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Autore: Saroyan    20/06/2016    1 recensioni
[Creepypasta]
[Per qualche secondo pensò si trattasse di un allucinazione- dovuto con tutta probabilità al sonno-, o al massimo ad uno strano gioco di luci.
Ma per una sorta d’istinto naturale, si girò comunque, sicuro in ogni caso che non avrebbe visto nulla.
Non fu così.
]
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kage Kao, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Ho sempre trovato affascinanti i crepuscoli.
Le ombre si allungano, il sole scompare all'orizzonte e la città si anima.
I lampioni si illuminano, le strade si svuotano e la gente si affretta a tornare nelle proprie abitazioni…
Per dimenticarsi dello stress lavorativo e distendere i nervi sorseggiando un buon bicchiere di vino.”





Kuro era silenzioso.
Era sempre silenzioso. Perché amava il silenzio.
Il silenzio lo faceva rilassare: il suo corpo si distendeva e quell’espressione non ben definita dipinta sul suo volto scompariva, lasciando posto ad un sorriso appena accennato ma sincero, ben differente dai quei sorrisetti tirati, seppur cordiali, che rifilava a tutti durante la sua giornata lavorativa.
Al contrario di suo fratello Matsuda, che era estremamente rumoroso, e con cui per sua sfortuna doveva passare un gran quantitativo di ore lavorative quasi tutti i giorni. Parlava sempre, e gli faceva sempre venir un gran mal di testa.
Sì, decisamente. La tranquillità era ciò che più si addiceva a lui, che cercava in ogni piccolo ritaglio del giorno di  trovare un po’ di tempo da dedicare a sé stesso, in quel piccolo paradiso silenzioso di cui era padrone.
Da buon giapponese qual era, possedeva un piccolo giardino ben curato, abbastanza grande da ospitarlo, ma troppo piccolo perché fosse possibile invitare qualcun altro a condividere quell’intimo momento con lui- persone che comunque non voleva avere tra i piedi perché estremamente fastidiose.
Kuro inspirò profondamente, sereno, prima di portare alle labbra la tazza fumante di té verde. Ne inspirò per qualche secondo il buon odore, per poi sorseggiarlo con lentezza.
Quella bevanda aveva su di lui un effetto estremamente tranquillizzante. E per quanto fosse stanco, preferiva rimanere sveglio un po’ più del solito per godersi quel momento così raro di tranquillità, in compagnia del suo delizioso té.
Lo sorseggiò lentamente, per poi allontanarlo dalle proprie sottili labbra la tazzina in ceramica e la posò sulle proprie gambe. Aveva un buon sapore, non troppo dolce o troppo aspro, ma una via di mezzo piacevole per le sue papille gustative. Sollevò lo sguardo al cielo notturno, ammirando la luna piena e le stelle, ben visibili data l’assenza totale di nuvole. Quella serata era resa più piacevole di quanto già non fosse proprio dalla volta stellata, che sopra di lui si estendeva all’infinito in un magnifico e silenzioso spettacolo. Non vi erano luci artificiali a rovinare l’atmosfera, né rumori della città infastidivano la quiete del piccolo giardinetto recintato.
Era semplicemente… perfetto.
Dopo aver terminato di bere il té, fece leggermente ticchettare l'indice e il medio sulla tazza,  mentre spostava lo sguardo dal cielo e lo puntava sugli alberelli piantati nel suo giardino. Non soffiava molto vento- lo vedeva dalle foglie quasi immobili sugli alberi- ma nonostante ciò l’aria era fresca e rendeva  piacevole restare nel piccolo spazio verde.
L’atmosfera era delle migliori, ed era piuttosto sicuro che si sarebbe potuto addormentare sul praticello, se non fosse che il giorno dopo avrebbe dovuto recarsi di nuovo a lavoro. Sentiva già gli occhi pizzicargli e le palpebre che tentavano di abbassarsi. Immaginò già la lavata di capo di suo fratello se il giorno dopo di fosse presentato assonnato in ufficio. Sospirò, alzandosi e stringendo ancora nella mano sinistra la tazzina. Attraversò il prato, avvicinandosi alla porta finestra scorrevole. Con la mano libera- la destra- si apprestò ad aprire la porta, quando qualcosa catturò la sua attenzione, costringendolo a bloccarsi.
Alle sue spalle, riflesso nel vetro, potè notare una poco nitida figura nera, appollaiata sulla recinzione e leggermente ricurva in avanti, con il capo chino come a voler nascondere il volto. Per qualche secondo pensò si trattasse di un allucinazione- dovuto con tutta probabilità al sonno-, o al massimo ad uno strano gioco di luci.
Ma per una sorta d’istinto naturale, si girò comunque, sicuro in ogni caso che non avrebbe visto nulla.
Tuttavia non fu così.
Perché lì davanti, non molti metri distante da lui, vi era per davvero qualcuno, accovacciato a testa bassa sulla recinzione come aveva visto nel riflesso. Le gambe piegate e le mani posate sulle ginocchia, il busto chino in avanti- forse per mantenersi in equilibrio, forse per non mostrare il proprio viso. Era vestito completamente di nero, con una felpa ed una sciarpa stretta intorno al collo.
Sebbene non fosse troppo vicino, potè comunque notare che lo strano tipo indossava  un paio di guanti bianchi e dalla stoffa, per ogni dito, fuoriusciva un lunghissimo artiglio nero, rassomigliante a quello di un felino.
Passarono diversi secondi, in cui Kuro non aveva fatto altro che fissarlo, a metà tra il sorpreso e lo spaventato, con la bocca spalancata e le sopracciglia inarcate. Non sapeva se urlare chiedendo perché quello fosse lì, come fosse arrivato lì e soprattutto cosa voleva. Per un momento, Kuro pensò che potesse essere un ladro, ma-…
Chiunque egli fosse, in quel momento sollevò il viso.
Come già aveva notato, indossava una felpa con un cappuccio nero ed una sciarpa a righe bianche e nere. Ma non era stata quella parte del vestiario- che per quanto poco comune poteva sembrare, non inquietava- a metterlo ancor di più in agitazione; semmai la particolare maschera che quella persona indossava: era per metà nera come la pece, mentre l’altra metà era di un bianco brillante. Più di tutto, però, sul lato più scuro della maschera vi era una sorta di espressione facciale. Era molto minimale: una specie di occhio felice ed uno strambo sorriso. Quella visione gli fece drizzare ogni pelo del corpo. Perché c’era qualcosa in quell’essere che lo faceva sembrare… disumano.
Il cuore di Kuro batteva forte, ma ancora non  muoveva un passo- gli sembrava di essere lo stupido protagonista di un film horror da quattro soldi, in cui davanti all’assassino i personaggi non fuggivano via. Ma non dipendeva da lui.
C’era qualcosa che lo obbligava a guardare quella strana creatura- ché non poteva riferirsi ancora a lui come se fosse un essere umano, lo sentiva che non lo era: sarebbe potuto entrare in casa, al sicuro, e chiamare la polizia.
Troppe congetture e troppi pensieri gli attraversavano la mente in così pochi secondi. Stessi secondi che il mostro aveva impiegato per saltare giù dalla recinzione, all’interno del giardino.
Quello inclinò la testa di lato, e chiese con voce traboccante di un entusiasmo quasi infantile:

«Vuoi giocare con me?»

Qualcosa si risvegliò in Kuro, a causa di quella voce. Un allarme che lo avvertì immediatamente- e finalmente- a scappare. Urlò, mentre la tazza vuota del tè gli sfuggiva di mano, e si girò ad aprire la porta finestra, rientrando in casa. Pregò con tutto sé stesso che quel mostro non lo seguisse, mentre tentava febbrilmente di chiudere a chiave la porta. Alzò lo sguardo, osservando oltre al vetro, sicuro che si sarebbe trovato difronte alla misteriosa e inquietante maschera. Il mostro, invece, era rimasto dove lo aveva lasciato, che lo fissava. Parlò ancora, e disse:
«Vuoi giocare?» poi ridacchiò. «Io voglio giocare!»
Kuro si allontanò dalla porta finestra, correndo in cucina. Accese la luce, che subito inondò soffusamente la stanza. Alla vista della luce, il respiro e il battito del suo cuore sembrarono calmarsi appena. Chiuse la porta alle proprie spalle, per poi allontanarsi da essa.
 Non era normale. Quell’essere non era normale, quella situazione non era normale. Aveva paura, tanta paura, e non sapeva cosa fare. “Calmo. Devo restare lucido. Non farmi prendere ancora dal panico… cosa faccio? Cosa cazzo devo fare?” per diversi attimi rimase immobile, prima di venir colto da un barlume di lucidità mentale.
“Sì! Sì, la polizia! La polizia. Devo chiamare la polizia.”
Cercò con lo sguardo il telefono di casa, deciso a chiamare la polizia- aveva paura, quell’essere poteva ancora essere lì, magari stava cercando di entrare. Lo notò in pochi secondi, sul mobile vicino alla vecchia televisione. In due passi lo raggiunse, prendendo febbrilmente in mano la cornetta. Fece vagare incerto l’indice della mano destra sui tasti dei numeri leggermente scoloriti, cercando di far mente vuota per recuperare i numeri da usare in caso di emergenze. Dannazione, tre cifre, e non le ricordava!
Il silenzio attorno a lui era opprimente. Ma quando questo venne rotto da un’altra sinistra risata- identica a quella che aveva sentito prima davanti alla porta finestra- rimpianse amaramente l’ambiente silenzioso. Lasciò cadere la cornetta, girandosi di scatto, alla ricerca del mostro.
Era entrato in casa? Come aveva fatto?
La risata era troppo chiara e ben udibile per essere fuoriuscita da qualcuno che era fuori di casa- troppo vicina.
Intorno a sé non vedeva nessuno, ma questo non lo tranquillizzò per nulla. Anzi, lo mise ancor di più in agitazione.
“Stai calmo, Kuro… sei in cucina. Prendi un coltello per difenderti. Poi chiama la fottuta polizia.”
Aprì uno dei cassetti, e prese nella mano sinistra un coltello, quello che di solito usava per tagliare il pane. La lama seghettata era ben affilata, e per quanto era sicuro che non sarebbe mai stato in grado di colpire quell’essere, pensò che almeno così avrebbe potuto intimorirlo, o tenerlo comunque lontano da sé.
«Eheheh!»
Ancora quella risatina! Dov’era? Dove maledizione era? Perché lo sentiva come se fosse accanto a lui, mentre lì nella cucina era solo? Santo cielo, non era solo la sua immaginazione, non stava diventando paranoico. Quel mostro era lì… era lì…
Strinse più forte la presa sul coltello, guardandosi intorno con circospezione. Non vedeva nulla. Mosse un passo in avanti, ma preso dal terrore tornò immediatamente indietro, restando con le spalle contro il piccolo mobile e guardando la porta- l’unico posto da cui si poteva entrare.
«Eheheh!»
Sobbalzò, sentendo di nuovo quella risata. Tuttavia potè notare un particolare, che la differenziare dalla precedente: pareva più lontana. Come se chi ridesse non fosse più vicino come prima. Ma la cosa non sollevò affatto Kuro, ché quel mostro era ancora in casa sua, e non poteva fregargli nulla se più vicino o lontano di prima. Era comunque lì.
Completamente irrigidito e bianco in viso, l’uomo si avvicinò alla porta della cucina. La presa sul coltello era talmente forte che le sue nocche erano sbiancate e le dita gli facevano male. Appoggiò la mano libera alla maniglia, prese un respiro profondo e poi aprì lentamente la porta, pronto ad accogliere con una coltellata qualsiasi cosa vi avesse trovato dall’altra parte.
Si aspettò di ritrovarsi faccia a faccia con quel mostro, e invece davanti alla porta non c’era nessuno. Il suo istinto gli diceva di tornare indietro, chiudersi in cucina e chiamare la polizia come si era prefissato. Ma non ascoltò il suo istinto, superando il più silenzioso possibile l’uscio e andando nel piccolo salotto, da dove gli sembra di aver sentito la risata beffarda.
E lo vide.
Seduto sulla poltroncina verde oliva- unico arredamento presente nel soggiorno insieme alla grande libreria da muro- vi era comodamente seduto il mostro, che sorseggiava con tranquillità un bicchiere di quello che a prima vista pareva vino rosso. Nella mano con cui non teneva l’elegante bicchiere di vetro- Kuro era sicuro che non fosse suo, non era il tipo: come se lo era portato appresso?- stringeva una scura bottiglia aperta di vino, anche quella sicuramente non gli apparteneva, lui non aveva mai toccato vino in vita sua.
Fece per fare dietrofront, ma in quell’istante la creatura si accorse di lui, girando il capo nella sua direzione- anche se Kuro ebbe come la sensazione che lo avesse notato sin da subito ma non lo avesse dato a vedere. Quando sentì lo sguardo di quella maschera su di sé, stese in avanti il braccio sinistro puntandogli il coltello contro.
«Fu…fuori da casa mia. Subito.»
Tentò di far suonare la sua voce il più minacciosa possibile, ma a fronte della reazione del mostro capì di non essere riuscito a intimorirlo neanche un minimo: il mostro difatti porse lui la bottiglia di vino, come a volerlo invitare ad una bevuta. Sulla maschera ancora quell’occhio e bocca sorridenti.
«Vino?»
Kuro lo fissò ancora, il coltello ancora teso davanti a sé. Poi con uno scatto da maratoneta schizzò fuori dal soggiorno e tornò in cucina più veloce che poté: era terrorizzato a dir poco, e stavolta la polizia l’avrebbe chiamata a tutti i costi. Si aspettò che quel mostro si sarebbe alzato da un momento all'altro e lo avrebbe raggiunto per ucciderlo- ché è quello che fanno i mostri, dopotutto. Ma quell’essere era rimasto là, e poteva ancora sentirlo ridacchiare divertito dietro di sé. «Eheheh!»
Quella dannata risata lo stava facendo uscir matto, santo cielo.
Quel cazzo di mostro lo faceva impazzire.
Gli sembrava passato un decennio, ed invece era passata a malapena una mezz’ora da quando quella creatura gli era entrata in casa. Tornò a prendere il telefono e di nuovo non sapeva che numero comporre. Decise infine di contattare suo fratello, sperando che questi nonostante l’ora tarda gli rispondesse.
«Eheheheheh!»
Rideva ancora, il mostro! Era una risata più lunga e inquietante, e la sentì nuovamente più vicina. Si stava avvicinando, Cristo Santo, si stava avvicinando! Il telefono smise di squillare e sentì la voce impastata dal sonno di Matsuda cercare di formulare una frase- probabilmente intenta a mandarlo a quel paese per l’orario. Lo bloccò prima che potesse dir mezza vocale:
«Chiama la polizia, Matsuda! C’è un cazzo d’intruso in casa mia!» gridò Kuro in preda dal panico, mentre sentì nuovamente la risata del mostro fuori dalla cucina- più vicina, sempre più vicina.
«Cosa…?»
«C’È UN FOTTUTISSIMO MOSTRO IN CASA MIA! CHIAMA LA CAZZO DI POLIZIA! CHIAMALA!»
Sentì suo fratello sospirare, e conoscendolo in quel momento si stava probabilmente massaggiando le tempie, come se credesse che quelle parole fossero frutto di uno scherzo di pessimo gusto.
«Kuro, guarda che se-»
«NON SI TRATTA DI UNO SCHERZO, MATSUDA, TI PREGO! SI STA AVVICINANDO!»
«Santo cielo, Kuro, sembra tu sia in procinto di piangere. Sai chi è? »
«NO! Non so nulla, è mascherato, vestito di nero e ride come un pazzo. Ho paura, per piacere, aiutami…»

Kuro strinse le palpebre, le mani che gli tremavano almeno quanto la voce. Il cuore batteva a mille, e sentiva la gola secca. Tentò di deglutire, ma ebbe solo un rigetto fastidioso, che gli fece quasi venir l’impulso di vomitare il tè e la cena.
«Matsuda, per favore… chiama la polizia… non ho più molto tempo…»
La porta della cucina si aprì.
Kuro spostò lo sguardo sulla porta semi aperta, ma non vide nulla, perlomeno in quella breve frazione di tempo. Cercò di mettersi sulla difensiva, lasciando pendere lungo il mobile la cornetta nera del telefono, la chiamata ancora  in corso col fratello maggiore. Impugnò con entrambe le mani il coltello, distendendo le braccia avanti a sé.
«Eheheh! Il vino è già finito?» esclamò provocatorio il mostro, ora davanti a lui, a separarli solo pochi metri di pavimento. Tra le mani ancora stringeva il bicchiere di vino, vuoto, ma che gocciolava appena sul mattonelle e la bottiglia, a prima vista anch’essa vuota.
«Kuro? Sei ancora lì? Kuro?» domandò la voce di Matsuda attraverso il telefono, il tono preoccupato e più sveglio, mentre la cornetta sbatteva leggermente contro il mobile.
Kuro brandì il coltello, gli occhi a mandorla sgranati e la voce disperata di chi è sull’orlo di una crisi isterica o di un pianto senza fine «Vai via! Via!»
Non aveva il coraggio di avvicinarsi per colpirlo, era bloccato dalla paura, dal terrore. La luce del lampadario si rifletteva nella lama affilata, mandando lieve fasci di luce sulla parete.
Sembrarono passati secoli, interrotti solo dal gocciolio lento delle gocce di vino per terra e dalla voce di Matsuda che ancora cercava di richiamare l’attenzione del fratello, sempre più preoccupato dal non sentire alcuna risposta.
Poi successe tutto in fretta, così rapidamente che Kuro non ebbe neanche il tempo di difendersi o dire una sola parola. Il mostro lasciò cadere per terra il bicchiere- che si frantumò in mille pezzi, spargendo piccoli e grandi frammenti di vetro per il pavimento- e con un’abilità disumana balzo sul murò, rimanendovi arrampicato come se fosse una lucertola, o un ragno. Si reggeva con tutti gli arti, eccetto per una mano, con cui stringeva ancora la bottiglia di vino, le unghie che la raschiavano appena, incrinandola.
«Sei noioso.» commentò con voce cupa e priva della giocosità che fino a prima aveva caratterizzato le sue frasi. Si sentiva ancora la voce di Matsuda in sottofondo, per quanto ridotta al minimo della considerazione.
Kuro cercò di riprendersi dallo shock che lo aveva colto, muovendo qualche passo per allontanarsi dalla creatura – troppo poco coraggioso per avvicinarsi e cercare di colpire con quel coltello che stringeva tra le mani- e si sarebbe messo a correre verso la porta se solo quel mostro non gliel’avesse impedito.
Sentì qualcosa rompersi con forza contro il suo capo e del liquido rosso aveva iniziato a colare dal suo capo. La cucina aveva iniziato a girargli intorno, la vista si era fatta sempre più annebbiata. Non aveva più neanche la forza di stringere il coltello che gli scivolo dalle mani. Crollò a terra senza forze, non si sentiva più neanche in grado di reggersi in piedi.
«Kuro! Che cosa è stato?! Cristo, ho sentito rompersi qualcosa, va tutto bene? Kuro?! Cazzo, Kuro, rispondi!»
Percepì a malapena le parole del fratello, mentre i sensi di percezione si facevano sempre più deboli.
E con la coda dell’occhio lo vide: il mostro era sceso dalla parete e gli si stava avvicinando a quattro zampe sul pavimento, ignorando i vetri rotti, come se non lo scalfissero minimamente. 
Il suo braccio sinistro e le gambe erano piegate in modo orrendo e nulla avevano di umano. Non aveva più nulla in mano e notando il collo della bottiglia non troppo lontano da sé, capì con un ultimo senso di lucidità che la bottiglia lo aveva colpito in pieno, e che quello non era vino.
Era il suo sangue.
Gli occhi erano appena socchiusi e il respiro flebile, quando si trovò faccia a faccia col mostro. Era sopra di lui e lo fissava. Le braccia e le gambe flesse ad angolo di novanta gradi, in modo tale che lo potesse guardare. La sua maschera era cambiata di nuovo. Il luminoso sorriso sul lato nero della maschera era scomparso, e una smorfia irata aveva preso posto su quello bianco. Poi, con voce bassa e metallica,  gli ripeté:

«Sei noioso.»

Emise un ringhio basso- come quello di un cane rabbioso- e infine un sibilo quasi serpentesco.
Kuro chiuse gli occhi, reclinando il capo all’indietro; il sangue continuava a scorrere copioso e i vetri che venivano calpestati .
Poi il mostro si avventò su di lui.


«Kuro! Ho chiamato la polizia, sta arrivando! Cosa sta succedendo? Kuro? KURO? Rispondimi! Kuro! È successo qualcosa? Cazzo, e rispondi, che sono preoccupato! Kuro!  Porca miseria, perchè non rispondi?!»
«Era noioso.»


 

 

 

 

“E poi, beh... ci sono quelli come me.
Anime che vivono solo di notte.
Che aspettano il crepuscolo per uscire a caccia...
di nuove prede".


  
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