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Autore: Kiki Daikiri    19/04/2009    4 recensioni
«Ci siamo solo io e te, ricordi? Ascolta la mia voce, le senti queste note? No, amore non respirare così, ascolta il mio respiro, ok? Lo senti? Così devi fare… ascoltami. Ci siamo solo noi qui, vedi solo me. La strada è vuota, riesci ad immaginarla vuota? Concentrati. Siamo soli. Ci sono le luci di Natale, sull’albero al centro di Marienplatz, osservalo, nella tua mente, ma non troppo a lungo, perché io ti desidero per me, desidero la tua attenzione per me.»
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una one shot a cui tengo particolarmente n_n
Ringrazio Ali per averla letta in anteprima per me e ricordo che sono ben accette critiche o semplici recensioni!
Un bacio,
Kiki

 



One Shot
Marienplatz
Di nuovo qui, a Marienplatz
 
Un cassetto intarsiato, da qualche parte nella mia cassa toracica. È serrato da anni, non gli permetto mai di rivelare il contenuto che protegge, ma profuma ancora di cannella e di baci rubati.
Tu sei lì.
È il più bello, quel cassetto, il più prezioso: lo tengo chiuso a chiave, tu chiuso lì, in attesa in attesa di riportare alla memoria ciò che per amor proprio sono stata costretta a tener celato per tanto tempo, ogni giorno da quando tu non ci sei più.
Tutti i ricordi che il tempo portò via.
È sufficiente un attimo per ritrovare quella chiave smarrita, basta un istante per farti rivivere in me, in quelle agrodolci note delicate che mi resero felice un’unica volta.
Una melodia che il tempo portò via.
Che il destino volle portarmi via.
Camminando lungo queste stesse strade che percorremmo insieme, quel lontano inverno, mano nella mano, rivedo in ogni passante una parte di noi.
Quella stessa melodia. In un attimo, i fantasmi della mia mente ritornano, volteggiando, davanti ai miei occhi.
Sono donne, uomini, bambini, sconosciuti. Sono bardati per proteggersi dal freddo di quell’8 dicembre 2007.
Figure che danzano, trasportate da un semplice respiro, attraverso i miei desideri, attraverso il bisogno di ricordare.
Aveva nevicato da poco, proprio come oggi.
E c’era odore di Gluwine e Norinberger arrostite.
E le luci… molte, splendenti luci.
 

 
Camminiamo uno affianco all’altra e nulla, nulla c’è di meglio che io possa anche solo immaginare.
Una nota speziata nell’aria, nella musica, mi stordisce, rende indispensabile il tuo sostegno.
Poggio la fronte alla tua spalla e sorrido, incantata dalla magia di Monaco.
Le spezie, non credo siano parte dei dolci biscotti allo zenzero che smangiucchi con aria rapita.
Ti nascondi dietro ad un grande paio di occhiali dalla montatura bianca, ma non sono veri, come non lo è nulla di noi: fanno parte anch’essi del travestimento, come questi abiti scuri, come il mio pesante trucco agli occhi, come la mia parrucca rosa, come il tuo cappello di lana arancione.
Mi regali un sorriso speciale, indicando con discrezione tuo fratello, bardato in abiti insolitamente stretti, che insieme a Georg sta comprando un peluche per me, uno di quei morbidi, soffici e colorati peluche che ho sempre amato, che vi ho sempre detto di amare.
Mi commuove il loro interesse nei miei confronti, l’attenzione per i dettagli, l’amore per le piccole cose, il desiderio di provare almeno a farmi sentire a casa. Anche se in mezzo ad estranei, anche in mezzo alla folla.
A volte gli attacchi di panico sono troppo violenti, la paura irrazionale causa l’ansia, l’ansia degenera in asma e io tremo e temo. Temo che prima o poi tu sarai costretto a fare una scelta, ad abbandonarmi per salvarmi la vita.
Quanto ancora sarai disposto a rischiare che il tuo mondo possa uccidermi?
Un infarto, quando il cuore e la mente sono fragili e vulnerabili come i miei, più che una possibilità diventa una certezza.

Ma ora tutto questo è lontano, perché stiamo camminando per le strade, in mezzo alla gente, in incognito. Siamo insieme, mano per la mano. Niente può rovinare questo.
Osservo i tuoi movimenti: sono leggeri, svelti, scattanti, sono giovani quasi quanto noi. Se solo tu non fossi cresciuto così in fretta, Bill, forse potresti goderti molto di più tutto ciò che stai vivendo.
«Aspetta qui.» mi bisbigli, allontanandoti verso una bancarella che vende dolciumi. Porgi al negoziante una manciata di banconote e torni indietro con le braccia cariche di schifezze. Porgendomi una mela caramellata, più rossa delle mie labbra, noto che stai per piangere.
Affranta, poggio due dita sotto al tuo mento, sollevandolo verso di me e guardandoti così negli occhi.
«Cos’hai?» domando, mostrandoti la mela.
Tu ne addenti un pezzo e lo mastichi con lentezza, quasi sovrastato dalla dolcezza di quel sapore.
«Sono felice… di vivere una vita normale…con te.» biascichi, ricacciando indietro le lacrime, mentre Tom e Gustav esultano. Hanno vinto ad un gioco a premi, il premio era un altro gioco.
«Non devi sentirti speciale, per questo. Possiamo averla ogni volta che desideriamo. Possiamo vivere così sempre.» provo a rassicurarti, ma sono bugie perché desidero mentire a me stessa. Sono egoista a desiderarti forte, desiderarti sicuro. Egoista perché tu avresti bisogno di un sostegno, di trovare conforto in me, ma anche io ho bisogno di trovare un aiuto in te.
Disperatamente.
«SI! E ANDIAMO GUSTAV!» esclama tuo fratello.
Ricordi quell’errore, l’ha appena ripetuto. Perché Tom è impulsivo: se pensa una cosa, la urla al mondo. Ma non puoi farlo, se ti chiami Kaulitz. Non puoi farlo, se ci sono dei fotografi a pochi metri da te, fotografi venuti per immortalare i mercatini di Natale tra i più famosi della Baviera.
In un attimo, in una manciata di orribili secondi, tutta la magia è vanificata da una semplice esclamazione di gioia, pronunciata dalla persona sbagliata al momento sbagliato. I suoi dreadlocks, d’altra parte, erano il dettaglio più difficile da mascherare.
«Una foto, solo una foto.»
«Tom, una foto.»
«Bill, quello laggiù è…»
I flash, le persone, le facce.
Mi aggrappo alla tua maglia, ma restiamo immobili in centro a Marienplatz, tutto il resto del mondo comincia a ruotarci rapidamente attorno.
I colori si mescolano, le luci mi abbagliano.
«No no no.» mugoli, al mio orecchio.
Non posso aiutarti, amore, sono troppo occupata a costringermi a non urlare, a non svenire.
Devo continuare a respirare regolarmente, mi devo sforzare di farlo.
Le guardie del corpo, quegli uomini in borghese che ci hanno seguito per tutto questo tempo, si frappongono tra noi e la folla, ma io non riesco a sentirmi al sicuro. Non più.
I suoni si confondono, il rumore del tuo pianto si mescola al resto. Lo so che non è giusto, amore. Lo so davvero.
Devo farlo per te, devo riuscire a controllarmi. La malattia non deve prendere il sopravvento su ciò che mi spinge a lottare ogni giorno contro questo pericolo: tu.
Senza rendermene neanche conto, inizio a piangere, ad affogare letteralmente nel panico.
Piango, piango perché improvvisamente, per quanto ti tenga stretto tra le mie braccia, mi sembri lontano mille miglia. Non sei mio, non sei mai stato mio.
Sento le guancie incendiarsi, per quanto io sappia di stare in realtà impallidendo.
Costretta a barricarmi nei miei pensieri per sfuggire a questa paura irrazionale che mi ha assalito, sbarro gli occhi, fissando il caos al di fuori di me, senza vederlo affatto.
I colori della fossa di fondono, le urla, le urla mi uccidono.
I flash.
«Amore, non gridare…»
Ma io non sto gridando, io non sto gridando, vero?
«Amore…» un paio di mani calde sulle mie guance, che mi costringono ad aprire gli occhi e a fissarli nei tuoi, ambrati, lucidi, fermi. Respiro affannosamente. «Amore… guardami. Ascoltami. Calmati… ci sono io.» la tua voce, tranquilla, sicura, nel caos. Il caos.
Volti grugnenti di fotografi, la gente che si ferma per guardare, fissare. Ci spogliano, con quegli sguardi, ci derubano di ogni cosa.
Mi costringi a guardarti negli occhi ancora una volta, la tua fronte poggiata con delicata forza alla tua.
Il tuo bisbigliare, dolce rintocco di ogni parola, risuona nella mia testa come ultima campana di speranza, mentre il resto del mondo sembra cercare di inghiottirmi, mentre il mio corpo vuole perdere il controllo e gettarmi nell’ansia. Ancora una volta. Non potrei sopportarlo.
«Ci siamo solo io e te, ricordi? Ascolta la mia voce, le senti queste note? No, amore non respirare così, ascolta il mio respiro, ok? Lo senti? Così devi fare… ascoltami. Ci siamo solo noi qui, vedi solo me. La strada è vuota, riesci ad immaginarla vuota? Concentrati. Siamo soli. Ci sono le luci di Natale, sull’albero al centro di Marienplatz, osservalo, nella tua mente, ma non troppo a lungo, perché io ti desidero per me, desidero la tua attenzione per me. Siamo soli, dopotutto, io e te. Vedi la piazza deserta? Fa freddo, molto, ma le mie mani calde proteggono le tue ed io ti sorrido. Odore di dolci, lo senti? Bene, odore di succo di mela caldo. Lo percepisci quel silenzio? È come se fosse reale. Lo senti quel silenzio? È il rumore che fanno i nostri respiri incantati, lo vedi, siamo magici, io e te. Possiamo essere dove vogliamo quando vogliamo, solo grazie alla nostra immaginazione. Possiamo restare soli anche in mezzo alla folla, in silenzio anche nel caos.»
Ti ascolto, muta, mentre i battiti del mio cuore si regolarizzano con lentezza, permettendomi di respirare.
Ho occhi solo per te, per le tue parole, limpidi e continui rintocchi di quella campana della speranza ormai abbandonata.
C’è una profonda tristezza in ogni tuo gesto, nell’odore di biscotti e di sigarette sulla tua lingua.
Conosci anche tu la scelta che sarai costretto a fare, eppure, in quest’attimo, mi sembra di amare il tuo dolore, perché posso condividerlo.
Gli scatti delle macchine fotografiche non sono altro che sbiaditi abbagli di un grattacielo con fondamenta di cristallo, destinato a venir spazzato via in un istante, i rumori sono solo attutiti applausi al nostro amore.
 

 
Non fu l’ultima volta, continuammo a lottare per anni.
Insieme, eravamo l’uno la forza dell’altra, e vice versa. E ora che sono vecchia e più forte e che tu non ci sei più, ora mi rendo conto di quanto tu abbia davvero reso la mia vita degna d’esser vissuta, seppur nella calca del tuo affollato mondo.
Pensandoci, ancora oggi, mi ritrovo a piangere come quella volta a dicembre, per le strade. Ancora quì, a Marienplatz.

 

 

 

   
 
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