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Autore: ChrisAndreini    26/06/2016    1 recensioni
Un ragazzo di ventidue anni si sveglia una mattina al bordo di una strada, con la moto distrutta sulla sua gamba, ed intorno a sé solo morti. Dovrà badare a sé stesso, ma il vero problema sorge quando i morti prendono vita.
Dovrà mettercela tutta per sopravvivere e capire cosa è successo e se si può cambiare la situazione.
Storia partecipante al contest “Apocalisse: vivere o morire” indetto da ManuFury sul forum di EFP
Genere: Angst, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Ascoltate! L’ultimo suono che udirete mai

 

 

-Allora, Omega, ci sono delle risposte?-

-Affermativo, Alpha. 243 soggetti sono operativi e pronti per essere svegliati-

-Su una popolazione…?-

-… una popolazione di 247. Forse gli ultimi quattro avranno una reazione ritardata. Oserei azzardare che sono morti, ma, stando ai risultati vitali dei soggetti, quattordici sono morti e comunque rispondono agli stimoli, anche se non credo dureranno molto. Sembra che stessero facendo attività pericolose al momento dell’espansione-

-Ha mai visto un film sugli zombie?-

-Zombie? Certo, ma cosa ha a che fare questo con...?-

-Tutto, Omega. Credo che ne osserverai uno molto da vicino tra poco. Sorveglia il perimetro e controlla che nessuno lasci la città. Poi sveglia i soggetti e controlla le loro condizioni-

-Non aspettiamo i quattro…-

-No, chiaramente non sono stati attecchiti. Usiamoli per vedere la reazione comune, dopotutto se utilizzato nei grandi centri è probabile che qualcuno non risponda, e dobbiamo prevenire l’eventualità-

-Va bene, Alpha, ai tuoi ordini- 

-Voglio un rapporto sulla mia scrivania il prima possibile, ed aggiorna la situazione mano a mano che ottieni risposte. Non appena verranno detti i nomi dei quattro sopravvissuti fammeli assolutamente sapere. Devo controllare una cosa. Tutto chiaro?-

-Affermativo-

***

Il profilo sfibrato e silenzioso della cittadina ormai morta era diventato quasi normale per il ventiduenne di colore che nelle ultime tre settimane aveva badato a sé stesso cercando cibo e acqua nei posti più impensati e soprattutto tentando in tutti i modi di trovare un qualche suono che non provenisse da lui.

Non c’era un alito di vento, non c’era un aereo nel cielo o un qualsiasi apparecchio elettronico funzionante a terra.

Gli orologi avevano smesso di ticchettare, e non c’erano uccelli o altri animali in giro.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per sentire il suono delle mosche, ma anche quelle sembravano morte all’improvviso, come il resto del mondo.

O almeno del suo, di mondo.

Non ricordava le cause che avevano portato a quella situazione confusa, ma una mattina si era svegliato, sul bordo di una strada, con una gamba sinistra incastrata sotto la propria moto ed il casco ancora in testa, che stranamente non si era rotto nell’impatto.

La gamba, d’altro canto, era messa davvero male, per non parlare del braccio sinistro, che aveva assorbito tutto l’impatto di quella che probabilmente era stata una caduta a grande velocità.

Ma per quanto la situazione di per sé gli era apparsa inverosimile e spaventosa, non era niente in confronto a quello che aveva visto non appena si era tolto il casco, con l’intenzione di chiedere aiuto.

Infatti tutto, intorno a lui, era morto.

Pedoni per strada, motociclisti a terra, persone che dalle posizioni sembrava fossero morte all’improvviso, senza nessun motivo esterno apparente.

Ed il silenzio.

Un silenzio agghiacciante che sembrava tamburellargli in testa come fosse il rumore più fastidioso del mondo.

Si era liberato a fatica dal peso della moto ed aveva provato a scappare via da quell’orrore, per cercare qualcuno.

Ma non era rimasto nessuno a rispondergli.

Camminare gli era risultato incredibilmente difficile, ed il braccio sembrava rotto.

Aveva cercato cibo, acqua, aveva tentato di fasciare la gamba e di tenere fermo il braccio.

Aveva studiato primo soccorso, tempo prima, ma non ricordava poi molto.

I veri problemi erano avvenuti il giorno dopo, quando tutti i corpi morti per strada erano scomparsi senza che lui se ne accorgesse, durante il sonno.

Casa sua e camera sua erano rimaste intatte, ma la presenza dei suoi genitori adottivi morti prima e la loro improvvisa sparizione poi erano bastati a convincerlo a scegliere un altro alloggio, lontano da tutto quello che apparteneva alla sua vita precedente.

Una vita che quasi subito aveva dovuto cercare di dimenticare, perché sapeva che non l’avrebbe mai riavuta indietro.

E questa consapevolezza lo aveva ucciso per tutto il periodo di solitudine durato l’arco di tre settimane passato nel supermercato locale, dove aveva potuto trovare tutto l’occorrente per il suo sostentamento.

Dopo quel periodo di tempo la sua terribile nuova vita diventò venti volte peggio.

Infatti, quella mattina, quando si svegliò, rivide i morti.

E purtroppo non erano poi così morti.

Aprì le palpebre di scatto, al primo suono esterno che udiva da troppo tempo, e si ritrovò davanti cinque uomini anziani, dagli occhi sbarrati e dal portamento ciondolante.

Rimase congelato sul posto per qualche secondo.

Sentiva i loro passi lenti e strascicati sul pavimento del supermercato e sembrò che il cuore gli si fermasse nel petto.

Poi ricominciò a battere mille volte più forte di prima, e il ragazzo si riscosse, e si alzò di scatto.

Avrebbe voluto parlare, chiedere agli uomini se erano vivi o no, cosa era successo, chi erano, ma aveva solo paura.

Paura dei loro volti, paura del loro sguardo, e dei loro suoni.

Si muovevano come se a controllarli fossero i fili di un burattinaio che faceva il suo lavoro con poca attenzione, ed i loro corpi avevano spasmi, mentre le loro bocche non sembravano riuscire a parlare, ma solo a mugugnare senza senso.

I loro occhi sembravano biglie di vetro.

Il ragazzo indietreggiò, iniziando a respirare a fatica, mentre le figure si avvicinavano lentamente.

Sarebbero quasi parse normali, per alcuni versi.

Non erano pallidi, non portavano vestiti stracciati e a parte la sporcizia che il ragazzo stesso si riconosceva addosso non sembravano altro che normalissimi esseri umani.

Ma lui sapeva che non lo erano, lo leggeva nei loro occhi vuoti.

Non appena andò a sbattere contro il muro dietro di lui, decise di correre via, pur non avendo nessun posto dove andare.

Uscire dalla città si era rivelato impossibile, ci aveva provato un paio di settimane prima, e la gamba lo rallentava moltissimo.

Prese dagli scaffali del supermercato ogni cosa che potesse usufruire da arma e iniziò a lanciarla contro gli inseguitori, che per fortuna erano molto lenti e poco coordinati.

Purtroppo per lui, ben presto si rivelarono più di cinque, e un’altra decina lo circondarono, dalla parte opposta.

Cercando una via di fuga, e difendendosi con un misero tubo di patatine trovato in uno scaffale, iniziò a temere che fosse la fine.

Poi lo sentì.

Il primo vero suono esterno e in un certo senso vivo che udiva dopo troppo tempo.

-Dannazione!-

Una voce femminile, dall’altra parte del supermercato e fuori dalla portata di vista.

E a giudicare da quello che aveva detto, era senz’altro un’altra sopravvissuta, come lui.

Qualcosa, nel profondo della sua gola, sembrò sbloccarsi.

-Aiuto!- gridò, sperando di attirare la sua attenzione.

La sua voce uscì roca. Si sentiva che non la usava da tempo.

Sentì dei passi veloci e dei tonfi, che sembravano dei pugni alle sue orecchie non può abituate, poi vide una figura comparire da dietro uno scaffale.

Era una ragazzina, di quattordici, massimo quindici anni, dai corti capelli marroni sporchi e tagliati male, come se li avesse spezzati con un frammento di vetro, occhi verdi e profondi e la pelle abbronzata e arrossata dalla sporcizia.

Teneva una padella sollevata come un’arma, e per qualche secondo i due si guardarono attentamente, ad occhi sgranati.

Poi lei si gettò nella mischia, tirando padellate agli anziani come se prima dell’apocalisse lo facesse come sport.

-Abbassati!- gli ordinò, con voce chiara e autoritaria.

Il ragazzo si prese la testa tra le mani e si gettò a terra, mentre la padella veniva lanciata nella sua direzione, e si impigliava alla testa di uno dei corpi, facendola ricadere in avanti, con il collo spezzato e sangue che schizzava da tutte le parti.

Il ventiduenne osservò la figura che crollava in avanti ormai priva di vita completamente sconvolto, e si asciugò tremante il sangue dal viso, mentre la ragazzina si avvicinava e riprendeva con forza la padella killer, colpendo altri due uomini.

-L_l’hai… l’hai ucciso…- disse con un filo di voce, indicando il morto.

-Era già morto. Dobbiamo andarcene di qui!- esclamò, con sicurezza, prendendogli il braccio destro e trascinandolo via, aprendosi il varco con la padella.

Lui non aveva la più pallida idea di cosa fare, o di cosa dire, e si lasciò guidare, cercando di non rallentarla e di non inciampare, anche se ad ogni passo la gamba ferita gli doleva parecchio.

Uscirono dal negozio, e la ragazza, guardandosi intorno attentamente, iniziò a rallentare, per poi trascinarlo in una stradina laterale all’ombra per osservarlo meglio.

Lui fece altrettanto, soffermandosi in particolar modo sull’arma.

La padella che la ragazza teneva in mano aveva i bordi levigati, ed il manico affilato come un coltello.

-Grazie di avermi salvato- mormorò, riconoscente.

Lei lo scrutò attentamente per qualche secondo, poi sembrò rilassarsi, e sorrise leggermente.

-Ti porto alla base. Ho fatto bene a venire qui a prendere provviste- commentò.

Poi si sporse per vedere se quegli strani mostri li stavano inseguendo, ma per fortuna la strada era libera.

-Perfetto, possiamo andare. Dista un paio di chilometri ma le telecamere sono tutte oscurate e non dovrebbe essere un problema muoversi- commentò, togliendo i capelli sporchi di sangue da davanti agli occhi e facendo cenno al ragazzo di seguirla.

-Chi sei?- chiese lui, con voce un po’ tremante. 

Poi, considerando che poteva apparire abbastanza maleducato non presentarsi per primo decise di farsi avanti.

-Io mi chiamo…- ma lei lo interruppe subito, mettendogli la parte piatta della padella sulla bocca e guardandosi intorno, spaventata.

-Non dire il tuo nome, ti riconoscerebbero, e sarebbe più facile per loro manovrarti- gli sussurrò, all’erta.

-Loro?- chiese il ragazzo, confuso.

-Chiunque stia controllando la popolazione e abbia scatenato questa apocalisse- rispose ovvia lei.

Poi, notando l’espressione confusa del giovane davanti a lei, scosse la testa.

-Ti spiegherò tutto al quartier generale. Io sono Athena, e credo che ti chiamerò Dakota- iniziò a camminare, privilegiando posti bui e strade alternative.

Il ragazzo le stava dietro, incerto.

-Dakota? Scusa, non sono mica un cane, che mi dai tu il nome in codice. E poi perché Dakota?- chiese, confuso.

-L’etimologia del nome riporta all’amicizia, e ho la sensazione che noi due diventeremo grandi amici, sempre che non moriamo nelle prossime ventiquattr’ore, cosa che ritengo oltremodo probabile- spiegò lei, tranquillamente -Però se vuoi scegliere un altro nome accomodati- da come lo disse sembrava quasi una sfida.

-Chiamami come vuoi, ma cerchiamo di non morire, d’accordo?- chiese lui, avvicinandosi a lei e guardandosi attorno.

Athena ridacchiò.

-Ci proveremo, ma spero che tu sia un buon alleato. Per ora mi devo accontentare di una bambina sorda, una prostituta apatica e un ubriacone che non si è ancora ripreso dalla sbornia di tre settimane fa- commentò, un po’ amareggiata, procedendo per le vie deserte con un disegno parecchio strano, dando occhiate attente ai lati delle strade e ai cartelli.

Dakota si bloccò di scatto.

-Cosa c’è? Guarda che abbiamo fretta, potrebbero essere ovunque. E se la gamba ti fa male tranquillo che al quartier generale abbiamo un kit medico perfetto per…- iniziò a spronarlo lei, ma lui era rimasto completamente sconvolto.

-Ci sono altri sopravvissuti?- chiese, interrompendola, e guardandola con occhi carichi di speranza.

-Siamo in cinque contando te. Li conoscerai tutti se riusciamo ad arrivare vivi al quartier generale. Quindi, se vuoi non morire…- gli indicò la strada da seguire, e lui sorrise, con un gran peso che gli si era tolto dal petto.

-Non sai quanto sia bello sentire un altro essere umano- commentò, sottovoce.

Lei gli prese la mano destra, procedendo.

-Lo posso solo immaginare. Io ho trovato Lily dopo circa cinque giorni. Non parla, ma è di compagnia a modo suo- lanciò un’occhiata al bordo della strada quasi distrattamente, per poi bloccarsi.

-…Cosa c’è?- chiese Dakota, preoccupato.

Athena lo lasciò, prese una pietra da terra e coprì un buco nel muro.

-Cosa…?- provò a chiedere il ragazzo, confuso.

-Era una telecamera nascosta. Non è sicuro parlare qui. Ci sono senz’altro microfoni. Ora seguimi senza fiatare- gli ordinò, in tono autoritario.

L’ultima cosa che Dakota voleva era ritornare al silenzio angosciante delle ultime tre settimane, ma Athena gli prese nuovamente la mano, e anche solo sentire quel contatto fu davvero liberatorio per lui.

Non era più solo, finalmente.

Ma non era certo finita lì, e anche se cercava di non crederci, lo sapeva.

 

Dakota chiuse la porta dietro di sé e tirò un profondo sospiro di sollievo.

Erano passati una decina di giorni da quando era arrivato al quartier generale, ed era diventato il mulo della squadra, responsabile delle gite all’esterno.

Per fortuna la gamba era guarita quasi del tutto, e anche il braccio stava meglio.

Avevano appurato che era solo una slogatura, e gli avevano applicato una benda che stava sortendo l’effetto desiderato.

E poi non aveva tempo di fare il malato, visto che nella squadra era il più adatto ad uscire.

-Allora, hai preso tutto?- gli chiese Clodia, in tono secco, senza tradire alcuna emozione.

-Ho superato gli anziani con difficoltà. Ho preso quello che ho potuto- ribatté secco lui, guardandola storto.

Clodia era una donna di circa quarantacinque anni, con capelli ricci e secchi color biondo platino e occhi da bulldog stanchi e apatici.

L’apocalisse non sembrava averla toccata più di tanto, e finché aveva le sue sigarette, non c’era altro che le interessasse.

Dai vestiti che non si era cambiata si poteva ben intendere che mestiere facesse prima che della fine di tutto, e a giudicare da come sembrava quasi sfoggiarlo, si poteva dire che non le importava il giudizio della massa.

Anzi, da quando Dakota era arrivato nel quartier generale, aveva avuto atteggiamenti fin troppo espansivi verso di lui, non curandosi di nascondere le sue attenzioni, sempre tuttavia rifiutate dal ragazzo.

Lei e Nadim, il cui nome significava “compagno di bevute”, rimanevano la maggior parte del tempo nel quartier generale insieme alla bambina.

Dakota era ancora sorpreso, a distanza di una decina di giorni, da quanto fosse strategico quel posto, anche se aveva sempre paura che gli anziani li scoprissero.

Era un’ala sotterranea della biblioteca pubblica, dove venivano conservati i libri da catalogare e tutti i registri, tra cui il censimento della popolazione.

Athena adorava ricercare parecchie informazioni tra tutti i fogli e i volumi polverosi ed imbruttiti.

-Hai preso le sigarette?- chiese Clodia, in tono disinteressato ma con una luce negli occhi.

Dakota scosse la testa.

-Non ho avuto il tempo di fermarmi in tabaccheria. Dovrai farti bastare il pacchetto rimasto fino alla prossima spedizione- riferì il ragazzo, scaricando tutto ciò che aveva trovato e appendendo la padella killer su un gancio apposito.

Clodia fece una smorfia di disappunto, ma non diede altri segni che la cosa le importasse, anche se ormai Dakota la conosceva bene, ed era convinto che l’assenza di sigarette la infastidisse profondamente.

-La prossima volta, se ci tieni tanto, valle a prendere tu- la stuzzicò una voce dall’altra parte della stanza, arrivando a passo ciondolante.

Se Dakota non l’avesse conosciuto bene avrebbe detto che si fosse trattato di un non morto e lo avrebbe colpito a vista, ma purtroppo era solo Nadim, che stranamente era sempre un po’ brillo, anche se, da quanto sosteneva Athena, non aveva mai portato alcol all’interno del quartier generale, in quelle tre settimane.

Forse Nadim era un po’ eccentrico di suo, o forse aveva trovato la scorta segreta del bibliotecario.

Dakota era abbastanza convinto che lo assumesse tramite alcune medicine, ma non aveva prove per confermarlo, e, dopotutto, non gli interessava più di tanto.

Tutto sommato gli era simpatico, ed era di compagnia molto più di Athena e Lily, se doveva essere sincero.

Aveva una sessantina d’anni, il volto sciupato ed emaciato e capelli scompigliati e biondo miele, con parecchi punti bianchi.

Gli occhi acquosi erano grigio spento, ma non erano vuoti come quelli degli anziani.

-Allora, che hai portato di bello?- chiese, facendo per piegarsi ma perdendo l’equilibrio e venendo afferrato prontamente da Clodia, con un veloce gesto della mano e un’alzata di occhi al cielo.

-Grazie, bambola- lui le fece l’occhiolino, al quale lei rispose con un’alzata di spalle, allontanandosi e prendendo una sigaretta.

-Non capisco cosa non ci trovi in me- commentò lui, guardandola con espressione interessata.

Dakota non rispose, ed iniziò a mettere a posto le provviste.

-Allora, Danny…- iniziò a dire Nadim, in tono cospiratore.

-Dakota- lo corresse d’istinto il ragazzo, che stava cominciando ad abituarsi al nome.

-Vabbè, è uguale. Dopotutto li ha scelti quella vipera per noi- l’ubriacone indicò la quattordicenne, che stava studiando seduta poco lontano un libro, prendendo appunti, con Lily che giocava sotto il tavolo e ogni tanto tirava fuori la testa per guardare incuriosita e ricevere una distratta carezza sul capo.

Sembravano due sorelle, anche se Lily aveva la pelle un po’ più chiara e lunghissimi capelli rossi raccolti in una treccia molto disordinata.

Lentiggini le coprivano tutto il corpo e gli occhi erano castani e brillanti.

Il nome derivava dal colore dei suoi capelli, rossi come un particolare tipo di gigli. O almeno era quello che diceva Athena.

Dakota sospettava che il nome della bambina non aveva un particolare significato, ma fosse semplicemente il primo nome che era venuto in mente alla ragazza.

-Se non ci fosse quella vipera saremmo già morti, Nad- lo riprese Clodia in tono disinteressato, fumando una sigaretta all’unica finestra della stanza, posta in alto.

Dakota inizialmente si era chiesto come mai loro due seguissero le indicazioni di Athena, ma aveva appreso che, come era accaduto anche a lui, la ragazzina li aveva salvati, quindi avevano un grosso riconoscimento nei suoi confronti. Oltre al fatto che in una situazione di pericolo simile a nessuno importava dell’età.

Nadim le fece il verso, e Dakota scosse la testa.

-Beh, credo che questo risponda a come mai tu non le piaci- commentò, indicandolo.

Certo, il sessantenne un po’ meno. Forse perché di suo non è che gli importasse molto questa nuova vita che aveva.

-Bene, lasciamo perdere. Allora, Danny…- era proprio un caso senza speranza, e Dakota decise di non correggerlo nuovamente.

-Si… Nadim?- lo incoraggiò, in tono rassegnato.

-Non trovi che sia parecchio strana?- gli chiese sottovoce, osservando il tavolo dove Athena stava studiando -Ha la faccia di chi trama qualcosa alle nostre spalle-

Dakota lo guardò storto.

-Beh, è un po’ paranoica e bizzarra, ma perché dovrebbe tramare alle nostre spalle? Ci ha salvati tutti- obiettò, deciso a difenderla.

Nadim fece una faccia strana, ma prima che potesse ribattere Athena li richiamò all’ordine.

-Dakota, sei tornato! Venite dobbiamo fare una riunione tattica. Credo di essere quasi arrivata al motivo per cui noi siamo sopravvissuti, ma dovete dirmi esattamente la vostra situazione fisica quando vi siete risvegliati- sembrò accorgersi solo in quel momento del ritorno del ragazzo, e chiamò tutti vicino a lei, prendendo la padella dal gancio e sedendosi sopra il tavolo.

Per richiamare la bambina le fece un cenno con la mano sotto il tavolo, e Lily lasciò perdere il giocattolo, per arrampicarsi accanto a lei.

Clodia spense con attenzione la sigaretta e la rimise nel pacchetto per riutilizzarla, e gli unici due uomini del gruppo lasciarono perdere la loro conversazione per avvicinarsi.

-Partendo dal presupposto che Nadim era troppo ubriaco per ricordare alcunché, comincia tu, Clodia- Athena indicò la prostituta, che alzò gli occhi al cielo.

-Ancora? Va bene. Ero nel balcone del motel e fumavo una sigaretta. Poi tutto si è spento, e quando sono andata dal mio cliente era morto… senza pagarmi. Mancanza di rispetto estrema- commentò, in tono indifferente, sistemandosi il paraorecchie di moda che indossava sempre.

-Indossavi quello?- chiese pensierosa Athena, e Clodia annuì.

Prese un appunto, poi si rivolse a Dakota.

Lily osservava le scritte, cercando di capire qualcosa.

-Tu invece, ti sei svegliato sotto la tua moto. Il braccio slogato e la gamba ferita. Ma com’eri, esattamente?- chiese, aprendo e chiudendo la penna di scatto, in un tic involontario.

-Indossavo questi abiti, ed avevo ancora il casco addosso- spiegò Dakota, senza capire bene dove lei volesse arrivare.

Gli occhi di Athena si illuminarono.

-Paraorecchie, casco… io avevo le cuffiette e…- osservò la bambina, che aveva lasciato perdere le scritte e stava togliendosi concentrata lo sporco da sotto le unghie, completamente disinteressata all’argomento che non poteva sentire -…Lily è sorda- aggiunse poi, e si alzò dal tavolo, diretta verso uno scaffale di libri.

Dakota la osservò confuso.

Si stava mano a mano abituando a quanto Athena fosse strana.

Era la più giovane dopo Lily, nei suoi quattordici anni, ma sembrava la più anziana, era intelligentissima e Dakota era convinto che avesse un qualche disturbo paranoide di personalità.

Non che lui fosse esperto di queste cose, ma sentiva che c’era qualcosa di davvero bizzarro nel suo comportamento, come Nadim aveva sottolineato poco prima, anche se si fidava molto di lei e del suo giudizio.

Anche se il fatto che conoscesse il linguaggio dei segni che usava per parlare con Lily, la sua bravura e la sua mira nel maneggiare la fidata padella e quella impressione costante che lei sapesse molto più di quanto desse a vedere erano alquanto sospetti.

Clodia tornò alla sua sigaretta, mentre Nadim prese un pacchetto di crackers e si diresse verso l’ammasso di coperte che formava il suo letto, vicino alla porta.

Dakota invece decise di indagare sulla situazione, curioso dalle scoperte della ragazzina.

-Allora, quali sono i tuoi sospetti?- chiese, cogliendola di sorpresa.

-Dakota! Non dovresti andare a riposarti?- gli suggerì lei, prima di prendere un libro sui suoni binaurali e messaggi subliminali.

-Non sono stanco, comunque avevi ragione sui non morti. Sono solo persone dai sessant’anni in su, prevalentemente sulla settantina, e stanno mano a mano perdendo sempre più il controllo di loro stessi- la informò lui, un po’ preoccupato.

-Tra un po’ arriveranno anche adulti, probabilmente. Dobbiamo fare attenzione. Ne hai ucciso qualcuno?- chiese lei, speranzosa, iniziando a leggere.

Dakota abbassò lo sguardo, e scosse lentamente la testa.

Athena sembrò delusa.

-Capisco… non ti biasimo, con la fobia del sangue che ti ritrovi. Spero solo che nell’eventualità di una situazione di vero pericolo tu decida di fare la scelta giusta- alzò le spalle, congedandolo con un gesto della mano.

Dakota sobbalzò.

-Come fai a sapere…?- cominciò a chiedere, confuso.

-La fobia del sangue? Andiamo, è ovvio. Ogni volta che vedi del sangue sgrani gli occhi come se il mondo ti stesse crollando addosso. Già dalla prima volta che ci siamo visti. Non eri spaventato per il morto, ma per il sangue. L’ho notato dal modo in cui ti sei pulito- gli rivelò, con nonchalance.

-Tu cosa sei?- chiese Dakota, squadrandola.

Lei si voltò e gli sorrise, quasi divertita da tutta la sua confusione.

-Soffro di disturbo schizotipoco della personalità… o almeno ho quei sintomi. Inoltre, da quando è iniziata questa situazione mi sembra che…- gli si avvicinò, in procinto di fargli una grande confessione, poi sembrò ripensarci, scosse la testa e si allontanò, leggendo il suo libro.

-Credi che quello che sia successo abbia a che fare con i suoni?- chiese lui, raggiungendola, ed indicandolo.

-Nessuno di noi aveva le orecchie scoperte quando è avvenuta l’apocalisse, o almeno avevamo una percezione uditiva minore rispetto a tutti gli altri. Lily è sorda, tu e Clodia avevate entrambi degli oggetti che vi isolavano le orecchie, ed io sentivo la musica- spiegò lei, controllando alcune informazioni ed appuntandole.

-Quindi…- la spronò a continuare lui, senza capire appieno la sua teoria.

-Credo che chiunque abbia fatto tutto questo abbia messo in circolo un suono difficilmente recepibile da orecchio umano che abbia fermato la capacità cognitiva di tutti quelli esposti- spiegò, con sicurezza -Probabilmente attraverso onde binaurali ben studiate.-

-Tipo la sindrome di Lavandonia?- chiese Dakota, senza capire bene.

Athena spalancò gli occhi, come colta da una improvvisazione.

-La sindrome di Lavandonia…- sussurrò, riflettendo.

-Cosa?- provò a chiedere lui, pendendo dalle sue labbra.

-Gente, abbiamo un problema- li richiamò Clodia, guardando allarmata fuori dalla finestra.

Il suo stare sempre lì davanti l’aveva resa una perfetta vedetta.

Dakota e Athena si precipitarono nella sua direzione, schiacciando la donna, che portando in salvo la sigaretta si allontanò velocemente, dando un’ultima boccata.

-Un po’ di calma, ragazzi!- esclamò infastidita.

Ma in quel momento la calma era l’ultima cosa che serviva.

-Adulti?- chiese Dakota, osservando le due figure che procedevano per la strada a passo ciondolante, chiedendo aiuto in maniera rauca ed incerta.

-Sono… non morti?- si rivolse ad Athena, che li guardò attentamente.

-Credi possano essere sopravvissuti, dopo tutto questo tempo?- Athena non era affatto sicura, e teneva stretta la padella, indecisa sul da farsi.

Clodia li guardava poco lontano.

Dakota osservò attentamente le due figure. Avevano un aspetto molto familiare.

Quando lo capì e sbarrò gli occhi non ebbe tempo per rivelarlo agli altri, perché la porta si spalancò, colpendo Nadim, che ebbe appena il tempo per emettere un gemito sorpreso, dritto in fronte con la massima forza.

Lily corse a nascondersi spaventata dietro Athena, che sollevò la padella, sopresa.

Dakota si precipitò verso Nadim, mentre una decina di uomini tra i trenta e i sessant’anni entravano, molto più rapidi dei non morti visti fino a quel momento e più controllati.

Il ragazzo rimase di sasso quando vide il sangue di Nadim espandersi nel pavimento, e se Athena non si fosse precipitata in suo soccorso, probabilmente avrebbe fatto la sua stessa fine.

Ma pagò comunque un prezzo molto alto.

 

-Mi dispiace, ma non erano loro, Dakota. Erano controllati da qualcun altro. Non era rimasto nulla nel loro cervello che li ricollegasse a te- cercò di spiegarsi Athena, mettendogli una mano sulla spalla che lui scansò.

Si alzò, e si allontanò del tutto da lei, andando nell’altra parte del tetro magazzino dove avevano trovato rifugio provvisoriamente dopo l’attacco.

Nadim non ce l’aveva fatta e Clodia era stata ferita al ventre.

Il più colpito dalla situazione però sembrava essere Dakota, che nonostante avesse ricevuto solo alcune ferite di poco conto era rimasto completamente sconvolto dalla morte di due particolari non morti che erano stati fatti a pezzi da Athena davanti ai suoi occhi.

-Sai, puoi trovare tutte le scuse del mondo, ma uccidergli i genitori adottivi davanti non credo sia qualcosa che si possa giustificare e perdonare con grande facilità- la riprese Clodia, sistemata in un angolo con delle bende e molti antidolorifici in circolo.

La profonda ferita però non sembrava averla turbata più di tanto, e, in compagnia dell’immancabile sigaretta, era molto più preoccupata per Dakota, sempre che quella luce che si vedeva dietro lo sguardo disinteressato o forse fintamente tale potesse definirsi preoccupazione.

-Lo stavo cercando di proteggere. Avrei potuto semplicemente lasciarlo lì in mezzo al sangue. Era completamente bloccato, e loro si avvicinavano velocemente. Inoltre non avevo… non avevo idea che fossero i suoi genitori- l’ultima cosa la disse sottovoce, torturandosi il lembo della maglietta.

-Dovresti andare a parlargli- le suggerì Clodia, con un cenno incoraggiante.

Athena osservò Dakota un attimo, indecisa se avvicinarsi o no.

Poi sospirò, e decise di abbassarsi al suo livello.

-Dakota..- si avvicinò e gli si sedette accanto.

Lui voltò la testa, cercando di nascondere le lacrime e stringendo i denti.

-Se vuoi parlare… credo aiuti- provò a suggerirgli, ma lui rimase zitto per un po’.

Non riusciva a non pensare ai volti emaciati dei suoi genitori, ai loro occhi vuoti, al sangue, a tutto quel sangue che l’aveva colpito dopo che una padellata ben assestata aveva spezzato quasi di netto la testa di sua madre e il manico aveva pugnalato lo stomaco di suo padre.

Si sentiva ancora sporco del loro sangue, e del sangue di Nadim.

Vedere tutto quel sangue gli aveva causato un attacco di panico, che era aumentato alla vista dei suoi genitori, i primi visti che poi erano entrati insieme agli altri.

Dakota si era reso conto che respiravano, che in un qualche modo sembravano vivi, ma poi era accaduto quello che era accaduto, ed il ragazzo si era ritrovato sommerso da un mare di sangue, il sangue dei suoi genitori… per la seconda volta.

Aveva sempre odiato il sangue.

-I miei veri, genitori, nel mio paese d’origine, sono stati uccisi da dei fondamentalisti davanti a me, con dei machete- iniziò a spiegare, alzando la mano ed iniziando ad imitare i movimenti, che aveva stampati in testa da quando era piccolo.

Un primo colpo aveva amputato il braccio di sua madre. Urla, strepiti, pianti.

Dakota era in braccio a lei, aveva solo cinque anni, ed era caduto a terra, immerso dal suo sangue.

Suo padre era corso nella loro direzione.

C’era una tale folla quel giorno, probabilmente erano morte almeno un centinaio di persone.

Il secondo colpo, dritto alla testa di suo padre, l’aveva tranciata di netto, ed era caduta in grembo a sua madre, i cui gemiti di orrore ancora risuonavano nelle orecchie del ragazzo, tali e quali a quelli che il corpo senz’anima del suo padre adottivo aveva emesso quando era stato pugnalato con il manico affilato della padella, davanti ai suoi occhi.

Poi il terzo colpo, sulla schiena della donna, che l’aveva fatta piegare in due come un foglio di carta.

Il suo corpo aveva coperto in parte Dakota, risparmiandolo alla furia degli esecutori.

-Sangue, tanto, tantissimo sangue. Sentivo il suo sapore in bocca, l’odore pungente di ferro che mi impregnava le narici- e che in quel momento sentiva ancora.

Athena aveva portato una mano alla bocca, sconvolta.

Dakota sperò non dicesse nuovamente che le dispiaceva, perché odiava sentire quelle parole.

Lily li guardava, come se stesse sentendo anche lei, cosa che Dakota sapeva per certo non potesse fare.

Forse era stata attirata dai gesti, o dai loro occhi.

I sordi vedevano meglio degli altri.

-Non so cosa dire- sussurrò Athena, evitando il suo sguardo.

-Non devi dire niente- Dakota scosse la testa, con tono duro, e si alzò.

-Mio padre mi picchiava - la confessione della ragazzina lo interruppe, e si voltò a guardarla, senza sapere dove volesse arrivare -E mia mamma non ha mai fatto nulla. Loro odiavano me e mia sorella- sembrava molto restia a dare tutte quelle informazioni sulla sua famiglia, e si fissava i lacci delle scarpe da ginnastica logorate -Mi preparo da anni a scappare, ma dovevo aspettare che lei crescesse abbastanza. So la sopravvivenza perché sono anni che mi preparo all’evenienza di vivere ai margini della società. Ed ora lei…- guardò Lily, che sembrava essersi disinteressata al discorso e si era messa a giocare con un sassolino trovato per terra -… non ho la più pallida idea di dove sia, ma semmai la dovessi rivedere, piuttosto che in mano a delle persone che la userebbero solo per i loro orribili scopi, preferisco ucciderla. E non voglio dire che sono felice di aver ucciso i tuoi genitori o che dovresti esserlo tu, ma loro non erano più loro, così come mia sorella non è più lei- concluse, stringendo i pugni.

-Come… come fai ad esserne certa. Io li ho visti, erano vivi, respiravano e…- Dakota iniziò ad andare avanti e indietro, cercando di trovare una qualche soluzione, anche se era conscio che se anche la soluzione fosse esistita non si sarebbe mai potuta applicare ai suoi genitori.

-Credo… sono abbastanza sicura, che ciò che ha trasformato tutta la città, o forse persino l’intero mondo, in burattini nelle mani di pochi eletti sia una frequenza che è entrata nella loro mente come un virus cancellando la loro personalità in modo irreversibile ed impiantando un meccanismo che permetta di azionarli a distanza, probabilmente con determinati comandi visivi o uditivi, o forse sono persino riusciti ad avere vista e sonoro, come dei giganteschi robot- spiegò, illustrando la sua teoria.

-Vuoi dire… una gigantesca partita a The Sims?- chiese Dakota, fermandosi e fissandola allibito.

Athena annuì piano.

-Ma chi farebbe una cosa del genere?- Dakota era sconvolto.

-Le multinazionali, i grandi capi di stato, potrebbero creare la città perfetta e controllare in maniera precisissima le masse. Avrebbero l’intero mondo al loro comando- spiegò Athena.

Ci furono alcuni secondi di silenzio, in cui Dakota cercò di immaginarsi la cosa.

Un mondo completamente controllato da pochissimi individui, una partita a The Sims su scala mondiale.

L’idea sembrava folle e del tutto spaventosa.

-Tu… tu come fai a sapere tutte queste cose?- chiese scioccato alla ragazzina, che si morse il labbro inferiore.

-Io, non ne sono completamente sicura, ma da quando tutto questo è accaduto sento una sensazione…- la sua ultima confessione venne frenata da Clodia, che li richiamò, in tono annoiato.

-Ragazzi, mi dispiace disturbare la vostra fuga di cervelli, ma credo proprio che siano entrati dei nuovi non morti, perché c’è un bocconcino niente male  sui vent’anni proprio fuori dall’edificio, in compagnia di altri simpatici adolescenti- li informò, arrivando tranquillamente a portata di vista e gettando la sigarette ai suoi piedi, per spegnerla.

-Di già?!- esclamò Athena, alzandosi in piedi.

-Beh, che dire, se è tutto un esperimento come credi probabilmente vogliono vedere la nostra reazione a diverse lunghezze di attesa tra una tipologia e l’altra di non morti, e devo dire che questi adolescenti sembrano molto più organizzati e ben controllati- tirò ad indovinare Clodia, con un’alzata di spalle.

Athena la guardò a bocca aperta.

-Oppure sei arrivata alla soluzione e chiunque controlli l’operazione vuole farla finita e pensa che gli adolescenti servano allo scopo. L’unica cosa di cui sono sicura è che moriremo tutti entro la fine del mese- esordì con un’altra ipotesi la donna, lasciando i ragazzi di sasso.

-Clodia, ma come…?- iniziò a chiedere Athena, sconvolta, ma lei fece un gesto come a far cadere l’argomento.

-Solo perché sono una prostituta non significa che sia un’idiota totale. Prendi la padella e cerca di aprirti un varco. Io li trattengo e non tornate a prendermi. Vi rallenterei- si strinse la benda e staccò una trave di legno già ciondolante da usare come arma -Inoltre stanno anche finendo le sigarette.-

-Aspetta, Clodia, non possiamo lasciarti qui!- obiettò Dakota, che non voleva un altro Nadim.

Lily fece scorrere lo sguardo da uno all’altro, senza avere la più pallida idea di cosa stesse succedendo.

-Infatti, deve esserci un altro modo- provò a suggerire Athena, iniziando a riflettere.

Dakota notò però che non sembrava molto convinta da quello che diceva.

Il tempo non era dalla loro parte, purtroppo, e si sentirono delle grandi botte alla porta.

-Gente, sappiamo che siete qui dentro, aprite!- urlò una voce incredibilmente umana.

-Aprite- ripeterono un coro che sembrava circondare tutto l’edificio.

-Athena, cosa facciamo?- chiede Dakota, guardandosi intorno.

-Parlano insieme, oppure parla solo uno. Significa che sono sicuramente superiori agli adulti, ma non riescono a venire controllati in modo diverso, quindi faranno gli stessi attacchi insieme, oppure uno solo si concentrerà con uno di noi a turno… in teoria- arrivò in fretta alla conclusione lei, prendendo la sua fidata padella.

-In teoria?- chiese Dakota, in preda al panico.

Athena non aveva tempo per rispondergli, ed iniziò a dire a Lily, tramite linguaggio dei segni, il loro piano.

-Tu resta vicino a Dakota, ti terrà al sicuro- la informò.

-Cosa?! Io non so tenerla al sicuro- provò ad obiettare il ragazzo, ma Lily gli si avvicinò e si aggrappò alla sua giacca con determinazione, ed il ragazzo non conosceva il linguaggio dei segni per dirle che era una pessima idea.

-Io aprirò un varco, e tu scapperai. Vai nel parco, nella zona piena di alberi. C’è una casetta su un pino sopra cui è difficile salire, è improbabile che gli zombie riescano a raggiungerla, almeno non in tanti tutti insieme- illustrò Athena.

-Perché non hai pensato prima a questa casa sull’albero?- le chiese lui, confuso.

-Perché non possono starci più di tre persone- rispose lei, in tono macabro.

-Ma Clodia…- provò ad obiettare il ragazzo, incerto.

La prostituta gli sorrise, poi guardò Athena.

-Con questa ferita morirei comunque, e poi fa un male cane- commentò, le porte vennero spalancate -Comunque so chi è stata Clodia… grazie tante per il nome- disse poi sarcastica, rivolta ad Athena, prima di buttarsi nella mischia.

Dakota prese tremante un’altra trave ciondolante, e la sollevò sopra di sé cercando di difendersi.

I ragazzi ridacchiarono.

Erano circa una ventina, e si muovevano perfettamente in sincronia, senza traccia di ciondolamento o instabilità.

I loro occhi erano vuoti come quelli di tutti gli altri non morti visti, ma avevano una luce diversa, quasi umana, quasi viva.

Se Dakota ne avesse incontrato uno per strada non lo avrebbe mai riconosciuto per quello che era in realtà.

-Credete di riuscire a sconfiggerci? Noi siamo il futuro! Noi siamo il prossimo stadio evolutivo! Noi siamo i prossimi vincitori! E voi… voi non riuscite neanche a capire che c’è una talpa nel vostro gruppetto- dissero in coro, scoppiando poi a ridere.

Dakota spalancò gli occhi, e fissò Athena, che lo guardava in modo indecifrabile.

Poi attaccarono, e non ci fu il tempo per tergiversare.

Ma Dakota capì presto che la vera trappola era l’ultima frase da loro detta.

Ormai non ci si poteva più fidare di nessuno. 

 

Ed era ritornato al punto di partenza.

Solo come un cane, ripudiato da Athena, che non si fidava più di lui e con il silenzio che lo circondava, di nuovo.

Aveva provato a suggerire che i non morti avessero bluffato, ma Athena iniziava a credere che lui venisse controllato persino senza accorgersene, ed il fatto che i non morti, in questi due giorni, non lo avessero trovato, non faceva che confermare questa ipotesi.

Sembrava che avessero perso interesse in lui e stessero semplicemente cercando Athena… o Lily.

Perché poteva sempre essere accaduto ad Athena di essere controllata senza saperlo, di avere un testa pensieri e ricordi che non le appartenevano, una nuova personalità che faticava a riconoscere come non propria.

La confusione era tanta, Dakota ancora non capiva bene quello che stava succedendo, sapeva solo che procedeva da giorni senza meta aspettando un’inevitabile morte senza però volerla accettare come Clodia aveva fatto.

Dopotutto, dove poteva andare? Cosa poteva fare? Era solo, in un mondo di zombie.

Camminando nell’ombra, con il cappuccio sollevato, arrivò senza neanche accorgersene nel luogo dove si era risvegliato.

Se, come Athena sosteneva, era solo un burattino, non avrebbe dovuto ricordare quello che aveva fatto il giorno prima di ritrovarsi lì, oppure avrebbe dovuto avere ricordi inverosimili.

Osservò la sua moto, e si avvicinò lentamente al casco, prendendolo in mano.

Lo aveva in testa, quindi non avrebbe dovuto subire gli effetti del suono, e ne era davvero convinto.

Lo indossò, e cominciò a convincersi ulteriormente.

Il casco isolava bene le sue orecchie. Lo aveva ben imbottito lui stesso perché il suono della moto alla massima velocità gli dava un po’ fastidio.

Chiuse gli occhi, concentrandosi su quella serata e cercando di ricordare i dettagli.

L’asfalto sotto le ruote della macchina, il cellulare che squillava.

Ricordava bene che c’erano pochi pedoni in strada, ed uno la stava attraversando velocemente.

Dakota aveva calcolato la traiettoria e dato che aveva fretta non si sarebbe fermato al semaforo, ma avrebbe superato il pedone con uno slalom ben studiato.

Il cellulare continuava a squillare, ma mancavano pochi isolati a casa sua, non valeva la pena rispondere.

Effettivamente aveva fatto un po’ tardi, al bar in cui era andato con gli amici, ma doveva festeggiare… cosa doveva festeggiare? 

Ah, già, era il compleanno di un suo amico, ventitré anni. 

Poi il pedone che attraversava la strada era collassato davanti a lui, che aveva cercato di evitarlo ed era inciampato nel marciapiede, cadendo e svenendo nell’impatto.

Aprì di scatto gli occhi.

No, non era lui ad essere stato controllato, ne era certo.

Quindi, se uno di loro tre aveva subito gli effetti, doveva senz’altro essere Athena.

E Lily era con lei, da sola ed in pericolo.

Anche se Dakota non riusciva a pensare che la quattordicenne potesse fare del male ad una bambina che aveva tanto accudito.

Si tolse il tasco, indeciso sul da farsi.

-Non sei tu, sai?- gli confermò una voce conosciuta appoggiata al muro di un edificio a qualche metro di distanza.

Dakota sobbalzò e strinse più forte il casco dalle mani, come uno scudo.

Era un adolescente a braccia incrociate, con una pistola di polizia nella tasca dei pantaloni ed un’espressione che sarebbe dovuta risultare strafottente ma non riusciva poi bene nell’intento.

A quanto pare non era controllato abbastanza accuratamente.

Dakota iniziò ad indietreggiare.

-Tranquillo, Duke, non voglio ucciderti. Se avessimo voluto farvi fuori con semplicità avremmo potuto inviare un’altra ondata di suono. Vogliamo solo vedere le vostre reazioni, ed in questo preciso istante sono qui per darti un’informazione molto succosa- lo informò, con un sorriso.

-Non mi interessa, vattene! Lasciami in pace!- esclamò il ragazzo, iniziando a correre via.

Ma nella direzione in cui si dirigeva Dakota si trovò circondato da una folla di non morti: adolescenti, adulti e anziani tutti insieme.

Ritornò sui suoi passi, e trovò l’adolescente di prima ad aspettarlo.

-Tra dieci minuti l’ultima sopravvissuta verrà uccisa da un non morto di cui si fida ciecamente- spiegò, lanciandogli la pistola che lui prese al volo.

-Fai in fretta, sono in una casetta vicino al lago. A piedi ci vogliono un paio di ore- lo incoraggiò, girandosi di spalle ed allontanandosi, con le mani in tasca.

Dakota guardò incerto la pistola, poi fece la sua scelta.

Strinse la presa su di essa e la infilò nella tasca della giacca, poi si mise il casco e corse verso una zona parcheggio doveva aveva visto una moto il primo giorno dopo l'apocalisse.

Riuscì con una certa difficoltà ad avviarla, utilizzando una tecnica che un suo vecchio amico poco raccomandabile gli aveva insegnato.

Montò su e partì a tutto gas, diretto verso il lago.

Non appena raggiunse la destinazione sentì delle urla, una voce conosciuta e ormai molto familiare.

-Dannazione!- esclamò.

Gli fece male al cuore ricordare che era anche la prima parola che aveva udito da Athena.

-Dakota?- chiese lei, mentre arrivava a portata di vista, girandosi verso il ragazzo, che si tolse il casco e lo gettò a terra per vedere bene la ragazza e la bambina.

Athena teneva sollevata la padella in direzione di Lily, che era accucciata ai piedi di un albero e la guardava piangendo terrorizzata.

-Posa la padella, Athena!- le intimò, con voce tonante, prendendo la pistola e puntandogliela contro.

Lei alzò le mani, in segno di resa, facendo passare lo sguardo da Dakota a Lily.

-Lily è la non morta- indicò la bambina, che li guardava ad occhi sgranati, e scosse la testa, probabilmente intuendo quello che la ragazza stava dicendo, pure se non poteva sentirlo.

-Ho fatto male a dubitare di te, e mi dispiace, ma te lo giuro, non sono io. Lei non è davvero sorda- continuò, ma lui non aveva intenzione di fidarsi.

Troppi indizi lo avevano portato a quella situazione, e non poteva ignorarli solo perché voleva, con tutto sé stesso, fidarsi della ragazzina che gli aveva salvato la vita.

Era stato tutto un trucco, sicuramente.

-Getta la padella!- le urlò di nuovo, e Athena eseguì, controvoglia.

-Stai commettendo un errore. Prima le ho detto una cosa nel linguaggio dei segni e nel frattempo ho detto altro a voce alta, e lei mi ha risposto a quello che ho detto a voce alta- provò a convincerlo.

Lui la guardò ad occhi socchiusi, sempre con la pistola puntata, e allontanò con un calcio la padella, che finì alle sue spalle.

-Perché dovrei fidarmi di te?! Sei sempre stata così preparata, hai guadagnato la nostra fiducia solo per pugnalarci alle spalle. Non hai esitato a lasciare Nadim, e a sacrificare Clodia- le ricordò lui, e Athena abbassò lo sguardo.

Chiunque la stesse controllando stava facendo un ottimo lavoro, sembrava davvero umana.

-Io ti chiedo solo di fidarti di me. Collega i puntini e vedrai che ho ragione- fu l’ultima cosa che disse lei, serrando con forza gli occhi in attesa.

Lily, perché mai sarebbe dovuta essere Lily?

Aveva un alibi di ferro, essendo sorda… anche se forse Athena aveva ragione e non lo era.

Ma in quel caso come aveva fatto a fingere così bene? 

Era una bambina, e non aveva fatto nulla in tutto quel tempo che potesse essere sospetto.

Eppure…

Dakota pensò alla frase che Nadim gli aveva detto, indicando Athena. Lily era vicino a lei, forse era lei che Nadim considerava sospetta, e subito dopo era morto.

Anzi, a giudicare dalla direzione da cui era venuta quando la porta si era spalancata sembrava quasi essere stata lei ad aprirla, e nessuno ci aveva fatto attenzione.

Si aggirava sempre intorno a loro ogni volta che parlavano di cose importanti, sbirciava gli studi di Athena e sembrava quasi ascoltarli senza dare nell’occhio.

Inoltre avevano comparato il virus sonoro che aveva colpito tutti ad una sindrome di Lavandonia, che colpiva specialmente...

Si girò di scatto, e puntò l’arma verso la bambina, che era a pochi passi da lui, con la padella in mano, come pronta a colpirlo.

-Gettala, zombie!- le ordinò lui, secco.

Athena alzò di scatto la testa, ed emise un sospiro di sollievo.

Lily sorrise, gettò l’arma, che venne presto recuperata da Athena, che affiancò il ragazzo.

Poi iniziò ad applaudire, colpita.

-Non me lo aspettavo, lo ammetto. Siete due sopravvissuti davvero davvero interessanti. Peccato per quello che accadrà- sospirò, fintamente triste, poi fece un fischio, e dagli alberi tantissimi bambini, di età compresa tra i quattro e i quattordici anni, li circondarono.

-Per prima cosa non pensavo che Athena mi beccasse. So quanto è intelligente, me lo ricordo bene dai vecchi tempi in cui lavoravamo insieme, ma ero convinta che il suo amore per Lilian l’avrebbe accecata- commentò, un po’ delusa.

-Lilian?- chiese Dakota, in direzione della ragazza, che osservava pallida una bambina nella mischia, che fece un passo avanti.

-Si, Lilian, sua sorella. Ovvero io. Ha sofferto tanto invano. Saresti dovuta rimanere con noi, a questo punto la formula da te inventata sarebbe completa, invece procediamo per tentativi e queste città fantasma sono il risultato- disse. 

Era molto simile ad Athena di aspetto, ma aveva sette anni.

-Athena- cercò di riscuoterla Dakota, mentre tutti i bambini si avvicinavano.

-Non ti piace l’idea di un mondo perfetto, senza guerre e senza libero arbitrio per i violenti come i nostri genitori?- le sussurrò Lilian, con un gran sorriso incoraggiante.

-Athena, non è tua sorella- tentò di sparare, ma la pistola non aveva proiettili.

-Credi davvero che ti avrei permesso di uccidere la mia preda?- chiese Lily, alle sue spalle.

-Athena!- lo richiamò Dakota, mentre i bambini si avvicinavano, ma lei era presa dal panico, e teneva sollevata la padella senza riuscire a colpire la sorellina tanto adorata.

Al ché, Dakota decise di agire.

Prese la padella dalle sue mani e colpì senza esitazioni, cercando di ignorare il sangue.

Lily sembrò sorpresa, Athena si portò le mani alla bocca, e si voltò, incapace di guardare.

-Capisco. Fermatevi!- ordinò ai bambini, che si fermarono.

Diversamente dagli adolescenti i loro movimenti erano mille volte più fluidi, gli occhi sembravano molto più vivi e si comportavano in maniera completamente diversa l’uno dall’altro.

Athena prese in mano un sasso, lasciandogli la padella a dimostrazione della sua fiducia, poi entrambi osservarono Lily, che li guardava pensierosa.

-Athena, rivela a Dakota quello che ricordi, su- la incoraggiò, ed il ragazzo guardò l’amica con la coda dell’occhio, senza sapere bene cosa aspettarsi.

Athena sospirò, con sguardo basso.

-Io lavoravo con loro. Dall’inizio di questa avventura ho una sensazione di deja-vu. Credo… che ci sono state altre città che hanno ricevuto questo trattamento, città fantasma usate solo per questo tipo di esperimenti. Io ci ho lavorato per anni, e poi, osservando un risultato… era troppo orribile- confessò finalmente quello che da tempo cercava di dirgli, con un senso di colpa enorme negli occhi verdi.

-E se n’è andata. Le abbiamo tolto la memoria ed ora tutto quello che ha fatto è finito su di lei. Non volevi creare degli zombie ed ora diventerai uno di loro- la minacciò, e Athena spalancò gli occhi. 

-Ascoltate!- esclamò poi la bambina, tendendo l’orecchio.

Athena si tappò le orecchie, ed intimò a Dakota di fare altrettanto.

Lui eseguì, confuso, lasciando andare la padella.

-L’ultimo suono che udirete mai…- continuò la bambina, ridendo sguaiatamente.

Dakota capì finalmente cosa avesse sguinzagliato, e strinse la presa.

I bambini iniziarono ad avvicinarsi.

Dakota non sapeva che fare, cercò di tirare calci, ma i bambini erano forti e veloci.

Athena invece, sembrava avere già un piano, e si diresse senza indugi verso il casco che il ragazzo aveva lasciato cadere poco lontano.

Lo fece rotolare verso di lui con determinazione, e non appena gli si trovò accanto, si tolse le mani dalle orecchie.

-No!- urlò Dakota, senza sentirsi.

Con grande velocità, gli infilò il casco in testa, per poi cadere a terra, senza più riuscire a controllare bene il suo corpo.

-Finalmente abbiamo la grande Athena nelle nostre fila- commentò Lily, ridacchiando.

I bambini si fermarono, guardando Athena, che indicò per prima cosa la padella a terra, poi il suo petto.

Per fortuna Dakota capì subito quello che intendeva, e decise di rispettare le sue ultime volontà.

Fece scivolare le mani dal casco, prese la padella con la massima velocità e la sollevò in alto, pronto a colpire la sua amica.

-No!- urlarono furenti tutti i bambini, all’unisono come fossero non morti adolescenti, buttandosi contro di lui.

Ma era troppo tardi.

Dakota strinse i denti. La visiera del casco si appannò per via delle lacrime, mentre sentiva la vita uscire dal corpo della sua salvatrice e amica. Mentre sentiva il suo sangue sporcargli le mani.

Ma c’era anche un sorriso di pace nel suo volto, aveva fatto ammenda delle sue colpe e si era unita a sua sorella.

I bambini ringhiarono, infastiditi, ma Dakota non aveva intenzione di affrontarli, di ucciderli o di farsi uccidere.

Si aprì un varco tirando padellate a destra e a manca e raggiunse la moto.

Voleva solo andarsene, allontanarsi da tutto quell’orrore.

Lui non era un eroe, non era un genio, non era meglio o peggio di qualunque altra persona.

Lui era solo un ventiduenne che aveva appena venduto la propria anima per esaudire il desiderio di una sua amica.

Un ventiduenne che dopo tutto il rumore molesto che aveva sentito, voleva solo un po’ di pace e silenzio.

Quando raggiunse i confini della città, stranamente non c’era nessuno a bloccarlo, e lui uscì, senza più guardarsi indietro.

***

-Alpha, Alpha! È uscito, dobbiamo fare qualcosa!-

-Calma, Omega. L’ho fatto uscire io-

-Perché? Potrebbe raccontare…-

-Suvvia, chi gli crederebbe? E poi ha dato prova di una grande determinazione. Si è guadagnato la sopravvivenza-

-E il progetto?- 

-Potremmo iniziare ad espandere il suono nelle zone parto degli ospedali. I bambini reagiscono davvero molto bene. Ma prima di tutto dobbiamo migliorare la formula-

-Sai, Alpha, capisco perché facciamo tutto questo, ma… sto iniziando a pensare… ne vale proprio la pena?- 

-Sai che fine ha fatto l’ultima persona che mi ha chiesto questo?- 

-Athena?-

-Era la prima Omega. Se non vuoi finire come lei, va a chiudere il progetto. Uccidi gli anziani, adulti e adolescenti ma tieni i bambini. Li metteremo in centri d’adozione e ci saranno utili- 

-Alpha…-

-Tutto chiaro?-

-…Affermativo-

-Bene, togliere i ricordi è un processo così lungo- 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note d’Autore:

Che dire di questa fanfiction… ho preso gli zombie come quelli voodoo che vengono controllati da qualcuno per fare dei lavori, quindi dei soggetti senza volontà propria, e non i classici mangiacervelli.

Poi li ho divisi per fasce, perché più un soggetto è adulto più è difficile impiantargli una nuova personalità ed un nuovo modo di essere.

I bambini invece sono più semplici da manovrare.

E i bambini killer a me inquietano parecchio.

Poi ho citato la sindrome di Lavandonia, che è una famosa creepypasta su Pokemon che dice che tramite onde binaurali dei bambini venivano istigati a fare determinate cose. Doveva trattarsi in teoria di un esperimento per un nuovo impero Giapponese, ed è più o meno quello che accade in questa storia.

Un’altra citazione è al famoso videogioco The Sims dove si controlla una famiglia in tutto quello che fa.

Per quanto riguarda i personaggi, i nomi rispecchiano benissimo i loro caratteri esterni in una parola.

Mi piaceva l’idea di non dare per certo il luogo dove fossero i protagonisti, perché la loro città può trovarsi ovunque, e loro possono essere chiunque nel mondo.

Nadim è un nome arabo che significa compagno di bevute secondo Nomix.

Clodia è il famoso nome di una matrona romana di cui spesso Catullo parla con lo pseudonimo di Lesbia. Era famosa per avere avuto numerosi amanti, e Catullo era solo uno dei tanti.

Lily è un nome che ho usato per la somiglianza con Lilith, nome di un demone che porta disgrazia, malattia e morte e quindi può essere anche associato al fatto che alla fine è lei la doppiogiochista.

Athena è la dea della saggezza.

Dakota significa amico. Su di lui viene anche usato il soprannome di Duke, da uno degli zombie, che è sia un diminutivo un po’ fantasioso che un altro nome che significa capo, condottiero, cosa che alla fine un po’ diventa prendendo iniziative e salvando Athena.

Questa storia ha avuto una genesi complicata. Inizialmente doveva essere completamente diversa, e anzi sarebbe stata Athena la protagonista che si sarebbe salvata, poi ho deciso di raccontarla dal punto di vista di un ragazzo abbastanza normale, che vive l’apocalisse in modo più reale e spaventato.

Mi sono concentrata più sulle scene introspettive dei personaggi che sull’azione per mancanza di parole, visto che il massimo era di 8000 e ho anche sforato parecchio.

Spero sia uscito abbastanza bene nonostante tutto.

   
 
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