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Autore: bennytop    29/06/2016    1 recensioni
Questa ff trae spunto da alcuni anime-manga (specialmente Inuyasha), libri (Shiver), film, sogni (soprattutto sogni)...pur rimanendo originale.
C'è un po' di tutto. Lasciatevi incuriosire e buttate un'occhiata. I nomi sono in giapponese (tributo agli anime), ma l'ambientazione è vaga. L'atmosfera sa di fantasia. Buona lettura!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Stavo per prendere l'autobus che mi avrebbe portata a casa. Abito in un piccolo paese fuori città, un paese dimenticato da tutti e affogato in prati, boschi e rivoli d'acqua. L'autobus fa solo poche fermate ma rimane sempre un'ora di tempo a separarmi dalla caotica e festosa città, dal mio liceo.

Dal finestrino vedevo macchie colorate scorrermi davanti agli occhiali. Sì, sono un po' talpa, i miei occhi marroni non sono affidabili. Quando penso agli occhi non posso fare a meno di sospirare per il mio nome. Il nome è un marchio: è essenziale. Senza il tuo, forse rimarresti sempre tu perchè la sostanza non cambia, ma in realtà non ti riconosceresti mai in nessun altro nome.
È così e basta. Nemmeno io posso sottrarmi al mio: Hitomi, un nome che (in teoria) viene dato solo alle bambine dagli occhi bellissimi. Chissà cosa si erano bevuti i miei al momento di darmi il nome.

L'autobus sbandò improvvisamente.
Vedevo le persone riversarsi fuori dall'abitacolo urlando per poi correre via. -Che succede?- Nessun incidente, niente di niente, eppure la gente continuava a scappare. Casa mia non era lontana, potevo arrivarci a piedi: quindi decisi di scendere anch'io, ormai l'unica rimasta a bordo. Tuttavia, la mia incorreggibile curiosità mi trascinò al posto di guida. -Forse l'autista può darmi qualche spiegazione-.
"Mi scusi saprebbe dirm...".
La voce mi si ghiacciò. Lo sguardo che l'uomo mi rivolse mi fece dimenticare tutto, infondendomi una terribile sensazione di pericolo. Mi spinsi fuori dalle portiere. Troppo tardi. Una banda di persone con strani vestiti e armate di coltelli avevano circondato il mezzo.
Una signora con una lunghissima treccia bianca e occhi rossi mi si fece vicina. Analizzai brevemente che scappare sarebbe stata una mossa stupida: non mi rimaneva nemmeno un piccolo spiraglio di fuga. La signora avvicinò decisa la mano al mio viso, come se volesse afferrarlo. Istintivamente mi ritrassi e quel repentino movimento mi fece cadere gli occhiali. Non erano lontani, mi accertai. Non cercai di prenderli. Anzi, l'altezza al momento era l'unico vantaggio che avessi contro quella vecchia. Da dove venivano queste persone? Sembrava di vedere dei personaggi di un'altra epoca. Il silenzio mi stava uccidendo ma ero troppo spaventata per parlare. Cosa avrei potuto dire di utile?

La vecchia fece un passo avanti, io indietreggiai. La vidi mascherare un piccolo ghigno di superiorità mentre si muoveva. Mi fermai e aspettai, tenendomi pronta alla sua reazione (inutile indietreggiare ancora, mi sarei imprigionata contro l'autobus). Tutti stavano fissando lei. Lei, con i suoi occhiacci imbottiti di sangue, fissava me. Notai che gli occhiali stavano proprio ai miei piedi, mi chinai piano a raccoglierli e li misi nella tasca dei jeans.
Improssivamente la donna si voltò verso gli altri e urlò: "Bambina dalla lunga vita! È lei, non ci sono dubbi. Preparatela per il rituale." Cooosa?!
"Fermi! Cosa volete? Ci deve essere un errore grosso invece. Io sono una normale studentessa e devo essere a casa per pranzo".
La vecchia si mise a ridere: "Non preoccuparti ti faremo bella e ti daremo da mangiare, prima del rituale". Due uomini mi presero per i gomiti, la stretta mi faceva male, mi impediva di muovermi. I muscoli si atrofizzarono dalla paura.

Mentre mi portavano via intravidi il tetto della torre del mio paese. Era la mia ultima speranza. Feci finta di inciampare, avvicinando le braccia. Banale ma efficacie: per non scontrarsi o per non cadere, i due allentarono la presa. Con uno strattone mi liberai nella disperata corsa verso la torre. Mancavano solo pochi metri al giardino della casa del fabbro (la prima casetta che riconobbi), quando un ragazzo mi si parò davanti. Me lo ritrovai davanti con le braccia conserte, non era ostile. Quei due secondi di confusione mi furono fatali.
Sembrava un ragazzo normale, ma, sebbene non lo avessi visto prima, quei vestiti lo identificavano come uno di loro. Lo capii quasi immediatamente, ma, ancora una volta, troppo tardi.
Mi afferrarono da dietro.
Un colpo in testa.
La vista iniziò ad annebbiarsi.
Svenni con la consapevolezza di essere perduta e con la fotografia di quel ragazzo che inespressivo rimaneva immobile a guardarmi.



NdA
Grazie popolo per il tempo che mi avete dedicato! Accetto tutte le critiche costruttive, fatemi sapere se vi ho incuriositi.
Per ora la storia è arancione ma potrebbe diventare rossa...chissà.
A presto!

   
 
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