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Autore: Vera_Davvero    24/06/2016    0 recensioni
Quando smarrisci la via, e perdi te stessa lungo il cammino, che cosa ti resta?
Dimmi il tuo nome, straniera.
Oppure preparati a diventare una di noi.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Trascorrono diversi istanti, prima che l’uomo smetta di fissarmi ad occhi spalancati. Sono sull’orlo della pazzia. Ma che diamine sta succedendo attorno a me?
Ma prima di potermi lasciare andare ai dubbi e allo sconforto, l’uomo riprende possesso del mio polso. Lo agguanta con la sua mano forte e, con presa decisa, inizia a trascinarmi con se lungo il vicolo. Dentro l’oscurità.
“Ehi!” esclamo. “Ehi, che stai facendo?”
Lui non mi risponde. Le nostre figure iniziano a scivolare nelle tenebre surreali che si addensano via via lungo la strada. Ci inghiottono, e inghiottono lentamente la poca luce del giorno. Avanziamo rapidi, o almeno, lui. Io non vedo nemmeno dove metto i piedi, e lui mi strattona per farmi tenere il passo, senza dire una parola.
Ad un certo punto vedo un timido bagliore di fronte a lui, una fiammella che, nonostante la debole intensità della sua luce, riesce a delineare i contorni della sua figura possente, facendola risaltare in mezzo al buio corposo che ci circonda.
“Da questa parte” dice, tenendo la torcia davanti a sé per illuminare il nostro cammino. Come ha fatto ad accenderla, mi domando, avendo una sola mano a disposizione?
Come sia possibile essere finiti in una tale completa assenza di luce resta un mistero che la mia mente si sforza di comprendere.
Ma poi, lentamente, inizio a capire: stiamo scendendo.
Lo realizzo dopo circa cinque minuti di marcia a ritmo sostenuto. Sento l’aria farsi più rarefatta, più umida e densa. E poi l’odore, l’odore della terra bagnata dopo la pioggia. L’odore di autunno, di foglie macerate.
“Dove siamo?”
“Cosa credi?” ribatte la mia guida, finalmente degnandosi di rispondere. “Siamo nell’unico posto sicuro nel raggio di … beh, nell’unico posto sicuro che ancora esiste”
Le sue parole non hanno senso per me.
“Ma che cosa dici? Non credo che queste … catacombe?” azzardo. “ … ecco, non credo che siano più sicure della Strada, là fuori. Siamo sotto terra, vero?”
“Soffri di claustrofobia per caso?” sbotta.
“No. Ma … come siamo arrivati …?”
Guardo sopra di me, domandandomi perché non l’ho fatto prima. Solo un’oscurità densa e soffocante,  ma l’eco dei nostri passi ritorna alle mie orecchie da quella direzione. Siamo sotto la terra. Marciamo come formiche in cunicoli scavati nella terra.
Non soffro di claustrofobia, ma inizio a sentirmi sopraffatta.
E adesso? Sto venendo trascinata nelle profondità della terra da uno sconosciuto potenzialmente pericoloso … che ne sarà di me?
Come faranno a trovarmi?
Come farò a tornare … a casa mia?
 
“Siamo quasi arrivati” mormora, ad un ceto punto, credo più rivolto a sé stesso che a me.
“Ah si? Arrivati dove?”
Si blocca. Arrivo alle sue spalle e guardo avanti a noi. La luce della torcia illumina la fine del tunnel, ma invece di un vicolo cieco, invece di una parete di solida terra umida, vedo una biforcazione. Due sentieri di calibro più piccolo di quello che abbiamo seguito fino ad ora si separano di fronte a  noi.
… A sinistra. Ne sono sicura, sorellina. Dobbiamo girare a sinistra…
“Sorellina?” domando, perplessa.
L’uomo si volta verso di me e alza un sopraciglio. “Scusami?”
“Mi hai chiamata sorellina?”
Lui mi rivolge la sua completa attenzione. Scuote la testa, guardandomi come se fossi un fenomeno da baraccone. “Non l’ho fatto, invece”
Bugiardo. L’ho sentita benissimo la tua voce.
Come avrei potuto sbagliarmi? Non l’ho ancora menzionato prima, ma c’è un silenzio così assoluto e pesante che ogni suono sembra amplificato dentro questa galleria.
Lui ha detto quelle esatte parole, ne ero certa. E adesso lo nega.
Cosa ha intenzione di fare? Farmi passare per una pazza? Confondermi?
“Allora, dove stiamo andando?”
“Te l’ho già detto. Ora lasciami pensare”
“Pensare? A cosa esattamente?”
“Alla direzione. Queste maledette gallerie si somigliano tutte”
“Pensavo dovessimo andare a sinistra” gli ricordo.
Lui si volta verso il bivio. Poi ancora verso di me.
“A sinistra?”
“Si. L’hai detto poco fa”
“No, non l’ho fatto” insiste. Ma prima che io abbia il tempo di domandargli se mi sta prendendo in giro o meno, lui riprende: “Ma … ora che mi ci fai pensare, hai ragione. Dì un po’, sicura di non essere mai stata qui prima d’ora?”
Irritata, vorrei gridargli che fra noi due è lui quello ad avere dei problemi di memoria. Ma non lo faccio. Faccio un respiro profondo e mi lascio guidare dallo sconosciuto lungo la galleria di sinistra.
Camminiamo senza proferire parola per un’altra manciata di minuti.
Poi, dopo aver svoltato leggermente a sinistra, vedo qualcosa. Vedo una luce.
La fine della galleria. La fine di quel viaggio nelle tenebre.
Via via che ci avviciniamo, la vedo allargarsi, ma i miei occhi non riescono a scorgere cosa stia al di là.
“Siamo arrivati. Qui è sicuro, non devi preoccuparti”
“Dove siamo?”
Varcata la soglia della luce, strizzo gli occhi, i quali, abituati all’oscurità, ci mettono diversi istanti per abituarsi.
… ora puoi aprire gli occhi, tesoro …
… tesoro?
“Tesoro?”
“Cosa?” domanda la mia guida. “Che hai detto?”
“Io non ho detto niente”. Batto le palpebre. “Ma qualcun altro … oh cielo!”
La voce che ho appena sentito, e che, a quanto pare non apparteneva a nessuno, dal momento che c’è solo lui qui con me, passa immediatamente in secondo piano.
La galleria è sbucata in quella che sembra una città sotterranea, accolta nella più grande grotta che io abbia mai visto, più grande di quanto la mia mente potesse concepire. Io e lo sconosciuto la dominiamo dall’alto. Ci basterebbe scendere lungo questo pendio e addentrarci in quel caotico agglomerato di case. Da quassù non riesco a distinguere una pianta ben precisa, ma svetta fra tutti gli edifici quello centrale: se tutte le altre costruzioni non sono altro che vecchie e spoglie baracche, il palazzo che sta nel centro esatto della città è fatto di solida arenaria, con un portone verde e un soffitto di tegole.
Fra tutti i pensieri assurdi che si spintonano nella mente, ad uscire per prima dalla mia bocca è una domanda: “E’ una chiesa quella laggiù?”
“No” risponde l’uomo. “Quella è la Sala di Consultazione”
Nel momento in cui la mia guida pronuncia quel nome, una bizzarra frase esce dalla mia bocca, senza che il mio cervello possa in alcun modo impedirlo: “Bisogna scendere lungo la scala a chiocciola”
Lui si volta verso di me, perplesso. “Che … che cosa significa?”
Mi mordo il labbro.
Oddio. Non … non volevo dirlo. Non so nemmeno cosa stia a significare. Ma che mi sta succedendo? Prima sento le voci, ora parlo senza filtro, dicendo cose senza senso, fuori da qualsiasi contesto … che diamine mi prende?
Arrossisco e abbasso lo sguardo.
“Lo sai” dice l’uomo. “Sei proprio strana”
“Io sono strana?” ribatto. Indico con un gesto del braccio la città che dominiamo con lo sguardo. “E tutto questo cosa sarebbe? Normale?”
“Per me lo è. Per tutti noi”
“Noi?” domando. “Quindi qui ci sono delle persone … vere?”
“E ben presto le conoscerai. Andiamo ora”
“Andiamo dove?”
Lui si incammina lungo il sentiero che scende, tortuoso, lungo il pendio. “Alla Sala di Consultazione”
  
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