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Autore: harinezumi    19/06/2016    1 recensioni
Anche se cercò di metterci più tempo possibile, arrivò il momento in cui Jason si fermò in mezzo alla sala vuota, il cui unico posto era occupato da Dick, che lo scrutò con un'espressione indecifrabile sul volto negli attimi di silenzio che seguirono.
[New52, con qualche citazione all'universo pre-Flashpoint]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dick Grayson, Jason Todd
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: ho scritto questa fic con l'idea di rendere Jason e Dick più IC possibile, ma nel contempo di coinvolgerli in una conversazione molto personale che mai avrebbero; spero che si intuisca lo stesso la pochissima tolleranza che questi due hanno l'uno per l'altro. Non ho amato Red Hood and the Outlaws, ma in questo caso l'ho usato come pretesto (anche perché Roy Harper rimane uno dei miei personaggi preferiti), quindi aiuta saperne la premessa generale. Credo si noterà che io ho una conoscenza pari a 0 del nuovo Green Arrow e ho preferito lanciare qui dentro le mie headcanon facendo finta di niente (cosa che faccio anche nella vita reale btw).
La fic è stata in parte ispirata da Try di Pink, da cui ho rubato impunemente il titolo; il fatto che sia ambientata ad Albuquerque e il prompt dell'incontro sono pigrissime citazioni a Breaking Bad.
E' una fic che ho scritto molto tempo fa, ma sarei comunque contenta di sapere che ne pensate c: alla prossima!

harinezumi









 

Try



Jason lo vide immediatamente, e il suo primo pensiero fu di girare i tacchi e andarsene, poco gli importava che anche l'altro l'avesse già visto.
Si rifiutava, d'altra parte, di dare l'impressione di essere un codardo; dopo quell'incertezza, quindi, continuò con passo deciso verso la direzione della sala d'attesa dell'ospedale, sopprimendo un forte e prima sconosciuto desiderio di avere l'abilità di scomparire, o almeno avere la possibilità di riconsiderare la sua decisione di venire fin lì.

D'altro canto, non gli era venuto il minimo sospetto che Roy potesse ricevere altre visite in quel momento, tanto meno che qualcuno scoprisse quello sperduto ospedale di Albuquerque. Kory era andata nello spazio per qualche giorno, e non gli risultava che Grayson fosse ancora in buoni rapporti con i suoi vecchi compagni, tanto meno che loro lo conoscessero fuori dal costume; eppure, eccolo lì, in abiti civili e senza nessuna maschera, ad aspettare l'inizio dell'orario di visita a pochi passi dalla camera di Roy.
Anche se cercò di metterci più tempo possibile, arrivò il momento in cui Jason si fermò in mezzo alla sala vuota, il cui unico posto era occupato da Dick, che lo scrutò con un'espressione indecifrabile sul volto negli attimi di silenzio che seguirono. Jason sperò di almeno sembrare strafottente in modo analogo, ma probabilmente sembrava nervoso e basta, perché era quello che sentiva e non era mai stato bravo nei bat-giochetti.

“Dove l'hai sentito?” chiese Jason, impaziente di spezzare quella calma apparente, che aveva il potere di irritarlo e basta.

Dick si limitò a sorridergli, senza allegria. “È importante? In giro”.

“Bene, tieniti i tuoi segreti. Non sono sicuro che avrà voglia di vederti” sibilò Jason, infastidito dalla risposta, e andando a sedersi nel posto più lontano dall'altro che riuscisse a vedere. Purtroppo, la saletta rimaneva troppo piccola per ignorarsi a vicenda. “Lo sanno altri? Altri a cui potrebbe fregare qualcosa” specificò, quando Dick aprì bocca; ma certo, se lo sapeva lui, tutti i pipistrelli sapevano.

“Oliver lo sa” mormorò Dick, distogliendo lo sguardo e prendendo a fissare assente il pavimento; pareva turbato, come se l'idea non gli piacesse. “E sì, è stato Bruce a dirglielo. In sua difesa, ha messo in chiaro che nella sua situazione avrebbe voluto essere informato... anche se sappiamo che è poco credibile”. Dick si fermò, con un risolino. “Che qualcuno lo informi di qualunque cosa, intendo”.

Jason evitò di cogliere la battuta e di reagirvi in qualche modo; il giorno che avrebbe riso a qualcosa pronunciato dalle labbra di Grayson sarebbe stato per una frase come 'sto morendo' oppure 'sono tuo schiavo, lord signore e padrone Red Hood'. Non aveva importanza che, persino ai suoi occhi, la seconda fosse una fantasia a dir poco infantile. “Se Queen lo sa, come mai non è qui? Star City non è distante”.

Dick fece spallucce. “Questione di poco tempo”.

Tornò il silenzio per qualche minuto, in cui Jason non mancò di notare che Dick lanciava occhiate spazientite all'orologio al muro, per cui mancavano ancora otto minuti alle sette di sera, ora in cui cominciavano le visite. Forse stare nella stessa stanza aveva innervosito, almeno un po', anche lui; o più probabilmente, mister perfezione era al di sopra delle emozioni umane ed era solo preoccupato per Roy.
Sbuffò, alzandosi di nuovo in piedi e cercando di non dare a vedere la propria agitazione, mettendosi a leggere i volantini di assicurazioni sanitarie appesi alle pareti.

“Mi chiedo perché, di nuovo... pensavo fosse più felice. O forse non dipende da questo, forse è qualcosa che lo tormenta da molto più tempo e non sa liberarsene” mormorò Dick, alle sue spalle, facendolo quasi sobbalzare dalla sorpresa, ma confermando la sua teoria. Poi, però, continuò. “Non mi sorprende affatto che tu e lui vi siate trovati”.

Jason si voltò, osservandolo con sospetto, sentendo l'irritazione crescere a dismisura. Grayson poteva aver conosciuto Roy, ma ora non faceva parte della sua vita e sentire quelle parole pareva troppo sbagliato: non potevano certo dire di conoscersi così bene, a quel punto. “Perché vuoi fare conversazione?” sbottò allora.

“Perché no? Sono felice quanto te di dover condividere questo momento, credimi. Ma lo devo a Roy... e vederlo in questo stato e starmene in silenzio è qualcosa che non posso fare”. Dick lo fissò, con sguardo così penetrante che Jason deglutì, desiderando che il proprio orgoglio gli permettesse di distogliere gli occhi; somigliava così tanto a quello di Bruce da far male. “Ho fatto questo errore altre volte. Se posso aiutare adesso, lo farò”.

“Di che diavolo parli...” borbottò Jason, spostando il peso sui propri piedi nervosamente; sperò che fare finta di nulla bastasse perché Dick sorvolasse sul suo linguaggio del corpo. “Forse Roy sarà contento di vederti” ammise, cercando di troncare il discorso, o almeno di non fargli prendere una piega personale. “Ed eccoti quello che puoi fare per lui. Che non è diverso da quello che io, Kory o Queen possiamo fare”.

“Oh, lo so. Non mi illudo di essere in grado di rappresentare un aiuto concreto... ma quello che ho detto prima è vero. Con voi è una persona diversa” disse Dick, semplicemente. “Jason, lo so che detesti le responsabilità”.

“Non è vero”.

Dick gli lanciò un'occhiata scettica. “Con voi Roy è felice. Questo non vuol dire che si libererà dalla droga una volta per tutte, ma che ora ha una speranza concreta di poterlo fare... perché vi ha accanto”.

“Bel lavoro abbiamo fatto finora” sospirò Jason, scuotendo la testa; l'ingenuità di Grayson era tenera -ma forse l'aveva sopravvalutato e non sapeva per davvero quello di cui stava parlando.

“Nessuno può guarire in un giorno” ribatté Dick; il suo tono di voce subì un cambio brusco e fece una pausa, come se le sue stesse parole lo avessero sorpreso. Quando continuò, lo fece lentamente. “Non esistono soluzioni facili alla sua situazione... anche se ora ha la possibilità di costruire qualcosa con voi, dovrà prima guardarsi indietro per andare avanti. Non avrà altra scelta che avere a che fare con il proprio dolore, e non importa quanto penserai di aver fatto per lui... non sarà mai abbastanza se lui non si lascerà aiutare”.

“Perché tutta questa voglia di condividere la tua saggezza, Grayson?” borbottò Jason, sentendo le guance calde: tutto quel discorso lo metteva in agitazione, ed aveva sempre più l'impressione che non fosse del tutto inerente a Roy. “Hai la coda di paglia o cosa?”

Non si sbagliava, anche se avrebbe tanto voluto che fosse così. Dick era mortalmente serio mentre pronunciava quelle parole: “Io penso di aver capito... che non posso dare del tutto a te la colpa di quello che siamo diventati. Tu pensi di poter cominciare a perdonarmi?”

Jason sentì le proprie forze fisiche e psicologiche lasciarlo; ora sapeva per certo che era stava una pessima idea venire a trovare Roy. Che lui fosse il suo contatto di emergenza per l'identità falsa che si erano creati, e che fosse quindi obbligato a stare lì, era un altro discorso. “È davvero di questo che vuoi parlare?” chiese, tornando a guardare i dépliant, più distante possibile da Dick. “Per cosa... per cosa diavolo vuoi essere perdonato?”

“Per averti permesso di diventare così”.

“Scusa?” Jason si voltò a guardarlo, indignato. Dick era ancora serio.

“Se fossi stato con te... hai condiviso un momento della vita di Bruce che non avrei augurato a nessuno, e avrei potuto aiutarti per davvero, se l'avessi voluto...”

“Non ci posso credere! Pensi ancora che me ne freghi qualcosa! Senti, non sto cosa tu stia cercando di fare, se caricarti addosso parte delle sue colpe come sei sempre stato bravo a fare, ma io so bene come sono andate le cose, perché c'ero, come tutti si ostinano a dimenticare”. Jason si interruppe, e Dick lo lasciò prendersi una pausa, fissandolo attento; pareva curioso di capire dove volesse arrivare. “La verità è che non mi dovevi nulla. E il fatto che dopo tutto questo tempo pensi ancora che sia così... mi fa davvero incazzare. Non ho intenzione di perdonarti solo perché tu ti possa sentire in pace con te stesso o perché tu possa continuare a fare la parte del l'essere umano modello”.

“Jason, tu non ti sei mai reso conto...” cominciò Dick, alzandosi in piedi e sospirando, con quel tono che faceva capire che, esattamente come faceva Bruce, non aveva ascoltato una parola di quello che aveva detto.

“Santo dio, Dick, non ho più quindici anni! Se vuoi farmi un favore, smettila di trattarmi come se fossi il più grande errore della storia e comincia a vedermi come una persona!”

Dick fece una pausa, come se avesse in mente una risposta precisa, ma si rifiutasse di dirla ad alta voce. La cosa mandò su tutte le furie Jason ancor più di prima, e imprecò a bassa voce, scuotendo la testa.

“Sei incredibile. Almeno abbi il coraggio di dirlo”.

“Non riesco più a vederti come una persona da tanto tempo” mormorò Dick; pareva sinceramente dispiaciuto, ma Jason d'altra parte non avrebbe mai pensato che la cosa avrebbe potuto ferirlo così tanto. In quel momento, del dispiacere di Dick se ne faceva ben poco. “Una volta credevo che fosse perché ti eri allontanato talmente tanto da ciò per cui combattiamo che avevi smesso di sembrarmi qualcuno che conoscevo. Eri solo un altro criminale da sbattere in prigione. Poi ho capito che quello che stavo facendo era fingere che tu non fossi mai tornato in vita, perché sarebbe stato molto più facile che affrontare la realtà”.

“Oh, ma dai? Come credi che sia stato per me? Solo mille volte peggio, intendo”.

“È difficile pensare che quello che sta cercando di uccidere te e la tua famiglia abbia dei sentimenti, Jay. Bruce potrà anche averlo capito e perdonato, però io non sono lui” sbottò Dick, con una smorfia. “Ma posso credere nella redenzione. Fintanto che me ne si da una ragione... finora, quante pensi di avermene date?”

Jason avrebbe preferito soffocarsi con la propria lingua che ammettere che il conto era zero, ma sapeva che Dick lo sapeva, e che l'aveva detto solo per farlo arrivare al punto della questione. “Sono qui con Roy, no?” disse allora, come se fosse ovvio.

Con sua grande sorpresa, Dick si lasciò sfuggire un piccolo sorriso. “Già”.

Era quasi insopportabile, l'evidente soddisfazione e orgoglio che emanava, e Jason si ritrovò ad arrossire, perché tutto quello che a Dick bastava era davvero che lui fosse un bravo ragazzo. Nauseante. “Tutto qui?”

“Ti stai lamentando? Hai letteralmente una carta gratis per uscire di prigione”.

“No... sono contento che finalmente starai zitto”. Jason si schiarì la voce, cercando di liberarsi da quella situazione, sfociata in qualcosa di troppo imbarazzante per i suoi gusti. “Credevo soltanto che fosse strettamente richiesto di salvare gattini abbandonati per entrare nelle tue grazie”.

“Vai a farti fottere”.

Jason fu talmente sorpreso da quell'uscita, che in una conversazione con Dick sarebbe stata più propensa ad uscire dalle proprie labbra, non certo da quelle dell'altro, che non riuscì a rispondere; Dick, con una risatina, uscì dalla sala d'aspetto sorpassandolo, dal momento che l'orario di visita era cominciato. Jason lo seguì in silenzio, arrendendosi al fatto che non avrebbe mai trovato una risposta che non suonasse infantile, ma prima che potessero entrare nel corridoio che portava alla camera di Roy, videro Oliver Queen venire dall'altra parte.

“Ah... fai silenzio e lasciami parlare” mormorò Dick, in tono basso e, solo in apparenza, calmo, facendogli un cenno di fermarsi con la mano. Se osservato con un minimo di attenzione, si poteva vedere come tutto il suo corpo si fosse teso all'istante.

“Cosa? E perché? Non ho fatto...” sibilò Jason, ma un altro cenno della mano dell'altro lo zittì; Oliver era adesso molto vicino, e puntava dritto verso di loro con un'espressione tutt'altro che allegra, e perfettamente in grado di sentire cosa si stavano dicendo.

Oliver aveva indosso abiti casual e non era accompagnato da nessuno, probabilmente per sviare l'attenzione di qualunque media che fosse venuto a sapere qual era la situazione. Roy non era registrato nell'ospedale con il suo reale nome, ma di certo un viaggio come quello non sarebbe passato inosservato per il signor Queen; con lui non c'era nemmeno Dinah, probabilmente non un punto a favore di un incontro pacifico.
Per una volta, quindi, Jason decise di fare un passo indietro -letterale, o Oliver lo avrebbe investito- e ascoltare Dick, lasciandolo parlare per primo.

“Salve, signor Queen” lo salutò Dick, nel modo più formale possibile; Jason, riflettendo, capì che il cambio di tono era dovuto al fatto che nella sala d'aspetto non era presente alcuna telecamera, ma nell'atrio dov'erano sì.

Oliver, a dispetto delle precauzioni che aveva preso, se ne fregò altamente delle telecamere, ed esordì guardando Jason dritto in faccia, pur non rivolgendosi a lui: “Adesso permettete ai criminali omicidi di girare a piede libero? Che diavolo ci fa qui?”

Jason se lo aspettava, come si aspettava di dover difendere il suo diritto a stare lì; e nonostante tutto lo avrebbe fatto, solo che non fece a tempo a dire nulla che Dick lo precedette.

“No, non lo permettiamo” disse, con tranquillità, sostenendo lo sguardo che Oliver gli lanciò. “Io e Jason siamo qui per salutare Roy”.

Anche se la cosa minò alle fondamenta l'orgoglio di Jason, si lasciò sfuggire un sorriso, quando capì che, probabilmente per la prima volta in vita sua, Dick lo stava difendendo contro qualcun altro.

“Lui non farà un bel niente” sbottò Oliver, indicando Jason, e finalmente rivolgendosi a lui. “Sei uno dei suoi nuovi, grandi amici, giusto? Com'è che hai lasciato che gli succedesse di nuovo? O forse l'hai aiutato, o forse non te frega niente! Te lo ripeto, che diavolo ci fai qui?”

Il tono di Oliver era aggressivo, ma si vedeva lontano un miglio che avrebbe preferito passare alle mani e sbattere Jason contro il muro, che a quel punto non desiderava altro che succedesse per potersi difendere, per spaccare la faccia all'ennesima persona che pretendeva di sapere che tipo di rapporto ci fosse tra lui e Roy. D'altra parte, proprio grazie a quel rapporto sapeva che Roy non aveva mai reso la vita di Oliver facile, e che era probabile che fosse terrorizzato quanto lui all'idea di perderlo.
Per questo, Jason rimase paralizzato a quelle accuse, e stavolta non si accorse neppure di Dick che prendeva le sue difese, sentendo l'improvviso bisogno di appoggiarsi da qualche parte per impedire alla propria testa di mettersi a girare.

“Oliver, Jason è qui con me. Forse non ti fidi di lui, e non ti chiederò di farlo” sentì che Dick diceva, frapponendosi, anche fisicamente, tra loro. “Fidati di me. Me ne prendo ogni responsabilità, ma tu lascia che lui e Roy si vedano”.

Jason rimise a fuoco il volto di Oliver, che lo scrutò, dubbioso, senza nemmeno lanciare un'occhiata a Dick. “Che faccia come gli pare” disse infine, facendo per scostarsi da loro, diretto alla stanza di Roy.

“Un'altra cosa” Dick lo interruppe, quando non aveva fatto che un paio di passi. Oliver gli prestò di nuovo attenzione, ma Jason capì dal suo sguardo che le parole di Dick avrebbero colpito un muro, d'ora in poi. Era comunque ammirevole provarci, da parte sua. “So che sei sconvolto, ma dobbiamo cercare di essere... comprensivi con Roy”.

“Ascoltami bene, Dick” rispose Oliver in tono molto chiaro, impedendogli di continuare e alzando un dito. “Io non sono qui per offrire nulla a Roy se non la promessa di ammazzarlo se ci riprova”.

Detto quello, entrò nella stanza, lasciando la porta aperta a spiraglio e entrambi loro lì fuori. Jason poteva sentire l'aurea di sconforto attorno a Dick, nonostante lui cercasse con tutte le sue forze di non sembrare qualcuno che aveva appena mangiato un limone.

“Beh. È andata bene” osservò con empatia, mentre nessuno di loro osava fare un passo verso quello che si preannunciava come un ennesimo disastro familiare. “Senti... non importano le circostanze. O quello che il capo ha detto. Se mi dovesse succedere qualcosa del genere, non avvertite Bruce per nessuna ragione”.

“... solo se prometti di fare lo stesso per me” mormorò Dick, precedendolo verso la porta con un sospiro.


 













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