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Autore: Mana    18/04/2009    6 recensioni
Io lavoro al bar di un albergo a ore
porto su il caffè a chi fa l’amore
vanno su e giù coppie tutte uguali
non le vedo più manco con gli occhiali.
Ma sono rimasto lì come un cretino
vedendo quei due arrivare un mattino...
Genere: Triste, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Albergo a ore Ta-dan! Mana si è montata la testa e si è messa a scrivere addiriturra qualcosa ispirato da una canzone, più precisamente Albergo a ore di Herbert Pagani. Che la conosciate o no vi lascio alla storia, nella speranza che non ci siano errori e che, nonostante sia un po’ acerba, possa piacere a qualcuno. Non è esattamente una song-fic, credo, comunque... ringrazio Felicity89 per il supporto durante la scrittura.
A fine pagina il testo della canzone.
Note: Sous-sol = scantinato
Mana





Albergo a ore





Il tintinnio dei bicchieri lo aveva sempre aiutato a svegliare la mente in prossimità del nuovo giorno, anche se il corpo era rimasto desto tutta la notte. Lavorando così, meccanicamente, sempre a preparare caffè, poi lavare le tazzine, i bicchieri, ritmicamente, ruotando la spugna, coll’odore del detersivo penetrato ormai in tutte le cellule della pelle, Louis non ricorda più quando sia stata l’ultima volta che s’è concesso una vacanza.

Che lì tutti gli altri vanno a divertirsi; ma lui non conosce pace.
Guarda distrattamente la coppia di avventori che sta abbandonando il Sous-sol, senza neppure notare la loro aria annoiata.
Louis. Nella due. Vai, qui ci penso io.
Sospirando lentamente per la lieve stanchezza, Louis annuisce, mentre Simon gli passa le tazzine di caffè fumante che ha appena preparato.
Mentre sale le scale sente il solito cigolio del terzo gradino, poi, ancora pochi passi, e può bussare alla porta della due. Appena lasciato il vassoio torna giù, schermandosi automaticamente gli occhi con un braccio per ripararsi dalla luce. Ormai è l’alba, e un forte chiarore ha invaso il piano terra, dando l’impressione di un luogo polveroso; con quell’assenza di colore e la carenza di personale...
Vorremmo una stanza per un’ora.
Una voce limpida, bassa ma sottile nel grigio di quel mattino, interrompe la quieta quotidianità a cui Louis è abituato. Sente uno strano formicolio alle mani, e in un gesto ormai abituale le sfrega piano tra loro.
Mathis...” s’intromette un’altra voce, mentre Louis incomincia ad intravedere la scena.
Julien... Due ore.” cambia subito idea l’altro, voltato di spalle verso Simon.
Ah, Louis. Puoi cambiare le lenzuola? Non so ora quale stanza sia libera...
L’uomo deglutisce, ancora spiazzato da quella strana visione. Con quella luce che illumina i loro volti, i due hanno qualcosa di terribilmente surreale, che ha trasformato quel momento in una goccia che non vuole staccarsi dal rubinetto, permettendo così al tempo di riprendere il suo normale flusso.
Louis! Ci sei?” lo richiama Simon.
Sì.” sussurra lui lasciando indugiare lo sguardo sulle mani intrecciate dei due ragazzi: è una presa delicata, di dita giovani e un po’ inconsapevoli, che si sfiorano con l’incoscienza dell’indefinibile.
Subito dopo risale velocemente le scale, ma senza fretta. In quel breve lasso di tempo che si è dilatato nella sua mente ha potuto registrare delle immagini molto strane.
Vivide nel loro grigiore.
Mathis, il più alto, ha capelli ricci, scuri, arruffati sulla testa; la sua compostezza evidente trasmetteva un senso di tranquillità disarmante. Julien, invece, da quel che ha potuto vedere, è morbido. Così come morbida è la sua voce, tenera dev’essere la carne della mano a contatto con quella dell’altro. Perché anche un mero corpo può parlare.
La strana consapevolezza di conoscerli bene dopo quel breve incontro è spiazzante.
Qualcosa che destabilizza, senza però far cadere a terra. E Louis si gratta la testa, lambiccandosi nella scelta della stanza – forse inutilmente, ma per propria volontà: la uno è in condizioni pietose, e gli basta uno sguardo per accertarsene; oltrepassa la due a passo spedito, fermandosi dinanzi alla successiva. Speranzoso apre la tre, notando la finestra leggermente aperta. Quello è già un buon segno.
Non c’è molta puzza; l’odore non è forte, né troppo intenso.
Louis spalanca le imposte, tirando poi subito via ogni cosa rimasta sul letto. Non vorrebbe affrettarsi, ma sa che Mathis e Julien, appena poco più giù, attendono. Un po’ inconsapevolmente sceglie i lenzuoli più nuovi e bianchi, sistemandoli sopra le federe pulite. Soddisfatto esce dalla stanza, notando che i due ragazzi hanno appena imboccato il corridoio. Vederli nuovamente gli fa uno strano effetto; ha una sorta di blocco che non saprebbe ben definire.
È pronta la stanza?” domanda quasi timidamente Julien.
E Louis ha l’impressione che possa disgregarsi in quella luce, la sua figura. Che neanche la vicinanza di Mathis sarebbe in grado di proteggerlo da una simile eventualità.
Sì.” si riscuote dopo un lunghissimo istante, porgendo poi dalle mani umide le chiavi della stanza. “È questa, la tre.
Merci.
Mathis gli sorride riconoscente. Le loro voci sono come un bisbiglio impalpabile, qualcosa che sfugge alla sua comprensione limitata. Anche se dalla due risuonano alti gemiti, loro non sembrano farci caso. Louis, sentendosi partecipe in una qualche specie di modo di un evento mistico, cede lo spazio ai due e chiude la porta, non senza prima aver registrato il primo sorriso sul viso di Julien. Così fragile, da ispirare tenerezza.





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Un albergo a ore?
Nell’aria c’era un vago odore di fumo, l’unico sopravvissuto di una notte rubata al giorno, tra coccole, carezze e sigarette. Julien era raggomitolato su se stesso in cerca di calore, mentre Mathis si era allontanato per discutere con la massima lucidità. Non che i loro intenti fossero molto lucidi.
Pensi sia una cattiva idea?
Era più un’affermazione che una domanda, e Julien si era mordicchiato il labbro inferiore, colto dall’indecisione. Sapeva perfettamente quanto fosse complicata la questione, ed inoltre non avevano grandi risorse economiche. Sarebbe stato egoista chiedere di più, per la loro relazione d’argento. Tre anni insieme senza un solo litigio... A parte quelli sulle loro famiglie, naturalmente all’oscuro di tutto.
Non ho detto questo...
Ma non c’era convinzione, in quel sussurro. Mathis rilasciò andare un sospiro, mentre si distendeva ancora una volta accanto a lui. Non c’era verso di far funzionare qualcosa, quando l’intero mondo era contrario. Voltandosi verso Julien, capì perché aveva sempre resistito: per poter sentire che, nella vita, aveva davvero qualcosa di importante. Qualcosa con un significato, che dava il senso alla sua intera esistenza.
Stanotte dormi, e poi domattina...” lasciò in sospeso, avvicinando una mano al suo viso per accarezzare una guancia col dorso, con infinita lentezza.
Sentiva il respiro del suo Julien incontrare la sua mano; un fiato caldo che era capace di riscaldarlo anche durante la più fredda assenza di luce. Bastava così poco per un attimo di felicità, per un infinitesimo di pienezza.
Ho fiducia in te.
Che bel naso!” sussurrò sorridendo Mathis, prendendolo delicatamente tra indice e medio.
Julien ridacchiò, avvicinandosi di più a lui, annullando quella distanza che gli faceva sentire così freddo da distruggere ogni speranza. Un braccio ripiegato con la mano sul suo petto, l’altro avvolto morbidamente attorno al suo fianco, faceva ardere la fiamma della sua stessa essenza, altrimenti completamente offuscata da quel contorno soffocante.
Cos’hai?
Impossibile nascondere qualcosa a Julien. Aveva certamente notato i suoi occhi – che si erano distratti, che non erano più completamente presenti. L’altro tirò su la mano accarezzando il suo mento con i polpastrelli, premendo con gentilezza sul sottile velo di barba di Mathis. Sentirlo così vicino, così raggiungibile con tutti i suoi sensi, era qualcosa che adorava.
Mi dispiace se non so fare di meglio.
E il suo Julien aveva gli occhi dolci. Che avrebbero fatto sciogliere la neve, col calore che c’era dentro. Perché tutto era così incredibilmente chiaro – eppure confuso, poco definito – quando erano insieme.
Qualsiasi cosa tu faccia, per me è sempre abbastanza.
Il tempo scorreva lento, ma inesorabile. Anche quando Julien si era arreso al sonno, Mathis aveva voluto mantenersi vigile. A vegliare su quell’angelo dalle ali troppo fragili. Anche se sapeva perfettamente di essere lui, il debole, tra i due. Non l’avrebbe mai potuto ammettere, neppure con Julien, perché voleva rappresentare la sua forza, e mostrare segni di cedimento avrebbe logorato il suo spirito. Poco importava se questo poi accadeva a lui.
Era forte. Poteva sopportarlo. Lo aveva deciso quasi nello stesso momento in cui aveva capito quanto Julien gli fosse indispensabile. La sua aria. Il suo pezzo di respiro. Uno squarcio di lucidità nel mare di incoscienza. Tutta la sua vita era un indistinto e confuso dormiveglia nel quale non faceva null’altro che andare avanti. Poi le cose erano cambiate. Per caso – come spesso accade in certe situazioni.
Non gli dispiaceva bearsi del quieto movimento del suo petto mentre respirava regolarmente, anche se quella notte c’era una pesantezza nuova, diversa dalla solita. Un’agitazione sotterranea che si poteva notare dalla deglutizione nervosa, dal rapido chiudersi e aprirsi delle sue dita, vicine al suo volto, permeato da una tensione percepibile anche in quella poca luce.
Quasi non si accorse del tempo che stava sfuggendo velocemente dalla sua vita... Ma, in fondo, per una volta avrebbero deciso loro stessi il proprio tempo.
Seduto su quel letto sfatto, stava fumando l’ultima sigaretta che sentiva di potersi concedere, quando Julien gli accarezzò la schiena con una mano, risalendo su, in una lenta carezza, sul collo, provocandogli dolci brividi, e poi tra i capelli ricci, profondamente ribelli dopo quella notte tormentata.
Spinse un po’ la nuca indietro, rilassandosi.
Ci hai ripensato?” giunse arrochita da dietro la sua voce.
Mathis spense la sigaretta, mentalmente dicendole addio, e sorridendo di se stesso per quel pensiero. Non stava esitando. Ed era – forse stranamente – tranquillo.
No. Tu?
Julien portò entrambe le braccia attorno al suo collo, abbracciandolo da dietro. Era incredibile quanto apparisse inconsistente la sua presenza, nonostante la pregnanza del suo essere.
Sono pronto.” fu l’ultima conferma.





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Fidarsi è qualcosa di complesso.
Nell’insieme, è semplice racchiudere ciò che è comunemente definito dalla parola fiducia, talvolta sostituita da amore. Ma, se tutti ci credono realmente, pochi ci pensano seriamente. Affidare la propria vita, il proprio cuore e il proprio corpo a qualcuno è un vero atto di coraggio, forse. O un miracolo.
È che con Mathis è troppo facile. Perché la fiducia è come un pozzo. Bisogna saperci buttare ogni cosa; anche se stessi. Oppure il fatto che sia semplice dipende da lui. Questo Julien non l’ha mai saputo.
Piano, senza un fiato, lascia scorrere le palme delle mani aperte sul torace dell’altro, risalendo sul suo petto, sentendo scorrere la vita sotto quel contatto, con il lieve movimento dei suo muscoli, l’espressione di un respiro rinchiuso in uno spazio troppo piccolo per sembrare reale.
Sous-sol...
L’hai scelto tu.
Lo so.” annuisce Mathis tirando fuori due boccette dello stesso colore; con calma le posa sul tavolino di fianco al letto. “Non è tanto male, no?
Si riavvicina sorridendo; in quella luce, è ancora più bello.
I tuoi capelli...” sussurra portando entrambe le mani ad accarezzarli.
Cos’hanno?
La voce si è abbassata, così come la sua percezione del corpo dell’altro. Ha acquistato una nitidezza nuova, che però ha qualcosa di intrinsecamente indefinito.
Sono un disastro... Come sempre!
Mathis gli prende delicatamente le mani con le proprie, sedendosi sul lenzuolo e invitandolo a fare lo stesso. Julien, esercitando una lieve pressione sulle sue spalle, lo spinge un po’ più indietro, trovando il posto per accomodarsi sulle sue gambe, con le ginocchia piegate accanto ai suoi fianchi.
Appare strano quanto il tempo scorra lento e veloce allo stesso tempo, e l’improvvisa assenza di suoni esterni accentua ancora di più quella sensazione. Non c’è più nessuno, nelle stanze del Sous-sol. Soltanto loro due, in una prigione perpetua – o un volo di due aironi profondamente legati.
Le iridi di Mathis non sono mai state così liquide. Non l’ha mai visto piangere – né l’ha sentito lamentarsi con scontentezza. Perché lui non è il tipo. Vuole essere forte. E certamente lo è. Ma ha una fragilità più sottile – una debolezza nascosta da qualche parte, in profondità, così che nessuno possa mai scalfirlo. Ciò non significa che non sia in grado di soffrire.
Hai paura?” gli sta chiedendo, con premura, sempre preoccupato per lui.
Forse ha paura. O forse no. È difficile dirlo. Ma la propria risposta, invece, è abbastanza naturale.
Quando sono con te, non ho paura di niente.
Un altro sorriso di Mathis, ritagliato da quella mattinata di tristezza e soffocamento. È un qualcosa che si sta trasformando velocemente in un lento sprofondare, come un vortice che li trascina entrambi verso lo stesso punto, del quale non sanno molto – né molto hanno mai saputo in passato. Ognuno dei due vive la cosa in modo diverso, e per tacito accordo non si sono chiesti cosa provassero. Julien non ha intenzione di cambiare le cose proprio adesso.
Si lascia cullare dalle mani dell’altro, che con la solita gentilezza scorrono sotto i suoi abiti, e automaticamente alza entrambe le braccia, sentendo scivolare il tessuto contro la pelle, in una carezza inevitabile. Fa lo stesso con Mathis, abbassandosi poi per incontrare, per la prima volta da quand’è sorto il sole, le sue labbra. Sanno ancora di fumo, e di buono. Perché, per lui, indipendentemente da qualsiasi altro gusto Mathis abbia sulla bocca, è incancellabile il suo sapore. È qualcosa di strano da spiegare, perché neppure Julien ha dei motivi razionali. Ma è superfluo provarci.
Sei sicuro?
La voce appena un po’ più rauca, il respiro giusto appena più accelerato, Mathis cerca i suoi occhi.
Sì. Smettila di chiedermelo.” ribatte lui con decisione. “Tu, piuttosto... ?
Sì.





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Nonostante le due ore siano quasi passate, Louis non riesce a cancellare la sensazione che il tempo si sia incartato, accartocciato su se stesso in una spirale senza fine. Il problema è che si è dilatato in maniera inconcepibile, anche per uno come lui.
Sono pronti anche questi.
Come?” domanda confuso.
Lascia stare, oggi non ci stai con la testa.” lo rimprovera Simon. “Li porto su io.
E Louis vorrebbe fermarlo – dirgli che ci pensa lui ai caffè di Mathis e Julien, ma non ne ha la forza, né la prontezza. Lo osserva salire le scale con una piccola punta di tristezza. Non guardava mai i clienti, da molto tempo. Eppure, quella mattina, ritrovarsi davanti quei due, così educati e puliti, gli aveva trasmesso qualcosa. Anche se non sapeva esattamente cosa. Distrattamente rivolge uno sguardo all’orologio. Le due ore sono quasi passate. E non c’è più nessun altro, al Sous-sol. È un periodo che viene poca gente. Forse non c’è molta voglia di fare l’amore.
Oggi sei strano.” commenta Simon, che nel frattempo è tornato accanto a lui.
Louis tace, ignorandolo. Non riesce a trattenere un piccolo sorriso, e Simon inarca un sopracciglio, per poi liquidare la questione con un’alzata di spalle. Sta ancora pensando a Mathis e Julien. Mathis e Julien. Ripete i nomi dentro di sé, sicuro che, comunque, ormai sono impressi dentro di lui. Era raro vedere due come loro, soprattutto di quei tempi.
E poi, a quell’ora della mattina, non c’era un grande via vai di coppie.
Non ha idea di quanto veramente i due ragazzi gli siano scivolati dentro. Avranno sì e no vent’anni. Louis sa che è costretto – da se stesso – ad aspettare che se ne siano andati, prima di poter andare a casa. Getta di nuovo un’occhiata all’orologio: le sei e tre quarti.
Hai sistemato la due?” lo risveglia da quello strano stato la voce di Simon.
No. Vado subito.
Non si è più avvicinato alle stanze. Forse per un sesto senso tutto speciale. Quasi inconsapevolmente tende l’orecchio per cogliere un suono, anche qualcosa di minimo e appena percettibile... Ma niente. Silenzio perfetto. Voltandosi quasi sobbalza ritrovandosi davanti Simon, che si offre di dargli una mano, dato che temporaneamente non c’è molto altro da fare. Louis annuisce, passandogli i panni sporchi e dedicandosi invece ad una veloce pulizia del pavimento.
Quando esce dalla stanza, dà una piccola ripassata anche al corridoio; in fondo, i due ragazzi non usciranno prima delle sette. Quella mattina si sente di buon umore, in realtà. Si perde a guardare particolari inutili e dettagli trascurabili, ma cosa importa? È più importante quel sorrisetto che non riesce a bloccare, quella piccola curvatura verso l’alto delle sue labbra – a destra, lo sa.
Attende pazientemente che tutto asciughi, poi, smettendo di guardare la porta della tre, torna sotto, non senza prima aver chiuso la due. Con calma ripone le chiavi, girandosi verso il solito orologio.
Mi sa che s’è fermato!” esclama, richiamando l’attenzione di Simon. “Che ore sono?
Le sette e dieci.
Così tardi? Dobbiamo far uscire quei due...
Vai tu. Io non vedo l’ora di tornare a casa.
Louis si concede uno sbuffo, poi prende le chiavi e sale le scale. All’inizio bussa, chiamando i due, ma non ottiene alcuna risposta. Un po’ indeciso infila la chiave nella serratura, che cede con un piccolo rumore, aprendo la porta. Resta per un attimo fermo ad ascoltare; non avverte nessun suono, neppure il fruscio d’un abito. Deve raccogliere tutte le sue forze per assimilare la scena che ha davanti quando si decide a spalancare la porta.
I due sono stesi sul letto, ancora quasi intatto, e quando si avvicina a sufficienza deve sbattere più volte le palpebre per realizzare cosa sia successo. Nel frattempo Simon, annoiato dal fatto che lui ci mettesse tanto, lo ha raggiunto.
Cazzo...” sussurra da dietro. “Vieni via, Louis... Dobbiamo chiamare la polizia.
Ma... Non sono...
Credo di sì. Dai, vieni via!
Louis si lascia trascinare docilmente dall’altro, accorgendosi solo dopo di avere le lacrime che scorrono giù per le guance. Dentro di lui è come se si fosse aperta una parentesi, che non sa spiegarsi. Neppure il suono dell’ambulanza lo riscuote. Sente da lontano Simon che gli spiega che non è colpa sua, che anche se si fossero accorti prima dell’orario, probabilmente non sarebbe cambiato niente. In fondo, quei due erano là dentro da due ore. E chissà da quanto erano già morti.
A quella parola Louis alza il viso, osservando il furgone che porta via i due ragazzi, avvolti nei lenzuoli bianchi.
Se ne sono andati.” sta dicendo ancora Simon. “Io vado a casa. Dovresti farlo anche tu.
Lo lascia lì, con la responsabilità di chiudere tutto, e, quando infine riesce a distogliere lo sguardo dalla strada per la quale sono spariti quei due, sente se stesso rispondere a Simon, sebbene sia già troppo lontano per sentirlo.
Ma là dove stanno... staranno benone.
Dentro, il Sous-sol è ancora grigio.





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Il tintinnio dei bicchieri accompagna ancora una volta la quotidianità di Louis, che lascia andare un sospiro, asciugandosi poi la fronte con una manica, mentre Simon fa baccano scendendo le scale con poca grazia. Una coppia di giovani si mette subito a discutere con lui, chiedendo una stanza per un’ora.
Louis, la tre è libera?
Gli pare che il tempo si fermi; non c’è niente, soltanto il grigio nella sua mente. E la risposta è un fulmine che lo travolge.
No.” dice senza esitazione, pur mentendo. “La tre no...











Io lavoro al bar di un albergo a ore
porto su il caffè a chi fa l’amore
vanno su e giù coppie tutte uguali
non le vedo più manco con gli occhiali.
Ma sono rimasto lì come un cretino
vedendo quei due arrivare un mattino
puliti, educati, sembravano finti,
sembravano proprio due santi dipinti.
M’han chiesto una stanza, gli ho fatto vedere
la meno schifosa: la numero tre...
E ho messo nel letto i lenzuoli più nuovi
poi come San Pietro gli ho dato le chiavi
gli ho dato le chiavi di quel paradiso
e ho chiuso la porta sul loro sorriso.
Io lavoro al bar di un albergo a ore
porto su il caffè a chi fa l’amore
vanno su e giù coppie tutte uguali
non le vedo più manco con gli occhiali.
Ma sono rimasto lì come un cretino
aprendo la porta quel grigio mattino
se n’erano andati in silenzio perfetto
lasciando soltanto i due corpi nel letto.
Lo so che non c’entro però non è giusto
morire a vent’anni e poi proprio qui.
Me li hanno incartati nei bianchi lenzuoli
e l’ultimo viaggio l’han fatto da soli
né fiori né gente, soltanto un furgone
ma là dove stanno, staranno benone...
Io lavoro al bar di un albergo a ore
porto su il caffè a chi fa l’amore
io sarò un cretino ma chissà perché
non mi va di dare... la chiave del tre.


   
 
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