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Autore: IlMostro    05/07/2016    1 recensioni
Chi scrive deve, in primo luogo, avere il coraggio di condividere con gli altri ciò che bilancia il proprio ''esistere''. Senza timori, senza preoccupazioni, senza l'inspiegabile e fatidica domanda:''La capiranno? Ho davvero dato il meglio di me? E' giusto che io condivida una cosa così personale?''.
Son passati gli anni, due per la precisione, e qualcuno mi ha detto che leggere una poesia è come leggere un messaggio anonimo mandato da qualcuno su whatsapp. Ciò che c'è dentro puoi coglierlo o non coglierlo, può ferirti o farti riflettere, ma sta di fatto che leggere una poesia significa entrare nella mente di chi l'ha scritta. Si entra in collisione. Si scontrano pensieri con pensieri, paure con paure, sinonimi e contrari. Potrebbe non piacere, potrebbe non accadere, ma si tratta comunque di una collisione decisa, marcata, perfetta.
Quando scrivi una poesia per una persona non vuoi mai che qualcuno interferisca.
Il lettore può identificarsi in te, può identificarsi nella persona a cui è dedicata e quindi assume il ruolo di protagonista assoluto.
La domanda è: vogliamo davvero che qualcuno diventi protagonista di una ''nostra'' sensazione così intima? Qual è il rischio a cui volontariamente ci offriamo? Così come due anni fa, ritento.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stanze vuote
luce fioca e ricordi indelebili.
Volti stanchi 
mani che nessuno accarezza
occhi che nessuno legge.
Labbra secche
parole troncate dalla vita
che si sgretola nelle mani di chi fa finta di non vederti
di non sentirti, di non capirti.
Corpi che nessuno ama
seni che nessuno accarezza
ventri che nessuno bacia.
Menti contorte
sentimenti occultati, ambigui. 
Risate che nessuno ascolta
lacrime che nessuno asciuga con l’accortezza di un mignolo
che percorre piano ciò che il bagnato bagna 
ciò che la tristezza traccia in trasparente che diventa grigio.
Il tempo che ti logora l’anima
l’anima che ti logora la mente
la mente che consuma l’essere.
Un sorriso dipinto sulla tela della tua esistenza
una mano che non accarezza
ma abusa, smembra
e uccide piano
come fosse quella la vittoria.

Stanze che puzzano
odori che si fondono in te
e percuotono il filo dei pensieri tuoi 
che tremano, galleggiano e stanno lì
inermi.
Percosso il corpo di chi zittisce
il grido straziante che rimbomba nella gabbia toracica 
che si abbassa 
e si solleva 
che si abbassa 
e si solleva
secondo il ritmo decadente di chi vive
ma ancora per poco.

Tieniti la vita fra le mani 
abbraccia quello che sei stato prima di partire
e scrivi il tuo nome sul palmo della mano
nel caso ti scordassi che dietro quella lettera in maiuscolo
ci sono le parole di una vita, le complicanze di tutti i mesi
e i muscoli che adesso sporgono 
ma ti raccolgono quando stai a terra 
e sai cavartela da sola.
   
 
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