La
prima volta che ci siamo incontrati è stata ad un tuo concerto.
Ricordo
ancora la sensazione di adrenalina al cervello dopo che il tuo sguardo si era
posato sulla scollatura un po’ troppo ampia del mio vestitino giallo.
D’altra
parte l’avevo scelto apposta per te.
Avevi
abbassato gli occhi, inclinando le labbra in quel tuo sorriso annebbiato dalla
vodka e da qualche altra cosa ed io non avevo desiderato altro che essere tua,
tua e di nessun altro.
Avevo
assorbito ogni singola parola, ogni più piccola sfumatura della tua voce
alterata dall’alcohol per ricordarmene in seguito, quando il concerto sarebbe
finito e sarei tornata alla solita banalità che era la mia vita in quel
periodo.
Non
avrei mai immaginato che invece da quella sera, sarebbe cambiato tutto.
Mi
ero arrampicata sulla transenna e ti avevo lanciato il fermaglio rosa fra i
miei capelli e tu l’avevi preso, intascandotelo immediatamente.
Beh,
poteva finire lì.
La
folla che premeva incessante dietro di me, mi spinse lontano dal palco e nel
giro di pochi seocndi quel piccolo momento che avevamo condiviso rimase l’unica
cosa alla quale pensavo mi sarei potuta appellare durante le lunghe notti
solitarie nel mio letto di bambina.
Mi
allontanai, mi bastava averti dato una piccola parte di me, mi bastava poter
essere entrata a contatto con te seppur per una manciata di secondi.
Non
so nemmeno come hai fatto a trovarmi in mezzo a tutta quella confusione, eppure
l’hai fatto. Eppure a fine concerto sei sceso dal palco e invece di tornartene
nel backstage insieme agli altri della band, sei venuto a cercarmi.
Ed
io ero semplicemente incredula.
Avevo
in mano uno stupido drink alla ciliegia e ti ho visto venirmi incontro, non ti
importava niente di tutte le ragazzine che ti piombavano addosso da ogni dove,
guardavi dritto verso di me, non c’era altro per te.
E
quando realizzai quel pensiero, mi sentii così piccola ed indifesa e felice e
credo sia stata la somma di tutto ciò a fare finire il mio stupido drink alla
ciliegia ai miei piedi.
-Vieni
con me-
-Sì-
E mi
hai dato la mano e mi hai portato via con te, dietro al palco, nel backstage,
nel tuo mondo di musicista, in quell’universo fatto di chitarre, amplificatori
e poesia.
Si
può amare qualcuno senza conoscerlo?
Non
lo so, non credo che per le altre persone abbia senso…ma io ti amavo già da
prima, ti amavo quando la tua voce era l’unica che volevo ascoltare, l’unica
che riusciva a farmi sognare meglio di un tranquillante.
E in
quel momento, vedendo la tua mano stretta attorno alla mia mi sentivo finita
dentro uno dei miei sogni improbabili e bellissimi, l’unica differenza è che la
tua voce non era più solo dentro la mia testa, era tutto intorno, dentro e
fuori…era lì viva e piena, come le tue labbra, che improvvisamente si erano
fatte insistenti sulle mie, trascinandomi verso lidi finora sconosciuti ad una
ragazzina come me che del mondo non conosceva niente.
Ed
era tutto strano, l’atmosfera calda e lattiginosa e impregnata di fumo e
musica, di testi e sudore e bellezza. E tu eri lì, e guardavi me e sorridevi,
accarezzandomi i capelli.
-Stai
con me stanotte-
Ed
il mio mondo si rovesciò totalmente come una clessidra, come se fossi capitata
nella tana del bianconiglio e non sapessi più come tornare indietro, e
nonostante tutto, nonostante fossi spaventata, era eccitante scoprire di non
voler affatto tornare indietro, scoprire di non desiderare altro che te.
Tu
che della vita avevi capito tutto e che andavi oltre, e te ne fregavi delle
conseguenze, te ne fregavi di tutto ed io quanto avrei voluto assomigliarti,
almeno un po’.
Poter
assaporare la libertà che ti avvolgeva coma una pellicola di nylon troppo
stretta, a volte la pagavi a caro prezzo ed ancora non ti stufava mai. Tu non
avresti mai smesso di essere libero, di essere semplicemente te stesso.
Quante
donne hai avuto prima di me?
Bah,
troppe.
Ed
io cosa potevo mai essere per te, se non un’altra delle tantissime fanciulle
che avevi sedotto e poi abbandonato, lasciandole sul ciglio della strada
piangenti e distrutte, costrette a chiamare un taxi alle 3 di mattina per
tornare dalla mamma.
Io
non volevo essere quello, io volevo essere la differenza e mi rendo conto che
fosse profondamente egoistico e superbo da parte mia crederlo, eppure magari è
stato proprio quello a farti venire da me e a farti decidere che ti importava
un briciolo di più.
Vedi,
io non avrei mai rinunciato a te così facilmente, se tu mi avessi lasciato a
piedi nel cuore della notte, io ti avrei probabilmente seguito e poi ti avrei
preso a schiaffi e ti avrei urlato che ti odiavo, ma l’avrei fatto come se ti
avessi gridato il contrario e tu l’avresti capito e avresti sorriso e mi
avresti baciato.
-Sai
di ciliegia, mi piace- ecco cosa mi avevi detto quella prima sera, dopo il
miglior bacio della mia vita. Ti eri alzato e te ne eri andato via, ed io ero
rimasta a vagare sopra l’universo, visitando ogni singolo pianeta con la testa,
sfiorandomi le labbra con mani tremanti, lo stomaco in subbuglio e il cuore che
rischiava di sfondarmi la cassa toracica da un momento all’altro.
Quanto
tempo ho passato su quel divanetto, da sola? La gente mi passava davanti e
neanche mi degnava di uno sguardo, probabilmente troppo abituati ad avere le
tue donne in giro. Un’ora, due minuti, un giorno intero? Non so, in quel
momento tutto e niente mi passava davanti agli occhi.
La
tua voce, il tuo modo di essere sul palco, le tue mani gentili su di me, il tuo
profumo…
-Allora
andiamo?- e poi avevo alzato gli occhi, ed eccoti lì sorridente e tentatore,
che mi offrivi una mano.
Chiederti
dove eravamo diretti mi era sembrato così superfluo che potevamo pure andare
all’inferno per quanto mi importasse.
Portami
dritta all’inferno, è lì che voglio bruciare se tu sarai con me.
Inferno,
paradiso. Sono la stessa cosa. Tu sei il mio inferno e il mio paradiso tutto
nello stesso tempo e fa parte di te e lo accetto e lo apprezzo perché è per
questo che ti amo disperatamente, così tanto che preferirei lasciarmi morire di
fame piuttosto che essere privata del tuo sguardo famelico quando siamo soli,
dei tuoi baci sudati che sanno di musica, delle tue parole sussurrate al
microfono a milioni di fans in delirio che aspettano solo un tuo gesto ma poi
ti giri e ti accorgi di me ad aspettarti lì dietro al palco, e so che in
qualche modo ti trattieni, pensi a me e non ti importa delle altre. E questo è
uno dei milioni di motivi per cui ti amo.
Perché
non importa quanto tu mi faccia male, poi trovi sempre il modo per far
scomparire tutto in meno di un battito d’ali di farfalla.
E mi
fai piangere, oh sì che lo fai.
Mi
fai singhiozzare disperata la notte, quando sono sola e so che non lo verrai
mai a sapere, quando mi torna in mente la consapevolezza di essere una bambina
che gioca a fare la grande, quando dalla rabbia prendo a calci l’armadio con la
tua foto sgualcita e potrei andare avanti ad elencarti infiniti motivi per i
quali mi fai piangere ma non sarebbero mai abbastanza perché quelli per cui mi
fai sorridere sono di gran lunga infinitamente superiori.
Ed
anche quella sera avrei dovuto andarmene, lasciandoti da solo nella tua spirale
di seduzione che con me non aveva attaccato, avrei dovuto farti credere di
avermi conquistata e darti il ben servito, perché è così che si trattano i tipi
come te.
Ma
ho intrecciato le mie dita alle tue invece e il calore della tua mano mi è
rimasto dentro e c’è tuttora, perché era la prima volta che qualcuno mi teneva
per mano come ho sempre pensato si dovesse fare.
Tu volevi tenermi per mano.
E
l’hai fatto tantissime altre volte ancora. Quando penso di te le cose peggiori
arrivi e mi prendi per mano come se sapessi esattamente cosa mi sta passando
per il cervello e volessi cancellare tutto con quel gesto semplice ma che per
te nasconde sempre altro, perché è così che sei fatto. Una stretta di mano non
è mai solo una stretta di mano nel tuo universo, è sempre un motivo in più per
cedere all’evidente consapevolezza che sei tutto ed oltre per me e che per
quanto odio provo verso di te, non potrò mai farci niente e ti amerò ancora
dopo la fine dei miei giorni.
E
così ce ne siamo andati. Io e te.
Ripensando
a quei momenti ricordo l’assoluta incredulità nel pensare che tu volessi stare
da solo con me, proprio con me che ti idolatravo da lontano, e nessun altro, te
lo leggevo nello sguardo.
Quella
non poteva essere un’avventura di una notte. E non lo era.
Ho
lasciato tutto per te.
La
mia vita, la mia famiglia, i miei amici, la vecchia me. Ho lasciato tutto ciò
che non mi è mai veramente appartenuto per abbracciare quello che da qualche
parte nella mia testa sapevo da sempre appartenermi.
E
non mi sono mai pentita della scelta che ho fatto, perché tu in qualche modo
sai sempre come farmi guardare il cielo sorridendo, ringraziandolo di aver
scritto nel mio destino il tuo nome.
C’era
un luna park deserto a quell’ora improponibile. Eravamo gli unici miserabili
ancora in giro insieme ai drogati, agli ubriachi e alle anime perdute e
tenendoci ancora stretti abbiamo provato ogni singola giostra di quel luna park
degli orrori, così squallido e desolato, poteva benissimo essere il
palcoscenico perfetto per gli omicidi più efferati, ma quale killer avrebbe mai
avuto il coraggio di farci del male quando l’elettricità che bruciava tra di
noi si avvertiva anche a chilometri di distanza? Avremmo potuto tranquillamente
mandare a fuoco tutto il circondario nel giro di qualche istante se non avessimo
posto rimedio immediato a quell’alchimia dirompente.
Ed è
stato lì, sul girello che confondeva i colori e gli odori, che capovolgeva il
mondo in un caleidoscopico sottosopra sfaccettato che mi hai stretto a te e mi
hai chiesto di non tornare indietro, dovunque quell’indietro fosse.
- Non te ne andare -
Non
te ne andare mi hai detto, lo capisci?
Cosa
pensavi onestamente che ti avrei risposto? Che sarei tornata indietro dal Paese
delle Meraviglie nel quale mi avevi trascinata?
Ero
già totalmente e disperatamente dipendente da te, il solo pensiero di ritornare
indietro mi faceva venire la nausea.
Altro
che quel girare vorticoso.
Così
ti ho semplicemente guardato, e guardarti faceva male credimi, e ho scosso la
testa.
Non me ne vado.
Non sapevo neanche come si faceva ad andarsene.
Ti ricordi cosa è successo dopo?
- Ho fame. – hai blaterato,
prendendomi per la vita e facendomi scendere dalle tue ginocchia.
Molto romantico, devo dire.
Ma avevo fame anche io.
E lo sai cosa mi piace
ricordare?
La tua totale mancanza di
cognizione temporale.
Non poteva esserci nessun posto
aperto a quell’ora, a parte forse i locali più discutibili e abbiamo camminato
per ore nella città deserta, tremando per il freddo io, blaterando cose senza
senso tu, e quando ci siamo arresi era l’alba e ci siamo fermati a guardare il
cielo tingersi di rosa antico dalla panchina di un giardino pubblico ed è stato
allora che mi hai avvolto in un abbraccio caldo, che sapeva di casa ed io non
ho saputo resistere e ti ho guardato in viso e tu ti sei avvicinato e mi hai
baciato ancora e ancora e ancora.
A volte mi chiedo dove sarei
adesso se tu non mi avessi portata con te; forse guarderei illusa il tuo poster
sgualcito sognando di poter avere l’originale prima o poi, chissà…o più
probabilmente avrei smesso di credere alle fiabe e mi sarei svegliata un giorno
nel mio letto capendo che era arrivato il momento di smetterla con le
sciocchezze e vivere nella realtà.
Beh, comunque fosse andata, ti
ringrazio per avermi dato la possibilità di non doverlo scoprire mai, per non
avermi fatta crescere mai e per non aver cambiato quello che sono veramente,
per non aver permesso che nessuno al mondo lo facesse.
Non so come andrà a finire fra
noi ma non mi interessa, il futuro è qualcosa di così intangibile al momento
che non ho voglia di pensarci, e non ha senso del resto. Nessuno ha la risposta
a questo interrogativo. Non ce l’ho io, non ce l’hai tantomeno tu.
Mi basta, ora come sempre,
vederti scendere sudato e stanco dal palco, un accenno di sorriso ad incresparti
le labbra, prendermi per mano e tenermi con te.