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Autore: jioozee    03/07/2016    1 recensioni
Mi sedetti e guardai fuori dal piccolo oblò. Mi accorsi che mio padre era ancora lì, con lo sguardo velato di tristezza e di speranza. Forse sperava che cambiassi idea, ma doveva rassegnarsi. Non potevo permettere che soffrisse ancora per colpa mia. Non potevo tirarmi indietro. Dovevo mantenere la promessa che avevo fatto a me stessa.
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Twilight, dal punto di vista di un nuovo personaggio.
Come influirà sulla storia?
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
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Addio, papà
 


La brezza autunnale, che entrava dai finestrini dell'auto abbassati, mi accarezzava le guance e mi scompigliava i capelli. Lì fuori si poteva scorgere il cielo blu, senza ombra di nuvole, limpido come uno specchio. Il sole splendeva ma sapevo che da lì a un paio di giorni sarebbe sparito del tutto dietro le nuvole invernali. Forse. Probabilmente, quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avrei visto.
Nella penisola di Olympia, nello stato di Washington, nascosta per bene una cappa di nuvole, pioggia e umidità, esisteva una piccola cittadina di nome Forks. Fu in quella città che mia madre abbandonò me e mio padre, ma questa è un'altra storia.
Lì stavo andando in paradiso, una decisione che avevo preso volontariamente e con immenso piacere. Detestavo l'Illinois e il caldo.
Amavo Forks in tutta la sua tranquillità e monotonia. Amavo le nuvole e il freddo che la imprigionavano, facendola sembrare una piccola zona del Minnesota tempestata dalla pioggia.
“Nita” ripeté mio padre ancora una volta, forse la centesima, mentre mi accingevo ad imbarcarmi.
“Sei sicura di volerci andare?” disse fissandomi con i suoi occhi enormi. Proprio in quel momento fui presa dal panico. Come potevo lasciarlo solo, impulsivo com'era?
Ma forse per lui sarebbe stato più facile. Non avrebbe avuto più tra i piedi la persona che gli ricordava il suo amore perduto. Eppure c'era ancora quella piccola parte di me, quella molto testarda che si ostinava a voler rimanere con lui.
“Ci voglio andare” dissi decisa. “Non devi preoccuparti per me”.
Era la pura verità, ma anche se avessi mentito non se ne sarebbe accorto. In questi ultimi anni ero diventata abbastanza brava a nascondere le mie emozioni. Non volevo vederlo soffrire per le mie stupide crisi adolescenziali e quindi mi ero imposta di smettere. Solo il cuscino avrebbe condiviso le mie lacrime amare e piene di dolore.
“Salutami zio Charlie e Bella” Sorrise debolmente.
Forse era meglio andare. Se mi fossi fermata a guardare il suo viso dolce, dalle rughe ben pronunciate, non sarei più riuscita a partire. Il rimorso mi avrebbe tenuta con lui ed io non volevo restare. Non perché non gli volessi bene, al contrario: ero disposta ad andarmene via per il suo bene. Volevo che mio padre si facesse una nuova vita, magari che si trovasse una nuova moglie, su cui poter contare ogni volta. E la mia presenza non lo aiutava molto. Non lo aiutava affatto.
“Certo” sorrisi e appena poggiai il piede sullo scalino mi chiamò. “Se hai bisogna di me chiamami e correrò in tuo aiuto” mi carezzò il braccio. Il nostro piccolo gesto d'affetto.
“Non sarà necessario”.
Mossi qualche passo nella sua direzione e lo abbracciai. Sapevo che la sua promessa richiedeva un enorme sacrificio.
“Ti voglio bene”dissi. Sciolsi l'abbraccio e salii lentamente i gradini per entrare nell'aereo.
Percorsi il minuscolo corridoio in cerca del posto assegnatomi, accanto a quello di una graziosa bimba dal viso rotondo e le guance rosee. I boccoli biondi le si adagiavano sulle spalle e un ciuffo ribelle le copriva uno degli occhi, azzurri come il cielo.
“Ciao piccola, sei sola?”le sorrisi gentilmente, mentre posavo i bagagli negli appositi scompartimenti. La bimba scosse la testa e avvampò.
Mi sedetti e guardai fuori dal piccolo oblò. Mi accorsi che mio padre era ancora lì, con lo sguardo velato di tristezza e di speranza. Forse sperava che cambiassi idea, ma doveva rassegnarsi. Non potevo permettere che soffrisse ancora per colpa mia. Non potevo tirarmi indietro. Dovevo mantenere la promessa che avevo fatto a me stessa.
Mi accorsi che i motori si stavano accendendo dal vibrare delle poltroncine, proprio come quando si è in macchina. Dallo zaino che tenevo alla mia sinistra, estrassi un piccolo i-pad con le mie play list preferite e mi infilai le cuffie blu nelle orecchie.
Per arrivare a Seattle da Los Angeles ci volevano più di quattro ore, forse anche cinque, più una su un piccolo aereo per raggiungere Port Angeles; Forks distava a un'ora di auto da lì. Ad essere sincera, il viaggio in aereo non mi turbava molto ma l'idea di stare seduta ed immobile come una mummia non mi allettava tanto. Per guastarmi la permanenza a Forks, invece, c'era Bella.
Avevo l’impressione di non esserle mai andata a genio, eppure mi conosceva a malapena. La sua abitudine di giudicare le persone prima ancora di averle conosciute mi dava sui nervi. E lei non era il tipo di ragazza che amava la convivenza stretta con altre persone, soprattutto se le riteneva delle presuntuose.
Mentre contemplavo le nuvole, che assomigliavano a dei grossi batuffoli di ovatta, mi chiesi come Bella avrebbe reagito al mio arrivo a Forks
E se avesse preso male la novità? Cosa avrei fatto a quel punto? Avrei ceduto per tornare alla mia vecchia e dolorosa vita oppure le avrei tenuto testa rimanendo lì?
Mille domande mi frullavano per la mente, ma le risposte erano ridotte a zero. Ero in balia di una corrente che non faceva altro che confondermi. Ero una zattera alla deriva.
La voce del capitano mi distrasse dal vortice che si era creato nella mia mente e ci avvisò che da un momento all'altro l’aereo sarebbe atterrato
Il velivolo iniziò a planare verso il basso ed il mio stomaco ebbe un sussulto. Avevo paura di guardarmi allo specchio per controllare il mio aspetto, ma intuivo già di aver assunto un colorito verdastro.
Strinsi forte i braccioli delle poltrone e chiusi gli occhi. Presa da un attacco di panico speravo con tutta me stessa che l’aereo non precipitasse e – avevo visto troppi film catastrofici con aerei che precipitavano o esplodevano – quando riaprii gli occhi, tutto era tornato come prima. I passeggeri si alzarono dai loro posti per prendere i loro bagagli.
Respira, respira, ripetevo a me stessa. Mi concessi un secondo per recuperare il mio colorito naturale. Poi, pensando che il peggio fosse passato, mi alzai in piedi. Brutta mossa.
La testa iniziò a girare vorticosamente e le gambe cedettero facendomi ricadere sulla poltroncina. Avrei dovuto aspettare ancora un po', ma non volevo trattenermi lì dentro un minuto di più. Puzzava di…vomito. Qualcuno, al contrario di me, non era riuscito a trattenersi.
Mi tappai il naso con una mano cercando di distrarmi e solo in quel momento mi accorsi che l’aereo era semi vuoto. Eravamo rimasti soltanto io e un’allegra famigliola, che stava scaricando i bagagli. Due piccoli bambini si ricorrevano l'un l'altro, sotto lo sguardo truce delle hostess.
Quanto avrei voluto fare una bella vacanza insieme ai miei genitori.
Ridere, scherzare, fare foto e dopo andare a mangiare un bel gelato...peccato che non sarebbe mai successo.
Scossi la testa per ricacciare quei pensieri nell'angolo più buio della mia mente. Non appena mi fui ripresa dall'attacco di nausea, afferrai i miei tre bagagli a mano e mi diressi verso l’uscita, al di là della quale mi aspettava un nuovo inizio. Un inizio che forse mi avrebbe cambiato la vita.
Avevo sempre desiderato vivere a Forks, ed ora ero proprio lì, con le gambe tremolanti e lo stomaco sottosopra - non solo per colpa dell'aereo.
Mille emozioni presero il sopravvento: gioia e felicità da una parte, timore e paura dall’altra. La paura di non essere accettata per la persona che ero, il timore di essere di nuovo allontanata da tutto e da tutti, come in passato.
Percepii una leggera fitta al petto. Il ricordo era ancora vivido. Le giornate passate con la sola compagnia di un I-pad, interi pomeriggi trascorsi in casa, fra le quattro mura della mia camera e allontanata dagli altri ingiustamente per qualcosa di stupido. Costretta a rimanere ai margini, aspettando con ansia il momento in cui mi sarei fatta valere una volta per tutte. Un momento che pensavo non sarebbe mai arrivato, ma che ora riuscivo quasi a toccare.
Sbattei le palpebre, per liberarmi da quei pensieri e dai ricordi e mi buttai a capofitto tra le persone, urtandole involontariamente.
Lanciavo sguardi di scuse ovunque, stavo combinando una vera strage: chi cadeva, chi veniva trascinato via, chi invece doveva recuperare il proprio bagaglio che rimaneva impigliato tra le mie cose. Non aveva tanta importanza, io ero nata apposta per creare scompiglio.
Quando davanti ai miei occhi si materializzarono le porte dell'edificio mi fermai, ansimando per la 'leggera' corsa. Volevo ricompormi prima di uscire, ero in uno stato pietoso.
In quel momento mi sentii divisa in due: una parte voleva immediatamente uscire da lì, mentre l'altra aveva paura. Per fortuna il coraggio ebbe la meglio.
Stavo correndo contro un nuovo futuro.
Stavo avendo la meglio, ma sapevo che prima o poi il destino mi avrebbe riservato un tiro mancino. Era sempre stato così, perché adesso doveva essere diverso? Ma io ero pronta a lottare, sempre. E se per caso fossi inciampata lungo il cammino, mi sarei rialzata con le mie forze.
Nita Swan era tornata, più carica che mai, e stavolta niente l'avrebbe fermata.

 







Angolo autrice:
Salve, spero che questo primo capitolo sia abbastanza da
aver stuzzicato la vostra curiosità.
Se vi è piaciuto. lasciate un parere cosicché possa postare i capitoli seguenti.
Si. ne ho già scritti un paio lol.
Un abbraccio.
Jioozee.
 
   
 
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