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Autore: Raspberries    05/07/2016    1 recensioni
Io ci ho provato.
Post terza stagione, è un'ipotesi di ciò che io immagino potrebbe accadere tra Bellamy e Clarke, molto soft, magari improbabile, ma non importa, mi sono divertita a scriverla.
Spero vi piaccia, è la prima volta che pubblico una cosa di questo genere (è la prima volta che pubblico in generale). Ben accette critiche e suggerimenti!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Clarke cammina nell’infermeria e si guarda intorno, vede solo dolore, malattia e distruzione.
Le radiazioni hanno iniziato a propagarsi con maggior forza, sempre più persone si ammalano, soffrono. Chiedono disperatamente aiuto dalle loro lettighe, allungano le mani verso le braccia di Clarke, qualcuno cerca di afferrarle i polsi mentre si fa strada in quello spazio angusto e sovrappopolato, altri si appendono ai lembi dei suoi abiti, ma lei continua a camminare. Inizia a sentire l’aria che si fa più pesante, respirare è difficoltoso in una stanza così stretta e così piena di persone. Le loro voci imploranti coprono qualsiasi altro rumore, non le danno pace, non può fare nulla per farli sentire meglio, deve solo continuare a camminare.
Ad un certo punto la ragazza avverte il cambiamento nell’atteggiamento dei degenti, i tocchi leggeri diventano strattoni, le voci imploranti si trasformano in accusatorie. “La colpa è solo tua”, “soffriamo tanto”, “ soffriremo sempre più fino a morire di stenti; saremmo potuti vivere nella città della Luce, la nostra mente sarebbe sopravvissuta e non saremmo caduti nell’oblio della vera morte”. “Tu ci hai costretti qui, hai scelto per noi e hai scelto di farci soffrire in nome di cosa?”, “ Eri così sicura che fosse la scelta giusta?”
Il cuore di Clarke è pesante, non riesce a ribattere, le accuse la feriscono nel profondo, le loro mani invece le graffiano la pelle, le lacrime scendono copiose, sente l’aria mancare.
Aria. Un respiro a pieni polmoni e Clarke si sveglia di soprassalto. Era solo un sogno, le preoccupazioni la tengono sveglia quasi tutte le notti e quando finalmente riesce a prendere sonno ritornano sotto forma di incubi. Sono giorni che non riposa come si deve e ciò la rende meno produttiva, meno idee, meno possibili soluzioni per scampare a ciò che sembra inevitabile. Nella cabina in cui dorme, dentro l’arca, c’è un caldo terribile. Decide di uscire, non prende nulla, si infila gli stivali e attraversa silenziosamente le porte che la conducono all’atrio principale, scosta la tenda che blocca l’uscita e sguscia fuori. Non manca molto all’alba, l’aria è fresca e il cielo è abbastanza chiaro da permetterle di vedere dove mette i piedi, si allontana dal relitto dell’arca e con passo leggero, in silenzio raggiunge la falla nella rete del campo, il punto in cui i cavi non sono elettrificati. Passa agilmente attraverso l’ostacolo e si dirige verso la collinetta prima della foresta, sa che c’è una conca erbosa, l’ha vista mentre rientravano da Polis. L’idea di essere sdraiata in quella culla naturale le era da subito piaciuta, voleva andarci e tentare di riordinare i pensieri accarezzata dall’erba umida di rugiada.
Superato il leggero pendio, si accorge che sul prato giace qualcosa, o meglio, qualcuno. Dopo un attimo di perplessità riconosce la sagoma sdraiata sull’erba, quante volte ha fissato la foresta o il cancello dell’accampamento nell’attesa di vederla tornare da qualche pericolosa missione. Bell era sempre tornato, un po’ ammaccato a volte, coperto di terra, sangue o polvere, era comunque rassicurante vederlo camminare sulle proprie gambe, che avanzava verso casa. Era strano trovarlo con la guardia abbassata, rilassato. Soprattutto non si era ancora accorto della sua presenza e questo, per qualche motivo, la fa sospirare e sorridere nello stesso momento, il peso che sentiva sul petto è leggermente diminuito. Decide di raggiungerlo, parlare con una persona fidata le sembra una buona idea e fare piani con lui è sempre risultato produttivo.
I suoi passi sono appositamente poco discreti, vuole che lo avvisino del suo arrivo, per non comparirgli improvvisamente alle spalle, chissà come potrebbe reagire dopo tutto ciò che hanno vissuto.
Come previsto si gira, e senza dire nulla aspetta che lei lo raggiunga.
“Hey” sussurra Bellamy.
“Hey”
“Nemmeno tu riesci a dormire, vero?”
“Già.. Non serenamente almeno”
“Incubi?”
Clarke annuisce senza dire altro. Rimangono per qualche minuto senza parlare, seduti sull’erba, guardando la luna che scompare con l’aumentare della luce.
“Hai qualcosa in mente?”
“No, ci penso continuamente, non penso ad altro. Ma non ho idea di cosa fare, mi sono presa responsabilità troppo grandi Bell, non so se ne sono all’altezza”
“Beh, finora non sei andata così male. E ora hai tua madre e Kane ad aiutarti nelle scelte, non caricarti tutto il mondo sulle spalle Clarke, non è umanamente possibile sopravvivere ad un tale peso. Intendo anche letteralmente..” conclude guardandola con un mezzo sorriso. Clarke risponde con lo stesso mezzo sorriso che però dura solo qualche frazione di secondo, poi il suo sguardo si abbassa distrattamente sul terreno davanti a loro. Bell si accorge che la sua ironia non funziona, i pensieri negativi sono radicati troppo in profondità, non che lui sia sereno, ma finge di esserlo per non appesantire la situazione già di per sé grave. Se Clarke non riesce a fare lo stesso è perché è seriamente preoccupata. Restano ancora in silenzio.
“Senti principessa..” inizia, mentre le mette un braccio intorno alle spalle  “lo sai che io sono sempre qui. Mi sono sempre fidato e sempre mi fiderò delle tue decisioni, ho rischiato la vita più volte come te e lo farò ancora se me lo chiederai, soprattutto ora che non abbiamo quasi più nulla da perdere. Capito?”
Clarke finalmente alza lo sguardo, incrocia quello speranzoso e rassicurante di lui e non riesce a trattenere una lacrima. Una sola, perché non vuole permettersi altro, non ora, non davanti a Bell. Si è trattenuta davanti alle emozioni negative, ma il sollievo che le danno quelle parole è difficile da nascondere, perciò sorride. 
Anche Bellamy lo fa, è un sorriso malinconico, ma le sue parole hanno fatto finalmente il loro dovere e ne è sollevato. Riuscire a provocare un’emozione in una persona tanto testarda e temprata dal dolore è difficile, lo sa bene. Sa che però è necessario; poche persone riescono a farlo con lui, Octavia per ovvi motivi, Kane perché con il tempo è diventato per lui un riferimento, e Clarke perché… è Clarke. Forte, intelligente, coraggiosa oltre ogni aspettativa, bella.. 
Già. Perché Clarke? 
Non è solo un leader per lui, la fiducia che ha sempre riposto in lei va ben oltre quella che si ripone in una guida, è diventata il suo punto fermo senza che lui se ne accorgesse, un processo nascosto dai numerosi eventi che hanno avuto, giustamente, la priorità su ogni altro pensiero. Fino ad ora. Perché se ne rende conto solo adesso? 
Questi pensieri sono arrivati uno dopo l’altro come una valanga in pochi istanti, Clarke deve essersi accorta del cambiamento sul suo viso, ora Bell ha lo sguardo perso nel vuoto, le sopracciglia aggrottate e il sorriso quasi scomparso. Anche sul viso di Clarke compare un’espressione interrogativa.
“Bell?”
Il ragazzo si sveglia dal torpore, alza lo sguardo sugli occhi di lei e sembra che i pensieri di lui vengano travasati come acqua nella mente della ragazza, che li accoglie con sorpresa.
Nella mente di entrambi c’è improvvisa chiarezza, come un’equazione quasi risolta, manca un ultimo calcolo. è possibile? Perché no? 
Il primo passo è di lui, una carezza sul viso che pulisce quell’unica lacrima dalla guancia pallida, che finalmente dopo tanto tempo non è coperta di terra o sangue. Funge da ponte e ora quasi niente li divide.
Clarke capisce, è lì, Casa, a pochi centimetri. E con il cuore che quasi si ferma elimina finalmente quello spazio, i suoi muscoli si sono mossi prima di lei, quasi senza bisogno di comandarli.
Elettricità, fuochi d’artificio e terremoti in un semplice contatto di labbra. Bell disorientato e confuso non può ritrarsi e non vuole, riprendendo coscienza sposta la mano sui capelli morbidi di lei, la vuole più vicina ma entrambi hanno bisogno di una pausa, di riprendere fiato dalle forti emozioni di quella mattinata forse nemmeno iniziata visto che il sole è ancora dietro gli alberi. Dopo attimi che sembrano (e vorrebbero essere) eternità, si separano e si guardano con un accenno di sorriso, ogni parola sembra troppo stupida per essere pronunciata. Il silenzio dell’alba viene spezzato dalla sirena del campo che li fa sobbalzare e li strappa da quei momenti che il giorno prima sembravano troppo normali per essere vissuti. Basta uno sguardo, “andiamo” è la parola che non viene pronunciata ma che è ben chiara nelle menti di entrambi. si alzano e risalgono la collina camminando fianco a fianco senza guardarsi. Ed è improvvisamente chiaro che momenti come quello non torneranno presto, ambasciatori terrestri che avanzano verso il cancello ne sono un evidente segno. I ragazzi rientrano nel campo di soppiatto e fanno per prendere strade diverse, prima di separarsi si salutano con uno sguardo, basta un secondo: contiene tutto ciò che non è stato detto, quasi una promessa che dice “da adesso, io ci sarò per davvero”.
   
 
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