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Autore: A lexie s    25/06/2016    4 recensioni
[CaptainSwan Au]
Dal primo capitolo: Gli sguardi di tutti puntati su di lei, sorrisi dipinti sui volti dei presenti ed occhi pieni di commozione. Non sapeva che espressione avesse, la sua sicurezza non tradiva alcun tipo di agitazione nonostante agitata lo fosse parecchio.
Un paio di occhi azzurri si distinsero in quella massa di persone che la fissavano. Due occhi azzurri come il mare, un mare caldo, un mare d’estate quando il sole riscalda la pelle e le onde s’infrangono piano sulla battigia.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Never Gonna Be Alone

Epilogo
 
“C’era una volta” la copertina era rilegata elegantemente e le parole erano incise con una scrittura elegante, il dorato spiccava sul marrone della pelle. Le pagine erano chiare, non bianche, un po’ ingiallite dal tempo ma curate.
Emanava un odore profondo, non particolarmente dolce ma non spiacevole. Sapeva di vissuto.
Entrava luce dalla grande porta-finestra, rischiarava la piccola stanza e le riscaldava la pelle mentre seduta su una vecchia sedia si accingeva a sfogliare quel grosso volume rettangolare. Non era una fiaba, non c’erano principi e principesse, non c’erano animali parlanti e non c’era magia. Beh, non la solita almeno.
Benché la formula iniziale fosse quella riservata alle fiabe, quella storia non aveva nulla di attinente a quella tipologia narrativa. Raccontava la vita, la sua vita, la loro.
Non una vita semplice, non un’infanzia felice e nemmeno scelte facili. Tutto era frastagliato, a tratti doloroso, molto doloroso. In bella grafia, le parole scorrevano piano e sembravano belle, pure quelle che avevano fatto male. Sembravano aver senso, in quel momento!
Tutto aveva portato a quelle altre parole, quelle giuste, belle e piene d’amore. Quelle che rappresentavano il loro percorso, la loro crescita ed il loro grande affetto. Il sostegno reciproco, il farsi male pur di farsi bene, l’asciugarsi le lacrime, il farsi compagnia, il non lasciar perdere, la lotta pur di riuscire, pur di tornare, per restare.
Scorrevano via come un fiume in piena, straripando di tanto in tanto ma seguendo il suo corso con passione e con fiducia.
 
“Prometto di svegliarti sempre con un cupcake la Domenica mattina e di mangiare tutto quello che cucinerai, per quanto fantasioso possa essere. – Lei rise di cuore, pensando all’ultimo pasto che gli aveva propinato dopo l’iniziale resistenza di lui. Inutile dire che avevano finito per ordinare una pizza. – Prometto di fare l’albero con te ad ogni Natale e di non farti più dormire sul divano, o non dormirci io, anche quando litighiamo. Prometto di prestare sempre attenzione alle tue parole e di ritrovarti sempre. Io ti amo, Emma Swan. Ti ho amato dal primo momento, ho amato la bambina con le treccine, il tuo essere scontrosa, il tuo respingermi, il tuo aprirti piano, il tuo amarmi. Ho amato ed amo tutto di te, questo sarà per sempre.”
 
Si passò il dorso della mano sugli occhi, cercando di non sporcarsi col trucco. Lo guardò e voleva baciarlo subito, piangere contro la sua spalla per le cose perfette che aveva detto e per come lo era stato sempre con lei. Era il suo momento,
però, e per quanto non riuscisse a parlare, doveva fargli le sue promesse.
 
“Prometto di cucinare cose meno fantasiose – riprese le sue parole e lo vide sorridere, questo le diede il coraggio necessario per continuare. – Prometto di non allontanarti mai e di non costruire barriere tra di noi. Prometto di considerarti sempre casa mia e di vivere nel calore del tuo amore, di essere più affettuosa e meno scontrosa. Prometto di non scappare mai più, prometto di fare tutto il possibile affinché tu non abbia bisogno di ritrovarmi, perché non ho mai voluto perderti e non lo vorrò mai. Ho iniziato a vivere davvero quando ti ho conosciuto, tu mi hai fatto capire che non ero sola, e mi hai fatto e continui a farmi sentire amata ogni giorno. Ti amo tanto, sei l’amore della mia vita, il compagno della mia anima, il mio migliore amico. Questo non potrà cambiare mai.”
 
Un’altra pagina, un altro momento..
 
“Non posso farlo.”
“Tu puoi fare qualsiasi cosa” la rassicurò prendendole la mano e stringendola tra le sue. Le chiuse la zip della muta e le passò una maschera.
Aveva voluto seguirlo quella volta, un nuovo viaggio di lavoro, un mese di ricerche in mare e lei aveva accolto la notizia con molta agitazione. L’ultima volta che era partito, il loro mondo era crollato, dopotutto. Ed anche se adesso erano più forti, più maturi e consapevoli, la paura era insidiosa e riemergeva cercando di inghiottirla.
Si era presentata così, di colpo, poco prima che la nave salpasse.
Una valigia nella mano sinistra. Killian guidava la missione, ed Emma avrebbe potuto aiutare, magari in cucina, quando non inventava nuove immangiabili ricette.
Aveva fatto bene anche a lui vederla lì, gli era tornato il sorriso.
“Capitano, posso salire a bordo?” Gli aveva detto, divertita ma timorosa.
“Non sono io il capitano, purtroppo, ti toccherà chiedere a lui.” L’aveva ammonita prima di tenderle la mano per aiutarla.
“Tu puoi sempre intercedere per me.” Labbro all’ingiù, l’espressione da cucciolo che le riusciva meglio. Suo marito alzò un sopracciglio, interrogandola silenziosamente sul compenso che ne avrebbe tratto.
Lei si avvicinò ulteriormente, facendo scorrere le dita sul suo petto, aggirando i bottoni della camicia di lino.
“Okay” deglutì, “sarò convincente.”
 
L’immersione era stata fantastica, aveva avuto paura ma era stata elettrizzante e l’aveva fatta sentire viva.
Rientrarono nella loro cabina subito dopo, Killian tolse la muta e piccole goccioline attraversarono il suo corpo e bagnarono le assi di legno ed Emma non nascose la malizia nel suo sguardo mentre si beava della visione del corpo nudo di suo marito.
“Ti piace quello che vedi?” La stuzzicò lui.
“Molto.”
 
Chiuse il libro e lo ripose sulla mensola, ormai dovevano mancare circa una manciata di ore e lei non voleva farsi trovare così. Voleva accoglierlo con un bel dolce o magari preparare una cenetta romantica dato che erano passati due lunghissimi mesi dall’ultima volta che si erano visti. Non era stato facile, quel libro le aveva tenuto compagnia.
 
“Mamma, sei in soffitta?”
“Si, Henry. Arrivo subito.” Anche lui le aveva tenuto compagnia, la sua mente era occupata grazie alla presenza del suo bambino. Ormai, era un ragazzino. Alto, per la sua età, e furbo.
Anche la gravidanza non era stato un periodo facile, aveva paura, paura di muoversi, di respirare, di fare qualsiasi cosa. Non voleva perderlo, non voleva perdere il loro bambino nuovamente. Killian era stato paziente, l’aveva rassicurata in ogni modo, non aveva fatto nessuna spedizione ed anche ora si limitava parecchio rispetto a quelle che il suo lavoro richiedeva.
Quest’ultima spedizione era stata necessaria, ma due mesi senza vedere sua moglie e sue figlio pesavano tanto anche a lui, come un macigno sul cuore ed Emma lo sapeva.
Lo accolse con un sorriso sulle labbra, un vestito rosso e sexy, ed una bottiglia di vino bianco fresco al punto giusto.
Lui si tuffò tra le braccia della moglie e la sollevò di poco facendola volteggiare in aria. Si guardò intorno, aspettandosi un bimbetto di 10 anni a scorrazzare per casa ma c’era molto silenzio e tutto sembrava in ordine.
“Voleva aspettarti ma è crollato un’oretta fa.” In effetti era tardi, la nave aveva avuto dei problemi nel rientro ma fortunatamente tutto si era risolto alla fine. Killian andò a vedere suo figlio dormire, gli accarezzò piano la testa e depositò sul comodino una piccola moneta argentata. L’aveva ritrovata in mare e l’aveva conservata per lui dato che il suo piccolo aveva ereditato la passione per gli oggetti ed amava collezionare monete. Erano andati insieme anche a qualche fiera numismatica.
“Dorme beato” sorrise alla moglie che lo aspettava seduta a tavola.
“Hai fame?”
“Uhm, sono affamato” il suo sopracciglio si sollevò mentre si avvicinava a passo spedito. Le afferrò la mano e se la tirò addosso. I loro corpi aderirono subito, le tirò giù la spallina e baciò avidamente il suo collo.
“Intendevo di cibo” sorrise lei.
“Ho avuto cibo in questi due mesi, non ho avuto te perciò direi che prevale un altro tipo di fame.” Il vestito scivolò via e lei rimase nuda sotto le sue mani.
L’accarezzò piano, si prese il suo tempo per ammirarla, per guardare tutto ciò che gli era mancato in quei giorni. Lei era di nuovo lì, poteva finalmente baciare la sua pelle e respirarne il profumo floreale, passare la mano tra quei fili dorati e prendere il suo corpo che era così perfetto per lui.
“Ti sono mancato?” Un bacio rapido sulle labbra, un altro sul collo, uno più su dietro l’orecchio. Giusto in quel punto.
“Ogni giorno” cercò di non far riaffiorare la disperazione che si celava dietro quelle due parole, ma lui la vide comunque, come sempre, vedeva tutto di lei.
Le aveva fatto fare quel libro di proposito, lo avevano scritto insieme e c’erano ancora pagine bianche da scrivere. Sapeva che agli occhi degli altri poteva sembrare stupido, magari esagerato ma non gli importava. Lui sapeva che lei ne aveva bisogno, che le avrebbe tenuto compagnia e che l’avrebbe sentito vicino nei momenti di sconforto.
“Non andrò più via per così tanto. Te lo giuro. Non posso stare tanto tempo senza di voi.” Le sorrise mentre le accarezzava la schiena, la strinse forte per cancellare via ogni traccia di sconforto. Lui era lì.
La sollevò e la portò nella loro stanza.
“Non posso stare senza toccarti” passò una mano sul suo fianco, “o senza baciarti.” Le sfiorò le labbra con delicatezza, prima di prenderle dolcemente il viso con le mani ed approfondire il bacio. Lei rispose simultaneamente, il fuoco aveva cominciato e divampare e lui si manteneva ancora troppo vestito mentre lei era già nuda.
Le sue piccole mani corsero veloci alla camicia e tirarono con forza, facendo rotolare via qualche bottone. Killian si staccò, guardò in basso e rise del suo impeto.
“Non potrò più metterla.”
“Ricucirò i bottoni” promise lei, mentre le sue mani si spostarono sui jeans.
“Allora non la rimetterò mai più davvero” la stuzzicò, conquistandosi un pugno sulla spalla.
“Sta zitto e togliti i pantaloni.”
“Come la signora comanda” fece un piccolo inchino in segno di riverenza, prima di togliere e scalciare via quei jeans diventati di troppo.
Lei lo buttò sul letto e salì a cavalcioni su di lui.
“Siamo impazienti vedo” sorrise mostrando tutti i denti bianchi e poi le afferrò le cosce.
Ribaltò la posizione e la mise sotto di sé puntellandosi con i gomiti per non gravarle addosso. Si avvicinò nuovamente alle sue labbra e ricominciarono a baciarsi, lei allargò le gambe per permettergli di posizionarsi meglio e così la fece sua nuovamente. Voleva godersi quel momento, voleva godersi tutto di quel ricongiungimento. Sentirla gemere piano e chiamare il suo nome così dolcemente, imprimere il suo volto estasiato nella sua mente. Muoversi insieme completamente in sincrono per poi sentirsi appagati e nuovamente felici.
Le loro mani si stringevano, i loro petti si sfioravano e le loro bocche non smettevano di baciarsi.
Si addormentarono finalmente insieme, ed il senso di vuoto, che avevano provato tutte le notti che avevano preceduto quel momento, era finalmente svanito.
 
Quando Emma si risvegliò il sole era alto nel cielo ed illuminava completamente la stanza, si buttò un cuscino in faccia per coprirsi da tutta quella luce. Si sentiva piacevolmente indolenzita, sensazione che non provava da un po’ di tempo ed il letto sembrava più caldo. Stese una mano per toccare il corpo dell’uomo accanto a lei ma lui non c’era. Si mise di colpo a sedere, preoccupata di avere solo immaginato il suo ritorno, ma le immagini della sera prima presero a vorticarle rapidamente in testa. Il suo stomaco brontolò pesantemente e ricordò che non avevano neppure cenato prima, dopo l’impegno che ci aveva messo nello sperimentare una nuova ricetta. Le venne il dubbio che forse lui l’avesse distratta proprio per evitare questo suo esperimento, non che fosse dispiaciuta di ciò.
Sorrise ed infilò un paio di pantaloncini ed una canotta.
Trovò i suoi uomini in cucina, erano intenti a prepararle la colazione. La tavola era apparecchiata di tutto punto. Spremuta, cornetti caldi, uova e pancetta.
“Buongiorno” li sorprese a parlare di una certa moneta, si sarebbe fatta spiegare più avanti e magari l’avrebbero pure trascinata in qualche fiera.
“Ciao splendore” suo marito le passò una tazza ed un bacio leggero.
“I miei cuochi mi hanno preparato la colazione a quanto vedo” sorrise soddisfatta mentre si sedeva pronta per mangiare, cominciò ad ingurgitare cibo.
“Qualcuno ha fame.”
“Qualcuno mi ha fatto saltare la cena.”
“Quel qualcuno ha salvato la vita di entrambi.”
Emma, indignata, afferrò una pezza e gliela lanciò in pieno volto. Killian rimase a bocca aperta, “questo non dovevi farlo, signorina.” La minacciò divertito mentre si alzava lentamente dalla sedia dandole il tempo di fare altrettanto. Si lanciò all’inseguimento facendola finire dritta sul divano ed intrappolandola con il suo corpo.
“Siete peggio di due bambini.” Sentirono la voce di Henry ammonirli e scoppiarono a ridere.
Erano una famiglia. La famiglia che da sempre erano destinati ad essere e l’unica di cui avessero bisogno.
 

Spazio d'autrice: 
Non aggiorno questa storia da circa un secolo quindi immagino che ormai l'abbiate dimenticata ed avete ragione. Sono meno presente qui (quasi assente, in realtà), sia con le recensioni che con le storie, mi dispiace ma è stato un periodo caotico, denso di eventi che non mi hanno permesso e dato la concentrazione necessaria per scrivere. Questo capitolo nemmeno esisteva fino ad oggi, avevo solo bisogno di dare una fine a questa storia perché ci tengo e mi dispiaceva lasciarla incompleta. E nulla, sono semplicemente contenta di aver dato a questi due il lieto fine che meritavano. 

 
 
 
  
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