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Autore: Alexis Laufeyson    19/06/2016    3 recensioni
Sono passate due settimane da quando Magnus ha lasciato Alec, eppure, nel buio delle notti di Brooklyn, il Sommo Stregone non può fare a meno di fermare il flusso dei propri pensieri.
E i pensieri hanno la lingua lunga, a quanto sembra.
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Di tutte le persone che aveva conosciuto, Alec era l'unico tanto imperfetto da risultare perfetto in una maniera tutta sua. L'unico che era talmente timido per dirli "ti amo" perfino quando facevano l'amore tra lenzuola di pizzo antico e decisamente troppo gay.
Alec era il solo a mangiare il riso alla cantonese con il cucchiaio e a non sentirsi strano, mentre bastava una sola parola ben studiata a minare ogni sua certezza.
Quel ragazzino -Magnus sorrise amaramente- era così
fragile! Nascondeva le proprie debolezze dietro ad una maschera da "100% Nephilim", eppure glielo si leggeva in faccia quanto in realtà cadesse a pezzi.
Era stanco dei "se", il Sommo Stregone. Tutto ciò che desiderava era poter avere qualcuno che non se ne andasse.

[MALEC]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Lightwood, Magnus Bane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I personaggi presenti in questa storia sono di proprietà di Cassandra Clare, così come gli estratti del libro che sono stati utilizzati a fine di trama. L'autrice non rivendica niente se non la stessa one-shot e gli avvenimenti di pura fantasia qui narrati.
 
 


 
 
"Well you only need the light when it's burning low
Only miss the sun when it starts to snow
Only know you love her when you let her go"

(Passenger- Let her go)
 
 
 
 
Magnus aspettava.
Nel silenzio della notte, aspettava che il campanello suonasse.
Fuori, le stelle lanciavano bagliori bianchi, e la luna illuminava una stanza disordinata, che puzzava di fumo, e una tavola apparecchiata per due. Gli avanzi del take-away cinese davano bella mostra di sé davanti ad una sedia vuota.
All'altro posto, il piatto era bianco e immacolato.
Solo una persona aveva mangiato, quella sera, la stessa che ora se ne stava seduta sul divano, in attesa di un ospite che non sarebbe mai più venuto.
Non piangeva, Magnus, anche se avrebbe voluto.
D'altro canto, non puoi riempire il vuoto con le lacrime.
Il presidente Miao passeggiava per la stanza, lanciando di tanto in tanto miagolii di disappunto. Ogni volta che lo stregone cercava di chiamarlo, drizzava la coda e gli soffiava contro, e allora l'uomo lasciava puntualmente perdere.
Si sentiva solo, il Sommo Stregone, una solitudine buia che aveva imparato a dimenticare col tempo e che pure c'era sempre, nascosta in un angolo del suo cuore, pronta a balzare di nuovo fuori.
Faceva male, perché lo teneva in costante attesa di qualcosa -qualcuno.
Ogni volta che sentiva dei passi risuonare per le scale, rizzava la schiena, tratteneva il respiro, e attendeva che il campanello suonasse.
Non lo faceva quasi mai, e, quando accadeva, fuori dalla porta non c'era mai nessuno che valesse la pena accogliere.
Non c'era mai lui.
Magnus si stropicciò gli occhi con le mani sporche di brillantina, e emanò un lungo e pesante sospiro.
La mancanza era una sensazione che faceva ogni secondo più male. La odiava, ma poteva dare la colpa solo se stesso della sua esistenza.
L'aveva rotto lui, quello splendido rapporto, lui aveva ordinato all'uomo che amava di andarsene via, di non tornare più.
Lui aveva obbedito, ed era scomparso dalla sua vita. Eppure, quegli splendidi occhi azzurri continuavano a perseguitalo nel sonno: li rivedeva ogni notte, e si svegliava sempre in un bagno di sudore.
Chissà cosa starà facendo… si domandava, guardando il soffitto buio e invisibile. Poi socchiudeva gli occhi, e fantasticava: Gli mancherò? Starà pensando a me?
A volte, era davvero difficile non piangere.
Magnus si rimproverava ogni giorno di essere caduto di nuovo nella trappola di un amore impossibile, e, per quanto fosse arrabbiato per quel suo gesto, non poteva biasimare chi aveva cercato di sottrargli l'immortalità solo per non vivere con il terrore di perderlo a causa di una bellezza avvizzita e di una vita troppo breve.
Dopotutto, cos'altro puoi aspettarti da un umano che ama con il trasporto di un disperato e il cuore di un uomo poco più che adolescente?
Di tutte le persone che aveva conosciuto, Alec era l'unico tanto imperfetto da risultare perfetto in una maniera tutta sua. L'unico che era talmente timido per dirgli "ti amo" perfino quando facevano l'amore tra lenzuola di pizzo antico e decisamente troppo gay.
Alec era il solo a mangiare il riso alla cantonese con il cucchiaio e a non sentirsi strano, mentre bastava una sola parola ben studiata a minare ogni sua certezza.
Alec era tutto ciò che Magnus non si sarebbe mai aspettato da uno Shadowhunter, e forse era per questo che si era innamorato di lui.
Adorava ogni suo neo, quell'incertezza nelle parole e nelle espressioni, i suoi silenzi, i suoi sorrisi.
Alec Lightwood era diventato una costante nella sua vita, in quei pochi mesi aveva sconvolto ogni sua idea. Aveva fatto dell'eccentrico e solitario Sommo Stregone di Brooklyn un uomo migliore. Sì, anche nei rapporti personali.
E allora, perché non era riuscito a perdonarlo, sia col cuore che con la mente? Colpa di un maledetto orgoglio che non era riuscito a tenere fermo.
Alec era stato avventato, e il sommo stregone non perdonava, anche se poi finiva sempre e puntualmente con lo sbattere la testa al muro.
Magnus si lasciò andare sul divano, gli occhi fissi sul caminetto elettrico sopra il quale figuravano foto che sembravano essere state scattate una vita fa. In quelle foto, il sorriso di Alec splendeva, ricordo di un viaggio testimoniato in ogni minimo dettaglio.
Vedeva loro due tenersi per mano tra i tulipani olandesi, loro due che ridevano vicino ad un fiordo, loro due che si baciavano all'ombra della Tour Eiffel e di una Parigi dal cielo plumbeo.
Le aveva tirate fuori un paio di giorni prima, nel tentativo di marginare un po' la solitudine, per illudersi che Alec sarebbe tornato, prima o poi.
Per l'ennesima volta maledisse quella maledetta festa. Chi mai sarebbe così pazzo da dare un party per un gatto?
Io.
Maledisse anche la propria malizia, perché se non avesse mai lanciato quel complimento velato al più timido e bello dei Nephilim sarebbe rimasto solo, ma felice della propria vita monotona.
 
"E per quanto riguarda te… chiama quando vuoi."
 
Era stato un idiota, uno stupido.
Dopo quella volta si era spesso sorpreso a pensare a due zaffiri nascosti da una frangia troppo lunga, ad una mano coperta di rune, ad una voce tanto bassa e bella da mozzare il fiato.
Non sapeva chi fra l'ego e l'attrazione l'avesse spinto ad andare all'istituto nel bel mezzo di una battaglia per salvare un Nephilim di cui conosceva solo il nome, ma sapeva benissimo che si era trattato dello sbaglio più grande dell'ultimo ventennio.
Maledisse anche Isabelle e la sua lingua lunga, che avevano spinto Alec a venire a casa sua per ringraziarlo. Maledisse quelle labbra che sapevano di dentifricio alle quali aveva rubato il primo bacio, e le ormai dimenticate farfalle che avevano ballato la tarantella nel suo stomaco, quando Alec gli aveva accarezzato la schiena.
 
"Mai baciato nessuno? Proprio nessuno?"
"Ah, no, non un vero bacio…"
 
"Adesso sei stato  baciato."
 
Il presidente Miao gli balzò in grembo, e prese a graffiare la stoffa dei jeans, miagolando con insistenza.
«Manca anche a me, stupida bestia.» Mormorò Magnus, ed una lacrima solitaria rimase sospesa sul bordo delle ciglia, senza cadere.
Sentiva il proprio cuore battere, nel silenzio della stanza.
Il telefono segnava una chiamata persa, e il cellulare era immobile al suo fianco, la notifica di un messaggio non letto che lampeggiava sullo schermo.
Magnus lo afferrò di malavoglia, leggendo con occhi stanchi il nome del mittente: A stupid Nephilim.
Ancora non si era deciso a cambiare il contatto.
Che idiota.
Si costrinse ad aprirne il contenuto, a non fantasticare su nulla, perché, quando si trattava di Alec, fantasticare era doloroso.
 
"Magnus, chiamami, ti prego.
Ho bisogno di parlarti."
 
Lo stregone si alzò di scatto, e afferrò il cordless con mano ferma, componendo un numero che conosceva ormai a memoria.
 
"Questo non ti dà il diritto di rendere la durata della MIA vita una scelta TUA."
 
"Vieni a portare via le tue cose da casa mia. Lascia le chiavi sul tavolo da pranzo."
 
"Non ti sei fidato di me, Non lo hai mai fatto."
"Lo farò, ci proverò. Dammi  un'altra possibilità…"
"No."
 
Si bloccò poco prima di pigiare il tasto "chiama".
Fissava quel numero bianco su sfondo nero, le palpebre socchiuse in un'espressione piena di rabbia e rancore.
Nella sua mente, le immagini di due settimane prima si susseguivano come in un film: il senso di dolore, e tradimento, riaffiorava ad ogni singolo ricordo dello sguardo colpevole di Alec.
Gettò il cordless sul pavimento con un gesto secco, irato con se stesso, perché non avrebbe mai dovuto cedere.
E' colpa sua si ripeteva, e scuoteva la testa.
E solo colpa sua.
E' colpa sua.
-E' colpa tua.
La coscienza grattava con le unghie di un gatto, e aveva la voce di Camille. Gli rinfacciava tutto, ogni gesto, ogni parola: D'altro canto, Alec avrebbe anticipato quello che avresti dovuto fare da un pezzo.
Magnus osservò con occhi languidi il posto vuoto e intatto a tavola; quasi gli parve di vedere il fantasma di Alec, la sua risata riservata eppure stupenda.
Gli mancava, Dio, se gli mancava!
Ogni notte abbracciava il nulla in un letto che era diventato freddo, che non sapeva più di casa. Un letto che parlava di un "io" a metà, un "noi" di cui rimaneva solo un'eco distante, una voce che lo rincorreva ovunque andasse… stessi alti e bassi, stesse urla, stessi borbottii.
Forse era perché Alec si era dimenticato di portare via una vecchia maglietta, che ora era appesa nel'armadio e che gli rimandava ricordi di sere passate insieme, e baci rubati nel buio della notte.
Era ancora impregnata del suo profumo, un Armani che Magnus gli aveva regalato al loro primo appuntamento, e che da quel giorno era diventato l'odore caratteristico di una pelle bianchissima e coperta di cicatrici.
-Quanto puoi essere stupido? Camille era bastarda perfino nella sua immaginazione: Non avresti dovuto lasciarlo andare.
«Pensi che non lo sappia?» Lo stregone si prese la testa fra le mani: «Pensi davvero che non mi manchi?»
Il Presidente Miao soffiò, e trotterellò via dalla stanza.
Stupido gatto… persino tu mi lasci solo?
Magnus si massaggiò le tempie, preda di un mal di testa che aveva preso a martellargli il cervello.
Il sonno, tuttavia, era un lusso che non riusciva a concedersi.
Ancora in piedi, e stanco come non era mai stato da più di duecento anni, azionò la segreteria telefonica e, per qualche minuto, la voce del suo Shadowhunter tornò a riempirgli le orecchie, e il cuore.
 
"Ciao Magnus… ho provato a chiamarti stamattina, ma avevi il cellulare spento. Non voglio stare qui a supplicarti di perdonarmi, voglio solo dirti che mi dispiace. Lo so, sono stato un idiota, e avrei dovuto dare retta a te, invece che a Camille, ma voglio che tu sappia che l'ho fatto per paura. Avevo paura del tuo 'sempre', perché temevo che, col tempo mi avresti dimenticato, che ti saresti stancato di me, così ho pensato che, se fossimo invecchiati insieme, forse avrei potuto stare per sempre con te. So che non è una scusa accettabile, ma, ti giuro, non l'ho fatto per cattiveria… ai tuoi occhi potrò sembrare un bambino capriccioso, ma ti amo. Ti amo davvero, e non voglio perderti. Ho bisogno di parlarti, Magnus… per favore, se mai sentirai questo messaggio, chiamami."
 
Biiip.
 
La lacrima cadde, solcandogli la guancia, e bruciandogli la pelle.
Serrò le labbra, e strinse i pugni, perché la tentazione di rispondere a quella chiamata era troppo forte, nonostante tutto, nonostante la rabbia.
Si domandò ancora cosa gli facesse sentire la mancanza di un uomo che, per capriccio, aveva quasi cercato di ammazzarlo: 'l'amore' era una risposta troppo banale, specialmente per lui, che il banale non sapeva neanche cosa fosse. Se si fosse trattato solo di amore, avrebbe rimosso il dolore in poche settimane… c'era abituato, d'altra parte: non tutte le storie durano per sempre.
No… non poteva essere solo amore.
C'era altro; forse era quel desiderio di proteggere che Alec gli ispirava.
Quel ragazzino -Magnus sorrise amaramente- era così fragile! Nascondeva le proprie debolezze dietro ad una maschera da "100% Nephilim", eppure glielo si leggeva in faccia quanto in realtà cadesse a pezzi.
In Alec, Magnus aveva trovato qualcuno di cui prendersi cura… e prendersi cura di qualcuno non comporta, forse, stabilità?
Era stanco dei "se", il Sommo Stregone. Tutto ciò che desiderava era poter avere qualcuno che non se ne andasse.
Che stupido che sono stato…
Anche Alec, alla fine, se ne era andato.
«Be', è stato bello finché è durato.» Si disse, fingendo un'aria di normale indifferenza, poi si apprestò a buttare gli avanzi del take-away nel cestino.
Quando raggiunse il tavolo, tuttavia, ciò che vide fu solo il vuoto: un piatto bianco, e posate appena lavate… di Alec non rimaneva altro che l'idea, il desiderio di averlo accanto, di sentire ancor il suo cuore battere quando lo stringeva al petto.
Le sue mani si bloccarono prepotentemente, rifiutandosi di muoversi ancora, quasi volessero intimargli di lasciare tutto così com'era.
E Magnus le ascoltò.
Lasciò perdere.

 
***
 

Jace si era intromesso nel suo appartamento e nella sua vita con prepotenza, in tutta la sua strafottenza da Nephilim perfetto e bellissimo, in faccia un sorriso vanesio e negli occhi uno sguardo stanco.
Era entrato facendosi largo a suon di frasi sarcastiche ed ora si era sdraiato sul divano in attesa che Magnus parlasse.
Lo stregone lo fissava, in un infinito gioco di sguardi di fuoco misti ad astio, mentre in lui lottavano sentimenti contrastanti: da una parte, avrebbe voluto cadere in ginocchio, pregare Jace di dire ad Alec che lo amava, perché lui non ne aveva il coraggio, dopo tutte quelle settimane di silenzio, dall'altra, invece, avrebbe voluto cacciare via lo Shadowhunter a calci in culo e rinchiudersi nuovamente nella propria solitudine ed autocommiserazione.
Era incredibile quanto Jace sapesse andare dritto al punto… sembrava quasi avesse un superpotere per lasciare le persone a bocca aperta, e Magnus ringraziò tutti i secoli di esperienza che aveva alle spalle, perché altrimenti non sarebbe riuscito a reggere il confronto con qualcuno che, appena entrato, era riuscito a scorgere e ad annusare la "puzza di cuore infranto", come l'aveva definito il biondino poco prima.
Be', non che fosse difficile da vedere: le foto sul caminetto erano sparite da un pezzo, ma i cartoni del take-away ormai avevano dato forma ad un intera dispensa sul tavolo e il Presidente Miao era finito col diventare una sorta di strambo tappeto persiano sul pavimento. Eppure Jace non aveva avuto paura di farglielo notare.
Non aveva di certo peli sulla lingua, quello.
"Pensavo fossimo amici."  Gli aveva detto, come prima cosa, e a quelle parole Magnus si era irrimediabilmente esposto: "No. Tu sei amico di Alec. Alec era il mio ragazzo, perciò dovevo tollerarti anch'io."
Inutile dire che era stata una pessima mossa.
Parlare apertamente di ciò che era stata la sua quotidianità in tutti quei mesi aveva fatto vacillare lo stregone, e il Nephilim se ne era accorto, e non aveva perso tempo per cercare di allargare quella piccola crepa nella barriera che l'altro si era creato.
A nulla era bastato il tentativo di Magnus di raggirare il discorso, di far sentire Jace un completo impiccione… perfino dirgli che Simon era venuto a fargli visita non aveva sortito l'effetto sperato.
Jace aveva colto la palla al balzo e subito gli aveva fatto notare quanto si notasse il suo dolore, quanto fosse evidente che a Magnus mancava il suo -ormai ex- ragazzo.
"Penso che dovresti rimetterti con Alec."
Lo penso anche io… ecco cosa era passato nella mente dello stregone, ma per fortuna era stato abbastanza lesto da fermare il flusso dei propri pensieri prima che raggiungesse la bocca e le desse fiato. Sarebbe stato alquanto spiacevole.
E poi si era difeso con la più scontata di tutte le frasi, perché non voleva ammettere quanto quello Shadowhunter faccia-di-bronzo avesse ragione: "A te cosa importa se Alec sta male?" Aveva detto, e aveva risvegliato la bestia. Di certo, chiedere ad un Nephilim cosa gli importava se il proprio parabatai soffriva era la cosa più idiota che uno come lui potesse fare.
Jace aveva urlato così forte che probabilmente era riuscito a farsi sentire da mezza Brooklyn, e gli aveva rinfacciato quanto quel suo negare fosse autodistruttivo: il Presidente Miao sembrava morto, a detta sua, e Magnus, di certo, non poteva dargli torto.
Ora, lo stregone osservava in maniera ostile lo Shadowhunter, che non sembrava propenso a voler andar via, anzi: «Non ho nessun impegno. Posso starmene seduto qui tutto il giorno.» Asserì, sistemandosi il cuscino della Union Jack dietro la testa e 'regalandogli' uno dei suoi sorrisi che tanto facevano impazzire le ragazze.
Fortuna che, per quanto bisessuale e stravagante, Magnus conservava ancora una buona dose di virilità.
E poi, io non mi chiamo Alec… pensò tra sé e sé, e subito se ne pentì, perché un'ombra scura gli scese sugli occhi da gatto, e solo per miracolo riuscì a rispondere con stile anche quella volta: «Fantastico. Allora schiaccerò un pisolino.»
Poi, il cellulare di Jace prese a squillare, e il tono allarmato dello Shadowhunter piacque ben poco allo stregone. Jace sgranò lentamente gli occhi, come se le informazioni che gli venivano passate dall'altra parte dello schermo si facessero via via sempre più terribile.
Quando riattaccò, poi, aveva un colorito talmente pallido da far paura e una luce aspra nelle iridi ambrate, e Magnus lo vide dirigersi verso la porta senza una parola.
«Cos'è successo?» Domandò, allora: «È Alec? Sta bene?»
Lo Shadowhunter gli rivolse uno sguardo amaro e pieno d'astio: «Cosa te ne importa?» Sibilò, per poi andarsene senza neanche salutare.
Magnus crollò in ginocchio, così, senza un perché. Gli tremavano gambe, e si sentiva il cuore a pezzi.
"Cosa te ne importa?"
Tutto, dannazione! Tutto!
-E allora perché continui a mentire?
Non lo so… Camille, ti prego, sta' zitta!
Lo Stregone si prese il viso tra le mani, e soffocò un singhiozzo. Non doveva piangere, non ne aveva il diritto, perché si era rovinato da solo, perché la colpa era solo sua.
"Aku cinta kamu" Gli aveva detto, prima di sparire nel buio di un tunnel di una metropolitana abbandonata. Ti amo.
Avrebbe dovuto dimostrarglielo.
-Che bugia… non si lascia mai andare chi si ama davvero.
 
 
 



*Note dell'Autrice: Beh, che dire, sono fierissima di questa one-shot! La Malec è, a mio parere, la coppia più bella e meglio costruita dell'intera saga (senza nulla togliere alle altre ship, che sono lo stesso meravigliose), e mi sono quasi sentita in dovere di scrivere una fanfiction 'a tema'. Inutile dire che il personaggio di Magnus Bane è il mio preferito, e spero di non averlo reso OC, descrivendo le scene di pianto o il continuo conflitto da "chiamo Alec-non chiamo Alec".
La One-Shot, per chi avesse dei dubbi, è situata tra "City of Lost Souls" e "City of Heavenly Fire", una o due settimane dopo che Magnus ha lasciato Alec.
Spero che la storia, ad ogni modo vi sia piaciuta, e ringrazio particolarmente la mia amica HanaSheralHaminail, che mi sprona sempre a scrivere nonostante la mia proverbiale pigrizia… love ya, dear <3.
Un ringraziamento speciale va anche a Yuki Kiryukan e alle nostre lunghe chiacchierate che mi hanno spinto a postare qualcos'altro su questo sito.
Un bacione anche a tutti voi che siete arrivati fin qui,
 
-Alexis
   
 
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