Anime & Manga > Dragon Ball
Ricorda la storia  |      
Autore: lilac    04/07/2016    6 recensioni
Citando Pilaf nell'episodio 49 di Dragon Ball Super: "Un wrustel farebbe la differenza tra la vita e la morte?"
(...) Nessuno, nel suo mondo, gli aveva mai insegnato che le piccole cose colpiscono con una violenza inarrestabile, quando uno spirito è provato dal dolore (...)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ciao a tutti/e ^_^ Torno sul luogo del delitto dopo molto tempo, con una piccola storia.

Grazie, maestro Toriyama, per aver ripreso a sceneggiare Dragon ball! E a tutti quanti indistintamente un grazie per aver aperto questa pagina. Buona lettura!

 

 

 

 

 

 

 

IL CIBO DEGLI DEI

 

 

 

Le ore erano avanzate lente e pesanti, quel pomeriggio. E come ogni sera, al termine di una sessione particolarmente dura di allenamento, era rimasto in silenzio cercando la calma assoluta; una sorta di immobilità sospesa simile a quella che, in natura, spesso segue il frastuono e il caos degli elementi in conflitto. Era rimasto in silenzio, immobile e inamovibile, sotto un poderoso scroscio d'acqua bollente. Ma laddove un tempo i suoi occhi esprimevano quella sorta di oscura malvagità in agguato che agghiacciava il sangue dei nemici, ora quello stesso sguardo sembrava indietreggiare davanti alla profonda solitudine nella quale andava immergendosi. Sembrava avesse infine preso coscienza che anche il pensiero non poteva essere controllato, e il suo faceva costantemente ritorno a quelle riflessioni ormai da tempo, mentre la memoria irrequieta gli ripresentava senza volerlo immagini e circostanze oscure relative alla sua vita passata.
Era poco più che un bambino, quando Lord Freezer aveva preteso il suo servizio fra le legioni del suo grandioso esercito imperiale. E dopo aver distrutto il suo pianeta e sterminato la sua razza, anche se all'epoca questo lui non lo sapeva ancora, lo aveva destinato a qualche remoto angolo del suo vanaglorioso impero a farsi le ossa e a sputare sangue, letteralmente, finché non aveva dovuto ammettere anche lui che era più forte di quello che avrebbe mai immaginato, e lo aveva richiamato alla base per assegnargli incarichi migliori... o semplicemente per tenerlo d'occhio.
Era stato un soldato per gran parte della sua vita, girovagando per quella galassia e oltre, concentrato su se stesso, mentre si trovava ad eseguire più o meno alla lettera gli ordini dei suoi superiori; ed era cresciuto seminando terrore e disperazione secondo i costumi del suo aguzzino, ma soprattutto secondo la migliore tradizione del suo popolo.
Il giorno in cui aveva fatto ritorno alla base, la nave madre da cui lo stesso Lord Freezer si allontanava di rado, quel posto gli era sembrato piccolo. Molto più piccolo di quanto ricordasse. Tornare alla Capsule Corporation, invece, gli aveva fatto esattamente l'effetto contrario.

L'acqua bollente che aveva continuato a farsi scivolare addosso per una buona mezzora, era riuscita appena a decontrarre i suoi muscoli irrigiditi dopo il lungo allenamento ad una gravità di molto superiore a quella terrestre. Quando si decise a uscire dalla doccia, poteva a malapena distinguere la sua figura nello specchio, che era coperto di minuscole gocce di condensa. Il vapore si era addensato a tal punto che per un istante gli tornò in mente il pianeta Assa, dove era stato necessario bonificare l'aria e prosciugare le numerose sorgenti sulfuree, prima di poter annientare con comodo i suoi abitanti.
Gli tornarono in mente i suoi sottoposti, che si piegavano ad ogni suo volere, come di fronte a un potere assoluto che non avrebbero mai avuto il diritto di mettere in dubbio. E ricordò quasi senza volerlo l'espressione di Radish, quel giorno, quando il suo volto aveva rivelato ben più della sua solita crudeltà; quella specie di esultanza latente che si era sforzato di nascondere, per non apparire un moccioso di fronte a lui. Non valeva nemmeno l'ombra di Kakaroth.
Passò velocemente l'asciugamano sulla propria immagine riflessa, descrivendo un semicerchio asciutto che sembrava dividerla in due. Scrutò per un momento le nuove cicatrici sul suo torace, poi il suo sguardo percorse velocemente la sua figura intera e si ritrovò a osservare se stesso. In silenzio, solo, sembrava starsene lì in piedi come fosse il sovrano della scena, lanciando austero la sua sfida a quanti osassero invadere il suo regno. Qualcosa di straordinario sembrava svolgersi nella sua mente, ma non lasciò trasparire alcuna emozione, a parte il lieve fremito di un sopracciglio e il balenare di un guizzo nei suoi occhi scurissimi.

Fuori dalla stanza da bagno cercò in fretta qualcosa da mettersi addosso. Era la stessa camera da letto quella in cui muoveva sovrappensiero lo sguardo, intanto che raccoglieva qualcosa alla cieca dal fondo di un cassetto e si vestiva con gesti meccanici. Aveva avuto la stessa stanza da che era arrivato alla Capsule la prima volta e ora questo, dio solo sapeva perché, sembrava avesse finito per assumere una certa rilevanza, nella gerarchia delle sue elucubrazioni.
Non c'era mai stato un posto in cui era tornato tante volte come quello in cui si trovava ora, a parte probabilmente la dimora di suo padre sul pianeta Vegeta, e la nave madre di Lord Freezer. Da allora sembrava fosse sopravvissuto solo il suo orgoglio... E un qualche atavico turbamento che, a giudicare dalla sua espressione inflessibile, sembrava unicamente incoraggiare la sua determinazione.
Quando la verità sul suo mondo gli era stata rivelata, aveva dovuto inghiottire a forza quella notizia come fosse un veleno, e fingere che del suo popolo non gli importasse niente. Forse, a quell'epoca, gli importava davvero poco dopotutto, ma quel veleno era rimasto in vita, a scorrergli ancora nelle vene; ed era perfettamente consapevole che sarebbe sopravvissuto in eterno. Che cos'altro sarebbe mai potuto sopravvivere di lui da lì in avanti, quello restava in parte, ancora, un maledetto mistero.
Da quando era tornato alla Capsule non riusciva più a intuire che cosa gli importasse sul serio; che cosa fosse davvero necessario. E forse era proprio questo che lo turbava davvero. La questione delle sue priorità, d'altra parte, era sempre stata una cosa da cui aveva dovuto difendersi strenuamente, piuttosto che qualcosa da cui trarre consiglio e ispirazione. Che ne è di un guerriero saiyan che non ha nemici contro cui combattere?

Uscì dalla stanza con i capelli ancora umidi. Alla luce fioca del tramonto, il passo agile e gli indumenti scuri che aveva indossato lo rendevano un tutt'uno con la sua ombra, che scivolava sulle pareti dei corridoi della Capsule. La durezza dei suoi lineamenti, quell'espressione segnata dall'acume e oscurata da un perpetuo scontento, pareva attenuata dal riflesso ambrato e caldo del sole al tramonto; ma il suo sguardo cupo si nascondeva nella penombra, nel fondo di un luogo più lontano e più freddo. La luce obliqua del sole a sera, osservando il giardino della Capsule dalle finestre del corridoio del primo piano, muoveva i suoi lunghi raggi attraverso i rami più alti degli alberi e delimitava zone di luce e ombra sul suo cammino.
Si voltò appena, oltrepassando la stanza di suo figlio. Si fermò un momento, prima di emergere dall'oscurità, e osservò la porta socchiusa, il buio oltre lo stipite.
La sensazione del vuoto e del gelo dello spazio, addormentarsi in una navicella monoposto nel mezzo della galassia e lasciarsi trasportare dall'idea di un'impresa di là da venire, dallo scopo di un futuro che riusciva ancora ad immaginare; di tutto ciò era rimasto soltanto il vuoto, e un senso di incertezza che proprio non capiva.
Ascoltò per qualche istante il respiro pesante e regolare del bambino. Era appena percepibile a quella distanza, ma lui poteva dirsi uno degli esseri più potenti della galassia - se non dell'intero universo - e i suoi erano i sensi di un grande guerriero. Un guerriero... Non un soldato, come era stato costretto a vivere per gran parte della sua vita.
Era stato un principe, fra quei guerrieri. E ora sarebbe potuto essere perfino un Dio, sul quel pianeta.

Volse altrove lo sguardo, in parte risentito, in parte arrendendosi, e mentre incedeva lentamente lungo il corridoio, ascoltò il riposo di suo figlio finché i suoi sensi glielo permisero, e sentì un pensiero penoso farsi strada tra gli altri con fatica.
Ormai era chiaro che il figlio di Kakaroth non aveva lo stesso spirito di suo padre. A lui non importava. Aveva smesso di allenarsi e di combattere, perché per lui non era importante. C'era stato un momento in cui quell'idea aveva avuto un potere anche su di lui; era sprofondato in quel tipo di apatia con cui un'improvvisa e irrimediabile sciagura era capace di annientare anche lo spirito più forte. Conosceva bene quella sensazione, perché milioni di volte aveva usato quell'arma a suo vantaggio; la crudeltà, e la morte di ogni più infima speranza. Ma gli avvenimenti di quel piccolo mondo avevano finito per scivolargli addosso come fossero l'ombra di un momento. Il mondo da cui proveniva lui, invece, gli aveva insegnato che si può insultare solo una passione che non si sente. E quella passione non si sarebbe mai potuta estinguere in lui, questo era diventato altrettanto chiaro. Poteva intossicare la sua capacità di ragionare, ma era la stessa che lo teneva in piedi in quel maledetto momento. Poteva ferirlo, poteva ucciderlo, ma era la stessa passione che impiegava tutte le energie della sua anima in quella che troppi individui chiamavano indegnamente vita. Lui e quella passione erano una cosa sola. Mille domande non avrebbero mai scalfito quella certezza.

Ma in quel mondo avrebbe mai più rivisto Kakaroth? Avrebbe mai più potuto combattere con qualcuno che fosse almeno alla sua all'altezza? Gohan non era all'altezza di suo padre, era un dato di fatto. E suo figlio invece? Cosa sarebbe stato? Che cosa c'era in quel futuro?
Quel bambino, che era appena più piccolo di quanto non fosse lui, la prima volta che era stato gettato in una fossa con due Saibamen... E sua madre... Erano qualcosa di inspiegabilmente presente nella sua vita; così tanto che gli dava la nausea. Sentiva il suo stomaco contrarsi ogni volta che cercava di capire, come se un non so che in lui pizzicasse una corda inesplorata che emetteva una nota stridente; e si trovava sempre più spesso a dover annientare con la forza ogni pensiero, ad annichilirlo nella fatica e nel dolore fisico e a soffocarlo con la violenza di quella passione. Era costretto inevitabilmente a congelare ogni dubbio nel gelo cosmico di quel passato, perché il futuro non riusciva più a vederlo... 
Poteva essere un Dio, sul quel pianeta... e non si era mai sentito così debole.



 

La debole luce che proveniva dalla stanza in fondo al corridoio, il profumo di una qualche pietanza calda e il ticchettio nevrotico di una tastiera gli suggerirono che Bulma era di nuovo intenta a lavorare col portatile e si era dimenticata di accendere le luci mentre il sole tramontava, presa da quello che stava facendo.
Aveva un modo tutto suo di essere completamente assorta in qualsiasi diavoleria stesse architettando e allo stesso tempo di trovarsi sempre accidentalmente sul suo cammino, come fosse in agguato, pronta a tendergli un'imboscata dovunque andasse... lei e quel dannato baby monitor che continuava a portarsi dietro, nonostante Trunks fosse un saiyan e avesse ormai quasi due anni. Il modo in cui lei lo trattava, come se fosse tutto normale, come se fosse giusto che fosse lì, lo irritava fin nel profondo.
Eppure era proprio lui quello che andava a cercarla. Continuava a cercarla, a trovarla e a reprimere ogni suo tentativo di trattarlo in qualsiasi modo le venisse in testa, a soffocare il suo ostinarsi a parlargli, togliendole letteralmente le parole con quei... baci che le piacevano tanto. Era un modo come un altro per chiuderle la bocca, pensava, o forse non aveva mai capito nemmeno quello. Ma una volta ridotta al silenzio, poteva farne ciò che voleva. La sentiva fremere sotto di sé e muoversi contro di lui e quel vuoto si dilatava all'infinito. E allora lui poteva amplificarsi con esso fino a scomparire. Poi assaporava per un po' quel silenzio, quando finalmente lei non aveva più nulla da dire, e lui nulla a cui pensare.

“Cosa stai mangiando?” La domanda gli sfuggì dalle labbra senza che quasi se ne accorgesse. Appoggiato allo stipite della porta, le braccia conserte in una posa inflessibile, si era ritrovato ad osservarla più tempo del dovuto; ma lei non se ne era accorta e finì per sobbalzare sulla sedia, riuscendo a tenersi a malapena in equilibrio.
Sollevò lo sguardo verso di lui, affacciandosi da dietro lo schermo del portatile, e ripose con un'altra domanda. “Da quanto sei lì?”
Lui la fissò senza proferire parola.
Cup Ramen” continuò lei colmando il silenzio, per poi precisare subito dopo “Ramen istantaneo”, mentre indicava con le bacchette il contenitore posato accanto al computer che assomigliava a una tazza, di un materiale simile alla plastica.
“Sembra buono.”
“Oh ci puoi scommettere che è buono!” sorrise. “Secondo me è la cosa più buona sulla Terra! Vuoi assaggiarlo?”
Vegeta accennò a una risposta affermativa con un leggero movimento del capo e il viso di lei s'illuminò. C'era qualcosa di talmente infantile nel modo in cui gettò le bacchette nella tazza e scattò in piedi entusiasta che, in quel momento, il saiyan si trovò quasi spiazzato. Sul suo viso scivolò subito dopo un'ombra di inquietudine.
Bulma si tuffò letteralmente nel mobile accanto al frigo e ne riemerse con un contenitore simile a quello che aveva abbandonato sul tavolo. Poi gli fece cenno di avvicinarsi “Vieni, ti faccio vedere come si prepara.”
“É facilissimo”, insistette.
Vegeta fece qualche passo e si sistemò comodamente appoggiato accanto ai fornelli, ritrovando una postura simile a quella che aveva abbandonato con una certa riluttanza. La osservò stranamente concentrato, anche se di traverso, mentre posava il recipiente proprio accanto a lui, riempiva un bollitore d'acqua e lo metteva sul fuoco.
“Devi far bollire un po' d'acqua...” La donna lo squadrò con la stessa espressione indefinibile che poteva osservare di fronte a sé nel suo interlocutore, ma il tono di voce, nel suo caso, tradì una sorta di calore affettuoso. “Ne basta poca...”
Un fruscio proveniente dalla piccola ricetrasmittente accanto al computer la indusse un momento dopo a distogliere lo sguardo. Tornò verso il tavolo e prese in mano il monitor, soppesandolo per qualche motivo. Sembrò sul punto di dire qualcosa, dopo aver riflettuto per un po', ma il bollitore cominciò a sbuffare e a fischiare e Bulma trasalì per l'ennesima volta; posò il baby monitor con un gesto piuttosto goffo, come rinunciando a qualcosa, raggiunse il bollitore e spense il fuoco.
“Ok, quando l'acqua bolle...” Si assicurò che lui la stesse ascoltando con una lunga occhiata. “Apri il coperchio del contenitore, la versi dentro e poi richiudi”.
Mentre metteva in pratica ciò che andava illustrando, evitò con cura di afferrare l'involucro che diventava bollente per non scottarsi, e Vegeta pensò senza volerlo che la doccia che si era fatto poco prima probabilmente era più calda di quell'acqua.
“Ora devi aspettare un minuto.” Osservò l'orologio sulla parete sopra il frigorifero e posò nuovamente lo sguardo su di lui. “Più o meno...”
C'era un non so che di insistente in quegli occhi azzurri; e in quei silenzi.

Il sole era ormai quasi definitivamente tramontato. Il chiarore azzurrino dello schermo del computer aperto sul tavolo, unito alla debole luce bianca che illuminava i fornelli, non era sufficiente per lasciarle incontrare nella semioscurità lo sguardo di Vegeta che, estremamente concentrato, osservava pensoso ogni singolo dettaglio del suo viso. Ma Bulma sembrò sentirne tutto il peso lo stesso, perché si ostinò stranamente a rimanere in silenzio. Si era allontanata di qualche passo, accostandosi in maniera speculare a quella di lui sul tavolo di fronte al piano cottura, e quel minuto era sembrato un tempo imprecisato. Quando parlò sembrava si fosse tolta un peso. “Ok dovrebbe essere pronto.” E non guardò l'orologio.
Vegeta ebbe la netta sensazione che non fosse passato davvero un minuto, ma lei abbozzò un mezzo sorriso come fosse una risposta a quel dubbio silenzioso; si avvicinò, tolse il coperchio con la stessa cautela con cui l'aveva chiuso e un profumo intenso e avvolgente cominciò a diffondersi per la cucina. Il saiyan avvertì il suo stomaco che si contraeva in una stretta piacevole e si ritrovò ad inspirare profondamente quell'aroma senza quasi accorgersene. C'era un sentore di carne, spezie... forse quella salsa di soia che conosceva. E della pasta. I suoi sensi gli comunicarono qualcosa di assolutamente inequivocabile.
Senza quasi accorgersene, si ritrovò in mano anche due bacchette, a osservare un'altra volta Bulma, di fronte a lui, che continuava entusiasta a dare istruzioni.
“Mangi le tagliatelle, la carne e le alghe... e poi vedi? Questi sono i kamaboko... e poi il brodo lo puoi semplicement...” Si interruppe all'improvviso, quando Vegeta si infilò le bacchette nella tasca posteriore dei pantaloni con un gesto sbrigativo, richiuse l'involucro in plastica ancora fumante e lo afferrò in modo altrettanto deciso.
“Vegeta...”
Si voltò, le diede le spalle e fece per andarsene. E la ignorò come fosse stata trasparente.
Il tono di lei si fece a quel punto più acuto e autoritario. “Vegeta!” Lui si fermò di colpo, già abbondantemente oltre la porta; si voltò indietro ancora una volta e tornò a scrutarla con un'espressione interrogativa e infastidita.
Il significativo cipiglio del saiyan avrebbe dovuto suggerire alla scienziata di lasciarlo andare e tornare subito al suo lavoro, ma Bulma non sembrò incline a seguire suggerimenti di alcun genere. Fece alcuni passi e si appoggiò allo stipite incrociando le braccia al petto, con la stessa fermezza con cui Vegeta aveva assunto quella posizione solo pochi minuti prima. “Non mi dici nemmeno se ti piace?” chiese col tono più amabile del mondo, “Perché in quel mobile lì ne abbiamo sempre una bella scorta...” Fece un cenno del capo a indicare il mobile in questione, in una qualche approssimativa direzione alle sue spalle, “e se vuoi puoi preparartelo quando ti pare... sempre che ti piaccia...”. Il tono e la sua espressione tradirono una certa, inequivocabile ironia e Vegeta si trovò a manifestare apertamente la propria insofferenza. Abbozzò un qualcosa di più o meno simile a un e chi se ne importa! col movimento di un sopracciglio che risultò particolarmente efficace. Nello stesso istante tuttavia, mentre stava per dar seguito a quella replica brusca anche a parole, una strana sensazione di impotenza lo assalì violenta; e un'ombra di risentimento si insinuò sul suo viso e lo tradì, tanto che lei dovette mutare espressione e incupirsi all'unisono con lui. Ad un tratto ebbe la spiacevole sensazione che tutto quello che provava fosse scritto in modo così leggibile sul suo volto che a lei bastasse una sola occhiata per vederlo. Credette di doversi giustificare e non poté tollerarlo, così quello che gli uscì dalle labbra assomigliò di più a un rimprovero.
“Basta. Devi smetter...”
“No, tu devi smetterla, Vegeta”, lo interruppe lei.
Non riuscì a sostenere quello sguardo risoluto e affettuoso che lo scrutava, che sembrava restituirgli proprio quel qualcosa che non andava in lui e continuava a insistere. Era come se lei, quegli occhi, riuscissero a cogliere quello che in fondo a se stesso, per qualche motivo, richiamava alla superficie la sua anima nascosta. Quella che si costringeva a far rimanere tale, come ne andasse della sua sopravvivenza. Sentì il suo proprio sguardo sfuggirgli in direzione del pavimento.
“Non puoi continuare così...” Bulma stava usando un tono troppo accondiscendente per i suoi gusti e il saiyan sentì la collera accumularsi sul suo volto. Affrontò lo sguardo di lei con malcelata indignazione, ma la donna non mutò affatto espressione. Pronunciò quelle parole col calore di un respiro profondo; e lui lo sentì distintamente riscaldargli la pelle, pur essendo a diversi passi di distanza da lei. “É solo uno stupido ramen instantan...” “Lo so”, ammise brutale. Si voltò per andarsene e poi si voltò di nuovo. “Lo so!” Colmò in appena due falcate nette quei passi di distanza e la baciò.
Le affondò una mano fra i capelli con fermezza, quando sentì che si era impercettibilmente ritratta per la sorpresa, e il suo sguardo le sfiorò impalpabilmente uno zigomo, mentre si allontanava appena, come avesse frenato l'impeto di quello slancio in modo troppo brusco. Poi le sue labbra cercarono ancora quelle di lei e le trovarono piano, indugiando un tempo che gli sembrò infinitamente più lungo.
Un pensiero gli sfuggì rapido, svelto come si era materializzato, e lo perse per sempre nel sapore caldo e speziato di quelle labbra, mentre sentiva in sé qualcosa che si placava, come se la risposta di lei fosse destinata a quell'altra domanda, quella che non era la sua bocca a pronunciare. Un istante dopo perse ogni altro pensiero, appena percepì le mani della donna che si appoggiavano sul suo petto e il suo peso che si lasciava andare su di lui in qualcosa di simile a un abbraccio. Le sue dita si lasciarono andare nello stesso modo, allentando una tensione che si sarebbe detta indomabile, intrecciandosi ai capelli di lei con la tenerezza di qualcuno che non era lui, e le sfiorarono lievemente il lobo di un orecchio. La sentì tremare e avvertì sulla punta della lingua il lievissimo ardore di una qualche spezia piccante che gli infiammava ogni senso. Si allontanò appena... un momento prima di confondersi completamente.
Rimase un secondo di troppo a indugiare sulle sue labbra, reclinando la fronte su quella di lei come se avesse bisogno di conforto, scrutando con una sorta di calma disperazione il tremito delle sue ciglia. E poi si allontanò davvero. Dopo aver esalato un impercettibile sospiro involontario, le liberò la nuca con la delicatezza di una carezza e imboccò rapidamente la sua strada, mentre lei riusciva a malapena a notare che sul suo viso si stava addensando una qualche emozione. Sparì fra le ombre lunghe del corridoio ormai quasi buio con in mano ancora il contenitore bollente, che aveva continuato a reggere senza lasciar cadere nemmeno una goccia; e se ne andò senza voltarsi più, percependo con un brivido lo sguardo tremante di lei sulla sua schiena, e la meraviglia e l'incerta felicità nei suoi lineamenti.
Ma come poteva pensare che in qualche momento, in quel futuro, gli sarebbe stato permesso di chiamare quell'emozione con un nome? La sua immaginazione non riusciva a prospettargli alcuna visione del futuro, e il mondo da cui proveniva gli aveva insegnato che le passioni che non si sentono si possono insultare. Lui tutto questo non lo capiva.

“Ce ne sono di tanti tipi, a parte quello... Col miso, o il brodo di verdure...” sentì che gli gridava dietro dopo qualche secondo, quando era già quasi in fondo al corridoio. “É facile, hai visto?”
E invece lei continuava a parlargli in quel modo... come se fosse tutto giusto, e tutto normale.



 

Sul davanzale della finestra della sua stanza, mentre lasciava ciondolare un piede nel vuoto in una posizione confortevole e apriva il coperchio del contenitore ancora caldissimo, fissò per un momento lo sguardo sulla luna, che sovrastava impudente l'edificio e irradiava una debole luce immacolata. Il crepuscolo era caduto sul suo paesaggio e chiuso in un quieto silenzio continuò a osservare i tratti delle cime degli alberi che andavano cancellandosi nell'oscurità.
Si sentiva appena passare un alito d'aria sulla città che, dalla prospettiva appartata del giardino della Capsule, sembrava stesse per addormentarsi fin troppo presto nella penombra della luce lunare. Socchiuse gli occhi in un'espressione indefinita; assaporò ancora a lungo l'aroma di quella pietanza e il piacevole silenzio dei suoi pensieri, prima di mangiare. Fu come innalzarsi in un altro mondo, e lasciare ogni idea in quello sottostante.
Nessuno, nel suo mondo, gli aveva mai insegnato che le piccole cose colpiscono con una violenza inarrestabile, quando uno spirito è provato dal dolore. Quella cosa... Era davvero la più buona che avesse mai assaggiato...

Poteva essere un Dio, su quel pianeta; probabilmente persino in quella parte dell'universo... e non si era mai sentito così affamato.

 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: lilac