Serie TV > The Musketeers
Segui la storia  |       
Autore: AnyaTheThief    16/06/2016    3 recensioni
Roman Kozlov fissava quella palazzina da alcuni minuti. Gli sembrava incredibile che fosse rimasta in piedi, visto il destino crudele nel quale era incorsa Vienna intera.
“Quanto tempo è passato? Quanto tempo dall'ultima volta che mi hai baciata e senza parlare mi hai promesso una vita assieme?”
Athos si svegliò all'improvviso con un sussulto ed ansimò forte, in un letto di sudore. Si portò le mani tra i capelli fradici e fissò il vuoto per alcuni minuti.
Sbroglierò i nodi che ho creato nei due capitoli precedenti di Crossed Lives, spero li abbiate letti!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Milady De Winter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Raquel si massaggiava sempre il dorso della mano quando era nervosa, e in quel momento era molto nervosa. Sedeva su quel sedile anonimo, in quel corridoio anonimo, in quell'edificio anonimo e guardava dritta davanti a sé; i grandi occhi chiari sgranati, i capelli biondo rame spettinati per via dello scomodo viaggio su quell'aereo low-cost che l'aveva portata dritta a Vienna soltanto poche ore prima. Quell'intenso odore di disinfettante non l'aiutava di certo a superare le sue ansie.

Anche dopo tutti quegli anni, dopo aver affrontato di tutto nella vita, dal matrimonio all'aver partorito due splendide figlie, ancora il ricordo di quella donna la riempiva di terrore ed ammirazione allo stesso tempo.

Eppure sapeva bene che doveva essere decisamente diversa da come la ricordava lei, bella e fiera, superba, austera, arrogante, severa. Ma lo stesso, il pensiero di rincontrarla le faceva tremare le ossa e stringere lo stomaco.

“Signora Rivera?” una giovane donna era comparsa sulla porta accanto a lei, che sobbalzò sul sedile. La signora Weber è pronta a riceverla.” annunciò la ragazza con voce smielata, sorridente.

“S-Sì, un attimo soltanto.” balbettò in un tedesco arrancato, facendo perlopiù gesti con le mani.

Non era pronta. Non era assolutamente pronta. Pensò addirittura di tornarsene a casa, ma non poteva assolutamente farlo, non ora che lei sapeva che era lì.

Sospirò profondamente. Pensò a quante cose aveva da dirle, dopo vent'anni che non si vedevano, ma pensò anche a quante cose non poteva dirle.

Si alzò in piedi determinata: doveva farlo subito, o non ce l'avrebbe fatta mai più. Sorrise nervosamente all'infermiera ed entrò nella stanza dell'ospizio.

Era tutto bianco lì dentro e pensò che quello era un colore che non avrebbe mai associato a lei. Poi la vide e non seppe riconoscerla. Era davvero piccola in quel letto grande, bianco anch'esso, come la sua vestaglia e come i suoi capelli. Forse si sentiva già in paradiso in quel modo, o forse al paradiso non ci credeva nemmeno.

La prima emozione con cui si scontrò fu la commozione. E sorrise anche se le bruciavano gli occhi, forse per la luce del sole che rifletteva sul bianco – troppo bianco – o forse per la paura, anche se quella donna trasmetteva tutto meno che paura.

“Signora Weber. E' arrivata Raquel, se la ricorda?” la bionda infermiera le parlò gentilmente, accostandosi al suo letto. La vecchietta sorrise, facendo vibrare il tubo del respiratore che le passava sotto il naso.

Raquel istintivamente raddrizzò la propria postura, come se temesse di poter essere rimproverata, ed avanzò piccoli passi verso il letto.

“La vede?” l'infermiera le indicò la donna che ora si stava accostando al suo letto. L'anziana guardava Raquel avvicinarsi e sorrideva sdentata; non erano sicure che capisse. “E' la sua allieva, si ricorda? Quella di Madrid, di cui parlava sempre...” continuò l'infermiera, “Le abbiamo scritto la lettera il mese scorso, ricorda?” continuava a sollecitarla dolcemente, finché poi la donna non annuì. Si rivolse allora a Raquel. “Vi lascio sole.” sorrise, con uno sguardo complice, ed uscì dalla stanza.

Raquel fu indecisa per lunghi secondi su dove posizionarsi. Sembrava temere sempre di sbagliare, ma alla fine optò per trascinare una sedia accanto al letto ed accomodarsi lì, avendo cura di sistemare per bene la gonna.

“Raquel...” rantolò la donna, allungando una mano verso di lei e sorprendendola, come sempre. Più di novant'anni e ancora riusciva a stupirla.

“Signora Weber.” sorrise Raquel composta, prendendo la mano rugosa tra le sue e sorridendo rassicurante. “E' così bello rivederla.” mentì. Non aveva ancora capito se lo avesse fatto per dovere o per affetto. “Non ho fiori con me, mi dispiace. Il mio volo...” cercò subito di giustificarsi. In realtà era solo una scusa per ritrarre le mani: si sentiva a disagio nel toccarla. E sentì anche il bisogno di strofinarsi di nuovo il dorso della mano con le dita.

La donna rise e la risata sfociò in un attacco di tosse, che però si calmò subito. “Te lo ricordi ancora, eh?” la schernì, facendo cenno alle sue mani. Raquel immediatamente le divise, irrigidendosi. “Tutte le volte che ti ho colpita con l'archetto... Ti sono servite alla fine.” sentenziò con voce tremante. Raquel arrossì di vergogna.

“Mi ricordo, signora Weber.” ammise, desiderando di sprofondare.

“Vanessa.” disse lei. “Sono Vanessa, ora. Non sono più la tua insegnante.” e tossì di nuovo.

Raquel la guardò stupefatta. Da quel che ricordava, non aveva mai saputo il suo nome.

“Sei sposata, Raquel?” domandò all'improvviso, facendola di nuovo arrossire.

Annuì in silenzio.

“E hai figli?”

“Due.”

Le fece cenno con la mano di avvicinarsi.

“Fammeli vedere, su.” la esortò, interessata. “Come si chiamano?”

Raquel si sciolse un po'. Sorrise ed estrasse il cellulare dalla borsetta; iniziò a far scorrere una serie di foto davanti agli occhi di Vanessa, spiegando: “Mio marito Victor. Questa è mia figlia Celia, la più grande. Ha già diciassette anni. E questa... E' Iris, quest'anno ne compierà quindici.”

Lo sguardo di Vanessa si fece serio, poi sorrise di nuovo in quel modo che Raquel ben ricordava, come se fosse sempre un passo avanti a chiunque altro e le piacesse vantarsene.

“Iris...” ripeté pensierosa, come se avesse in mente grandi piani per sua figlia. Quasi si aspettava che le dicesse di portarla da lei all'istante per poterle insegnare a suonare qualcosa.

“Sai perché ti ho scritto, Raquel?” le chiese, inaspettatamente.

La donna scosse il capo. Immaginava che volesse dare un ultimo saluto a qualcuno; nella lettera scritta dall'infermiera sotto dettatura, la giovane aveva aggiunto di suo pugno qualche riga che le spiegava la sua situazione. Non avrebbe visto l'inverno, probabilmente.

“Sai perché ero così dura con te, al Conservatorio?”

Raquel scosse di nuovo la testa. Allora sapeva di essere stata particolarmente severa con lei. In un'altra occasione sarebbe scattata in piedi urlando “allora lo ammetti...!!”, ma quello non era proprio il caso.

“Ero infelice, Raquel. E lo sono tuttora.” le disse, con gli occhi lucidi. “Quando avevo poco più di vent'anni conobbi un uomo. Un soldato.” Raquel drizzò le orecchie. Le stava davvero aprendo il cuore in quella maniera? A lei, che era poco più di una sconosciuta? “Roman...” disse in un sussurro.

“Era un tedesco?” domandò ingenuamente Raquel.

“No. Era russo. Lo lasciai a Vienna nel 1945 ed andai a studiare a Madrid. Mi promise che mi avrebbe scritto, ma non lo fece mai.” confessò, con gli occhi persi nel vuoto. “L'unico indirizzo che aveva per contattarmi era quello del Conservatorio. Per questo restai lì, per tutti quegli anni... Aspettando una sua lettera...” aggiunse, laconica.

Raquel fu mossa di nuovo dalla pietà, e nel silenzio che seguì le riprese la mano. Non vedeva più la sua severa insegnante di violino, ma solo una donna che a distanza di sessantacinque anni ancora rimpiangeva l'amore perduto.

“Avrei potuto cercarlo. Avrei potuto informarmi. Ma non lo feci mai.” deglutì a fatica. “Ero troppo orgogliosa e troppo spaventata. Ho vissuto tutta la vita nel ricordi di un'altra vita, quella...” e lasciò la frase a metà.

“Quanto tempo siete stati assieme?” osò domandare Raquel, incuriosita ed intrigata da quella storia, che mai avrebbe potuto immaginare. Sapeva che Vanessa non era mai stata sposata e tante volte con le sue compagne di corso avevano scherzato alle sue spalle chiamandola “vecchia frigida” o “frustrata” ed ora tutti quegli insulti le sferzavano dolorosi colpi di archetto sulla coscienza.

“Una vita e pochi giorni.” rispose Vanessa, sorridendole. Raquel pensò che fosse una risposta da pazzi, ma la giustificò pensando che era già tanto se alla sua età riuscisse a sostenere una conversazione così impegnata senza confondersi date e nomi. Le sorrise di rimando.

“Sono sicura che vi rincontrerete.” disse sicura Raquel, che fermamente credeva nella vita dopo la morte. Vanessa sorrise malinconica.

“Anche io.” sussurrò, poi cambiò espressione. “Ascoltami attentamente, ora. Apri quel cassetto.” le disse poi, facendo cenno al comodino accanto al letto. Raquel obbedì senza rimostranze: conosceva bene quel tono di voce che non ammetteva obbiezioni. “Prendi quella collana.” e Raquel estrasse una lunga catena argentata con appeso un vistoso crocefisso d'epoca. “Dalla a tua figlia minore, Iris. Le appartiene.”

Raquel sapeva che qualsiasi lamentela sarebbe stata soffocata, ma c'erano davvero troppe domande che avrebbe voluto porle. Si stava comportando in maniera insensata. Anche se non aveva nessuno a cui dare in eredità quel gioiello, perché proprio Iris? Non l'aveva nemmeno mai incontrata. Ma quando aprì bocca, lei era pronta con un argomento molto più interessante, che la fece subito distrarre.

“Sei sempre stata la migliore del corso, Raquel. Ed anche l'unica che sarebbe potuta volare da Madrid fino a qui su mia richiesta.” Raquel arrossì e si gonfiò di orgoglio. Un complimento arrivato con vent'anni di ritardo, certo, ma pur sempre il migliore che avesse mai ricevuto, e dalla persona più competente che conosceva.

“Se sono stata severa con te, è stato soltanto perché volevo sentire la Foscarina un'ultima volta, quando sarebbe arrivato il momento.” confessò commossa. “E tu sei l'unica che può eseguirla alla perfezione.”

Raquel si sciolse nell'autocompiacimento, pur esitando ancora un po'. “Non prendo in mano il violino da...”

“Non importa. Te la ricordi.” tagliò corto Vanessa. “Sotto il letto...” E Raquel vide sbucare il manico del violino di Vanessa, sempre lo stesso. Se lo ricordava molto bene, era graffiato e vissuto ed un po' glielo invidiava, rispetto al suo che era nuovo e lucido, perché aveva una storia dietro.

Se lo appoggiò sulla spalla in un movimento abituale. Ci mise alcuni secondi a trovare la posizione, poi incominciò a suonare, e Vanessa si perse tra le note.

Chiuse gli occhi e tornò a rivivere la sua vita e mezza con lui. Roman. Athos. E poi ancora prima, a quando erano soltanto due anime che si amavano, si odiavano, si lasciavano, si riprendevano, si dividevano, si rincorrevano. E poi sorrise pensando al futuro, a quante vite ancora avevano davanti, quante possibilità di rincontrarsi, di amarsi di nuovo.

Appoggiò una mano sul ginocchio di Raquel, estasiata dalla precisione con la quale le note danzavano sulle corde del violino, e su quelle del suo cuore.

 

 

 

“Milady!” esclamò Liz, accorrendo.

Si sarebbe accasciata sul pavimento come un sacco vuoto non appena Athos aveva richiuso la porta, se la giovane non l'avesse sorretta prontamente.

Cercò di tenerla in piedi, ma il suo peso la costrinse ad inginocchiarsi a terra per accompagnarla nella caduta, adagiandole delicatamente la schiena e reggendole la testa con il braccio. “Ve l'avevo detto che non avreste retto...”

Milady sorrise debolmente, tentando di tenere gli occhi aperti. Le gocce di sudore che le cadevano dalla fronte, rivelavano un pesante ma credibile trucco volto a mascherare il pallore del suo volto. Liz le accarezzò una guancia teneramente, guardandola preoccupata. “Perché non glielo avete detto?” domandò poi con un fil di voce, trattenendo le lacrime.

Milady sollevò una mano debolmente e ricambiò la tenera carezza, sorridendole nel modo che solo lei sapeva fare: in quella maniera che faceva sentire la rossa ingenua e sempre un passo indietro rispetto alla sua mentore.

“Ti auguro di innamorarti, un giorno.” le disse con voce roca. Si mise una mano sul fianco e fece una smorfia di dolore, contorcendosi un po'. Diede qualche colpo di tosse. Liz scosse la sua lunga chioma rossa: sul suo viso non c'era più nemmeno il fantasma dell'espressione che Athos le aveva attribuito quando l'aveva incontrata a Londra. Sembrava soltanto una ragazzina spaventata.

“Lui vi sarebbe stato accanto.” insistette, impossibile per lei accettare una cosa simile.

“Avrebbe sofferto molto di più.” tagliò corto Milady, stanca, cercando poi di alzarsi con l'aiuto della ragazza. Si premette una mano sul fianco, strizzando gli occhi e sibilando tra i denti stretti, poi prese la mano di Liz e la guardò impietosita. Sempre un passo avanti.

“Facciamolo ora.” disse annuendo.

La ragazza scosse il capo, agitata. “N-No... Non posso, è troppo... Troppo presto...” balbettò, non riuscendo a trattenere il magone. Iniziò a lacrimare copiosamente. Milady le posò nuovamente la mano sulla guancia, cullandola.

“Avevi promesso che non avresti pianto per me.” le ricordò dolce ma severa. “Comportati come una vera donna. Fallo per me.” deglutì e le sorrise debolmente, poi fece un passo indietro.

Tra lacrime e singhiozzi, Liz andò nella stanza adiacente. Tornò impugnando una pistola. Con la vista annebbiata ed il naso gocciolante, la caricò. “Milady...” squittiva ogni tanto, senza ricevere risposta.

Lei era lì, in mezzo alla stanza, immobile e bellissima, con una forza ferma e gli occhi chiusi. Soltanto quando Liz sollevò il braccio tremante, il suo respiro si fece un po' più affannoso, ma il suo sguardo restava determinato, fisso verso la morte.

“Digli che lo andrò a cercare.” disse, alzando la voce per sovrastare i singhiozzi spasmodici della ragazza. “Digli... che lo amerò per sempre.” attese ancora qualche secondo, poi le fece un cenno con la testa.

Un colpo risuonò nella casetta bianca, seguito da un urlo di frustrazione.

La mano di Milady aperta sul pavimento rivelava il guanto che aveva stretto a sé fino all'ultimo. Liz si fiondò sul suo cadavere; i suoi vestiti si impregnarono di sangue, colorandosi della stessa tinta dei suoi capelli.

Negli occhi spalancati di Milady leggeva un'ironica voglia di vivere che sembrava prenderla in giro, in un ultimo scherno, dimostrandole ancora una volta di essere sempre un passo avanti rispetto al mondo.  

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Musketeers / Vai alla pagina dell'autore: AnyaTheThief