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Autore: Ega    29/06/2016    0 recensioni
Ariel è una ragazza sveglia ed in gamba, ama l'attività fisica ed il contatto con la natura.
Vive in un villaggio vicino ai boschi con i suoi zii ed il suo cuginetto, sua madre è morta quando era una bambina e suo padre è scomparso da tempo.
Sembra trascorrere un'esistenza felice e tranquilla, ma cose strane cominciano ad accaderle... quando poi scopre di non essere quello che credeva, uno sconosciuto la trova e la porta in un posto riservato alle persone come lei.
Ma quell'uomo è davvero chi dice di essere?
Ariel farà nuove conoscenze ed amicizie, ma altrettante inimicizie le verranno incontro, riuscirà mai a scoprire la verità?
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Venni svegliata dai primi raggi solari che mi colpivano il viso. Avevo decisamente dormito male, ma come biasimarmi?
Ero stata sdraiata a terra tutta notte.

Stiracchiandomi come un gatto, mi guardai intorno, riconoscendo il bosco a me familiare. Decisi di alzarmi: andai al ruscello, dove mi lavai e dissetai con l'acqua fresca.
Raccolsi delle bacche e feci quella che si può definire colazione.

Dopodiché mi avviai alla volta della città.
Non che potesse essere paragonata ad uno di quei grandi centri urbani spesso citati, in realtà si riduceva ad essere una cittadina di modeste dimensioni, molto estese per lo standard tipico della zona.
Camminai parecchio a lungo, ore sicuramente, senza rendermi conto della stanchezza, perché ero decisa ad arrivare entro sera .
Le mie gambe si muovevano ed i miei muscoli lavoravano, ma la mia testa era altrove, altamente scombussolata dagli avvenimenti del giorno prima.
Ero stata io. Era colpa mia se il vecchio Tom non c'era più.
Ero fuori di me, e avevo reagito in maniera istintiva. In quel momento mi promisi che mai più mi sarei lasciata andare. Mai più.

Come previsto, verso il tramonto, vidi in lontananza delle abitazioni.
Decisi di proseguire fino ad arrivare nel centro vero e proprio della città.
Lì, stremata, con un dollaro e cinquanta in un supermercato comprai, una barretta energetica e dell'acqua. Dovevo andare a risparmio prima di tutto.
Mi sedetti su di una panchina del piccolo parco accanto al municipio e rimasi ad osservare le persone passare, era un orario un po' insolito, nonostante ciò, passarono bambini, adulti e anziani. Tutti dall'aria indaffarata o di fretta. Nessuno sembrava semplicemente godersi la passeggiata.

Dopo aver mangiato il mio pasto frugale, mi decisi a chiedere alloggio a qualcuno.
Ovviamente nessun passante era disposto ad ospitarmi. E nemmeno ristoranti ed hotel, seppur in cambio di lavoro, furono più gentili.
Quindi, la mia unica possibilità di ridusse a passare la notte in stazione e sperare di avere maggior fortuna io giorno dopo.

Mi incamminai mollemente alla volta della stazione, ormai con il cielo scuro.

Era bella di notte la città. C'era pericolo ma pure libertà. Ci giravano  quelli senza sonno, gli artisti, gli assassini, i giocatori, stavano aperte le osterie, le friggitorie, i caffè.
Ci si salutava, ci si conosceva, tra quelli che campavano di notte. Le persone perdonavano i vizi. La luce del giorno accusava, lo scuro della notte dava l'assoluzione.
Uscivano i trasformati, uomini vestiti da donna, perché così gli diceva la natura e nessuno li scocciava.
Nessuno chiedeva di conto di notte. Uscivano  gli storpi, i ciechi, gli zoppi, che di giorno venivano respinti.
Era una tasca rivoltata, la notte nella città.
Uscivano  pure i cani, quelli senza casa. Aspettavano la notte per cercare gli avanzi, quanti cani riuscivano  a campare senza nessuno.
La cosa mi rese subito più triste.

Arrivata a destinazione, mi sedetti su una sedia lercia e mi lasciai andare per qualche ora di riposo.
Mi svegliai durante la notte, per colpa di non so quale rumore, cercai di prender nuovamente sonno, ma la cosa risultava impossibile.

Guardandomi intorno, mi resi conto di essere sola, nella minuscola stanza, abitata da me, il distributore automatico di biglietti ed una decina di deprimenti sedie grigio topo, poggiate su delle piastrelle in finto marmo, palesemente stampato e sporco.

Ormai dopo la seconda notte di sonno all'aperto, la schiena iniziava a dolere, necessitavo assolutamente di una sgranchita di gambe.
Non fidandomi, ovviamente, portai con me anche lo zaino, estrassi il mio pacchetto di sigarette e cercai di godermi la situazione.
Quella che stavo fumando era una sigaretta triste e priva di significato.
Una tra tante nel mezzo del pacchetto.
Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand'è l'ultima. Anche le altre hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso.
L'ultima acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria su sé stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute.
La cosa che non avevo mai capito è come mai, il fumo non avesse mai infierito sulla mia salute: conoscevo dei ragazzi fumatori, ed ognuno di questi aveva i suoi problemi, chi asma, chi tosse, chi affaticamento... Io invece, che fumavo da tre anni, mai avvertito cambiamenti. Sempre avuto un organismo forte e resistente.

Mentre facevo questi ragionamenti filosofici, con il fumo che mi attraversava il corpo e l'anima, sporcandomela più di quanto già non fosse, sentii delle voci in lontananza farsi sempre più vicine.
Un gruppo di ragazzi si stava avvicinando.
Quattro giovani di circa vent'anni, nessuno di loro era di cattivo aspetto, quello che pareva essere il capo era moro con gli occhi castani ed indossava dei semplici jeans ed una felpa.
-Hey rossa, ce l'hai una sigaretta? - chiese con sguardo beffardo di chi sapeva di piacere.
Io però non mi lasciavo abbindolare facilmente, alzando gli occhi al cielo né estrassi una dalla tasca e in silenzio gliela passai, sperando che poi si sarebbe allontanato.
Che poi, io non ero rossa, ero ramata.
Ovviamente non fui fortunata.
- cosa fa una ragazza così carina, sola, nel pieno della notte in questo postaccio? -
- si fa i cazzi suoi- risposi acida, volevo solo stare sola e in pace.
- ahi, graffia la gattina. - e continuando a guardarmi, si portò di fronte a me, facendomi poggiare la schiena al muro.
- sai, mi piacciono le ragazze di bell'aspetto e obbedienti.- disse fissandomi - il tuo corpo coincide esattamente con i miei ideali, ma sarà il caso che tu venga addomesticata.- detto questo mi baciò violentemente. Schifata dal suo comportamento, mi dimenai, ma la sua massa muscolare non mi permetteva granché.
Gli morsi quindi il labbro, facendogli fuoriuscire del sangue.
Fu allora che vidi la furia nei suoi occhi. Mi strinse entrambi i polsi, provocandomi parecchio dolore.
- oh tesoro, questo non avresti dovuto farlo.- era incazzato.
Sentii la paura montare, erano quattro contro una. Non avevo possibilità.
Sentii uno schiaffo colpirmi violentemente il viso, uno dopo ed uno dopo ancora.
Stavo per perdere conoscenza, quando diedi importanza al l'unico pensiero sensato in quel momento:
- Sulfus-.
  
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