...
E tutto soltanto per vedere quella banale neve. Ne era talmente presa da non essersi nemmeno accorta del suo arrivo: se ne stava lì, a dargli la schiena con il suo giubbotto arancione, i capelli spettinati, le braccia perse nelle maniche troppo larghe ad appoggiarsi al muro. Per quanto potesse essere assurda, quell'immagine lo colpì più di quanto volesse o avesse programmato.
La neve era davvero così importante? O c'era dell'altro?
Di certo lui... bè, lui non poteva permettere che le sue invenzioni rischiassero di essere danneggiate. Fece un passo in avanti, deciso, ma poi si ritrovò di nuovo nel dubbio. Uscire cosa significava per la ragazzina? Vivere... fuori?
Si schiarì la voce con un colpo di tosse e la ragazzina sobbalzò- e per un attimo, la vide perdere l'equilibrio e frantumarsi al suolo in una macchia di sangue. Prima di recuperare appieno la sua lucidità. Aggrappata allo spessore tra il vetro e la cornice della finestra, la ragazzina si girò lentamente a guardarlo, il viso arrossato e la bocca socchiusa in una "o" di sorpresa.
«Scenderesti, per cortesia?» chiese, per poi bloccarsi. La voce gli era uscita con un tono diverso da quello desiderato e da quello solitamente usato. Più dolce no, quello mai, ma... ma aveva usato una voce più lenta, aveva parlato più piano.
La ragazzina non rispose, ma almeno si prese la briga di cominciare a scendere, appoggiando pian piano i piedi tremanti su quello e quell'altro punto della torre improvvisata. Arrivata alla fine, rischiò di scivolare- Macchia si trattenne dal fare un altro passo avanti- ma riuscì ad atterrare sul pavimento a quattro zampe, senza cadere troppo rovinosamente.
«Quindi...» cominciò lui, di nuovo piano, mentre lei si alzava. Prima che potesse continuare, però, la ragazzina si voltò a guardarlo e se prima, a tre metri d'altezza a distanziarli, non lo aveva colto, in quel momento fu impossibile non notare gli occhi della ragazzina decisamente arrossati e le lacrime e le guance bagnate. Si bloccò, stringendo i denti, trovandosi per la prima volta da qualcosa come anni senza sapere esattamente come fare. Lui... lui non aveva mai avuto a che fare con i mocciosi. Avrebbe dovuto ignorare il tutto, sgridarla, consolarla...?
Ancora una volta, la ragazzina lo precedette. Si passò la manica della felpa ad asciugarsi il viso e tirò su col naso. I capelli da vicino sembravano ancora più scarmigliati e di certo... non l'aveva mai vista ridotta a quel modo, in quei mesi- e non capiva perchè lo dovesse impressionare, dato che lui aveva fatto piangere e tremare centinaia e migliaia di cittadini e di poliziotti adulti-... e di certo così la ragazzina pareva poco curata, e quasi molto... disperata.
«Non ce la faccio più» singhiozzò- e stranamente la sua voce molto risuonò più ferma di quando avanzava normalmente una richiesta. Era... preoccupante? «T-ti prego, lasciami... uscire, andare via».
Un sospiro mozzo segnò per un breve attimo la fine della sua lucidità.


Il pigro cigolio del cancello fu attutito in gran parte dalla neve- o meglio, dalla fanghiglia che era stata neve quella mattina, prima di essere invasa dall'ora di punta. Tip serrò la mano sull'unica barriera che si frapponeva tra loro e una giornata noiosa e spinse avanti e indietro, fino a creare altri solchi nella fanghiglia. In particolare quella sul marciapiede rientrava decisamente nella definizione "fanghiglia schifosa marrone", però quella del loro giardino era ancora bianca e sembrava morbida. Se rimaneva così, quel pomeriggio avrebbe sfidato Tap in una fantastica battaglia di palle di neve- matematica permettendo...
Bump!. Una palla di neve sfrecciò verso di lui, sfiorandogli la spalla per poi colpire il cancello. «Ehi!» esclamò voltandosi verso la casa.
Suo fratello lo stava raggiungendo con una risata, saltellando sul vialetto e sventolando il suo sacchetto del pranzo. «Vigilanza costante, piccolo Tip!» gli ricordò, ammonendolo con l'indice e un ghigno. La mezza replica di Tip fu coperta dal buona giornata dello zio sulla porta e, con le mani sventolanti e tra varie spallate per uscire per primo, i due gemelli si incamminarono verso la scuola.
«Sarebbero bastati soltanto pochi altri centimetri di neve e le strade sarebbero state bloccate» brontolò Tap calciando un pezzo di ghiaccio, le scarpe che affondavano con squascii schifosi nella fanghiglia.
«Tanto la prof sarebbe stata capace di venire a portarci le verifiche a porta a porta per tutta Topolinia».
«Che scatole... e speriamo che la Topkins non metta matematica dopodomani!»
«Lo farà, lo farà... »
Tap diede a Tip una spallata. «Smettila di pensare al peggio!»
«Ma è la legge di Murk... di Murphy: "Se una cosa può andar male, lo farà"!»
«Ma è meglio quella dello zio Pippo: "Se una cosa può andar bene, lo farà"!»
«Questo devi dirmelo la prossima volta che giochiamo a Clash of Mouses».
«Eh no, me lo autodico, mica lo dico a te!»
La discussione era tanto accesa che i due non si erano resi conto della macchina parcheggiata poco distante, né dei loro occupanti- se i vetri non fossero stati oscurati e spessi, avrebbero potuto perfino accorgersi che quei due li stavano fissando. Quando oltrepassarono l'auto, immersi nella discussione del gioco, un «Sono loro, vai» precedette l'aprirsi della portiera anteriore alle loro spalle.
«Comunque, se tu provi a distruggermi quella città, te li scordi i trucchi per Topaliens» annunciò Tip, regalando un'occhiataccia al gemello, che sbuffò.
«Maddai, non esagerare! E poi, intanto è anche libera concorrenza, posso farti fuori tutte le città che voglio, perché è un gioco a cui partecipo pure io! E i trucchi si possono anche...»
«Scu... scusate, ragazzi».
I due fratelli si voltarono in simultanea, rischiando di far cozzare tra loro i propri cappelli. Si era avvicinata alle loro spalle una ragazzina, impacciata nel suo giubbotto invernale arancione; portava anche, fraccato sulla testa, un cappellino rosso da cui uscivano ciocche nere disordinate. Sembrava timida, mentre spostava gli occhi scuri da uno all'altro gemello, e probabilmente, intuì Tip da come si guardava intorno, era nuova di quelle parti.
«Scusate se vi disturbo, ma ho qualche... ehm... dubbio» disse, aggiustandosi una ciocca dietro l'orecchio destro.
«Tranquilla, dicci pure» la incoraggiò Tap.
«Sei nuova di queste parti?» si inserì, per non essere da meno, Tip.
«Ehm, si. Sto cercando la scuola media Mouse School*2, ma non sono del tutto sicura su dove andare...»
«Semplice!» Tap si lanciò quasi con entusiasmo nella modalità guida turistica, con tanto di indicazioni visive. «Segui il marciapiede che svolta qui a sinistra, poi vai avanti attraversando la strada, vai ancora avanti per cinquecento metri, giri a a destra- ti trovi affianco al bar "da Gigi", e vedrai che sarà pieno di nostri compagni- e da lì vedi i cancelli della scuola!»
«Va-aa bene, grazie» annuì la ragazzina. Tip stava quasi per chiederle se voleva camminare con loro fino alla scuola- magari li aveva fermati anche per cercare di creare nuove amicizie o roba del genere, quando lei li superò con un cenno della mano, passando dritta in mezzo a loro.
Tip cercò di incrociare lo sguardo di Tap per comunicargli la sua perplessità, ma si accorse che lo sguardo del fratello era inchiodato sullo zaino della ragazzina. Seguì i suoi occhi e si inchiodò sul posto. Proprio sulla tasca principale, faceva la sua figura una grossa e inconfondibile macchia nera.

«Sinceramente, mi sembra un'ipotesi assurda, ragazzi» disse zio Topolino con un mezzo sorriso, mentre appoggiava a fatica sul tavolo una grande pentola di broccoli bolliti- che schifo di cena.
«Ma è praticamente comparsa dal nulla oggi!»
«E quella macchia è da sempre il simbolo di Macchia Nera, no?»
Topolino ampliò il suo sorriso, mentre i suoi nipoti si lanciavano in un'altra sequela di quelle che a loro parere dovevano essere ottime tracce per la loro indagine. Poteva capirli benissimo, da un certo punto di vista. La scuola era stressante, in quel periodo, e trovare un diversivo interessante come il giallo di un criminale a scuola non era cosa da poco. Inoltre, lui era stato fuori tutto il pomeriggio e i suoi nipoti, non avendo nessuno di più esperto con cui confidarsi, avevano passato gran parte del tempo a complottare e a indagare, arrivando al punto di essere assolutamente certi che la ragazzina incontrata solo quella mattina fosse in qualche modo imparentata o complice del pericolo pubblico numero uno di Topolinia. Come se Macchia Nera non fosse già di per sè fin troppo nella vita di Topolino con i suoi complotti; ora doveva persino invadergli casa con le supposizioni dei suoi nipoti? Di sicuro quel criminale avrebbe trovato la situazione estremamente divertente...
Investigare su un proprio nuovo compagno poteva essere sbagliato- specie in quel caso! Andiamo, una ragazzina come quella come poteva anche solo non aver paura di Macchia?- ma di sicuro era un qualcosa che Topolino non si sentiva di impedire direttamente a Tip e Tap... alla fine lui stesso ficcava sempre il naso in situazioni che non lo avrebbero dovuto riguardare, no? Però d'altro canto non poteva di certo approvare del tutto che si lanciassero in un'indagine come quella disturbando la compagna e non concentrandosi sullo studio e sugli altri impegni. Si, forse era meglio indirizzare la loro voglia di fare i detective da un'altra parte.
«Va bene, ragazzi, direi che per oggi ne avete parlato abbastanza di questa ragazzina, no? Ancora un po' e le orecchie le fischieranno tanto da non riuscire nemmeno a dormire».
«Ma zio!» Tap gli puntò contro un broccolo impalato nella sua forchetta. «Tu non l'hai vista. È davvero comparsa dal nulla!»
«E gli assomigliava anche parecchio, a Macchia» sottolineò Tip, interrompendosi per bere un po' d'acqua. «Aveva gli stessi inquietanti occhi neri!»
«Esatto! Scommetto che il suo zaino era zeppo di marchingegni diabolici con cui prendere il massimo dei voti e infestare la scuola!»
«Oppure aveva appena rapinato una banca e lì dentro teneva la refurtiva!»
«Ragazzi, ragazzi» Topolino si intromise tra i due, alzando anche le braccia in segno di tregua. «Ora state davvero diventando ridicoli. Probabilmente, questa ragazzina era soltanto in macchina mentre voi vi eravate persi a parlare. Non so nulla di questa macchia, ma potrebbe essere una comune macchia e basta. Anzi, è quasi certo che lo sia. E quanto alla somiglianza con Macchia... aveva il suo naso o le sue orecchie?»
Tip abbassò con velata vergogna gli occhi a fissare il suo piatto di broccoli. «No...»
«E quindi di fatto aveva soltanto gli occhi neri?»
«E i capelli» aggiunse Tap.
«Occhi e capelli neri». Topolino sorrise di nuovo. «Non sono un esperto di genetica, ma di sicuro per creare una parentela, non bastano solo quelli».
I gemelli avevano entrambi trovato all'improvviso i loro piatti estremamente interessanti- ed erano riusciti addirittura a finire i broccoli. Non era giusto che si sentissero così imbarazzati per una sciocchezza come quella finta indagine, però. «Andiamo ragazzi, cercate di non farne una questione di stato. Avete semplicemente bisogno di uno svago, oltre alla pallavolo per Tap, ovviamente» Topolino si alzò e cominciò a sparecchiare, portando i piatti al lavandino. «Potrei tirare fuori dalla soffitta qualche mio vecchio gioco dei misteri, se volete. O qualche libro di Allan Top. Potrebbe essere più interessante di stare alle costole di una ragazzina, no?»
«Sarà...» ammise Tip a malincuore, grattandosi un orecchio e scambiando un'occhiata con Tap. Topolino sospirò con un altro mezzo sorriso. Al limite avrebbe potuto portarli entrambi da Pippo per la lettura dei suoi strampalati racconti del mercoledì, se proprio non fossero riusciti a distrarsi... ma tanto ne era sicuro. La fissa per quell'indagine fasulla sarebbe passata presto.
Né Tap né Tip erano usciti convinti dalle rassicurazioni dello zio. Forse, tra le pareti di casa loro e con la notte che avanzava, le ipotesi che lo zio aveva fatto sembravano molto più logiche, ma a scuola la situazione era diversa. Già dai giorni dopo, quando anche i loro amici e compagni erano riusciti ad avvistare la ragazzina e a farsi un'opinione su di lei, avevano capito di non essere i soli a pensare che tra lei e quel criminale potesse esserci un collegamento.
Certo, gran parte della scuola non si rendeva nemmeno conto che ci fosse una nuova alunna, ma Tip e Tap sapevano di essere svegli e sapevano che pure i loro amici lo erano. La macchia che quella ragazzina aveva sullo zaino era decisamente fin troppo simile a quella che tutti loro avevano visto almeno una volta nei giornali o nei telegiornali, in seguito a un furto o a un piano malefico di Macchia Nera.
Sapevano di dover cercare altre prove e informazioni su di lei, anche perché dovevano ancora capire che intenzioni avesse- e dovevano aspettarsi il peggio, se c'entrava davvero quel criminale. Ma allo stesso tempo, dovevano anche dedicarsi alle lezioni. E i pedinamenti non aiutavano granché.
«Non possiamo continuare così» ansimò Tap, appoggiandosi al muro dell'aula. Avevano passato tutti i cinque minuti tra la lezione di fisica e quella di storia a cercare la ragazzina nel corridoio dall'altra parte della scuola, rischiando di arrivare in ritardo e ritrovandosi così a correre per arrivare puntuali nell'aula. E non l'avevano manco trovata, la ragazzina.
Entrambi avevano capito che la loro strategia era un colabrodo- ogni giorno, due del loro gruppo avevano il compito di pedinare la ragazzina durante e appena dopo la fine della scuola, ma il loro gruppo era costituito da sole quattro persone e i loro amici John e Michael*3 avevano dato forfait all'indagine dopo soltanto due giorni. Quindi, ogni cosa pesava esclusivamente sulle spalle di Tip e Tap. In più, nessuno dei gemelli (e nemmeno John o Michael) aveva ancora frequentato una lezione con la ragazzina, con il risultato che nemmeno sapevano il suo nome- e di certo non potevano chiederlo in segreteria, né direttamente alla ragazzina senza sollevare sospetti. Tip stava cominciando perfino a pensare che creare un'indagine su una ragazzina a causa di una singola macchia non fosse poi una grande idea.
«Forse dobbiamo chiedere aiuto a qualcuno...» ragionò, mentre si massaggiava la milza.
«E a chi?» chiese Tap tra l' indispettito e il curioso. Tip si limitò a occheggiare vagamente verso Moony Mouse*4, dall'altra parte della classe, il naso ficcato nell'ennesimo libro di matematica. Prima che Tap potesse dire qualcosa, il professore entrò mangiando una brioche e chiuse con un tonfo la porta.
Riuscirono a parlare a Moony Mouse soltanto al termine delle due ore di storia, a ricreazione inoltrata. Dopo essersi persi un po' in chiacchiere varie- la gita al parco di The Games of Mouse era stata splendida, la lezione di storia era stata un po' pesante, quanto antipatica era Sandra Topez?- i due fratelli riuscirono a introdurre la loro questione senza sembrare troppo fissati.
«Una ragazzina nuova con una macchia nera sullo zaino... uhm». Moony si passò la lingua sull'apparecchio fisso dei denti, come faceva sempre quando cercava di ricordare qualcosa. «Ah si, ha fatto scienze con me ieri».
«E si è comportata in modo strano?» chiese agitato Tap.
«Strano in che senso?»
«Bè, noi in realtà stiamo facendo una sorta di indagine su di lei, perché... crediamo» tentò cauto Tip, sporgendosi verso di lei «che quella lì possa avere qualcosa a che fare con... sai, Macchia Nera».
Se Moony Mouse trovasse l'ipotesi divertente, non lo diede per niente a vedere. Si limitò ad accigliarsi e a stringersi nelle spalle, rimurginando. «In effetti» disse alla fine «ha un che di strano. Cioè... almeno, a me sembra strano: credo che sia più brava in scienze di Jimmy Joe!» confidò loro con aria scioccata. Tip e Tap sgranarono contemporaneamente gli occhi. Jimmy Joe, un ragazzino biondo, tarchiato e saccente, era famoso in tutta la scuola per essere un secchione assurdo in tutte le materie, in particolare in scienze.
«In più» continuò Moony, passandosi di nuovo la lingua sull'apparecchio, «ho sentito anche qualcosa l'altro giorno dalle parti della sala professori, che sembra richiamare un po' quel criminale...»
«Cioè?» chiesero in coro i due gemelli, quasi trattenendo il respiro.
La ragazzina si guardò attorno, quasi temendo che qualcuno nella massa urlante della ricreazione potesse origliare la loro riservatissima conversazione. Per un attimo scrollò le spalle, come se trovasse da sé il proprio comportamento non matematicamente logico, ma poi riassunse quella sua aria da giovane cospiratrice. «La professoressa di atletica, la Milton, parlava con il bidello di come questa Blackie Macchia», i gemelli sussultarono al nome tanto insolito e così perfetto per la loro indagine, «fosse sparita nel nulla mentre arrivava dall'aula di inglese. E il bidello ha detto» e qui si chinò in avanti, l'apparecchio che brillava della luce riflessa delle lampade «che quella macchia che porta sullo zaino richiama davvero un'altra macchia più famosa».
Quella singola frase sembrò da subito essere una prova inconfutabile per i due gemelli. Inizialmente, Moony Mouse provò a trattare con loro, sostenendo che alla fine si trattava di una frase forse fraintesa, che forse lei aveva sentito male la Milton e che c'erano decine e decine di persone al mondo che si erano ritrovate con un nome molto sbagliato, ma, complici lo squillare della campanella di fine ricreazione e l'eccitazione di una vera e propria indagine, si ritrovò invischiata anche lei nell'operazione indetta da Tip e Tap. Nei giorni seguenti, seguire gli spostamenti della ragazzina (che pareva davvero scomparire in alcuni momenti!) divenne un'impresa talmente entusiasmante che John e Michael riaderirono all'indagine in qualità di informatori part-time, seguiti addirittura da altri amici. Moony Mouse divenne una dei detective principali, insieme a Tip e Tap. In due settimane, nessuno della loro cerchia aveva mai rivolto la parola alla famosa Blackie, eppure conoscevano tutti il suo orario di scuola, insieme a inquietanti dettagli, che Tip aveva avuto la prontezza di trascrivere in uno schema. Tap lo stava giusto esaminando, cercando di nascondere come meglio poteva il foglio sotto il quaderno di francese.
1) Il soggetto- la ragazzina veniva chiamata così per evitare sospetti o fughe di informazioni durante le ricreazioni- scompare nei corridoi almeno una volta al giorno.
2) Il soggetto ha un nome da criminal strano, ok, poteva andare, anche se come cosa ormai era risaputa nel circolo. Magari avrebbe potuto attirare altri aspiranti detective.
3) Il soggetto ha buoni voti in matematica, scienze e tecnologia (tutte materie connesse alla realizzazione di macchine diaboliche) mentre non sembrava interessato a materie come storia o inglese.
4) Il soggetto possiede altre tre grandi macchie in dei bigliettini nel suo armadietto. A quel proposito, Michael doveva ancora ben rivelare al gruppo come era riuscito a rubare quei foglietti da quell'armadietto, ma l'impresa era stata talmente rischiosa e solenne che nessuno aveva voluto chiedergli più del dovuto.
5) Il soggetto non sembra aver ancora fatto amicizia con nessuno in particolare neanche con la mascotte della scuola, ma è stato visto interagire con i bulli (Wilma, Mostly e le gemelle Nelson*5) più volte, senza venire mai attaccata.
Un colpo di tosse particolarmente eloquente costrinse Tap a far scivolare del tutto il foglio sotto il quaderno, perdendosi poi nella visione di verbi assurdi che il professore aveva trascritto (e quando l'aveva fatto di preciso?) sulla lavagna. Per i successivi due minuti, Tap cercò davvero di concentrarsi e di prendere appunti come anche stava facendo Tip accanto a lui, ma... uff, non ci riusciva. Francese non era mai stata la sua materia preferita- e il prof aveva una voce veramente monotona, come un suono registrato e ripetuto all'infinito. In più non era facile concentrarsi con tutta la questione dell'indagine. Non stava davvero più nella pelle di scoprire qualcos'altro che li portasse ancora più vicini alla verità, tanto che lo zio Topolino avrebbe presto ammesso di aver sbagliato. Lui e Tip e gli altri del loro circolo stavano e avrebbero salvato la città! Scoprendo esattamente cosa faceva e dove andava il Soggetto, avrebbero scovato anche quel criminale di Macchia Nera, che sarebbe stato sbattuto in carcere. E mancava pochissimo, precisamente dieci minuti scarsi!
Infatti, appena finita quell'ora di francese e quindi la scuola, lui e Tip, approfittando dell'assenza di zio Topolino, avrebbero seguito di nascosto il soggetto fino ad arrivare a casa sua e a scoprire il suo covo. Era un piano perfetto! Avevano pure i binocoli, uno spray al peperoncino e una lente di ingrandimento da usare in caso di necessità. Certo, Moony Mouse aveva sollevato qualche obiezione, sostenendo che, prima di pedinare così seriamente il soggetto, qualcuno di loro avrebbe dovuto almeno parlarci per fornire un "quadro diretto", ma non avevano ancora trovato nessuno disposto a farlo.
Era una cretinata, davvero, avere... "paura" di una ragazzina come quella, ma nessuno di loro aveva voglia di andare da lei in modo così diretto. Nemmeno lui, che aveva affrontato pure Wilma in passato e che era, modestia a parte, uno dei più coraggiosi. Già il fatto che i bulli non le avessero fatto niente, nonostante fosse una nuova arrivata, aveva fatto sorgere molte certezze sul collegamento Soggetto-criminale e molte paure sul parlare con il Soggetto. In più, come se non bastasse, John aveva sentito dire da Jenny Rattins, che lo aveva detto a Gilda Hobbs e sentito da George Mouseson, che lo aveva saputo dal bidello Smith del secondo piano, che il Soggetto un giorno era stato visto con due tizi che assomigliavano a nientemeno che a Pietrino e Pietruccio Gambadilegno. E se non era una prova quella, cosa poteva esserlo?
Cinque minuti alla campanella. Tap si agitò sulla sedia, sbuffando e mordicchiando la penna che stringeva ancora in pugno. Non avevano manco potuto inserire il dato fondamentale dell'incontro con i Gambadilegno nello schema, perché Moony ci aveva posto un veto, dichiarando che si trattava di un pettegolezzo poco attendibile. Considerata la natura del Soggetto, Tap pensava che fosse attendibilissimo e sapeva di non essere il solo a dirlo...
Lanciò un'occhiata a Tip, quasi nella speranza che sentisse i suoi pensieri e che gli dicesse di essere d'accordo con lui. Se fossero stati in due dei principali detective a sostenere quel dato, avrebbero potuto aggiungerlo nella lista... invece trovò suo fratello tutto preso a trascrivere qualcosa nel diario. Tap tornò bruscamente alla realtà e si affrettò a recuperare il proprio, annotando di fretta insieme al resto della classe i compiti che il prof stava dettando. Quando aveva cominciato di preciso ad assegnarli?
La campanella suonò, sovrastando la voce monotona del professore, che, sempre con lo stesso tono sottomesso agli stridi delle sedie e alle chiacchiere varie, augurò lugubre una buona giornata. Tip e Tap ficcarono velocemente le loro cose negli zaini e si precipitarono fuori nel corridoio, immettendosi nel mare di studenti in uscita. Ben presto, arrivarono al cancello d'ingresso e lì si fermarono, appoggiandosi con nonchalance al muretto. Tip cominciò a frugare nel suo zaino fischiettando, Tap indossò le cuffiette del mp3 senza però accendere la musica. Blackie Macchia usciva sempre a metà circa degli studenti a piedi e loro non dovevano sembrare troppo intenti ad aspettarla. Però allo stesso tempo dovevano controllare quando sarebbe passata e cercare di non morire per il freddo- le strade erano coperte di ghiaccio e anche se c'era il sole a sbucare dalle nuvole, le loro mani congelavano. Forse il Soggetto si sarebbe fatto venire a prendere in auto da qualcuno.
Moony aveva suggerito di sorvegliare, per sicurezza, tutti i cancelli e le uscite della scuola, in caso il Soggetto avesse scelto, quel venerdì, un altri percorso, ma non avevano fatto in tempo a organizzarsi... e ora i primi messaggi allarmati degli altri cominciavano già a lampeggiare sui loro cellulari. Tip ci diede una scorsa veloce, mentre faceva emergere il suo dallo zaino, ma si interruppe quando Tap gli tirò una mezza gomitata in piena testa. Si rialzò dolorante, con un mezzo rimprovero già sulle labbra, quando vide passare loro davanti il soggetto, nel suo giubbotto arancione e cappello rosso.
«Moony Mouse ha detto che non può più venire» si inventò Tip a voce piuttosto alta, «quindi non serve che l'aspettiamo e possiamo andare anche noi a casa».
«Eh?» Tap non aveva staccato gli occhi di dosso dal Soggetto e si riscosse a malapena non appena le parole del suo gemello arrivarono al suo cervello. «Ah, si, è vero, giusto. Andiamo». E si incamminò pochi metri dietro alla ragazzina, con Tip affianco.
Cercarono di assumere un'aria indifferente metre camminavano. I loro piedi affondavano nella neve e nella fanghiglia che riempiva i marciapiedi, mentre le auto sfrecciavano di tanto in tanto sulla strada, sollevando schizzi di acqua, ma per il resto le strade che percorrevano erano quasi del tutto vuote; gran parte dei loro compagni aveva preferito farsi venire a prendere dai genitori nell'uscita a est della scuola, mentre molti altri si erano fermati ad assistere o a partecipare alle selezioni delle squadre di basket scolastiche. E dire che Tip ci aveva anche fatto un mezzo pensiero... scosse la testa. Superato il bar "da Gigi" cercò di chiacchierare un poco con Tap, ma suo fratello era decisamente troppo preso dall'indagine: misurava i suoi passi con attenzione e scrutava la schiena del Soggetto, con uno sguardo talmente perforante che Tip non si sarebbe sorpreso se la ragazzina se lo fosse sentito bruciare addosso.
Per un po', la situazione andò avanti senza cambiamenti. Le macchine passavano, i loro piedi affondavano nella fanghiglia, Tip aggiornava di tanto in tanto via Whatstapp i suoi amici e Tap fissava arcigno il Soggetto, che si dirigeva verso la loro meta ignota all'apparenza senza pensieri.
Ben presto, però, arrivarono nelle vicinanze di casa loro. Fino a quel momento, avevano potuto fingere senza problemi di essere diretti lì, ma se il Soggetto avesse svoltato per un'altra strada avrebbe potuto esserci un problema... Tip scrollò le spalle. La missione prima di tutto. Pensare troppo non portava a nulla, si sarebbero inventati qualcosa. Arrivati a svoltare l'angolo con il marciapiede, anziché proseguire dritti fino alla loro casa (che già si intravedeva da lì) furono costretti ad attraversare la strada a sinistra- e per fortuna non c'era nessuna macchina in giro, dato che si erano davvero buttati a capofitto senza nemmeno controllare. Si tennero un po' più indietro dal Soggetto, nella penombra delle case, quasi a carponi. Continuarono a seguirla senza mai svoltare per almeno due isolati- Tap cominciava ad avere il fiato corto e il cellulare di Tip segnalava almeno un chilometro di distanza da casa loro. Erano quasi nelle vicinanze del quartiere di Mousonia. La neve era ancor meno, sostituita da vero e proprio fango, non c'erano più lunghi intervalli di silenzio tra una macchina e l'altra, le case con giardino cominciavano a scomparire per lasciare spazio a veri e alti condomini e da piccoli negozi al pianoterra li accompagnava il chiacchiericcio dei clienti. Ad un tratto, quasi senza preavviso, il Soggetto attraversò la strada a destra.
Nella loro foga di seguire ogni suo passo, i due fratelli si gettarono all'inseguimento. E rischiarono quasi di finire investiti da un camion, che imprecò loro dietro in una lunga suonata del clacson. Attirarono l'attenzione di tutta la via, tanto che la ragazzina, qualche metro davanti a loro, azzardò perplessa un'occhiata dietro di sé.
Tap reagì di riflesso. Spinse Tip nel cortile di un condominio lì accanto- precisamente addosso ad un bidone della spazzatura- e gli saltò addosso, tenendolo premuto giù, con la faccia che sfiorava il cemento, fino a quando non ritenne entrambi fuori pericolo. Si rialzò, spazzando via la neve dalla sua giacca e poi si sporse leggermente fuori, per seguire con lo sguardo il Soggetto. Tip, intanto, bofonchiava insulti sottovoce. «Avresti potuto per lo meno avvertirmi, cretino».
«Shh!» lo zittì il fratello, portandosi un dito alla bocca. «Non la dobbiamo perdere».
Tip lo raggiunse zoppicando leggermente, ancora un po' stordito dal peso del fratello e si affacciò cauto insieme a lui, giusto in tempo per vedere la ragazzina, una decina di metri davanti a loro, salire gli scalini di un altro condomino. «Seguiamola, presto!»
Di nuovo si precipitarono all'inseguimento. Corsero quei pochi metri, si lanciarono nel condominio e...
E si ritrovarono il Soggetto appoggiato alla porta ad aspettarli, le braccia incrociate e un'espressione quasi delusa negli occhi lucidi. Prese un respiro prima di porre la fatidica domanda che tutti e tre si stavano aspettando. «P-osso... posso sapere perché mi state seguendo?»
Tip si sentì invaso da un profondo senso di colpa e si limitò ad abbassare lo sguardo, concentrandosi sulle sue scarpe. Tap, invece, gonfiò il petto, come per farsi più grande, e puntò l'indice contro la ragazzina. «Abbiamo scoperto la verità! Tu sei imparentata con Macchia Nera! Devi essere almeno sua figlia!»
La ragazzina sbatté le palpebre più volte. Fece per aprire bocca, la richiuse e poi l'aprì di nuovo. «C-cosa?»
Tap sbuffò. «È inutile che fai la finta tonta. Tutti hanno visto quella macchia che hai sul tuo zaino» e qui indicò l'oggetto incriminato, «e ne avevi altre anche su dei bigliettini vicino al tuo armadietto!»
«E... bè, il primo giorno che ci siamo visti sei comparsa praticamente dal nulla» si sentì in dovere di aggiungere Tap.
La ragazzina si accigliò, poi si fece scivolare lo zaino su una spalla (Tap sobbalzò e strinse nella sua tasca lo spray al peperoncino) per mostrare la macchia. «Intendete questa?»
Al cenno d'assenso dei due gemelli, lei sembrò mordicchiarsi l'interno della guancia. «In verità, ecco, è una semplice macchia. Mia zia lavora spesso con delle sostanze innovative per lavare i vestiti- fa la lavandaia, sapete- e questo particolare solvente è scivolato proprio sul mio zaino... deve ancora trovare un modo per togliere la macchia. Mentre le altre nei bigliettini sono semplici disegni che mi ha fatto fare come idea per il logo del detersivo che vuole lanciare sul mercato, l'Ammazza-Macchia. Richiama anche il nostro cognome, "Macchia", sapete.. però, come avete avuto i bigliettini con le macchie? Ero sicura di averli buttati via, perché non andavano bene come prove...»
Ci volle tutta la forza di volontà di Tip per impedirgli di sbattersi una mano sulla fronte. Michael aveva sempre voluto fare la figura dell'eroe: probabilmente quei famosi bigliettini non li aveva manco trovati nell'armadietto del Soggetto, ma in un semplice cestino nel corridoio.
«E non sono comparsa dal nulla», stava continuando la ragazzina, «mia zia mi ha accompagnato in macchina dalle vostre parti ma poi è dovuta scappare al lavoro, quindi mi ha lasciato giù in macchina».
Se Tip si stava sentendo sempre più imbarazzato, Tap ancora non era convinto. «E perché sei così brava in chimica e tutte quelle materie scientifiche?» domandò, mantenendo il suo cipiglio da poliziotto severo.
La ragazzina sembrò stupita e lanciò un'occhiata perplessa anche a Tip. «Forse un po' dipende anche da tutte gli strumenti scientifici che ha mia zia in casa, ma semplicemente quelle materie mi piacciono...»
«Però ti abbiamo vista parlare con i bulli: con Mostly, con Wilma e con le gemelle Nelson, e nessuno di loro ti ha mai fatto niente, anche se sei nuova e un po'... secchiona».
Gli sguardi che ora la ragazzina lanciava loro erano sempre più spaventati, quasi temesse di trovarsi in presenza di due psicopatici. Tip non le poteva dare torto. «Wilma e le sue amiche» cominciò «erano in panico perché non sapevano come pulire i loro compiti dalle macchie di alcune merendine, così le ho aiutate... i genitori di Mostly vogliono entrare in società con mia zia e Mostly aveva solo una cosa da dirmi che dovevo riferire a mia zia».
«E che mi dici dei Gambadilegno?»
Il sospiro del quasi ex Soggetto sfiorò l'estenuato. «Senti, per favore, basta associarmi a questi criminali... prima quel Macchia Nera», un brivido la percorse, «e ora quest'altro...». Si spostò verso la lista dei campanelli del condominio e indicò loro il quarto nome, un foglietto di carta stampata infilato nella targhetta. Entrambi i gemelli si sporsero a guardare la scritta, che recitava Sonia e Blackie Macchia.
Tip e Tap si scambiarono uno sguardo, Tip pallido e Tap paonazzo, ad allentarsi il colletto del giubbotto. Quando si voltarono di nuovo verso la ragazzina, ancora a braccia incrociate, si fecero allo stesso momento avanti. «Ci... ci dispiace, non volevamo...»
«Non pensavamo...»
Sospiro. «Scusaci, davvero, Blackie».
«Noi abbiano uno zio detective e forse siamo stati condizionati dalle sue indagini e abbiamo perso un po' il contatto con la realtà...»
«Ci dispiace tantissimo».
«Mi sento un verme».
«Anche io... siamo stati sospettosi in modo orribile».
«Scusaci». Ormai erano arrivati a implorarla.
«O-ok». Blackie arretrò di un passo, andando ad appiattirsi ancor di più sulla porta d'ingresso del condominio. «Avete sbagliato, p-può capitare...» disse con un sorriso nervoso.
Ai gemelli bastò. Cominciarono a scendere piano gli scalini, continuando a guardarla con aria colpevole- e, allo stesso tempo, sollevata. «Davvero, scusaci. Siamo stati degli stupidi a pensare che tu potessi essere una mezza criminale».
«Magari, se ti va, lunedì potremmo... ehm, vederci anche con i nostri amici a ricreazione. Gli piacerebbe conoscerti»
«A Moony Mouse piaceresti un sacco!»
Le labbra di Blackie si incurvarono leggermente all'insù. «S-si... si, mi piacerebbe».
«Perfetto!» Tap saltò con un balzo l'ultimo scalino, arrivando sul marciapiede. «A-allora noi andiamo» disse Tip, raggiungendolo con più tranquillità, «scusaci ancora per il disturbo e il malinteso».
La ragazzina si limitò ad annuire più volte, in un gesto che parve una grande vittoria ai due gemelli. Dopo un altro paio di saluti, sorrisi e scuse, i due svoltarono l'angolo e se ne corsero via, decisamente più sollevati ma anche troppo imbarazzati.
Blackie attese di non sentire più nemmeno le loro voci in lontananza prima di appoggiarsi stancamente al muro vicino ai campanelli. Rivelando un altro nome sotto di sé, il foglietto della quarta targhetta scivolò fuori e la ragazzina lo raccolse, stropicciandolo e infilandolo poi nella tasca del suo giubbotto. Si fraccò meglio il berretto in testa e poi scese le scale- e ogni passo sembrava così pesante...
Tornò nei suoi passi fino a infilarsi tra due alti condomini, in una stretto vicolo che la neve aveva deciso di non degnare di uno sguardo. Rischiò quasi di inciampare nella spazzatura abbandonata qua e là, ma proseguì senza voltarsi indietro, fino a raggiungere la fine del vicolo, dove con la penombra si confondeva un auto nera come la notte.
Blackie aprì la portiera davanti, accanto a quella del guidatore, e salì, richiudendo la porta con un tonfo. Si sfilò con dita quasi tremanti il cappello, senza osare guardare accanto a sé. «Avevi ragione, papà» disse, la voce che, a dispetto di come lei si sentiva, appariva di una sicurezza quasi disperata. «Non mi avrebbero mai accettato per quello che sono».
Non ottenne risposta. Macchia Nera si limitò a mettere in moto e a guidare fuori dal vicolo, verso il loro magazzino in periferia.




N.d.A.
Buonsalve a tutti. Allora, questa è in assoluto la mia prima storia nel fandom del Disney Italiano e ammetto di essere piuttosto nervosa, contando che inserisco il mio personaggio preferito (levatevi dalla testa il topastro, la sottoscritta tifa da sempre per il grande Macchia Nera), nonostante avessi già scritto questo su di lui, e una rimodernazione di un personaggio, ovvero quello della Phantom Brat, in un contesto che ammiro da moltissimo.
Sono sempre stata una grande appassionata della Disney (ho pubblicato molte fanfiction sulla sezione dedicata) e del fantastico settimanale "Topolino". E proprio leggendolo assiduamente si è sviluppata l'idea di questa storia e di molte altre, che vorrebbero dispiegare un po' sia la storia di Blackie, sia quella della famiglia di Macchia Nera, arrivando a toccare anche Basil Blackspot (della meravigliosa serie "Pippo Reporter").
Vediamo ora di parlare più in specifico di questa storia. Entrando più nei dettagli, Blackie vive da poco con suo padre e non si è (ancora) adattata a questa nuova situazione, come si può comprendere nella prima parte della storia; Macchia allora acconsente a farle fare una sorta di periodo di prova in una scuola media, agendo in modo tale da lasciare evidenti indizi sulle sue origini: in base a come verrà trattata, Blackie deciderà da sé quale strada intraprendere. E la cosa, come abbiamo visto, non finisce molto bene...
Ho tentato di dare una sorta di doppio spessore ai personaggi della storia, cercando in qualche modo di non far apparire i cosiddetti Malvagi come esseri crudeli fino al midollo (cosa simile sto facendo attualmente nella mia serie Senza un Lieto Fine) e di fare lo stesso con "le forze della luce", sottolineando i loro difetti. A mio parere, infatti, è impossibile riuscire a trovare un qualcuno completamente malvagio o completamente buono- ognuno di noi alla fine è una sorta di miscuglio, no?
In questo caso, sono Tip e Tap con i loro pregiudizi, paradossalmente, a rivestire il ruolo di antagonisti, facendo convincere la piccola Blackie di non poter avere altro destino se non quello di ladro, come suo padre (ho comunque intenzione di rivelare tutta la storia della ragazzina con altre due o tre storie, ma shh, è solo un progetto).
Arrivando alle note...
*1= i gemelli di cui Macchia parla sono una mia creazione, e sono rispettivamente un notaio e un avvocato. Sono stati loro a portare Blackie da suo padre alla morte di sua madre, ma spiegherò tutto nel dettaglio in seguito.
*2= la Mouse School, stando a molti fumetti, è la scuola media frequentata da Tip e Tap.
*3= John e Michael sono completamente inventati da me e i loro nomi richiamano quelli di Gianni e Michele, fratelli di Wendy Darling ma la somiglianza termina lì.
*4= Moony Mouse è un'amica nerd di Tip e Tap comparsa a partire dal Topolino 2970.
*5= anche Wilma e le gemelle Nelson compaiono a partire sempre dal numero 2970. Il cognome Nelson me lo sono inventato basandomi su di lui. Mostly invece compare nel numero 2981.
Il titolo, inoltre, richiama ad una delle storie basilari riguardo al personaggio di Macchia Nera, ovvero Topolino e il Doppio Segreto di Macchia Nera.
Ok, e qui dovrei aver finito. Uff, spero di essere stata chiara e circa convincente, ma sono talmente nervosa per questa sorta di "debutto" da avere le farfalle nello stomaco ^^' spero davvero che la storia vi sia piaciuta, ci tengo molto.
Ringrazio tutti coloro che leggeranno e che avranno la bontà di lasciarmi una recensione. In più, un grazie in particolare va a MissVillains, che ha mi supportato e sopportato in tutte le mille mila chat di questi tempi, ascoltando e giudicando le mie idee.
Grazie, carissima <3
Detto questo, *prende un grande sospiro di sollievo* chiudo.
Baci e a presto,
Nox
  
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