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Autore: MegWH    06/07/2016    7 recensioni
Dalla storia: La prima cosa di cui si accorse quando rinvenne fu il freddo. Il freddo umido che le si era appiccicato ai vestiti, alla pelle, che le era entrato nelle ossa. Il dolore arrivò solo con il primo brivido e fu talmente sorprendente da costringerla a spalancare gli occhi. Sangue. Sangue dappertutto.
Che cosa spinge un essere centenario a fare sfoggio delle sue doti di conversazione? Può essere la sola noia, il desiderio di rivelare qualche segreto a qualcuno che non parlerà mai più? O forse è solo la necessità impellente di dimostrarsi anch’egli vulnerabile, proprio come ogni altra creatura. Per scoprire la verità c’è solo una cosa da fare.
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota Prima della Lettura
 
Questa è la prima storia di questo genere che scrivo, sia per quanto riguarda il genere trattato, che per la tipologia di personaggi e il metodo narrativo… Insomma, è tutto un grande esperimento e mi farebbe incredibilmente piacere sapere che ne pensate. Ogni consiglio sarà ben accetto, ma anche ogni lettura muta, di cui vi ringrazio in anticipo.
 
 
Dunque, cominciamo. 
 
 
 
 
 
La prima cosa di cui si accorse quando rinvenne fu il freddo. Il freddo umido che le si era appiccicato ai vestiti, alla pelle, che le era entrato nelle ossa. Il dolore arrivò solo con il primo brivido e fu talmente sorprendente da costringerla a spalancare gli occhi.
Sangue. Sangue dappertutto.
Mise a fuoco l’ambiente che la circondava a fatica, lottando perché la vista non le si annebbiasse e la sua mente non tornasse agli avvenimenti della notte appena trascorsa.
Si trovava in una cantina, o in un sotterraneo.
Correva a perdifiato tra le strade della città deserta. Sembrava che il cuore volesse uscirle dal petto.
La stanza era grande e fiocamente illuminata da un paio di torce, che sospettò essere state accese solo per il suo beneficio. Quegli esseri non avevano bisogno di nulla per vedere nel buio.
Erano stati fregati, truffati. Sorpresi alle spalle mentre stavano tendendo un’imboscata a un nido particolarmente grosso. Se la loro missione fosse stata un successo, gli abitanti della zona sarebbero stati liberi dalla Minaccia per molti anni a venire. Forse per sempre.
Era stata ammanettata e poi appesa a una catena agganciata al soffitto, sufficientemente in alto da generare il dolore lancinante che sentiva alle spalle, ma non abbastanza da impedirle di puntare gli stivali rinforzati sul pavimento e scaricare un po’ del suo peso dalle braccia.
Il sangue sembrava una cosa viva quando era schizzato dalla spalla di Luke, proprio nel punto in cui per venticinque anni c’era stato il suo braccio forte e muscoloso. Aveva guardato la testa di suo padre rotolarle fino al piede come in trance.
Lo stridio degli anelli della catena le dava fastidio, ma non le impediva di avvertire un insistente gocciolare poco distante da lei. Poteva trattarsi di un’infiltrazione acquifera, oppure di qualcos’altro. No, il sangue era un liquido troppo vischioso, faceva un altro rumore.
I suoi compagni cadevano senza emettere alcun suono. Nemmeno i suoi passi sull’acciottolato suscitavano il consueto scalpiccio, forse i suoi ansimi coprivano tutti gli altri rumori della scena.
Perse la presa sul pavimento viscido. La conseguente fitta alle spalle la obbligò a chiudere di nuovo gli occhi, emettendo un patetico mugolio.
Non era fuggita subito.
Era un membro esperto della squadra, sapeva perfettamente dominarsi, ma si rendeva anche conto di quali situazioni il suo gruppo –qualsiasi gruppo! – sarebbe riuscito a gestire e quello era un caso disperato. Tuttavia, lei non era fuggita subito, aveva continuato a difendersi e a ferire, finché non si era guardata attorno e aveva visto il sangue. Sapeva che tutt’attorno a lei era rosso anche se l’oscurità della notte cancellava ogni colore. Sapeva che era dei suoi compagni, dei suoi fratelli. Sapeva che era stato versato dalle creature ghignanti che infierivano ancora sui cadaveri squartati dei suoi amici e sapeva che presto si sarebbero accorti di lei.
E allora era fuggita.
Di nuovo freddo, umidità.
“Se questa volta punterai i piedi un po’ più indietro, dovresti riuscire a non scivolare.”
Scivolare? Era quello che era successo poco fa, oppure un po’ più di tempo addietro. Doveva essere svenuta.
Era stata aggiunta una torcia dall’ultima volta che aveva aperto gli occhi e l’ambiente le sembrava più chiaro. Avrebbe preferito il contrario.
“Sono sorpreso dalla tua resistenza. Pensavo che, dopo quello che ti hanno fatto passare per averla uccisa, non ti saresti più ripresa.”
Una risata acuta, parole incomprensibili. La Minaccia veniva dall’alto, dai tetti delle case di quello stramaledetto vicolo.
Lei era stanca, il fianco le doleva come se l’avessero pugnalata.
Un verso raccapricciante e poi una cosa scura che le piombava addosso. Erano ali, no!, capelli. Un fiotto scuro che la macchiava fino ai gomiti.
“Sei in grado di rispondermi?”
Chi era l’uomo che le parlava, un altro prigioniero? Non riusciva a vedere nessun altro nella stanza, però. Strinse faticosamente gli occhi per individuare la provenienza di quella voce vellutata, carezzevole, ma non scorse nulla. Aprì la bocca per chiedergli di farsi vedere, ma non riuscì a far uscire nemmeno un filo di voce. Le si aprì un taglio sul labbro inferiore, che le riempì la bocca di un sapore ferroso.
“Devi essere disidratata,” osservò la voce “Dalle da bere.”
Un istante dopo, un essere sorprendentemente brutto le si parò davanti; era alto molto più di due metri, con lunghe e rade ciocche di capelli viscidi che gli pendevano dal cranio. Tanto il volto quanto le mani erano coperti di cicatrici orrende.
“Bevi.”
La sua voce era aspra e gracchiante, come se non fosse abituato a usarla, e ripugnante almeno quanto il suo aspetto, ma lei non si scosse nemmeno. Allungò il collo quel tanto che bastava per appoggiare la bocca alla tazza di coccio che il mostro le offriva e ingoiare piccoli sorsi di acqua dolce.
“Va meglio, ora?”
L’acqua era ghiacciata e le era scesa giù per la gola provocandole altri brividi di freddo, ma lei aveva seguito il consiglio della voce e aveva puntato i piedi più indietro, perciò non era caduta. Provò un vivo senso di gratitudine per questo.
“Chi sei?” chiese, ritrovandosi illogicamente a pensare a quanto sgraziata risultasse la sua voce paragonata a quella che l’aveva scossa dal torpore.
Grida. Grida più alte di quelle che qualsiasi umano di sua conoscenza avrebbe mai emesso. Erano le sue.
Scosse il capo, facendo tintinnare le catene.
“Chi sei?” ripeté, cercando di convogliare quanta più determinazione possibile in quelle due parole.
“Mi conoscono con molti nomi, io stesso me ne attribuisco altri ancora. Per quelli come te, credo di essere la Minaccia.”
La Minaccia… La Minaccia erano tutte le creature. Trattenne il respiro.
“Sei lui?”
Nessuna risposta giunse a coprire il gocciolio continuo dell’acqua, ma lei avrebbe potuto giurare di aver percepito – sentito! – che l’altro annuiva piano.
“Mostrati.”
Voleva essere un comando e invece uscì come una specie di invocazione. Una preghiera che nessuno avrebbe ascoltato dall’unico membro rimasto di una squadra di Cacciatori, ma lui obbedì. Avanzò silenziosamente verso di lei, finché la luce tremolante di una delle torce colpì il suo viso e la sua intera figura si stagliò contro le tenebre.
Era orribile.
No, non era vero. Non era né orribile né spaventoso, né terrificante. Non era nulla di quanto dicevano le storie dei membri anziani.
Davanti a lei stava un uomo alto, vestito con cura in abiti di foggia datata, ma impeccabilmente puliti. I suoi lunghi capelli scuri incorniciavano il viso squadrato e si perdevano sulla cappa drappeggiata intorno alle spalle possenti. Il suo colorito appariva sano anche in quella segreta.
L’uomo dischiuse le labbra carnose in un sorriso.
“Allora?”
La vera domanda rimase inespressa. Ti piace quello che vedi?
“Sei davvero tu, il Non Morto?”
“Di sicuro ho più l’aspetto di un vivo, che ne dici?”
Sembrava umano, ma non lo era. Lo si poteva leggere in quei bellissimi occhi scuri, profondi come cento, mille vite mortali, e nei movimenti misurati degli arti, nello stesso suono angelico di quella voce che aveva riportato lei dall’aldilà.
“Sei tu.” Constatò in un sussurro.
“Sei tu. Hai ucciso i miei compagni.”
“Per quanto possa sembrarti strano, raramente sono coinvolto in questo genere di scontri.”
“Le tue creature, allora.”
“Non sono mie più di quanto un padre possa dire lo stesso dei suoi figli.” L’uomo alzò le spalle in un movimento così umano, così naturale, che le pianse il cuore.
Agli esseri come te è negato avere dei figli, lurido… più lo guardava e meno riusciva a trovare parole per insultarlo. Era possibile, si disse, credere che lui non avesse nulla a che fare con il massacro che era avvenuto poche ore prima. Come avrebbe potuto, lui…
Lasciò deliberatamente andare i piedi e accolse il repentino dolore alle spalle come una benedizione, come qualcosa che le avrebbe mantenuto la mente limpida almeno per un po’.
Il vampiro ridacchiò.
“Sei di tempra dura, a quanto vedo. Non mi ero sbagliato.”
“Se tu non sei coinvolto,” riprese a parlare lei, ansimando forte “perché ora mi trovo qui?”
“Uno dei miei luogotenenti è venuto a riferirmi della morte di una collega – una delle mie preferite, se vuoi saperlo – e mi ha detto che il colpevole era ancora in vita.”
Si avvicinò ancora un poco a lei.
“Mi sono affacciato alla finestra e ti ho vista mentre ti lanciavano in aria come una palla di stoffa. Dio, gridavi così tanto!” ridacchiò.
Poi, si accorse della sua espressione e dei suoi occhi sgranati.
“Cosa c’è adesso?”
“Tu pronunci il suo nome.”
“Tecnicamente, non è il suo nome, è l’appellativo che si utilizza per indicarlo. Ho letto da qualche parte che alcuni studiosi sono riusciti a risalire al suo vero nome, ma si tratta di una parola così zeppa di consonanti e povera di vocali, che nessuno è stato in grado di pronunciarla.”
Sorrise
“Se questo fosse vero, allora non ne sarei certamente capace nemmeno io.”
Lei era confusa, troppo confusa persino per essere spaventata. C’erano poche cose che potessero proteggere gli umani dalle creature, ma l’uomo – no, la Minaccia! – che lei aveva di fronte non sembrava curarsene affatto.
“Tu…”
Il vampiro si era distratto, preso senza dubbio in uno della miriade di ricordi che doveva aver raccolto in tutti gli anni del suo vissuto. La sua voce soffocata, però, riuscì a catturare di nuovo la sua attenzione.
“Io mi riferisco a Dio, tocco la croce” sorrise “non ho problemi con l’aglio e potrei bere un intero battistero di acqua benedetta, se mi andasse, ma confesso che preferisco un buon cognac.”
Non avrebbe più dovuto lottare contro se stessa, ora, per rimanere cosciente: la curiosità, la smania di sapere, aveva raggiunto livelli così alti da anestetizzare ogni cosa. Il dolore fisico, i suoi ricordi, persino l’istinto di sopravvivenza. Ora c’era soltanto lui.
“È perché sei il primo? Sei speciale?”
La risata che proruppe dalla bocca di Dracula fu quanto di più umano lei avesse visto e sentito da prima dell’imboscata che aveva subito.
“Sono speciale solo nella misura in cui sono più cattivo e più intelligente degli altri.”
“Gli altri non ti somigliano.”
“Credi?”
La sua espressione aveva un che di divertito, mentre si avvicinava a lei ancora un pochino. Teneva le mani allacciate dietro alla schiena, sembrava dirle Io sono più bello? Più affascinante? Ti piaccio, è vero?
Mi vorresti?
“Ho visto le creature fuggire terrorizzate davanti alla croce, urlare al contatto con l’acqua santa come se fosse stato acido…”
“Te l’ho detto, sono solo più intelligente.”
Non faceva fatica ad accorgersene, Dracula provava evidente piacere nell’osservare la sua incredulità. Si divertiva a suscitare curiosità nella sua mente, che non avrebbe dovuto interessarsi a nessuna creatura. Men che meno a lui.
“Il nome di Dio, l’acqua santa, la croce… sono tutte bugie. Finzioni, architettate da me stesso all’inizio della mia vita per uno scopo molto preciso.”
Non aveva mai ascoltato una voce gentile come la sua, eppure l’uomo – no, la Minaccia! È solo un uomo… - non sembrava avere la minima intenzione di allentare la catena che la teneva sospesa.
L’avrebbe mai lasciata andare?
Aveva importanza?
“Che scopo?” mormorò, incatenata a fissare il suo volto.
“Ogni uomo, ogni essere se preferisci, deve avere un punto debole. È così che va il mondo, o comunque è così che ci si aspetta che vada. Vantarmi del mio essere perfetto mi danneggerebbe più di quanto pensi e regalerebbe a loro del potere su di me.”
“Perché le altre creature sono vulnerabili, allora?”
il vampiro sorrise più apertamente, mettendo in mostra parte dei suoi denti, straordinariamente bianchi nella penombra.
“Mi ci sono interrogato anch’io per molti anni, senza trovare una risposta soddisfacente. Che ci abbai involontariamente visto giusto? Insomma, non so nemmeno se esiste, un Dio! E in ogni caso io non ci ho mai avuto a che fare.”
Passeggiò un poco avanti e indietro.
“Ma poi,” riprese fermandosi esattamente di fronte a lei, così vicino che avrebbe potuto sentire il suo fiato sulla pelle “poi la vostra scienza mi ha illuminato! Ti ho già accennato he ho un abbonamento a un sacco di riviste scientifiche? Trovo che alcuni articoli siano smodatamente divertenti!”
“Effetto placebo, lo chiamano. In pratica, se ti convinci completamente che una cosa ti farà male, allora sarà così. Non è affasciante?”
Era spaventoso.
Era addirittura fisicamente doloroso rendersi conto che tutto ciò che sapevano sull’origine delle creature, sui metodi per combatterle, financo sul lor aspetto, fosse nulla di più che una storia inventata da un uomo. Si chiese se sarebbe mai riuscita a smantellare le convinzioni con cui era nata e cresciuta pezzo per pezzo, come si faceva con i muri.
“Cosa c’è? Non mi parli più?”
“Non ti sarai offesa!”
La scrutò con attenzione, come se fosse un animale raro o un oggetto particolarmente curioso.
“Perdonami, non riesco a capirti.”
“Perché sono qui?” riuscì a domandare alla fine, in un soffio.
“Perché il prossimo numero della mia rivista arriverà solo tra due settimane, temo.”
“Tu ti annoi? E vuoi tenermi legata qui per due settimane?!”
“Non essere sciocca! Non credo che durerai così a lungo, anzi, a dire la verità non penso che sarai ancora in vita allo scoccare della prossima ora.”
Fu come se una voragine le si fosse aperta nello stomaco. Non credeva che avrebbe ancora avuto la forza di avere paura, ma forse aveva sottovalutato le riserve di energie dedicate a quella specifica sensazione. Forse chi aveva davanti sarebbe rimasto affascinato da cotale meraviglia.
“Via, non è il caso di fare tutte queste scena! C’è anche la possibilità che tu ti risvegli dopo che ti avrò ucciso.”
Quella possibilità avrebbe dovuto farla sentire meglio? Diventare l’essere che lei aveva trascorso la vita a cacciare non era ciò che si poteva definire una prospettiva allettante, ma anche l’altra…
Deglutì rumorosamente, ma non osò muoversi, legata com’era allo sguardo di Dracula, che adesso si era fatto allegro, quasi giocoso.
“Faremo così. Ti permetterò di farmi ancora una domanda, una sola! Questo dovrebbe metterti a tuo agio, no? Le donne amano parlare, l’ho letto il mese scorso. E non succede sempre così nei vostri racconti del mistero?”
Che cosa ne sapeva lei?! Era una cacciatrice, non una civile che poteva perdere tempo con quelle storielle. Una domanda, però, faceva pressione alla base della sua gola, lottando per uscire. Perché non permetterglielo? In fondo, nulla sarebbe potuto andare peggio di così.
Fece un respiro profondo, come quando si preparava a cominciare i suoi giri di corsa, e chiese tutto d’un fiato.
“Perché mi hai rivelato tutte quelle cose sul tuo conto?”
Il vampiro rimase immobile per un tempo che le parve lunghissimo. Stava considerando la domanda, oppure stava considerando lei?
E quale delle due opzioni avrebbe preferito?
Alla fine, Dracula alzò le spalle.
“Forse è il mio unico difetto.” Ammise in tono leggero.
“Mi piace giocare col cibo.”
 
Meno di un battito di ciglia dopo, tutto divenne nero.
   
 
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