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Autore: Aerius    19/06/2016    1 recensioni
«Sicuro di non volere quel thè? E’ ottimo, te lo garantisco. E’ ancora lì ed è ancora l’ora del thè.
Il tempo non lineare ti mette a disagio? Lo spazio non dimensionalmente riconoscibile ti spaventa? L’esistenza su un differente livello scombussola le tue percezioni e pompa ancora più paura nella tua debole e limitata forma fisica?
Forse queste cose sono le uniche di non devi preoccuparti, in questo momento.»

[ Prima storia che pubblico nella sezione! A tutti dò un caloroso saluto ed auguro buona lettura! ]
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 La paura…
 Cos’è davvero, la paura? Quel sentimento in grado di prenderti il cuore e lo stomaco e l’intestino e stritolarli come fossero mere spugne senza significato facendoti desiderare talvolta di non averli nemmeno nel corpo?
 Quella sensazione di gelo che annienta ogni percezione esterna, che ti blocca il respiro?
 
 La paura…
 Alcuni dicono che sia semplice istinto di sopravvivenza, un allarme biologico che scatta, con uno schiocco di dita, quando qualcosa che temi ti sta minacciando. E allora, reagisci.
 Alcuni dicono invece che è qualcosa di più profondo, primordiale, che proviene dalle profondità recondite della tua anima e quindi ti pervade, come un cancro improvviso e senza alcun preavviso. Non puoi spiegarlo e quindi non puoi combatterlo. Quindi perché farlo, perché combattere?
 Soccombi, e fa silenzio.
 
 Stupidi. Nessuno di loro sa nulla. Insulse scimmie rosa che rotolano nel fango.
 Desideri del thè? No? E’ ottimo e, oh, guarda caso, è l’ora del thè.
 Thè inglese, of course. Potrei ritenermi offeso per la richiesta di precisazione.
 Non ne vuoi una tazza? E’ qui, se la desideri. Dove eravamo rimasti?
 
 Ah già. La paura. Dunque, come fa qualcosa di così astratto ad avere così tanto potere sugli uomini e sulle loro menti? Come fa qualcosa di tanto indefinito e multiforme imporsi in questo modo su di loro?
 Qualcuno potrebbe persino pensare – me, ad esempio – guardandoli da qui, dall’alto, che siano ormai sufficientemente evoluti da superare un simile concetto, da lasciarselo finalmente alle spalle. E invece… siete sempre lì.
 Non capisco se sia determinazione o testardaggine… il confine è sottile. Forse siete semplicemente più limitati di quel che pensassi.
 Forse avete trovato un buon uso della paura, ho pensato. Come quel campanello d’allarme di cui parlavo, che vi avvisi con efficienza della minaccia senza tutta quella inutile serie di svantaggi…
 …No? Errore mio.
 Dunque… da dove iniziamo? Dal passato, dici?
 Oh, che meraviglia queste creature dalla vita così lineare! Perdona l’entusiasmo, è da molto che non mi capita!
 Dicevo… dal passato, quindi… come questo?
 
 Due dita sfiorarono i filamenti di cui era composta l’anima dell’uomo, ne sfiorarono la tessitura e i fili che la componevano come se stesse suonando un liuto o toccando una stoffa pregiata. Poi fra le migliaia di filamenti luminosi brillanti come fuoco e luce ne tirò uno, con delicatezza.
 La creatura sorrise mentre l’anima dell’uomo rivelava i suoi segreti.
° ° °
 La porta che non era una porta si chiuse alle sue spalle, con un rumore secco di risucchio d’aria che per un istante lo lasciò senza fiato. Ma era ancora vivo e ancora respirava. La porta che non era una porta alle sue spalle rise mentre gli indicava la pianura vuota davanti a sé. Sabbia e roccia si allungavano fin dove la sua vista poteva vedere, un cielo nero e punteggiato di stelle faceva da soffitto, con una prospettiva tale da sembrare tuttavia troppo vicino per essere un vero cielo. Ma se allungava una mano verso l’alto, questo sembrava allontanarsi.
 Sull’orizzonte, il cielo sfumava in un piacevole rosso e rosa, in quello che sembrava un tramonto il cui sole era ormai già scomparso sotto la linea del deserto di sabbia grigia.
 Le dune erano piatte, ma agli occhi dell’uomo parevano muoversi leggermente, come se la sabbia fosse liquida, una sorta di lento e greve mare che ondeggiava e gli dava l’impressione di essere terribilmente sbilanciato. Eppure era saldo sui suoi piedi.
 La porta che non era una porta rise.
 «Hai avuto ciò che volevi. Ora va’ e cercala. Se sarai fortunato, non la troverai.»
 L’uomo mise una sigaretta fra le labbra quindi prese un accendino metallico ed accese la fiamma che illuminò l’estremità della sigaretta e parzialmente il suo viso.
 «Abbiamo diversi concetti di fortuna, evidentemente.» rispose, seccamente.
 «No, per niente.» rispose la porta che non era una porta, divertita.
 L’uomo sbuffò, insofferente, scoccando un’occhiata irritata, poi si incamminò nel deserto.
°°°
 Adorabile! Adorabile!
 E quanta paura! Quanto terrore! Potrei nutrire una mia nidiata per anni, con la paura contenuta in questo frammento… ma ce ne è di più, non è vero? Ne sei ricolmo, dalla punta di quelle curiose estremità chiamate “piedi” fino all’apice della tua curiosa peluria bianca.
 Dici di non averne. Menti sapendo di mentire.
 Così drammaticamente… umano. Anche ora straripi di terrore, ti paralizza, non controlli il tuo corpo, i tuoi muscoli… fra poco non controllerai nemmeno le tue viscere.
 Andiamo più a fondo, vuoi? Oh, lo so che non vuoi. E’ una domanda retorica. Non dovrei parlare così tanto, la mia genitrice di nidiata mi diceva sempre di non giocare con il cibo.
 
 Sicuro di non volere quel thè? E’ ottimo, te lo garantisco. E’ ancora lì ed è ancora l’ora del thè.
 Il tempo non lineare ti mette a disagio? Lo spazio non dimensionalmente riconoscibile ti spaventa? L’esistenza su un differente livello scombussola le tue percezioni e pompa ancora più paura nella tua debole e limitata forma fisica?
 Forse queste cose sono le uniche di non devi preoccuparti, in questo momento.
 
 La mancanza di una sicurezza impaurisce gli umani. Se ad un uomo dai la sicurezza della morte, non ha paura. Non ha mai paura. Forse all’inizio, ma la rassegnazione e la disperazione non sono paura. Il vero terrore deriva dalla confusione, dall’ignoranza, dall’indeterminazione.
 Sei mai stato così?
 
 Il filamento di anima venne rilasciato e con inesorabile e faticosa lentezza tornò al suo posto in quella che era la tessitura dello spirito dell’uomo. La creatura emise un gorgoglìo riconducibile forse ad una risata, poi flesse le dita da cui fuoriuscì un lungo ed acuminato artiglio che fece roteare un istante, prima di infilzare il petto dell’uomo, che emise un grido di dolore.
 Tuttavia non uscì sangue dalla ferita, il petto non riportava alcun taglio. L’anima tuttavia era stata malamente penetrata e l’artiglio ora sfogliava i fili più lontani e distanti…
°°°
 «Non è possibile. Tutte le volte.» ringhiava l’uomo, uscendo dalla macchina e sbattendo forte la portiera «Tutte le volte! Non puoi semplicemente essere felice e basta?!»
 Ancora nell’automobile, la donna dai lunghi e vaporosi capelli biondi sorrise velenosa per poi a sua volta aprire la porta della macchina e uscire con assoluta calma e compostezza «Mph, non sono mai stata una che si accontenta, caro. Tu sei quello senza ambizione fra noi.»
 «C’è differenza fra ambizione ed essere solo stronzi!» ringhiò di rimando l’uomo, muovendo passi rabbiosi nel cortile, come a voler sfogare una rabbia che tuttavia non trovava via d’uscita «Hai praticamente sottointeso che Karen fosse una decerebrata solo perché non ha il fegato di chiedere un aumento di stipendio ed una promozione ed hai detto più o meno in faccia a Jim che è un fallito perché ha perso un singolo appalto quando negli ultimi quattro anni è stato l’agente più efficiente dell’azienda!»
 «Mh, tre anni.» corresse la donna, con una smorfia di superiorità «Poco dopo che me ne andai io, quando capii che il mio capo era un idiota senza cervello.»
 «Un idiota senza cervello che ti ha sostenuta per tutti gli anni prima, che ti ha aiutata e guidata come un padre!» replicò, ringhiando di frustrazione «E che tu hai scavalcato per avere una promozione direttamente alla sede centrale!» aggiunse, in uno scatto d’ira.
 Poi… un sospiro rassegnato, l’uomo si passò una mano sul viso «Tutte le volte, Judy. Tutte le volte che si parla di lavoro tu diventi una… iena.»
 La donna fece una smorfia di fastidio «Che gentile. Un vero galantuomo.»
 «Taci.» ringhiò irritato «Per una volta nella tua vita, taci. Basta così. Mi sono stancato.»
 La donna ebbe un breve tremito dell’occhio, come un tic «Mph, per quale motivo pensi ti abbia sposato? Perché sei intelligente e brillante? Avevi solo un bel culo.»
 L’uomo le rivolse un’occhiata di sconcerto, come se fosse pazza.
 «E tu hai fatto esattamente lo stesso con me.» aggiunse la donna, ma la frase venne bruscamente interrotta quando un manrovescio dell’uomo le fece voltare di scatto il viso di lato.
 Tremante di rabbia, l’uomo abbassò la mano anch’essa scossa da tremiti. Quindi la riabbassò e la indicò con un dito teso verso il viso.
 «Domani mattina. Tu ed io. Avvocato.» sillabò, talmente irato da faticare a trovare le parole giuste «Divorzio.» rimontò in macchina, accendendo il motore. La donna continuò a guardarlo con espressione scioccata mentre l’uomo abbassava il finestrino e le diceva «E tieniti quella casa di merda. Non me ne faccio niente.» mentre dava gas e si allontanava.
°°°
 Rabbia. Genuina e pulsante, ma permeata di paura.
 Come dici? Sono un po’ troppo fissato?
 Tu invece tendi a nasconderti dietro il sarcasmo per non affrontare la paura che ti attanaglia, il terrore che ti dilania.
 Sei in trappola, non hai niente, non ti è rimasto niente. Tutta la tua rabbia, tutta la tua furia e la tua forza… non te ne fai niente. Quel che ti rimane cos’è?
 Proiettili?
 
 Sai, dovresti proprio assaggiare quel the. E’ l’ultima cosa buona che vedrai, dovresti godertela. Sei davvero sicuro?
 Va bene. Però smettila di agitarti, mi rende difficile finire di analizzarti come dovrei… potrei sbagliare e tagliarti via qualche parte importante del suo spirito. Sarebbe un peccato sprecarlo in questo modo. Ad esempio, ora il mio artiglio sta esattamente al centro della quarta tessitura armonica spirituale. Se lo torco un pochino…
 Senti che polmoni! Il tuo urlo di dolore ha quasi trapassato le barriere dimensionali che ho innalzato!
 Il dolore dell’anima è quanto di più terribile esista. Chi lo prova ne diventa poi spaventato a vita. Tu lo senti quel terrore? Lo percepisci? Ora è svanito… ma può tornare in ogni momento.
 
 Il the si sta raffreddando.
 Ed anche tu.
 
 Con un sorriso sadico sul viso deforme, la creatura torse l’artiglio con cui stava perforando il petto dell’uomo. L’anima può essere ferita, ma ciò che ne scaturisce non è dolore: è qualcosa di più, è un intimo disagio che pervade ogni fibra dell’essere, un pericolo che scorgi con la coda dell’occhio ed è sempre lì, onnipresente, ti guarda e ti sovrasta.
 La creatura gorgogliò di piacere, come delle fusa di gatto orribilmente contorte e mostruose. Lento, l’artiglio girò nel petto dell’uomo come una chiave d’osso in una serratura di carne. Come un nastro, l’anima si svolse e immagini e suoni e luci uscirono da essa.
°°°
 Il corridoio bianco era ricolmo di gente, altrettanto bianca. Le pareti erano talmente uniformi che faticava a trovare un senso in quel posto. Le pareti erano bianche, le porte erano bianche, e così anche i pavimenti e i soffitti.
 I medici che passavano, in camice bianco con talvolta pantaloni neri o grigio chiaro, le infermiere anch’esse bianche nelle loro uniformi e bianchi erano i pazienti che passavano, pallidi in viso e con vestaglie bianche o ridicoli ed umilianti vestiti di carta bianca che lasciavano scoperta metà schiena e il sedere.
 Se una cosa non era bianca, era color metallo lucido, che rifletteva il bianco intorno, come la struttura dei letti, delle strumentazioni o delle flebo che venivano lentamente trasportate come croci dai loro possessori in una marcia altrettanto maledetta, verso l’uscita da quel purgatorio o la morte.
 L’uomo percorse l’intero corridoio fino ad una stanza segnata dal numero 173 accanto ad essa, con all’interno un singolo letto, un dottore e due infermiere che controllavano diverse strumentazioni, schermi colorati che per lui non avevano alcun significato. L’unica cosa che gli importava era la persona distesa su quel letto.
 Nonostante il pallore della malattia, la donna che giaceva sul letto d’ospedale aveva una bella pelle color miele e lunghi capelli neri, lisci e lucidi. Il viso era sereno, ma rassegnato, e gli occhi, una volta di un brillante color verde, ora erano spenti e stanchi.
 Ignorando il dottore e le infermiere, l’uomo si sedette sul letto accanto alla donna prendendo una mano fra le sue. Era terribilmente magra e debole, temeva di romperla se l’avrebbe stretta troppo.
 «Come va?» chiese la donna, con voce debole e gracchiante. Sul viso pallido vi era un sorriso triste e stanco.
 L’uomo si sforzò di sorridere sebbene volesse piangere «Dovrei essere io a chiederlo a te.»
 «Sai benissimo come sto.» replicò la donna, con tono falsamente irato. La mano ebbe un fremito, come se lei volesse stringere quella dell’uomo… ma fu un gesto inutile «Hai pagato le bollette? Da solo non sei nemmeno in grado di cucinarti un pranzo precotto…»
 La donna tossì. Fu un gesto improvviso, violento, colpi di tosse che la piegarono in due come un fuscello in procinto di spezzarsi con niente. L’uomo si sforzò di restare calmo, di non agitarsi. Era già successo. Ne sarebbe uscita, ancora una volta, per tornare con lui.
 «Per questo devi guarire in fretta.» disse lui, forzando un sorriso che sapeva essere falso. Aveva visto i dossier sulla sua malattia «Così tornerai a casa e… tutto sarà come prima…»
 Lei scosse il capo, lentamente e con pena e fatica «Non stavolta… Questa è l’ultima, quindi ti prego, ascoltami…»
 Ma l’uomo stava già voltando il capo, incapace di udire quella verità. La mano tremava, pareva la sua quella più debole e non quella della donna.
 «Devi ascoltarmi, potrei non avere più tempo…»
 «Avrai tutto il tempo che ti serve.» replicò invece lui, con gli occhi lucidi «Lo giuro, tutto il tempo. Uscirai da questo posto, e…»
 «Signor Walker, mi scusi.» disse una voce alle sue spalle. Si voltò, vedendo il dottore dietro di lui, un individuo alto e con lunghi capelli biondi fino alle spalle. Aveva un paio di occhiali sul naso e fra le mani reggeva un fascicolo «Devo parlarle con urgenza.»
°°°
 …Oh no. Oh nononononono, mio caro.
 Tu non mi butti fuori adesso.
 E’ tutto troppo succulento, un dolore ed una paura che pochi hanno provato. E fra quei pochi, quasi tutti ne sono stati sconfitti. Tu no. Quanta paura sei in grado di reggere?
 Forse devo agire con un po’ più di serietà. Fino ad ora ti ho trattato come un misero giochino con cui passare il tempo, prima di divorarti e basta. Ma forse sei più interessante di quanto immaginassi.
 
 Quel the è sempre lì. E il fumo sta svanendo. Non vorrai farlo raffreddare, vero? Dovresti davvero berlo.
 Andiamo avanti.
 
 La creatura era indispettita e i suoi gesti più convulsi e impulsivi. Tormentava l’anima dell’uomo ora senza la logica e fredda curiosità di poco prima. Alzò un altro dei suoi numerosi e sottili arti, ed una mano con un singolo dito da cui uscì un altro lungo artiglio che venne infisso con un movimento scattante come quello di un insetto nel costato dell’uomo.
 Un altro urlo di dolore dal sapore delizioso per la creatura sventrò l’aria.
°°°
 Un uomo ed una ragazzina imprigionata da catene di ombra che le perforavano il corpicino si fronteggiavano.
Le pistole dell’uomo erano brillanti di potere, sfolgoranti di luce. Una era bassa lungo il fianco, l’altra alta e puntata alla propria testa, la mano ferma sul grilletto, pronto a premerlo in ogni momento.
 Dietro gli occhiali neri che portava sul viso, gli occhi sfolgoravano di un brillante color virice.
 La ragazzina bloccata da catene di ombra, tenebre incubi e corruzione aveva un’espressione determinata su un viso troppo adulto per una creatura della sua età. Il suo corpo portava su di esso numerose ferite sebbene nessuna di esse sanguinasse.
 «Non farlo.» disse l’uomo, la voce ferma incrinata dalla paura. La sua pistola fece risuonare il ‘click’ di un proiettile pronto in canna.
°°°
 No, non è questo che voglio! Non mi interessa.
 Odio il tempo lineare di voi umani. Troppo limitante. Andiamo oltre.
 Piantala di agitarti, ho detto! Non gradiresti invece un buon the?
 
 Che scurrile. E decisamente maleducato, per essere un pasto.
 Forse dovrei davvero farlo soffrire un po’.
°°°
 La casa del mostro era ormai deserta, sfasciata dalla lotta appena avvenuta. Il piano terra era devastato, il pavimento sventrato, le finestre solo pallidi ricordi di quello che erano prima che una forza formidabile le sfondasse. E il piano superiore non era messo meglio, il tetto era crollato su sé stesso e ciò che rimaneva dei splendidi interni in legno erano trucioli e schegge.
 L’uomo si appoggiò stancamente ad una delle colonne del cancello d’ingresso di metallo, piegato su sé stesso, ridotto ad un mero cartoccio di ferro.
 Da una tasca dell’impermeabile grigio, estrasse un cellulare, compose un numero e lo portò ad un orecchio, tergendosi la goccia di sangue che scendeva dalla fronte.
 «Si?» chiese la voce dall’altra parte del telefono.
 «Red?» chiese l’uomo, con il respiro affannato. Fu sicuro di aver udito le labbra della donna piegarsi in un sorriso.
 «E’ morto. E la tua squadra si è presa il corpo.»
 «Eccellente. Il compenso verrà versato sul tuo conto.» fu la risposta secca e seria, senza alcuna inflessione di tono «Ti conviene sparire da lì. Fra poco arriverà la polizia.»
 «Come se fossero loro il problema.» rispose annoiata Red «Diffida dalla Lancia Alata. E’ l’unico consiglio gratuito che avrai da me.»
 La chiamata venne chiusa bruscamente. L’uomo si prese un sigaretta e la accese con calma, per poi gettare il cellulare nel tombino lì accanto e sparire nei vicoli.
°°°
 E’ davvero frustrante quando non trovi ciò che vuoi. Io ad esempio vorrei trovare solo un buon pasto, è chiedere troppo? Non è colpa mia se sono nato con l’insaziabile desiderio di divorare la paura nell’anima. Non è colpa mia se è una variabile fondamentale del vostro debole spirito e senza è peggio che essere morti.
 Che ve ne fate poi? Ma senza di essa dicono che siete morti o peggio che morti.
 Nient’altro che cadaveri. Non avete creature simili sul vostro mondo? Dicono che siano persino molto propensi a trattare con noi.
 A me non interessano. Solo rimasugli insignificanti di ciò che erano, meri gusci senza sostanza. Tu invece ne hai molta, di sostanza… un ripieno di disperazione, rassegnazione e odio, con una leggera sfumatura di gentilezza in procinto di essere schiacciata.
 Adorabile. Lo vuoi un the, mio caro?
°°°
 L’uomo correva nel deserto grigio, con la sabbia che scorreva attorno a lui in dune mobili che ondeggiavano come un mare.
 Correva da ore ormai, con il cielo stellato invariato sopra la sua testa e il tramonto perenne di fronte agli occhi, inalterato. E alle sue spalle, il profilo immenso e potente della porta che non era una porta. Sempre lì. Non si era allontanata di un passo, sebbene lui corresse da ore.
 Alle sue spalle, essa ancora rideva, divertita dai tentativi del piccolo uomo che annaspava nella sabbia.
 «Desisti.» gli disse «E’ inutile. E’ un desiderio inutile.»
 L’uomo cadde in ginocchio, prostrato da ore di corsa interminabile e senza alcun tipo di risultato. Ma i muscoli… non erano davvero stanchi. E il fiatone… non era nemmeno sicuro che stesse respirando in quel momento.
 Per un istante, a questa realizzazione, gli si mozzò il respiro. Ma come poteva finire qualcosa che non era nemmeno sicuro fosse mai iniziato?
 La porta che non era una porta allungò un artiglio verso la sua anima.
°°°
 …Come?
 Che vuol dire questo?
 Io non…
 Un artiglio?
°°°
 L’anima dell’uomo venne perforata, la tessitura di ciò che era, è e sarà venne dipanata di fronte alla porta che non è una porta, in un luogo dove il tempo è davvero relativo e lo spazio occupato infinito e nullo allo stesso tempo.
°°°
 «Signor Walker…» iniziò a dire il medico, con voce grave e stanca. Si tolse gli occhiali da vista, gesto che lo fece un po’ più umano ai suoi occhi, passandosi una mano sul viso «La situazione è grave. Terribilmente grave. Non crediamo supererà la notte.»
 L’uomo scosse il capo come a voler negare qualcosa che in cuor suo in realtà già sapeva.
 «No. No. Lei me l’ha promesso. Ce la farà. Guarirà.» il tono forzatamente rassicurato della voce indicava quanto in realtà se ne rendesse conto.
 Anche lui lo aveva notato, anche lui sapeva.
 Non sarebbe vissuta a lungo, ma non era una cosa a cui voleva pensare, la rigettava come un bimbo rigetta un cibo che non gli piace, aspro e amaro. Si voltava dall’altra parte, resistendo a quel richiamo dalla realtà.
 La realtà che sua moglie sarebbe morta.
 La realtà che sarebbe rimasto solo.
 La realtà che non avrebbe più udito il suono della sua voce, il rumore dei suoi passi, il suo tocco gentile, non avrebbe più ammirato i suoi occhi né sentito su di sé i suoi sguardi curiosi e allo stesso tempo divertiti.
 La realtà che… non voleva assolutamente vivere.
 «Signor Walker, sua moglie è grave e questo è già il terzo ricovero che fa per la stessa malattia.»
 La realtà che voleva cambiare.
 La realtà che lo stava sigillando in un inferno più reale dell’inferno stesso.
 La realtà che era solo ciò che lui le permetteva di essere.
 «E inoltre, signor Walker… c’è anche l’altro problema. Lei sa di cosa sto parlando, vero?»
 L’uomo si voltò, un gesto apparentemente lento, ma… anche tutto il resto era lento quanto lui. Ora il medico era forse persino meno reale di prima, il blocchetto di fogli che teneva fra le mani solo un inutile giocattolo, così come quello strumento insulso che usava per scrivere.
 Le pareti di quel luogo sembravano carta velina tanto erano sottili e le luci al neon che brillavano sul soffitto trasparente nient’altro che grandi occhi di una creatura che stava osservando ogni sua mossa.
 E attendeva.
°°°
 Oh no, mio caro. Non ci provare nemmeno.
 So cosa vuoi fare. So cosa tenti di fare. Lo fate tutti, ad un certo punto del pranzo. Credo che sia davvero ora che tu beva il tuo the.
°°°
 Ed essa era la porta che non era una porta.
°°°
 Cosa?! No!
 Non è affatto vero! Bevi il tuo the, andiamo!
°°°
 Ed oltre ad essa c’era ciò che cercava.
 Poiché lui fino ad ora aveva cercato in un deserto grigio e nebuloso, sotto un cielo stellato, ma nero, cercando di raggiungere un sole che era ormai già tramontato, cercando di percorrere miglia che in verità aveva già percorso.
 E non si era accorto che la porta che non era una porta era sempre lì, ad osservarlo, a guardarlo, a sezionarne l’anima e i petali che la componevano in un gioco perverso di cui solo lei conosceva davvero le regole.
°°°
 Con un sospiro, l’uomo si rassettò con un gesto distratto l’impermeabile che portava addosso, lungo e bluastro.
 Infine, si voltò verso la porta che non era una porta.
 E vide sé stesso, seduto su una sedia, in una sala d’aspetto di un ospedale dai muri bianchi. Vide sé stesso, a mani giunte, con il capo chino, piangere lacrime silenziose mentre attorno a lui passavano infermiere, medici e pazienti, senza degnarlo di una sola occhiata.
 Un uomo disperato, lasciato a sé stesso e alla sua disperazione.
 Poi si voltò dietro di sé, e la porta che non era una porta era anche lì, ma ora aveva l’aspetto della creatura, del mostro, che fino ad ora lo aveva torturato, una creatura gigantesca dalle mille bocche e dai mille occhi, dal corpo deforme e chitinoso, con tentacoli che si agitavano sopra e su di lui.
 Poi quella creatura da incubo iniziò a rimpicciolirsi, sempre di più. Le zampe rientrarono, le lunghe braccia da insetto sparirono, gli occhi iniziarono a diminuire, le bocche a chiudersi… fino a che, di fronte a lui, comparve una piccola bimba dalla pelle chiara e lunghi capelli neri fino alla schiena. Gli occhi erano di un bel verde acceso, come quelli di sua madre da giovane.
 Aveva addosso un pigiama rosso ed un’espressione vispa e allegra.
 «Tu chi sei?» le chiese l’uomo, mentre sentiva in sé un curioso distacco da tutto ciò che era prima, da tutto ciò che provava prima. Se prima era dolore, adesso era… pace.
 «Io sono la tua paura.»
 L’uomo fece un lieve sospiro mentre i suoi occhi cercavano di esplorare lo spazio che non era uno spazio dove i due al momento stavano conversando.
 «Non capisco.» ammise, confuso da quelle parole.
 La bimba sorrise, un sorriso stranamente adulto e maturo per una ragazzina simile, ed osservò l’uomo con assoluta compassione.
 «Mi rifiuti e mi rigetti di continuo. Sei giunto ad auto lesionare te stesso per questo, pur di non accettarmi, eri talmente spaventato da me da vedermi come un… mostro. Orribile, gigantesco, invincibile, in grado di colpirti direttamente alla tua anima, di squarciarla ed aprirla.»
 L’uomo rimase sorpreso da quelle parole. Cosa mai poteva temere da una bambina così piccola che a stento gli arrivava alla vita? Forse parlava in modo un po’ troppo diretto e adulto, ma…
 «Signor Walker, mi scusi…» «Non adesso.»
 …ma sicuramente non aveva nulla da temere da lei.
 «Allora, pur di combattermi e rigettarmi, mi hai usata. Anche se indirettamente, hai concentrato questa tua paura sulla tua vita, sulle tue esperienze, sui tuoi trascorsi.»
 Tutti i momenti che l’uomo aveva trascorso, tutti gli eventi che quella creatura gli aveva fatto rivivere… tutta opera di sé stesso? Un male che si è auto inflitto?
 «Non so cosa stessi cercando.» ammise la bambina, con espressione dispiaciuta «D’altronde, chi sa cosa cerca un uomo spaventato? Forse un motivo per non avere più paura. Non lo so.»
 «Perché il the?» chiese invece l’uomo, ricordando quel particolare. The e ancora the.
 Per un istante, il sorriso della bimba divenne un ghigno, in cui i denti si appuntirono e gli occhi divennero neri come pozzi bui. Poi tornò tutto normale, come se nulla fosse accaduto, sebbene per un istante l’uomo fu convinto che la lingua della bimba fosse biforcuta. Solo per un istante.
 «Perché fu l’ultima cosa che Judy ti offrì prima del divorzio.» replicò la bimba, con voce dura e seria «Appena prima di spogliarti di ogni tuo avere.»
 L’uomo all’inizio non capì. Poi emise una mezza risata e sorrise tristemente, avendo capito.
 «Quindi ora che accade?» chiese, cupo in viso.
 «Ora devi capire. E devi passare finalmente la porta che non è una porta.»
 «Signor Walker, per favore, è necessario che lei mi ascolti…»
 «Non adesso, non vedete che…»
°°°
 «…sono impegnato?»
 Il medico lo guardò con un misto con confusione e preoccupazione.
 L’uomo di fronte a lui non stava facendo nulla, semplicemente era seduto su una delle sedie della sala d’attesa, con la testa china fra le mani. Ed ora si era rivolto a lui con rabbia, come se avesse interrotto qualcosa di vitale.
 «Signor Walker…» iniziò cauto il dottore «…io credo che… abbia bisogno di aiuto psichiatrico…» disse con infinita esitazione.
 L’uomo lo fissò senza parlare per diversi momenti, poi sospirò e guardò davanti a sé, verso la porta numero 173. Al suo interno, vedeva il letto dove giaceva sua moglie in stato di coma ormai da tre ore. Era stata attaccata a diverse macchine, una per il respiro, una per il cuore, una per i polmoni, un catetere…
 «No, sto… sto bene.»
 «No, lei non sta bene.» disse invece il medico, sedendosi accanto a lui con il fascicolo in mano «E mi dispiace davvero, ma… ci serve la vostra autorizzazione a procedere.»
 «Staccare la spina, dite?» l’uomo alzò gli occhi, rossi di pianto ma nascosti ora da occhiali neri «Non so se ne sono in grado.»
 Il medico si morse il labbro «Veramente… il testamento di sua moglie parla chiaro. Possiamo, anzi, dobbiamo staccare anche senza il suo consenso. Il problema è un altro.»
 L’uomo mostrò un’espressione di rabbia per un istante, ma non disse nulla, quindi il medico proseguì «Abbiamo cercato di informarla nei giorni scorsi, ma lei ha… evitato ogni contatto con noi. Sono desolato di dirlo adesso, ma non sappiamo davvero come agire.»
 «Dottore, ma di che diavolo sta parlando?» rantolò l’uomo, infastidito da quelle chiacchere.
 Il dottore arretrò appena, abbassando la voce «Signor Walker… sua moglie è incinta.»
 
 Fu esattamente come la creatura d’incubo gli descrisse: il tempo divenne non lineare, lo spazio privo di senso, l’anima dilaniata da quella terrificante comprensione, da quella verità assolutamente non concepibile.
 Chiunque altro, in qualsiasi altro momento e situazione, sarebbe stato entusiasta, un motivo di gioia e giubilo.
 Ma per lui? Il respiro si mozzò, proprio come se qualcuno gli avesse piantato un artiglio nel petto. Ma non aveva alcuna ferita.
 Per un istante, fu come se la morte fosse su di lui, visse quel momento in cui la sua vita iniziò a scorrergli davanti agli occhi, non tanto per riviverla, ma per cercare qualcosa… qualsiasi cosa a cui aggrapparsi per non soccombere a quella rivelazione.
 Ma non c’era niente. Senza di lei, senza la donna che ora stava lentamente morendo di fronte ai suoi occhi, senza ciò che portava in grembo, quella speranza di una nuova vita condivisa, che rimaneva?
 Un deserto di sabbia grigia, immerso un perenne crepuscolo, dove le dune si muovevano lentamente, come onde.
 «La porta che non è una porta… puoi varcarla, ora.» gli disse una voce. Davanti a lui era ricomparsa quella piccola bimba dai lunghi capelli neri e con il pigiama addosso.
 L’uomo cadde in ginocchio, il viso distorto in un’espressione addolorata mentre la sabbia grigia del deserto scorreva lungo le gambe. La guardò disperato, con lacrime a rigargli il viso che scendevano lungo le guance. Le mani si abbassarono a toccare la sabbia, arida e incolore. Strinse i denti e gli occhi, incapace di frenare un tremito crescente al corpo.
 «No. No. Non voglio. Non così. Non in questo modo.» singhiozzò, stringendo nella mano un pugno di quella sabbia «A che scopo? Perché mai?! A quale prezzo?!»
 Rialzò gli occhi verso la bambina, sempre sorridente con una brezza leggera che le sollevava i capelli «Tu?! Tu e lei siete state il prezzo?! Perché varcassi questa fantomatica soglia?! Quale Dio permetterebbe una cosa del genere?! Perché dovrei dargli ascolto?!?»
 «O gli darai ascolto…» mormorò la bimba «…o sarà stato tutto inutile.»
 Poi, con un ultimo sospiro del vento, la figura della bimba divenne sabbia, che si unì a quel deserto mutevole. E infine la vide.
 Di fronte a lui, stagliata sul profilo dell’orizzonte, visibile al contrasto della luce del crepuscolo, una torre nera alta fin dove occhio poteva vedere, fino ad unirsi al cielo nero eppure stellato.
 L’uomo si rialzò in piedi, quindi da una tasca dell’impermeabile estrasse un paio di occhiali neri che calcò sul viso.
 Quindi compì un singolo passo in avanti.
 Fu come se, per un istante, lo spazio non esistesse e le distanze smisero di avere senso.
 Un passo, ed era di fronte alla torre nera, una torre composta da placche di metallo brunito sovrapposte l’una sopra l’altra, come le scaglie di un enorme drago, grandi da sole come immense pareti, creando una costruzione tanto larga quanta alta, ciclopica agli occhi di un piccolo uomo come lui.
 L’uomo chiuse gli occhi e fu come se la materia avesse perso il suo posto nell’esistenza. Tutto era puro pensiero. E come tale egli varcò il confine delimitato da quelle mura di metallo, spesse e invalicabili… ma che ora l’uomo aveva appena valicato.
 Poi riaprì gli occhi e vide un corridoio scavato nel metallo, sostenuto da enormi pilastri del medesimo materiale, alti fin dove l’occhio vedeva. A ciascun pilastro corrispondeva un incrocio che portava ad altri corridoi, ed altri ancora, all’infinito, tutti altissimi, tutti che si perdevano nell’oscurità sovrastante. Fiaccole bluastre erano accese a distanze precise, illuminando la via. E l’uomo vide che ogni pilastro di metallo, tutti, erano pieni di nomi, in ogni lingua possibile e inimmaginabile, in ogni idioma e alfabeto, alcuni persino sconosciuti, altri mai visti, altri del tutto alieni.
 C’era silenzio, nemmeno il fuoco bluastro crepitava, bruciando nell’assoluta mancanza di rumore.
 L’uomo iniziò a camminare seguendo il sentiero tracciato dalla luce blu. Accanto a lui passavano pilastri sempre più alti, grandi e imponenti, e man mano che il tempo scorreva la sua vista si abituava all’oscurità, così da capire che no… non erano corridoi. Semplicemente i pilastri che si innalzavano verso l’alto erano talmente mastodontici che il loro semplice perimetro dava l’impressione che fossero corridoi.
 Quella era nient’altro che una stanza enorme in cui i pilastri erano contenuti. E lui la stava percorrendo. Nient’altro.
 Non è possibile quantificare il tempo passato lì dentro, le ore diventarono giorni, i giorni settimane e le settimane mesi, anni, secoli… ma solo per tornare ad essere ore, minuti, secondi.
 Ebbe la sensazione di essere appena entrato quando giunse di fronte ad una colonna di metallo brunito. Era ricoperta di nomi, molti sconosciuti, la maggior parte ormai illeggibili, persi fra le pieghe del ferro scuro.
 In basso, a terra, c’era uno scalpello di metallo nero. L’uomo lo raccolse, era pesante, più di qualsiasi altro materiale abbia mai sentito.
 Si avvicinò alla colonna e con una fatica che sentiva più sua di qualsiasi altra cosa, iniziò lentamente ad incidere su di essa, lettera dopo lettera, con fatica, facendosi sanguinare le mani dolorosamente pur di incidere su essa. Lentamente il metallo ruvido e brunito venne inciso da due chiare parole che spiccavano per lui sopra tutte le altre.
 
Solomon Walker
 
 Si tirò indietro, osservando la sua opera. E in quell’istante, per un solo momento, fu come se tutto fosse a posto, come un puzzle che avesse solo in quel momento trovato l’ultimo tassello. Aveva perso tutto ciò che riteneva più caro al mondo e ancora sentiva un nodo stringente alla gola, una sensazione di disperazione incipiente.
 Ma allo stesso tempo, sentiva che doveva essere così. Era giusto che fosse così.
 «E’ questo ciò che fai, dunque…?» mormorò a quel luogo, lasciando cadere a terra lo scalpello, senza più forze. Il sangue gocciolò a terra dalle sue mani martoriate «Fai credere che sia tutto a posto. Che vada bene così.»
 Si guardò attorno, mentre attorno a lui la foresta di mastodontiche colonne di metallo iniziava a svanire in nebbia, lasciando al suo posto un lungo corridoio bianco. Sentì la rabbia che montava, unita alla disperazione più nera e alla tristezza più cupa.
 Accanto a lui il medico continuava ad osservarlo con espressione confusa.
 «Signor Walker?» domandò il medico, preoccupato «Signor Walker, cosa dobbiamo fare?»
 Solomon rimase in silenzio. Dietro gli occhiali neri, scivolò lungo la guancia l’ultima lacrima.
 Poi rispose.




Nota dell'Autore:
Buongiorno a tutti! E' la prima volta che scrivo in questa sezione, quindi mi pare doveroso un minimo di introduzione! Fino ad ora mi sono cimentato estremamente di rado in lavori originali e mai con risultati soddisfacienti per me... tuttavia questa breve storia mi è uscita praticamente di getto e alla fine mi son detto "beh, perchè no?"
Praticamente una domanda di rito quando si ha a che fare con certi lavori che alla fin ti lasciano un non so che di... insolito.
Ora, questa storia è praticamente ricolma di diversi riferimenti a varie ambientazioni di stampo sovrannaturale. Difficile coglierli, lo riconosco, ma non è quello lo scopo. Per me, hanno semplicemente dato atmosfera, mi hanno aiutato a scrivere, e quello è stato il loro scopo.
E immagino che giunti a questo punto vi facciate anche qualche domanda riguardo al titolo: riguardo al tormento... beh, è facile. Ma sicuramente non c'è alcun cavaliere, qui. Quindi perchè? C'è ovviamente un motivo, ma, come fin troppi dicono, questa è un'altra storia! Questo personaggio ha preso molta della mia fantasia e magari un giorno pubblicherò una storia che chiarirà il perchè!
Fino a quel momento... un salutone e spero che la storia vi sia piaciuta! Ciao!
  
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