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Autore: Stephanie86    03/07/2016    8 recensioni
Tutti vogliono salvare Emma.
Tutti vogliono trovare un modo per liberarla dall'oscurità prima che la divori.
Ben presto, però, Regina - e gli altri - si rende conto che per raggiungerla e aiutarla avrà bisogno di aiuto. E non di un aiuto qualsiasi.
Lily è sempre stata legata ad Emma, fin dal principio. Ha sempre dovuto lottare contro il potenziale oscuro che gli Azzurri e l'Apprendista hanno trasferito in lei. Cosa accadrà quando la sua oscurità incontrerà quella della nuova Emma? Dove la condurrà il filo rosso che la unisce al nuovo Signore Oscuro?
Regina diventerà davvero la Salvatrice?
[Spoiler! per chi non segue la messa in onda americana | Pairing: principalmente Swan Queen e Swan Star]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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Epilogo

 

“Qui tutti noi siamo diretti; questa è l’ultima dimora, e qui
Sugli esseri umani il vostro dominio non avrà mai fine.
Anche Euridice sarà vostra, quando sino in fondo avrà compiuto
Il tempo che le spetta: in pegno ve la chiedo, non in dono.
Se poi per lei tale grazia mi nega il fato, questo è certo:
Io non me ne andrò: della morte d’entrambi godrete!”

[Ovidio, Metamorfosi, X]

 

 

 

 
Mi dispiace. Non posso permettere che accada. In fondo, anche voi lo sapete. Non c’è altra soluzione.

Sono stata egoista, a Camelot. Lily mi aveva supplicata di non farlo, ma io ho pensato solo a salvarle la vita. Salvandola, l’ho condannata. Ha lottato contro l’oscurità per anni ed io le ho imposto un’oscurità ancora più terribile. Non voglio che paghi, per questo.

Promettetemi che andrete avanti e che vi occuperete di Henry. Spiegategli perché ho preso questa decisione. Fate in modo che capisca.

Ho chiesto a Regina di mantenere la promessa che mi fece a Camelot e le ho detto di non parlarne con nessuno. Le ho chiesto di giurarmelo. Quindi, se potrà mantenere quella promessa, ricordate che è stata prima di tutto una mia scelta.

 

Emma

 

 
Lily si accinse metodicamente ad ubriacarsi.

Nel frigorifero c’erano diverse bottiglie di Heineken e lei ne prese alcune, stappandone una dopo l’altra e disponendo i tappi in fila sul tavolo.

Aveva cacciato via sua madre. Non voleva che lei l’aiutasse. Non voleva che l’abbracciasse. Non voleva parlare di quello che era successo o di come si sentisse. Non voleva gente intorno. Era sicura di essere stata troppo dura e di averla ferita, ma non c’era nulla che Malefica potesse fare.

Mentre fuori albeggiava e le nuvole sparse si tingevano di rosa, lei se ne stava là, nel suo appartamento, desiderando solo non essere più vista da nessuno, con il suo strazio, la sua rabbia, il suo senso di colpa e il suo desiderio d’essere morta e lontana per sempre da tanta crudeltà.

Credeva che qualcuno sarebbe venuto comunque. Pensava che almeno Uncino volesse ucciderla. Ci aveva provato, la sera prima, ma Tremotino l’aveva fermato. Sapeva che era tornato sulla sua nave, ma forse stava meditando di farla fuori. O forse si era attaccato ad una delle sue fiaschette di rum. O intendeva prendere il largo. Non le importava molto.

Finì la sesta o settima bottiglia (aveva perso il conto) in grandi sorsi, eppure quando si alzò per prenderne un’altra non barcollava nemmeno. La sua testa era sgombra. Non le faceva male lo stomaco.

Ma continuava ad avvertire il vuoto. E il silenzio.

Il vuoto al centro del petto.

Aveva trascorso la vita intera a lottare contro il potenziale oscuro che era stato trasferito in lei quando non era nemmeno uscita dall’uovo. Da quando aveva scoperto la verità grazie all’Apprendista, aveva immaginato il momento in cui avrebbe ottenuto la propria vendetta. Aveva immaginato il momento in cui l’avrebbe fatta pagare agli Azzurri. Si era sempre chiesta se fosse possibile liberarsi di quella maledizione. Se fosse esistito un modo per annullarla o invertirla. Merlino le aveva detto che quel modo esisteva, ma era rischioso. Si era chiesta come sarebbe stato vivere senza quell’oscurità. Pensava che... che si sarebbe sentita libera. Che avrebbe finalmente avuto il controllo delle sue azioni. Delle sue decisioni. Che avrebbe potuto fare delle scelte giuste, senza che quelle le si rivoltassero contro.

Invece c’era solo il vuoto. Al centro del petto si era aperta una voragine, profonda e oscura.

“No. Non è questo che meriti”.

“Nemmeno tu! La tua famiglia ha bisogno di te!”

“Ti ho portata io a questo! Sono stata io ed io distruggerò l’oscurità”.

La voce di sua madre si frappose ai ricordi. La voce di Malefica durante una delle poche lezioni di magia che aveva ricevuto.

“Esistono delle regole, nella magia. Ne esistono tre. Non puoi usare la magia per costringere qualcuno ad amarti. Non puoi cambiare il passato. Non puoi riportare in vita i morti”.

“Non puoi riportare in vita i morti”.

Vuotò il resto della birra nel lavello e poi prese la giacca. Frugò in una delle tasca. Fino a che non riuscì a trovare il giglio che Emma le aveva regalato a Camelot. Era appassito di nuovo. Ma Lily se lo portò comunque al naso, ricercandone il profumo. Ne avvertì una traccia, debole. Si stava disperdendo.  

“Esistono delle regole, nella magia. Ne esistono tre. Non puoi usare la magia per costringere qualcuno ad amarti. Non puoi cambiare il passato. Non puoi riportare in vita i morti”.

Poi si intromisero altre voci.

Quelle voci, però, erano voci sussurranti. Un grumo di sibili incomprensibili.

Per un bel pezzo credette che quei suoni fossero unicamente nella sua testa, un’allucinazione dovuta all’alcol. La stanza ondeggiava intorno a lei.

Ma continuavano, implacabili. Era come avere nella mente un groviglio di serpenti infuriati.

Il pugnale.

Non era possibile. Il pugnale non esisteva più. La spada si era dissolta dopo... beh, dopo.

Niente pugnale. Niente più Oscuri.

Però quel richiamo l’avrebbe riconosciuto ovunque.

Lily mise in tasca il giglio e si infilò la giacca.

 

 
C’era chi pensava che vi fosse un limite all’orrore e alla rabbia che una mente umana poteva sostenere. In realtà, non era vero. Quando l’incubo diventava sufficientemente cupo, l’orrore generava altro orrore, il male generava altro male, finché la tenebra non ricopriva ogni cosa.

A Regina, infatti, sembrava di precipitare in un vuoto sempre più buio. E quel buio era pieno di rimpianti, di pensieri rabbiosi, di sensi di colpa. Non voleva che il suo cervello continuasse a ripercorrere gli stessi eventi, eppure non poteva farne a meno. Seduta sul bordo del letto, a casa degli Azzurri, seguitava a ricordare il momento in cui aveva deciso di non fidarsi di Emma e di rinchiuderla in una prigione. Il momento in cui Emma le era sfuggita e aveva tenuto in mano il suo cuore nero. Il momento in cui Emma le aveva chiesto di mantenere la promessa che le aveva fatto a Camelot. Il momento in cui l’aveva baciata. E il momento in cui lei non l’aveva mantenuta, quella promessa. Aveva esitato.

Ce l’aveva con tutti. Con Tremotino, perché lui sapeva che non ce l’avrebbe fatta. Con Lily, perché, al contrario di lei, aveva trafitto Emma con quella maledetta spada, assumendosi una responsabilità che l’avrebbe segnata per sempre. E con se stessa. Ce l’aveva soprattutto con se stessa.

Non sei la Regina Cattiva, le disse una voce fredda e priva di inflessioni, che le ricordava quella di sua madre. Non sei la Regina Cattiva e non sei una Salvatrice. Tu non sei niente. Sei debole.

Henry era in cucina, seduto davanti al bancone, con il suo libro aperto dinanzi. Regina gli aveva lasciato il vassoio con la colazione accanto, ma era sicura che lui non l’avesse toccata. Suo figlio non parlava. Non guardava nessuno. Teneva gli occhi fissi sulle pagine del libro che aveva letto un sacco di volte. Cercando, forse, una soluzione nelle storie che conosceva. Regina gli aveva accarezzato i capelli. Si era appoggiata alla sua spalla, ma nel farlo si era domandata se stesse confortando il figlio o se stesse solo cercando qualcosa a cui aggrapparsi.

David sembrava almeno temporaneamente incapace di qualsiasi decisione. Si aggirava per casa senza uno scopo. Aveva gli occhi arrossati e la pelle del viso tirata. Sedeva al tavolo masticando pane tostato e mangiando i cereali preferiti di Emma. Non gli piacevano, ma li voleva ugualmente.

Regina aveva curato le ferite di Biancaneve. Tutte quante. Non appena aveva finito, si era alzata per andarsene, ma Biancaneve l’aveva trattenuta per il polso, lo stesso che, fino a poche ore prima, recava il marchio di Caronte.

- Cosa? – aveva domandato Regina.

Biancaneve le aveva messo un braccio intorno alle spalle per abbracciarla. L’aveva fatto come se per lei, abbracciarla, fosse una cosa del tutto normale. Come se l’avesse sempre fatto.

Regina si era irrigidita. Poi aveva risposto all’abbraccio goffamente. L’aveva tenuta stretta, mentre singhiozzava.

Stava ripensando a quello, quando udì i passi sulle scale e Malefica comparve, appoggiando una spalla alla parete.

- Dov’è Lily? – chiese Regina.

- Oh, lei... non vuole vedere nessuno. – Si spostò verso il letto, sedendosi accanto a lei. Aveva un’aria abbattuta e cupa. – Non ha bisogno di me.

- Sì che ne ha. È solo troppo orgogliosa.

Malefica la scrutò con quei suoi grandi occhi celesti. - E tu come ti senti?

- Non lo so. – rispose Regina, scuotendo il capo.

“A Camelot non ti sei fidata di me. Questa volta devi farlo. Devi, Regina”.

“Non puoi”.

“Non abbiamo altra scelta”.

Regina rabbrividì. Avvertiva il gelo nel sangue e nelle ossa.

Malefica si tolse la giacca che teneva sulle spalle e la sistemò sulle sue.

 

 
Lily entrò in negozio e trovò Tremotino comodamente seduto dietro al bancone.

- Ultimamente vieni spesso nel mio negozio, Lilith. – disse, accarezzando l’orlo del bicchiere con la punta dell’indice.

Le voci erano molto più forti. Più pressanti.

- Il pugnale. Dov’è? – disse, aggrottando la fronte e cercando di non lasciarsi confondere dai sussurri.

- Sei... un po’ turbata. Lo capisco. – rispose Tremotino, sfruttando un tono accondiscendente che aumentò la sua furia.

- Non provare a dirmi che cosa provo. Dov’è il pugnale? Lo so che è qui. So che ce l’hai tu. – ripeté.

Tremotino rifletté qualche istante. Infine, cedette. Allungò una mano sotto al bancone e prese un involto. Lo srotolò.

- Sì, ce l’ho. – ammise, posando il pugnale sulla superficie di vetro.

Tremotino.

Era il pugnale. Non come lo ricordava, però. Il nome del Signore Oscuro era impresso in argento sulla lama ondulata. In argento su sfondo nero.

Incredula, Lily alzò lo sguardo sull’uomo che le stava di fronte e che ora le appariva come un maligno pupazzo sbucato da un pacco a sorpresa.

- Sei l’Oscuro.

- Già. Avrei voluto tenerlo segreto. Ma sai, Lilith... non mi aspettavo che lo sentissi. Dovevo anche pensare al fatto che molti ex Signori Oscuri... sono morti. Quasi tutti, a parte me e te.

Le voci erano sparite. Le voci avevano ceduto il posto ad una collera cieca.

- Com’è possibile? Come hai fatto?

- Dopo che Emma e Regina sono venute da me per chiedermi qualche pozione... ho riflettuto. Beh, in realtà ho cominciato a farlo prima. Non avevo molto tempo a disposizione, ma ho usato quel tempo come meglio potevo.

- Ingannando tutti.

Poteva spiegare a Lilith Page che cosa l’aveva spinto a tornare sui suoi passi? Poteva spiegarle che cosa aveva provato quando aveva capito di non avere scampo? O cos’aveva provato quando Cornelius li aveva attaccati? Non era stato in grado di difendere se stesso o Belle. Se Belle fosse stata il bersaglio di quell’Oscuro, lui non avrebbe potuto fare niente per aiutarla. Non aveva più la magia. Non aveva una spada con cui difenderla. Non aveva niente. Era solo un uomo. Un uomo con un cuore nuovo di zecca, un cuore reso puro da Emma Swan. In più, non aveva potere contro Caronte e il suo marchio. La solo idea di finire di nuovo negli Inferi lo paralizzava. Lo paralizzava l’idea di finire dritto nel Tartaro, perché era convinto che fosse quello il suo destino. Una pena eterna.

Poteva spiegarglielo?

 

Tremotino disegnò la spirale sul pavimento.

Era uno dei simboli più antichi del mondo magico. Un simbolo di potere. Emanazione. Estensione. Sviluppo. Creazione. Energia. Il viaggio dopo la morte. L’ordine dal caos o il caos dall’ordine.

Per l’incantesimo che stava per lanciare, la spirale era fondamentale. Era un conduttore. L’oscurità contenuta nella spada sarebbe defluita in un luogo sicuro nel momento in cui Emma Swan l’avrebbe usata su di sé. O su Lilith, se alla fine si fosse vista costretta ad ucciderla.

Sarebbe defluita in lui.

Girò la pagina e trovò le parole dell’incantesimo. Era antico quasi quanto il simbolo che aveva appena disegnato. Gli ingredienti erano allineati sul tavolino. Tre semplici pozioni che aveva nel suo negozio.

Tremotino le prese tutte e tre e si piazzò al centro della spirale.

 

No, non poteva.

- Un rito. – disse, semplicemente. – Un rito che ho ritrovato tra le Cronache degli Oscuri, mentre cercavamo di capire quale fosse il tuo... terribile piano. Nel momento in cui tu hai usato la spada su Emma... si è attivato. E l’oscurità non è stata distrutta, ma solo trasferita.

- Dentro di te. – Sputava le parole come se stesse sputando veleno.

- Le cose sono come devono essere. – concluse Tremotino, ammirando la sua arma.

- Hai tradito tutti quanti. Di nuovo.

- È ciò che faccio di solito. Io agisco così. – Senza esitazioni. Sempre con quel sorrisetto perfido. – Adesso ho il potere di tutti gli Oscuri, in me. Incluso il tuo.

- Bene.

Tremotino batté le palpebre. – Bene?

- Questo è l’uomo che sei. O forse dovrei dire... questa è la bestia che sei. Quella che inganna la donna che ama continuamente, quella che ama il potere... e uccide il proprio figlio ogni volta che dimostra di non essere in grado di cambiare. – Lily sapeva di essere crudele. E aveva una gran voglia di esserlo. Non le importava come avrebbe reagito Tremotino. Era capace di ucciderla con un semplice gesto della mano. Avrebbe potuto spezzarle il collo o strapparle il cuore dal petto e ridurlo in cenere. Aveva conosciuto Neal, ora lo sapeva. Quando aveva trovato la foto nella scatola dei ricordi di Emma, aveva riconosciuto il ragazzo che l’aveva accompagnata alla fermata dell’autobus quella sera, un ragazzo gentile, che l’aveva aiutata pur non avendo idea di chi lei fosse. Per qualche ragione Bae, come si era presentato, le era rimasto impresso. Non si era mai scordata la sua faccia. Bae. Baelfire. Neal.

L’Oscuro la fissò, sprezzante. Sollevò una mano, in procinto di usare la magia contro di lei. – Non parlare di Belle. E nemmeno di mio figlio. Se stai cercando di provocarmi... non ti conviene.

- Nemmeno a te conviene provocare me. – precisò Lily. I suoi occhi erano dorati. Si sentiva la testa in fiamme e il drago si era appena destato. – Emma si è sacrificata. Io l’ho uccisa. Credevo che stessimo distruggendo l’oscurità, ma a quanto pare... è stato tutto inutile. Tu... l’hai reso inutile. Quindi ora parleremo d’altro. Parleremo di ciò che tu farai per me.

- Perché dovrei fare qualcosa per te?

- Perché in caso contrario potrei dire a Belle che razza di uomo sei. Ho ancora la magia. L’avevo anche prima di diventare un Oscuro. Potrei farcela ad arrivare da lei prima che tu mi uccida. Potrei anche farle del male personalmente. So trasformarmi. Perché no? Non ho più il potenziale oscuro di Emma, ma credo... che questo non cambi la mia natura. Sento di poter fare... cose terribili. - Lily si sporse verso di lui. – E anche se non ci arrivassi, ho lasciato un messaggio sulla segreteria di quegli idioti degli Azzurri mentre venivo qui. Sanno dove mi trovo, ormai. Se sparisco, sapranno che tu sei l’ultima persona che mi ha vista. Vuoi vedere il sospetto negli occhi di Belle? Vuoi... rischiare di nuovo di perderla?

Tremotino sfiorò la lama del pugnale, osservando il proprio nome su di essa. Pensò a Belle, che ancora dormiva, ignara di tutto. Pensò a Neal. E ad Emma Swan che moriva davanti a tutta la sua famiglia.

- Che cosa vuoi da me, Lilith?

 

 
- Nell’Oltretomba? Vuoi andare nell’Oltretomba? – Malefica non credeva alle sue orecchie. – Lily, tu sei sconvolta...

Lily si limitò a scuotere la testa. – Non sono sconvolta. Non lo sono più.

- Non puoi, Lily. Non possiamo. – Sua madre parlava lentamente, come ci si rivolge a chi è in preda a un attacco isterico passeggero, ma preoccupante. – Va contro una delle regole più importanti della magia.

- Chi se ne importa delle regole! – urlò Lily, costringendola a ritrarsi. – Stiamo parlando di Emma!

In cucina calò il silenzio. Tutti la fissavano. Gli Azzurri, Robin, Regina, Henry. Persino Uncino, che se ne stava stravaccato sul divano, con i capelli tutti arruffati, la camicia stropicciata e con il suo alito che sapeva di rum. La fiaschetta vuota era accanto a lui.

- Lily, ci saranno delle conseguenze. – spiegò Malefica.  

- Me la vedrò io con le conseguenze! – ribatté Lily. – Noi... abbiamo bisogno di Emma e lo sappiamo. E Gold l’ha ingannata... ci ha ingannati tutti! Emma si è sacrificata, ma non è servito a niente. Era una bugia!

- Ma se la riportiamo indietro... qualcuno dovrà morire. – disse Robin, con cautela.

- Emma, a Camelot, mi ha detto che voi due condividete un cuore. – rispose Lily, rivolgendosi agli Azzurri. – Sei morto, o sbaglio?

- Sì, ma quella era una situazione completamente diversa. – commentò David. Neve gli appoggiò una mano sul braccio. – Non so se può funzionare stavolta.

- E voi sareste quelli che non perdono mai la speranza?

- Lily. – riprovò Malefica. – Qui non si tratta di speranza. È nell’Oltretomba che vuoi andare.

- E allora rimanete qui! Rimanete qui... con le mani in mano, a tormentarvi. Vi ricordo che siamo tutti responsabili di quello che è successo! Io intendo andarci! E nessuno me lo impedirà.

Ancora silenzio. Occhiate ansiose.

Uncino si alzò. – Può funzionare?

Regina, seduta su uno sgabello davanti al bancone, si tormentò le mani in grembo. – Sì. Potrebbe funzionare.

No, Regina, state contemplando una strada che non dovete percorrere. Neal è morto, ricordi? Tremotino è tornato, ma Neal è morto. Daniel è tornato, ma le conseguenze sono state terribili.

Mise a tacere quella voce. Il cuore le batteva troppo forte nel petto. Quel bacio, il ricordo delle labbra di Emma premute contro le sue, era così vivido da farle male. Gli occhi verdi di Emma, gli occhi che l’avevano guardata mentre lei reggeva la spada sollevata sopra la testa, erano impressi a fuoco nella sua mente.

“Noi... abbiamo bisogno di Emma e lo sappiamo. E Gold l’ha ingannata... ci ha ingannati tutti! Emma si è sacrificata, ma non è servito a niente. Era una bugia!”

Una bugia. Era quello che la tormentava. Una bugia. Il sacrificio di Emma ridotto al nulla da quel... mostro di Tremotino. Aveva una gran voglia di strappargli quel suo dannato cuore dal petto...

- Sono disposto a rischiare per Emma. – continuò Uncino.

- Allora andiamoci. – disse Henry. La sua voce suonò incredibilmente adulta. Adulta, ferma, franca, determinata. Chiuse il libro che stava sfogliando da ore senza concludere niente. – Vengo anch’io.

- No. – disse Regina.

- Sì, invece. Emma è mia madre. Non me ne starò qui ad aspettarvi. Ricordatevi che sono l’autore. – replicò Henry.

- Anch’io sono tua madre, Henry.

- Se mi lasciate indietro, troverò un modo per seguirvi.

Lily sorrise.

- Emma non me lo perdonerà mai. – mormorò Regina.

- Ci andiamo tutti. – disse Neve. – Lily ha ragione. Siamo tutti responsabili di quello che è accaduto. Abbiamo tutti delle colpe. E abbiamo bisogno di Emma. Se esiste anche solo una minima possibilità... dobbiamo provarci.

Regina annuì.

- Non posso venire con voi. – intervenne Robin. – Zelena ha portato via mia figlia ed io devo... devo pensare prima di tutto a lei.

Se lo aspettava. Regina immaginava che Robin avrebbe deciso di andare ad Oz per affrontare Zelena e riprendersi la bambina.

- Come pensi di fare? Mia sorella è una strega molto potente.

- Porterò i miei uomini con me. – la rassicurò lui.

- Non basteranno mai.

- Porterò anche quel mago, Knubbin. So che vuole tornare nella Foresta Incantata. Non avrà nulla in contrario.

- Zelena se lo mangerà in un solo boccone, quel mago da quattro soldi!

- Devo andarci. O non rivedrò mai più mia figlia.

Regina decise che era meglio tacere. La verità era che la sua mente era già proiettata verso l’Oltretomba. Per quanto le sembrasse una follia, stava già provando ad elaborare un piano per difendere suo figlio e gli altri dai pericoli che avrebbero certamente incontrato.

- Userò la bacchetta per riaprire il portale. – disse Lily. - Così potrai raggiungere Oz. Sono stata io a rispedirla laggiù. Ed io... rimedierò.

Robin la fissò a lungo, senza dire una parola. Poi accettò.

 

 
Il potere della bacchetta rischiò di schiacciarla, stavolta. A Lily sembrò che fosse in procinto di sfondarle la cassa toracica, mentre esplodeva verso l’esterno e formava non un tornado, ma una porta. La maniglia ruotò da sola sui cardini ed essa si aprì, rivelando il passaggio verso Oz. Knubbin non esitò a gettarsi oltre la soglia; non aveva intenzione di rimanere un minuto di più in quel mondo per lui troppo pieno di cose folli.

Robin aveva affidato Roland alle fate e chiamato a raccolta tutti i suoi uomini. Si sistemò meglio la faretra piena di frecce a tracolla e poi rivolse un sorriso stentato a Regina. Allungò una mano per prendere la sua.

Lily sperava solo che se ne andasse in fretta. Tremotino la stava aspettando. Una parte di lei temeva che se ne fregasse dell’accordo, temeva che avrebbe trovato un modo per venire meno ai patti e per  evitare anche che parlasse con Belle. Era l’Oscuro. Non solo, possedeva il potere di tutti gli Oscuri. Compreso il suo e quello di Emma.

“Non parlare di Belle. E nemmeno di mio figlio. Se stai cercando di provocarmi... non ti conviene”.

Quando giunsero al lago, però, Tremotino era là, ad aspettarli, con il pugnale in mano. Era sera. La nebbia scivolava lungo lo specchio d’acqua. In cielo, la luna sbirciava attraverso una ammasso di nuvole.

- Sei sicura? – chiese Tremotino, appoggiandosi la lama sul palmo della mano.

- Sì. Ti dispiace sbrigarti? – rispose Lily.

Lui annuì e si procurò un taglio. Aprì il pugno, lasciando cadere le gocce di sangue nel lago. Un’onda si espanse, raggiungendo la riva opposta e agitando leggermente l’acqua scura.

Per qualche istante non accadde nulla. L’aria era immobile. Lily avvertiva i respiri pesanti delle persone dietro di lei. Regina era accanto a suo figlio. Gli Azzurri si stringevano l’uno all’altra. Uncino se ne stava in disparte, meditabondo. In attesa.

Poi il lago mandò un lungo sospiro, come se fosse stato una cosa viva, e il passaggio si aprì. Il fumo bianco che Lily ricordava inondò il lago e da esso sbucò la barca di Caronte, con il traghettatore che la sospingeva in avanti usando il lungo bastone. Le fiamme che circondavano gli occhi del demone si fecero più intense e minacciose.

Tremotino avanzò, camminando sul sentiero invisibile che conduceva fino al centro del lago. Lily e gli altri lo seguirono.

Il vento si levò, fischiando brevemente attraverso gli alberi e inducendola a guardarsi intorno, inquieta. Malefica le mise una mano sulla spalla, stringendo appena, e Lily si sentì in qualche modo rincuorata.

Ti riporteremo indietro, Emma, pensò, mentre Tremotino metteva piede sull’imbarcazione di Caronte. Non importa che cosa dovremo fare per riuscirci. Noi ti riporteremo indietro.

 

___________________

 

 

Angolo autrice:

Eccoci giunti all’epilogo.

Ringrazio tantissimo tutti quelli che l’hanno seguita e commentata, ma anche chi l’ha seguita in silenzio, chi l’ha aggiunta alle preferite e alle ricordate.

La storia prevede un seguito, ovviamente.

Solo un appunto: per quanto riguarda la citazione iniziale, presa da Ovidio, non sono sicura che la traduzione sia corretta. Non ho mai studiato né greco né latino, quindi ho cercato un po’ di traduzioni del mito di Orfeo ed Euridice e questa mi è sembrata bella. Ma ripeto: se esistono traduzioni migliori, segnalatemele pure.


   
 
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