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Autore: _Dafne Johnson_    27/06/2016    3 recensioni
(In collaborazione con cassieDragon2002)
La magia non ha portato con se´ solo progressi, ma anche oscuri e antichi pregiudizi. Il sangue è ciò che conta...o almeno per le famiglie più vetuste.Ma i bambini non hanno preconcetti e vivono cercando libertà e compagnie per i giochi:proprio per questo due bambine appartenenti a due mondi distinti impareranno a fidarsi l´una dell´altra e a ricucire, nel loro piccolo, l´antica frattura. Andy, una bimba ribelle e sempre piena di energie, spesso scappa dall' orfanatrofio in cui vive alla ricerca di avventure; Layla, sottoposta a quei pregiudizi fin da piccola e a un rigido schema di vita, che trova conforto nella sua amica, sebbene molto diversa da lei.
-La vita non è un gioco. Non puoi avere amicizie che non puoi coltivare, sopratutto quelle. Devi scegliere.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Lestrange, Famiglia Malfoy, Harry Potter, Nuovo personaggio, Sirius Black | Coppie: Draco/Pansy, Harry/Ginny, Rodolphus/Bellatrix, Ron/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Più contesti
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Quel giorno, come ogni mattina presto, la casa non dava ancora segni di vita. Se la si fosse osservata attentamente, tuttavia, si sarebbe potuto notare un debole bagliore proveniente da una finestrella sul lato della casa: la finestrella in questione faceva parte della tetra cucina semi interrata in cui nessun umano  aveva mai messo piede, che era  illuminata solamente da una debole lampada ad olio.
L’unico ad avervi accesso era una creatura piuttosto bizzarra: aveva grandi orecchi, simili ad ali di pipistrello, un’appendice nasale adunca di una grandezza notevole, non priva di bubboni. Gli occhietti, molto piccoli, erano di una forma particolare: quasi avesse sempre gli occhi ridotti a due fessure. La bocca era perennemente serrata, con le estremità rivolte verso il basso. La creatura era alta quanto un bambino di cinque anni, ma aveva i piedi grandi il doppio di quelli di un adulto. Le braccia molto sottili terminavano con mani callose, enormi e rattrappite. Infine, la pelle era d’un rosa pallido, con vene che ricordavano i rami d’un albero in inverno; inoltre era vestito con quello che sembrava un sacco, con quattro buchi agli angoli per le gambe e le braccia. Quella creatura rispondeva al nome di Skannor, l’elfo domestico.
In quella lontana mattina del 15 giugno si sentiva un solo rumore nella tetra cucina , come un borbottio: il tè stava bollendo. Skannor si affrettò a toglierlo dal fuoco : i padroni amavano il tè di quella esatta temperatura. Sì, padroni: essendo un elfo domestico, Skannor era costretto a soddisfare ogni capriccio della famiglia di maghi presso cui dava servizio, fino alla sua morte. Il che, secondo i proprietari, sarebbe accaduto in un tempo non remoto: l’elfo era vecchio e molte volte veniva accusato anche a furia di calci di non essere svelto nei suoi lavori. Dopo avere versato il liquido in un elegante teiera, prese una tazza, un cucchiaino e un piattino che, a differenza del pavimento della cucina, erano talmente lindi da potercisi specchiare. Aggiunse poi quattro biscotti e  appoggiò il tutto su un vassoio ; aprì lo sportello sotto il lavandino, dove normalmente ci sarebbero stati i tubi, sebbene al loro posto c’era uno stretto passaggio, una specie di cunicolo che Skannor sembrava conoscere bene. Il “tunnel” era stato costruito apposta per gli elfi domestici: queste strettoie consentivano loro di occorrere ovunque il loro aiuto fosse richiesto, senza gironzolare per l’elegante villa con uno straccio impolverato o una pila di piatti sporchi.  Skannor  vi ci si infilò dentro: era molto irregolare, come se qualcuno avesse scavato lì dentro con una piccola pala; non mancava di sporgenze che l’elfo era ben abile a scansare ed evitare.  A un certo punto, arrivò a un bivio: scelse senza esitazione il cunicolo di sinistra e continuò il suo percorso, successivamente vide un’apertura, con una piccola maniglia , aprì la porticina e si ritrovò sotto un tavolo :molte volte i cunicoli erano posti sotto i tavoli, dietro i divani e in posti che non si riuscivano a notare senza un’acuta osservazione. Chiuse la porticina e si avviò verso la porta della padroncina. Com’era di consueto, Skannor doveva svegliare la figlia dei padroni, Eleanore, mentre essi si sarebbero alzati all’ora che più loro garbava . Arrivato alla porta della stanza da letto della piccola, bussò tre volte e , senza attendere risposta, entrò.  
La camera di Eleanore era molto grande: sul lato sinistro , una grande porta finestra dava sul balcone, da dove si poteva ammirare il grandissimo giardino che circondava la villa. Al centro, invece, sopra un elegante tappeto, troneggiava un letto a baldacchino con tende di seta verde e copriletto del medesimo colore. Con fili d’argento erano stati ricamate stelle, gliene serpi e bizzarri ricami. La parte destra della stanza , presentava un grande armadio di mogano, su cui la bimba aveva appeso alcuni dei suoi  “capolavori artistici più riusciti”. A sinistra dell’armadio erano state fissate alcune mensole, color verde chiaro, dove una grande quantità di libri erano già presenti, senza che la piccola li avesse solo sfiorati. Ciò che invece usava di più era sicuramente la casa delle bambole: zia Narcissa aveva regalate tantissime. Le pareti erano di color verde scuro, a differenza del soffitto chiaro. La stanza , nel suo insieme , era abbastanza vuota, ma una volta cresciuta, la padroncina l’avrebbe sicuramente riempita di soprammobili e “altre cosette stupide che presto le interesseranno” , come l’elfo ripeteva sempre. 
Skannor scostò lentamente le tende della finestra, facendo entrare  un timido raggio di sole nella stanza. La bimba si mosse, e si voltò in modo da non avere la luce sugli occhi. In effetti, l’elfo la preferiva così: da sveglia era un tale terremoto… comunque, lui era solo un servo, e doveva fare il suo lavoro. Prese un campanellino dal comodino presente vicino al letto e iniziò a scuoterlo energicamente.
-Padroncina Eleanore…-pronunciò lui.
-Mmmh? Skannor, lasciami dormire!- disse la bimba, mantenendosi con gli occhi chiusi.
-Skannor non può, padroncina! Voi dovete prepararvi per il compleanno del vostro cuginetto, voi dovete!-insistette.
La bambina non aveva bisogno di altre motivazioni: aprì gli occhi di scatto e balzò in piedi sul letto.
-Hai ragione, hai ragione! Grazie per la colazione-esclamò piena di energia, trangugiando velocemente i biscotti e il tè.
L’elfo sospirò, abituato a quelle scene di energia esplosiva della padroncina. Le diede comunque una mano a vestirsi: le fece indossare un vestitino nero, con colletto alto e maniche corte leggermente a sbuffo. Eleanore congedò l’elfo e si mise a pettinare i capelli con forza: alcune volte, quando apriva gli occhi alla mattina, trovava i suoi morbidi boccoli tutti arruffati. Successivamente sentenziò che il colletto era troppo stretto, e il vestito troppo scuro: aveva da sempre preferito i colori sgargianti, ma presentiva che sua madre e suo padre non avrebbero mai approvato. Cercò così, con la sua magia elementare, di cambiare colore all’abitino: non era semplice, ma tentò di farlo divenire color verde lepricano, magari anche un poco più confortevole. Il risultato, facile a dirsi, fu penoso: era magia troppo avanzata per una bimba di 3 anni. Il vestito era ormai rovinato, con il colletto a cui mancava un bottone ,chiazze nere e verdi e strane sbavature blu. Eleanore ignorava la provenienze del blu, ma decise che il suo abbigliamento era bello così. Aggiunse un fiocco nero nei capelli, indossò un paio di scarpine e si avviò verso l’ingresso della casa.
Villa Lestrange vantava una variegata collezione di quadri con cornici dorate e un grande numero di tappeti importati dall’oriente di eccellente fattura . A detta della bimba, era una grande sfortuna: i tappeti le impedivano di scivolare sul parquet e di divertirsi come più preferiva; ovviamente escludendo  i vasi di porcellana, i quali troppe volte aveva rischiato di far andare in frantumi, guadagnandosi occhiate rassegnate da Skannor. Nell’ingresso, proprio vicino alla porta, era posto un grande vaso ancora intatto, con decorazioni d’argento: uno scudo con una grande “L” con due bacchette incrociate dietro, le quali sprigionavano scintille tutte attorno. Sotto, in una scritta tutta ghirigori e svolazzi, troneggiava il nome della famiglia, Lestrange. Tra i maghi non si esistevano titoli nobiliari , nonostante la madre e il padre di Eleanore, quando erano a contatto con altre persone di alte cariche ministeriali, ostentavano tutta la loro ricchezza e il loro sangue puro con modi sprezzanti e raffinati allo stesso tempo. Vicino alla porta , un’elegante console di mogano intarsiato appoggiava su un grande tappeto scuro, che contribuiva, anche grazie all’ illuminazione scarsa, a rendere la villa assai tetra e misteriosa.
Eleanore si sedette sgarbatamente a gambe larghe appoggiandosi alla porta, dove penetrava molta più luce grazie al vetro colorato di cui in parte essa era composta. Dopo una decina di minuti comparve suo padre, e subito si alzò in piedi e assunse una posa rigida, come si conveniva. Suo padre, Rodolphus Lestrange, era un uomo assai alto e dalle larghe spalle, aveva zigomi pronunciati e messi in risalto dall’ombra sotto di essi, che gli donava un cupo e misterioso fascino. Le labbra sottili, il naso diritto e occhi apprensivi di color nocciola, l’identico colore di quelli della figlia, completavano il tutto. I capelli, di color castano scuro, gli arrivavano poco sotto le spalle ed erano sempre tenuti in una classica coda bassa con il fiocco, che Eleanore considerava vagamente all’antica; portava anche un pizzetto attorno alla bocca, che si univa ai baffi , perfettamente in ordine. Rodolphus alzò un sopracciglio a causa  dell’abito della figlia, che venne ricambiato con un sorrisetto timido di scusa. Egli tirò fuori la bacchetta da una tasca anteriore della giacca e la agitò leggermente, mantenendo sempre lo sguardo fisso sulla figlia: il colletto ritornò alto e il vestito riprese il colore nero. Dopo parecchi istanti di silenzio imbarazzante, comparve anche sua madre, Bellatrix: a differenza del marito, le sue palpebre pesanti, sorriso sprezzante e bocca carnosa, messa ancora più in evidenza dal rossetto scuro, instillavano un senso di irrequietezza nella bimba, per cui raramente guardava sua madre negli occhi. Lei, d’altro canto, non serbò nemmeno uno sguardo per la figlia e precedette il marito fuori dalla porta d’ingresso, quando Eleanore la seguì con passo rigido e ben studiato, sul quale si esercitava fin dalla nascita, a sua memoria. Si fermò soltanto a osservare  il padre chiudere la porta suggellandola con veloci incantesimi, e riprese la sua camminata prima che egli si girasse. Era abituata a quel silenzio, soprattutto dopo che ne aveva combinata una delle sue… come dimenticare la rottura del vaso! Ovviamente l’avevano aggiustato subito, ma certe occhiate erano dure da dimenticare. Lei non amava particolarmente le faticose lezioni di camminata, dopotutto non erano più nel XIX° secolo! Ma come spiegarlo ai suoi genitori, o al terribile maestro di dizione? Forse quando sarebbe cresciuta le avrebbero permesso di smettere questi inutili corsi, e di lasciarla finalmente libera. Fino ad allora, si sarebbe solamente preoccupata di divertirsi in quei brevi momenti di svago, come il terzo compleanno del suo cuginetto, festeggiato quel pomeriggio.
   
 
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