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Autore: moronae    04/07/2016    1 recensioni
Quando perdiamo una persona, affrontiamo 5 fasi del dolore, che la perdita sia causata da un lutto o da una semplice rottura.
Nel caso di Ava, però, il dolore non arriva subito dopo la rottura, ma a distanza di tempo. Dopo un lungo periodo di negazione e rifiuto, quindi, sotto consiglio e prediche delle amiche, Ava accetta di frequentare una terapista.
Durante le sedute però incontra Luke, un ragazzo che l'aiuterà a superare le altre 4 fasi, restando insieme a lei quando la rabbia e la depressione soprattutto si fanno sentire.
QUESTA STORIA PER ME È UN GROSSO PUNTO INTERROGATIVO QUINDI DITEMI COSA NE PENSATE :)
Genere: Dark, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum Hood, Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Prologo.

 

 

“Vede, io non sono mai stata una di quelle ragazze che dicono di amare dopo i primi tre appuntamenti.

Sono sempre stata una ragazza sincera, e tutte le cose che ho detto ho cercato di dirle sempre con il cuore in mano. Quindi mai un ti amo, mai un mi manchi, mai una cosa del genere detta da me. Semplicemente perché non riuscivo ad affezionarmi, perché non volevo affezionarmi a qualcuno che in seguito mi avrebbe fatto star male, forse perché non volevo dover provare nostalgia per qualcuno. Soprattutto per qualcuno che non trovavo interessante abbastanza per meritare la mia tristezza causata da ricordi felici.

Sono sempre stata dell'idea che quando si parla di amore, il gioco non vale la candela, consapevole del fatto che seppur avessi vissuto felicità per mesi, o addirittura anni, il senso di vuoto e nostalgia sarebbe durato più a lungo una volta finita. Ho sentito di relazioni durate anni, e di persone che non sono più riuscite ad andare avanti, per questo, quando vedevo che le cose si mettevano male, o meglio, quando la storia andava a gonfie vele, tagliavo la corda, assicurandomi che entrambe le parti ne erano rimaste illese.

Se c'è una cosa che non mi piace quasi come rimanere spezzata, è spezzare le persone. Quindi quando scomparivo, dovevo essere certa che lui sarebbe andato avanti, quindi me ne andavo nel peggior modo possibile: non glielo dicevo direttamente, né per messaggio. Non lo dicevo e basta. So quanto il significato di questa frase possa sembrare crudele, ma la verità è che lo è e basta. Con i ragazzi ero così: li cambiavo spesso, nonostante io non volessi impegnarmi seriamente. Allora perché continuavo?

Semplicemente, perché volevo trovare quello che mi faceva rimanere spezzata. Quello che, prima o poi, avrebbe rotto me.
Avevo mandato via dalla mia vita decine di ragazzi, senza poi voler riprendere i contatti. Li avevo tagliati fuori, dimenticati, uno dopo l'altro. Li prendevo per mano e non sentivo niente. Li baciavo e non sentivo niente, allora aspettavo di vederli scoperti, senza più veli, e prima di lui, non sentivo niente.
Il mio karma, ferito dalle schegge delle speranze spezzate dalle mia parole acide, era ritornato tutt'ad una volta, con Calum.
Quando vidi Calum ne rimasi colpita. Non era un ragazzo solare, tutto al contrario, lo consideravo un ragazzo cupo e triste, scuro, come il suo sguardo. I suoi occhi, infatti, erano neri ed intensi, mai rilassati e sempre sull'attenti. I suoi muscoli erano sempre tesi, le sue braccia erano gonfie, la mascella tesa e le labbra serrate. Quando lo vidi per la prima volta non pensai a quanto fosse bello e attraente, ma pensai a quanto sarebbe stato interessante conoscere la sua storia...”
la donna davanti a me fece un cenno come per interrompermi, ma io la precedetti “tutt'ora non so come sia la sua storia. Me l'avrà raccontata mille volte ma so riconoscere
quando una persona omette qualcosa. Quando gli chiedevo i dettagli la sua fronte si aggrottava, la sua mascella tornava tesa e i suoi occhi vagavano per tutta la stanza ma non sfioravano i miei. E mi toglieva il respiro”
“Cosa le toglieva il respiro, signorina Peters?” mi chiese la dottoressa Rollins sistemandosi meglio sulla sedia in pelle nera.
“La perdita di contatto. Quando eravamo nello stesso posto il contatto ce l'avevamo sempre, o fisico o visivo. Mi faceva sentire al sicuro, con le sue mani calde”
“Quindi, citando lei, la regola del 'non sentivo niente toccando le loro mani' con lui non vale” osservò la dottoressa.
“Con lui nessuna regola valeva,” guardai verso la luce che proveniva dalla finestra della stanza silenziosa e sciatta. “Nessuna regola convenzionale valeva con lui” continuai con gli occhi fissi in quel punto.

Seguirono degli attimi di silenzio, che furono rotti da lei.
“Per oggi abbiamo finito, signorina Peters. Ci vediamo la settimana prossima alla stessa ora. È stato un piacere conoscerla” mi disse porgendomi la mano. La strinsi titubante e mi alzai dalla poltrona dove ormai ero seduta da un'ora.

Camminai verso la porta, e uscii dalla stanza. Seduto in sala d'aspetto c'era un ragazzo biondo, evidentemente a disagio, con le mani sudate e il corpo tremante.
La dottoressa Rollins urlò un nome, “Luke Hemmings”, che fece saltare il ragazzo sulla sedia. Si alzò ed entrò in sala. Mi sedetti. Non so come, neanche perché, mi venne l'idea di aspettarlo.
Idea che subito mi risultò stupida, magari qualcuno sarebbe venuto a prenderlo, fragile com'è magari non è neanche in grado di attraversare la strada senza svenire dal panico.
Mi rimproverai per il pensiero cattivo e continuai a pensare a qualcosa, mentre mi ero rassegnata al fatto che il mio corpo voleva sapere qualcosa in più su questo ragazzo, Luke.
Allora pensai a quello che penso sempre. Pensai a tutta l'assurdità della mia vita, al modo in cui il male che ho fatto mi si è ritorto contro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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