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Autore: _Sherazade_    09/07/2016    3 recensioni
Alina è una grande sognatrice, ma sfortunatamente, tutti i suoi sogni sono andati in fumo.
Da anni è costretta a sopportare la seconda moglie del padre, e quella nuova famiglia nella quale non è mai riuscita ad integrarsi. Lei ci ha provato, ma è stato del tutto inutile.
La giovane capisce che non può andare avanti in quella maniera, e decide finalmente di separarsi da quel nucleo tanto stretto.
Sarà però durante una piccola vacanza che la nostra protagonista riuscirà davvero a far avverare i suoi sogni.
Sospesa fra regni incantati e una realtà all'apparenza dura, riuscirá la nostra eroina a completare il suo percorso?
Genere: Fantasy, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Iris - custode dei mondi'
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- Capitolo Sesto -


- Metta giù l'arma. - dissi tremante all'uomo che continuava a puntarmi contro la spada. Mi fissò incuriosito, ma non si mosse.
- Mi spiace averla urtata, non ho la minima idea di come sia finita qui. Sembra quasi di stare in un set cinematografico... Non ho interrotto le riprese di un film, vero? - chiesi preoccupata del fatto che potevo aver creato qualche problema a una troupe. Ancora non mi spiegavo quello che era capitato, ma quella delle riprese e del set, mi sembrava una cosa plausibile. Forse avevo toccato qualcosa, avevo battuto la testa, o qualcosa di simile.
L'uomo gridò qualcosa, e agitò di nuovo la lama verso la mia gola.
Cominciai a sudare.
Quella non era certamente una spada giocattolo, e quell'uomo non sembrava intenzionato a rinfoderare l'arma.
Non ero su un set, e quello non era un attore.
Lui mi parlò, fissandomi sospettoso, ma io non capivo nulla di quello che mi diceva. La sua era una lingua a me del tutto nuova.
Provai a parlargli in italiano, ma lui non mi comprendeva. Come io non conoscevo la sua lingua, lui non conosceva la mia. Gli parlai in inglese, e spiccicai qualche parola in francese e tedesco. Ma nessuna di loro sembrava riscuotere successo.
Lui mi squadrò, e solo allora notai il suo strano abbigliamento. Sembrava uscito da un film fantasy o da un film cavalleresco.
Alzando le mani in segno di resa, mi alzai da terra molto lentamente. Se lui avesse creduto che io volessi ribellarmi o aggredirlo, di sicuro avrebbe reagito, e per me sarebbe stata la fine.
L'uomo non doveva essere molto più vecchio di me, a giudicare dall'aspetto, non doveva avere più di trent'anni; era un vero “armadio a due ante”, un omone alto quasi un metro e novanta, molto muscoloso, dai capelli corti e scuri.
Di certo non era cattivo, altrimenti mi avrebbe fatto immediatamente del male, ma la barriera linguistica sembrava essere insormontabile.
Io non sapevo come poter comunicare con lui, e anche lui sembrava interdetto.
Io volevo solo capire che cosa era successo, perché mi ero ritrovata in quella radura...
Quale strada dovevo seguire per tornare a casa mia?
Mi guardai intorno, e mi sembrò di scorgere qualcosa di familiare. Feci per muovermi, quando l'uomo mi afferrò per un braccio, gridandomi qualcosa che interpretai come “No, stai ferma”.
Lui guardò dietro di sé, tenendomi sempre stretta, e gridò qualcosa, un nome.
- Lasciami andare. - lamentai, cercando di liberarmi dalla sua stretta, ma l'uomo, non solo strinse ancora di più la presa, ma mi caricò sulla spalla come se fossi stata nulla di più di un sacco di patate.
Non passarono molti minuti che un ragazzotto di circa vent'anni fece capolino dal bosco.
Un bel biondino sul metro e settanta, meno muscoloso dell'amico, e dall'aspetto atletico. Gli occhi chiari, i lunghi capelli biondi e l'arco in mano mi fecero pensare subito a un elfo della foresta... Peccato che non fosse un simpatico elfo giunto per salvarmi, ma un amico dell'omaccione, pronto a dargli manforte.
Il ragazzo mi guardò e, toccando il mio piumino, scoppiò a ridere. Mi guardava e rideva.
- Sono così ridicola? - gli chiesi spazientita. Non mi piaceva essere derisa così allegramente senza poter capire e ribattere.
Il ragazzo si mise a parlare col suo compagno ma, per quanto mi sforzassi di seguire, non riuscivo a capirli, né a individuare la loro provenienza. Non avevo studiato lingue, ma qualcosina, anche grazie ai documentari, l'avevo imparata.
E quel linguaggio non riuscivo ad associarlo a nessuna lingua dei cinque continenti.
Non era di ceppo europeo, indiano, asiatico, africano, americano o oceanico.
Eppure... anche se non riuscivo a capire che lingua fosse, anche se non capivo cosa essi si stessero dicendo, quella lingua aveva un che di familiare. Come un eco lontano di qualcosa, o di qualcuno, che in quel momento non riuscivo a ricordare.
Il mio istinto mi diceva che dovevo liberarmi, e che dovevo trovare il modo per tornare a casa, anche se non sapevo bene da che parte andare.
Forse era solo un sogno, pensai.
Ma nei miei sogni non avrei mai potuto concepire quel mondo, quegli uomini e quella lingua. Nei miei sogni avrei incontrato il mio principe, se era un bel sogno. Se era un sogno brutto avrei probabilmente sognato Angelica o Alberta.
Il biondo disse qualcosa, guardandosi intorno con aria preoccupata, raccattò la mia borsa che giaceva per terra e prese anche lo specchio. Lo osservò per qualche istante, come se lo avesse già visto, ma fece spallucce e lo infilò nella borsa.
Diede un'altra rapida occhiata in giro e ci mettemmo in marcia. Nonostante lui fosse più giovane dell'uomo che mi stava trasportando, era lui a comandare. Ero certa che quei due appartenessero a un gruppo più esteso, e che facessero capo a qualcun altro. Ed era quello a preoccuparmi maggiormente.
Dall'abbigliamento, e per quello che ricordavo dai libri di storia e dai film, quei due potevano benissimo essere dei banditi.
Il loro non era un abbigliamento di nobili, e nemmeno da popolani. I loro modi erano un'ulteriore prova del fatto che non avevo a che fare con dei semplici abitanti di un paese sperduto nei boschi.
Non potevo sapere dove mi avrebbero condotta, da chi... o che cosa ne avrebbero fatto di me.
Subito i peggiori scenari mi si affollarono nella mente, e la necessità di liberarmi di loro si fece sempre più impellente.
Quanto ancora avrebbero camminato, e da là dove mi stavano portando, avrei avuto occasioni di fuggire?
Pensai a ogni possibile trucco e, in ogni caso, dovevo convincerli a mettermi a terra, o non avrei mai potuto tornare da dove ero venuta. Più ci allontanavamo, e più avrei rischiato di perdermi, non conoscendo i luoghi, sarebbe stato molto difficile per me ritrovare la strada se ci fossimo addentrati ancora di più nel bosco.
Non potevo comunicare a parole con loro, ma potevo farmi capire a gesti.
Cominciai a lamentarmi e a mostrare un viso sofferente.
Dopo qualche minuto di marcia, il biondo gli disse qualcosa, di certo gli chiese di depormi a terra. L'unico modo per farmi tacere probabilmente, e per capire che problemi avessi.
Comincia a muovermi sul posto, ad incrociare le gambe e a tenermi la pancia. Cercai di fargli capire che dovevo... espletare un certo bisogno fisico, e che ne avevo un urgente bisogno.
Il moro sembrò quasi imbarazzato, mentre il biondo rise, e mi indicò un cespuglio.
Chinai il capo e andai dove mi aveva indicato. Vedendo che non mi perdevano d'occhio, gli gridai di voltarsi. Anche se c'era di mezzo un folto cespuglio, la cosa non era molto piacevole.
Non serviva che capissero l'italiano, i miei gesti e il mio tono furono abbastanza per far loro capire, e si voltarono dalla parte opposta.
La mia recita aveva funzionato, e quei due mi avevano finalmente lasciata sola.
Guardai verso la direzione dalla quale eravamo arrivati. Se mi muovevo bene, e se avevo studiato bene la strada, sarei anche potuta tornare al punto di partenza. L'unica condizione per poterlo fare, era quella di non farsi beccare.
Cercando di muovermi in maniera più silenziosa possibile, mi allontanai dalla siepe e ne raggiunsi un'altra. E così quella successiva, ancora e ancora.
Ogni tanto buttavo l'occhio verso i due uomini che ancora se ne stavano fermi immobili là dove li avevo lasciati.
- Wow, non pensavo sarebbe stato così semplice. Mi sembravano furbi e tosti quei due. Ora però devo trov... - ma quando mi voltai per studiare la prossima mossa, mi trovai di fronte a un altro uomo. Mi sorrise e mi afferrò, trascinandomi poi dagli altri due.
Quando ci videro arrivare, notai che non sembravano per nulla sorpresi, e guardandomi ebbi l'impressione che loro avevano sempre saputo che avrei tentato di svignarmela.
Sapevano che avrei tentato di scappare, ma non serviva che loro mi mettessero troppi paletti. Sarebbe stata vana una mia qualsiasi fuga, loro erano già un passo avanti a me.
- Oh basta. Sono stufa di tutta questa storia! - sbottai ad un certo punto. - Riportatemi a casa, fatemi tornare indietro, io non ho fatto nulla di male!
Ma se anche mi avessero riportato nella radura dove avevo fatto il loro incontro, come sarei potuta tornare a casa? Anche se avevo pianificato di tornare alla radura, io non sapevo come poter fare ritorno alla baita.
Sembrava tutto così surreale.
Un attimo prima passeggiavo per il bosco innevato, avevo ritrovato lo specchio di Casia, e poi è successo il finimondo.
Lo specchio si è illuminato inghiottendo tutto nella luce. Dopo il bagliore, tutto sembrava essere tornato alla normalità, ma qualcosa era già cambiato.
La neve era sparita, e la primavera aveva già fatto capolinea. E quelle strane persone che non mi capivano e che io non riuscivo a comprendere, erano un mistero per me. Sembrava quasi che avessi viaggiato nel tempo...
E allora qualcosa di davvero irrazionale mi balenò in testa: se avessi davvero viaggiato nel tempo?
Ero sicura che quello non fosse un sogno, io, il più delle volte, lo capivo. Capivo quando sognavo, se non subito, dopo un po'. Quello non era un sogno. Non poteva essere un sogno.
Non mi spiegavo tante cose di quello che mi stava accadendo, ma un viaggio nel tempo avrebbe risposto a molti dei miei interrogativi. Una magia antica, tramite l'antico specchio di Casia, mi aveva riportata in un'epoca lontana. La magia era la chiave. Da adulta non ci avevo più pensato, cosa da bambini... ma da piccola ci credevo fermamente.
Mi arrabbiavo quando i cosiddetti grandi mi dicevano che non esisteva alcuna magia. Io la difendevo, così come credevo che una volta i draghi solcassero i cieli, che magia bianca e nera si confrontassero continuamente per il dominio del mondo. Andavo anche matta per le novelle medievali. La classica storia della principessa rinchiusa nella torre, protetta da un drago e salvata dal principe, mi affascinava più di tutte le altre fiabe che mi raccontava mia madre.
Io ci credevo fermamente, poi mia madre morì, e con lei il mio mondo, e anche la mia fanciullezza. Morì anche la mia fantasia e la mia fiducia nella magia.
Avevo più volte pregato le fate di riportare indietro mia madre, ma nessuna rispose al mio appello, neanche per dirmi che era impossibile. E così finii per pensare quello che mi dicevano i grandi: la magia non esiste, è solo un trucco, una favola che si racconta ai bambini.
Mi ero ritrovata in un luogo sconosciuto, con gente che non mi comprendeva, e sentivo che l'unica risposta a tutto quanto era la magia.
La magia esisteva, e io avevo viaggiato nel tempo.
Il nuovo arrivato, di aspetto molto simile a quello del giovane ragazzo biondo, coi soli capelli neri, frugò nella mia borsa e ne tirò fuori lo specchio.
Ne rimase così sorpreso che per poco non gli cadde di mano.
Lui me lo indicò e mi fece delle domande in maniera molto concitata, ma non potei rispondergli. Lui sembrava preoccupato e avrei davvero voluto capirlo per potergli rispondere.
Sembrava che quello specchio fosse molto importante, anche per lui. La mia teoria dei viaggi nel tempo forse era più vicina al vero di quanto non immaginassi.
Se mi stavano portando al loro villaggio, forse c'era anche un mago, e forse io sarei riuscita a farmi capire e a tornare nel mio tempo.
“ Andrà così ”, pensai “ Deve andare così, per forza! ”.


Nonostante fossi ancora preoccupata della mia sorte, perché in quel momento mi stavo basando solo su delle teorie, non tentai più di scappare, e mi lasciai guidare verso il loro villaggio.
L'omone mi prese di nuovo sulle spalle, e dopo una lunga camminata, vedemmo le prime case. Enormi tende e casette in legno, uomini, donne e bambini.
Sembrava un villaggio come tanti, ne avevo visti di simili nei libri di storia e in alcuni dipinti antichi, non sembrava affatto l'insediamento di un gruppo di banditi. Forse mi ero sbagliata sul loro conto. Il nostro primo incontro forse non era stato dei più piacevoli, ma non erano delle persone cattive.
Non appena arrivammo, i bambini mi notarono e cominciarono ad indicarmi e a parlottare fra loro. Dopo notai che anche gli altri abitanti del villaggio mollarono quello che stavano facendo per fissarmi.
Sapevo di avere un abbigliamento che per loro poteva risultare insolito, ma sentirmi così osservata mi mise a disagio.
Avvicinandoci sempre di più verso la grande tenda al centro del villaggio, l'uomo mi depose a terra.
Una donna gli si avvicinò, baciandolo con dolcezza. Doveva essere la fidanzata o la moglie, mi sembrò una donna davvero carina e gentile. Il modo in cui la guardava e il modo in cui lui le parlava, e i modi in cui la trattava, lo rendevano molto meno spaventoso ai miei occhi.
Lui era grande e grosso, mentre lei era una donna non più alta di me e piuttosto magra e slanciata.
Mi rivolse qualche parola con tono amichevole, ma prima che potessi dire qualcosa per farle capire che non comprendevo la lingua, il terzo uomo che avevo incontrato le disse qualcosa. Lei allora mi prese una mano e la strinse fra le sue. Come se avesse voluto farmi capire che ero al sicuro e che nessuno mi avrebbe fatto del male.
Mi indicò il grande tendone al centro del villaggio e sorrise, precedendoci assieme ad altri abitanti.
Mi fecero entrare, facendomi fermare al centro del grande salone circolare. Tutti gli altri, adulti ed infanti, se ne stavano contro le pareti, attendendo che avvenisse qualcosa. O forse, aspettavano l'arrivo di qualcuno.
Era chiaro che quel qualcosa che stavano aspettando, era per me, e forse c'entrava anche lo specchio che mi aveva mandato a cercare Casia. Il ragazzo dai capelli scuri lo aveva più volte osservato anche durante la lunga camminata per raggiungere il villaggio.
Se solo Casia avesse saputo...
Il salone non era riccamente addobbato, ma i tendaggi e gli arazzi esposti erano molto suggestivi. Rudimentali, popolani, ma belli. Non erano ricchi o elaborati come quelli della classe nobile, ne avevo visti diversi nelle gite ai musei. Quelli erano semplici, ma non potevo fare a meno di trovarli stupendi.
Il tappeto che stava sotto i miei piedi, una lunga passatoia rossiccia dai bordi neri, portava verso un grande tavolo e a un trono in legno nero. Sul tavolo c'era anche la mia borsa e lo specchio, qualcuno fece per avvicinarsi, ma l'uomo che mi aveva trasportata fino al villaggio li fece allontanare.
Attesi per quella che mi era parsa un'eternità, ma nessuno arrivò per occupare il posto sul trono.
La gente sembrava incuriosita, ma nessuno si fece avanti, salvo qualche bambino che mi toccò il giaccone e i vestiti. Dovevano essere qualcosa di davvero eccezionale per loro, date le reazioni.
Fuori il sole stava per tramontare, e gli uomini buttarono della legna nel camino, riscaldando immediatamente la grande sala. Faceva così caldo che dovetti togliermi il giaccone, o sarei svenuta.
Non appena me lo levai, la ragazza dell'omone mi venne accanto prendendomelo e lasciandolo sul tavolo. Feci per protestare, ma lei cercò di farmi capire che non dovevo preoccuparmi. Anche se non la conoscevo, sentivo che mi potevo fidare.
La gente in sala sembrava agitarsi, finalmente stava per arrivare la persona che avrebbe occupato il trono, me lo sentivo.
Non poteva che essere il capo villaggio, o un potente sciamano, e io speravo più nel secondo caso. Se mi fossi trovata davanti a un “Merlino”, di certo egli avrebbe potuto trovare il modo di capirmi e di riportarmi nella mia epoca.
Sentii un ordine dato alle mie spalle, i due ragazzi che avevo incontrato nella foresta, “l'elfo” e il suo gemello dai capelli scuri, mi immobilizzarono.
- Ehi, che vi prende? - chiesi spaventatissima, cercando di divincolarmi dalla loro presa con scarsi risultati. - Lasciatemi andare immediatamente!
Pestai con violenza il piede del primo e mi liberai dalla sua stretta; per divincolarmi anche dall'altro cercai di sferrargli un pugno, ma venni bloccata alle spalle.
L'uomo che mi aveva fermata mi disse qualcosa, e la voce era la stessa dell'uomo che aveva dato l'ordine di bloccarmi.
Il suo profumo aveva un che di familiare, la sua voce mi ricordava qualcosa, qualcuno.
Provai a voltarmi per vederlo, ma aveva una cappa che gli copriva il volto, riuscii solo ad intravvedere una lieve barba rossiccia.
Il moro prese allora una coppa di vino e cercò di farmela bere.
Stavano cercando di drogarmi? Ero terrorizzata.
Che volevano farmi? Eppure mi era sembrata gente tranquilla a dispetto dell'aspetto.
Serrai le labbra e voltai il capo non appena il ragazzo mi portò alla bocca il bicchiere.
Dopo svariati tentativi infruttuosi, l'uomo che mi teneva ferma riuscì ad intrappolare il mio viso, costringendomi infine a bere.
L'uomo mi lasciò andare, e mi accasciai a terra. La testa mi girava, il cuore batteva all'impazzata, la vista mi si stava annebbiando e temevo anche che di lì a poco avrei vomitato l'anima. Il mio corpo cominciò a muoversi a causa degli spasmi involontari, quasi come se avessi avuto un attacco epilettico.
Nessuno osò avvicinarsi a me, stavo malissimo e a nessuno importava. Se stavo per morire, speravo che l'agonia finisse in fretta.
Ma io non stavo per morire.
Quando finalmente tutto finì, mi rialzai tremante, e guardai l'uomo incappucciato che sedeva sul trono.
- Cosa mi avete fatto? - chiesi, anche se loro non mi capivano. - Cosa ho fatto per meritare un simile trattamento? Che cosa...
- Quante domande, signorina. - disse lui divertito.
Dopo un attimo di giramento di testa, dovuto ancora a quello che mi era successo, mi accorsi di una cosa: io lo capivo. Sentii la gente borbottare, e anche loro parlavano in italiano finalmente.
- Come... perché ora parlate in italiano? - gridai arrabbiata. Loro mi capivano e avevano aspettato fino a quel momento per rispondermi finalmente? Avevano aspettato fino a quel momento per farsi capire.
- Parlare in...? - mi fissò perplesso.
- Italiano. La lingua che state tutti parlando. Era tanto difficile parlarla anche prima? - La gente cominciò a ridere, e anche l'uomo che avevo di fronte. Non riuscivo a capire il motivo di tanta ilarità. Avevo fatto una semplicissima domanda, e per nulla comica.
- Noi non abbiamo cominciato a parlare in italiano. Sei tu che stai parlando, e capendo, la nostra lingua. - lo fissai interdetta.
In quel momento, da dietro il trono, fece capolino un grosso gatto dal pelo bianco con una grande chiazza nera sul muso. Si fermò accanto al trono e si eresse su due zampe.
- È tutto merito della mia pozione, mia cara. - disse il felino. Io cominciai a balbettare. Un gatto parlante?!
- M-ma tu parli. - il gatto sembrò quasi risentirsi.
- Sei lingue, tra le altre cose... Perché tanto stupore? Nel tuo mondo non parlano i gatti?
- No, da noi miagolano... - nel mio mondo? - Un momento... che intendi con “Il mio mondo”?
- Questa è la terra di Anthea, e tu sei una viaggiatrice dimensionale. Ti abbiamo fatto bere una speciale pozione che permette a chiunque di connettersi con il mondo in cui si trova, e di impararne la lingua.
Tutto quello che mi stava dicendo era troppo strano, ma almeno una delle mie intuizioni si era rivelata essere esatta. La magia era strettamente connessa a quello che mi era successo, e se quello che il gatto aveva detto era vero, sarei presto tornata a casa. Il gatto era di certo un mago, un potente mago data la pozione che aveva saputo creare. Rispedirmi a casa sarebbe stato ancora più semplice. L'uomo incappucciato chiese alla ragazza dell'omone di portarmi una sedia.
- Io avevo creduto di aver fatto un viaggio nel tempo... - dissi quasi più a me stessa che a loro. - Certo, sarebbe stato strano anche quello, ma questo, questo è forse peggio. È tutto così ridicolo.
- Sarà strano, o ridicolo, - cominciò il gatto, - ma se sei qui, un motivo ci sarà. I viaggiatori come te portano sempre scompiglio in ogni mondo che visitano. - disse sorridendo.
- Dovrei sentirmi rallegrata per ciò?
- Rallegrata forse no, ma sappi che c'è sempre un motivo per ogni cosa che succede. E noi ti stavamo aspettando da tanto tempo.
Chiesi dell'acqua, avevo la gola così secca che non riuscivo neanche più a parlare.
L'uomo sul trono esaminò con attenzione lo specchio, mentre gli uomini che mi avevano “accompagnata” al villaggio, stavano controllando la mia borsa, lasciando il suo contenuto sul tavolo davanti al loro capo.
- Come sei entrata in possesso di questo? - mi chiese l'uomo incappucciato riportandomi alla realtà.
- Non è mio. Apparteneva a una mia amica. - spiegai. - Lo aveva perso e mi aveva chiesto di cercarglielo; quando l'ho trovato nella neve si è illuminato, e mi son trovata nel vostro mondo. - parlare di mondi mi faceva uno strano effetto.
- Lo specchio ha fatto da portale. - mi spiegò il gatto. - Esistono manufatti che fanno da collegamento fra mondi e realtà parallele. Solo un viaggiatore, però, può attivarli.
- Questo deve essere un incubo... - sospirai.
- No, non lo è. - disse l'uomo incappucciato. Sembrava quasi contrariato da me.
- Mizar, - disse rivolgendosi al gatto, - siamo sicuri che sia proprio lei...? - mi indispettì il tono con cui si riferì a me.
- I segni hanno parlato. Lo specchio è la prova, Rel. È lei. - l'uomo sembrò impensierirsi di fronte alle conferme del gatto.
- Allora non possiamo che fidarci... - fece un cenno, e la gente del villaggio cominciò a darsi un gran da fare per sistemare la sala.
- Vieni con me. - mi prese in disparte il gatto. - Lasciamoli preparare la sala.
- Che succede?
- Non ti preoccupare, qui sarai al sicuro. - mi rispose lui con gentilezza.
Mi condusse nella sala privata dietro al trono. Era un vero e proprio appartamento, con tanto di camera, bagno e sala.
- Spero che Alghoin, Altaire e Tiarein non ti abbiano spaventata troppo.
- Chi? - il gatto ridacchiò.
- Hai ragione anche te. Finché non hai bevuto la pozione, ogni interazione ti è stata preclusa. Alghoin è quell'omaccione che ti ha trasportata. Non lasciarti spaventare dall'aspetto imponente, oltre ad essere molto forte è anche un uomo di buon cuore. - il gatto mi fece cenno di sedermi su uno dei due divanetti presenti nella sala. - Hai conosciuto anche sua moglie, Mada, è una mia assistente. Sono certo che andrete d'accordo voi due. - vedendoli insieme avevo avuto anche io l'impressione del “gigante buono”. - Altaire e Tiarein sono gli altri due. Come avrai intuito sono fratelli, impossibile non notarlo. Altaire è il minore, ed è il biondo, mentre Tiarein è più vecchio di un paio di anni, è molto sveglio e scaltro nonostante la giovane età. - C'era una punta d'orgoglio nelle sue parole. - Quei tre sono i nostri generali.
- Posso sapere dove mi trovo, ma soprattutto, perché sono qui?
- Sei su Anthea, come ti avevamo detto poc'anzi. - disse dietro di me l'uomo che il gatto aveva chiamato Rel. - Sul motivo della tua venuta, beh, Mizar dice che, secondo i segni, tu porterai fine al conflitto che da anni imperversa nel nostro regno.
- Io? - chiesi con tono tra il sorpreso e il canzonatorio. Forse era un sogno. Forse mi stavo davvero immaginando tutto.
- Sì. Pensavo sarebbe arrivato un guerriero... o un mago, nella peggiore delle ipotesi... - “Rel non ama molto i maghi” mi sussurrò Mizar, - ma invece sei arrivata tu.
Rel si tolse infine la cappa, mostrandomi un ragazzo di non più di trent'anni dai corti capelli e dagli occhi rossicci.
Il fisico muscoloso e atletico era avvolto da vestiti di pelle nera e marroncina.
Il suo aspetto mi ricordava qualcosa, sentii come una morsa allo stomaco che non riuscivo a spiegarmi.
Mi si avvicinò, studiandomi. Non potei fare a meno di distogliere lo sguardo dai suoi occhi scarlatti. Mi diede un forte pizzicotto sul braccio.
- Ahia! E questo per cos'era?
- Primo: non distogliere mai lo sguardo. Secondo: tu stavi ancora pensando che tutto questo non è reale. Il tuo dolore è abbastanza reale?
Mizar si lasciò sfuggire un sorriso.
- A volte Rel non ha tatto con le persone che non conosce bene, ma ti posso assicurare che è una brava persona. - cercò di convincermi Mizar. Ma non ne ero poi così convinta.
Calò il silenzio nella sala, un silenzio che venne presto interrotto dal ruggito del mio stomaco. Erano ora che non mettevo nulla sotto ai denti.
- Invece che tormentarla dicendole un sacco di cose che non riuscirà a metabolizzare, e a ricordare probabilmente, avreste potuto darle qualcosa da mangiare fintanto che il banchetto non è ancora pronto. - disse Mada entrando nella stanza, seguita dai tre generali.
- Domani avremo tempo per parlare ancora. - mi disse Mizar, camminando a quattro zampe e strofinandosi contro le mie gambe.
- Non si direbbe che è il nostro sciamano e gran consigliere del re, vero?
- È il vostro sciamano? Quindi è come un mago, giusto? - fissai il gatto con occhi speranzosi.
- La pozione è opera mia, ricordi? - annuii. - Solo uno sciamano di un certo livello poteva prepararla. - disse lui con orgoglio.
- E sei anche il consigliere del... re. - ripetei a voce sempre più bassa, volgendo il mio sguardo verso il Re, con il sorriso che mi si spense nel momento in cui i nostri sguardi si incontrarono.
Nel grande salone, era stato lui si a sedersi sul trono, il modo in cui tutti rispondevano ai suoi ordini, e la lunga attesa, non lasciavano dubbi: lui era il re di quel piccolo villaggio.
- Non sono esattamente un re, - disse lui fissandomi e sorridendo soddisfatto. - È un titolo che mi hanno affibbiato. Il Re dei Ribelli. Ma non sono un vero re.
- Si preoccupa di tenere questo villaggio al sicuro. - mi disse Altaire. - Non c'è nessuno come Rel.
- Guida le nostre armate contro quelle del perfido sovrano... Senza lui al comando, avremmo perso la guerra molto tempo fa. - Tiarein sembrava mi stesse studiando, per capire, dalle mie reazioni, che tipo di persona potessi essere.
- Tutte le battaglie che ha guidato, le ha condotte verso la vittoria e col minor numero di perdite possibili. Prima o poi riusciremo a sconfiggerlo quel... Quel... - Alghoin sembrava sul punto di esplodere, ma Mada sapeva come farlo calmare. Il suo semplice tocco sembrava riportare la serenità nel cuore di quel gigante buono.
- Devi sapere... ehm, come hai detto di chiamarti? - mi chiese imbarazzata Mada.
- Non l'ho detto a dire il vero. Ora che ci penso, non mi sono ancora presentata. Io sono Alina.
- Allora, Alina, il nostro mondo è in guerra, noi stiamo lottando per la libertà del nostro popolo, e per la detronizzazione del tiranno. Purtroppo, in guerra, i primi a patire sono proprio gli innocenti, e Rel, assieme ai nostri uomini, sta cercando in ogni modo di proteggere il nostro popolo.
Non è cosa facile, ma stiamo tutti facendo del nostro meglio.
Il nostro villaggio è stato tenuto nascosto per anni. Per nostra fortuna riusciamo a sostentare con quello che abbiamo, ma di tanto in tanto dobbiamo mandare degli uomini all'esterno per comprare dei viveri. Se non avessimo anche l'appoggio del saggio Crinto, la vita per noi sarebbe molto più dura.
La magia di Mizar riesce a proteggere il villaggio, ma a corte esistono maghi potenti che potrebbero anche sconfiggere la sua barriera.
- Capisco. - dissi con voce flebile. - Non deve essere facile vivere in una situazione come questa. - Non potei fare a meno di sentirmi in colpa. Il mondo dal quale provenivo era caotico, e i problemi non mancavano, ma la guerra non era che un lontano ricordo.
- Senza uomini come Rel, che combattono per regalarci un mondo migliore, la nostra vita sarebbe molto più dura e priva di qualsiasi speranza in un futuro migliore. - disse Mada. - Sono molto orgogliosa di mio marito e di quello che fa per tutti noi al fianco di Rel. - La donna si slanciò verso il marito, abbracciandolo con tutto l'amore che provava per lui, e lui ricambiò con lo stesso amore quel dolcissimo e semplice gesto.
Sorrisi vedendo quei due assieme, erano una coppia molto affiatata e innamorata.
- Come vedi, Alina, il nostro non è un mondo poi così spaventoso. - mi disse Rel avvicinandosi di soppiatto alle mie spalle.
- Non ho mai detto che lo fosse.
- Ma eri spaventata. - constatò lui divertito. - E credo che pure io ti faccia paura.
- Vorrei vedere chiunque di voi al mio posto. - replicai stizzita. - Mizar, avete prima detto che io sono una viaggiatrice, e che lo specchio è stata la mia porta... c'è modo per me ora di tornare indietro?
- Sì. Tu sei una viaggiatrice, e ora che hai risvegliato i tuoi poteri sarà molto più semplice viaggiare fra i mondi. - un vero sollievo! Sentire quelle parole mi fece sorridere di pura gioia.
- Tu puoi spiegarmi come fare per poter tornare a casa? - purtroppo però, il gatto scosse la testa.
- Questi oggetti son dotati di vita propria. Loro sanno, loro sentono quando è giunto il momento. Quando il viaggiatore è pronto.
- Ma io lo sono, su questo non ci sono dubbi. - lui sorrise.
- Abbi pazienza, mia cara, presto sarà tutto più chiaro e semplice. Fidati di me. Se sei qui un motivo ci sarà, e poi potrai tornare a casa. - Sembrava ancora tutto così strano e surreale. Mi sentii di nuovo spaesata di fronte a quella rivelazione.
Sarei mai stata in grado di far ritorno al mio mondo?
Mi dispiaceva per gli abitanti di Anthea, ma io non ero fatta per stare in una terra sconvolta da un conflitto come quello che stavano vivendo. Io non ero un'eroina. Io ero solo Alina.
Altaire, quasi titubante, si avvicinò e mi porse la borsa.
- L'avevi lasciata di là sul tavolo. Se non te la riportavo, non l'avresti più rivista. - disse sorridendo.
- Me ne ero completamente scordata. Grazie.
- Di nulla... - lui mi fissò come se avesse voluto farmi delle domande.
- C'è qualcosa che non va? - lui cominciò a balbettare, così intervenne il fratello Tiarein.
- Abbiamo visto delle cose strane nella tua borsa. Altaire voleva chiederti a cosa servissero.
- Tutto qui? - risi e acconsentii. Altaire mi allungò il mio telefono. Lo aveva colpito più degli altri oggetti che aveva trovato.
- Oh cielo! - esclamai realizzando una cosa molto importante.
- Che succede? - mi chiese Mada preoccupata. - Non ti senti bene?
- No, non è niente, è che... mia zia sarà molto preoccupata per me. Se io non farò ritorno a casa, se non potrò mettermi in contatto con lei... si preoccuperà a morte. - cominciai a muovermi per la stanza in cerca di campo per il telefono.
“Magari”, pensai, “se una strana forza mi ha portata qui, quella stessa forza può creare un campo magnetico, o qualcosa di simile, che possa far andare questo maledetto telefono”.
- Fermati, ragazzina.
- Non credo di essere più tanto giovane per essere definita ragazzina. - risposi a uno scocciato Rel, continuando a camminare avanti e indietro.
Il rosso mi bloccò, togliendomi di mano il telefono.
- Non avevi detto che ci avresti spiegato cosa erano gli strani oggetti della tua borsa? Questo ad esempio, a cosa serve? - disse lui esaminandolo e cercando di aprirlo. Prima che accadesse l'irrimediabile, glielo tolsi di mano.
- Questo è un telefono. Se avessimo campo potrei telefonare a mia zia. - in nessun angolo della stanza riuscivo a prendere campo. Ma la cosa non mi sorprese, era una speranza vana fin dal principio, la mia. Mi voltai verso il gruppetto e vedendo che la mia spiegazione non era stata abbastanza chiara, mi schiarii la voce: - Questo oggetto viene utilizzato per comunicare a distanza.
- Noi usiamo i corvi per quello. - disse Alghoin. - Sei sicura che funzioni? I corvi sono molto veloci. - io annuii.
- Come funziona di preciso? - chiese incuriosito Tiarein.
- Ogni persona che possiede un telefono, ha un particolare numero ad esso associato. Se io conosco quel numero, lo inserisco nel mio telefono e posso chiamare quella persona o inviargli un messaggio.
Altaire e Rel mi fecero altre domande, sulle strane chiavi che avevo loro mostrato, quelle dell'auto, o sul lettore mp3.
Rel in particolare sembrava molto interessato al nostro mondo, e cominciò a farmi domande su domande.
Nonostante il suo approccio iniziale mi avesse un po' infastidita, in quel momento non mi sembrò più così antipatico e fastidioso.
Arrivò una ragazza per chiamarci: la sala era pronta, e il ricco buffet era in tavola.
- La tua vita cambierà drasticamente, Alina. - mi disse Mizar camminando al mio fianco. - Che tu lo voglia o meno, il tuo destino è legato alle sorti del nostro mondo. - non riuscii a fare un altro passo. - Non era forse la grande avventura quella che sognavi?


 
L'angolo di Shera ♥

Ero indecisa se pubblicare o meno, dato che il mio moroso non ha ancora visionato il capitolo, ma alla fine ho deciso di buttarmi comunque. I suoi consigli mi son stati spesso e volentieri molto utili, fondamentali talvolta.
Con questo capitolo, finalmente, ci addentriamo nelle terre di Anthea. Non ho accorpato i capitoli, ma è stato fatto un lavoro di super revisione. La prima revisione è stata, di fatto, una quasi totale riscrittura del capitolo.
Chi ha letto la prima versione ricorderà che nel bosco la scena era un tantino diversa. Il personaggio di Tiarein è stato ideato per questa nuova versione, per questo anche i prossimi capitoli saranno da sistemare di conseguenza.
Rel era più sul "burlone" che sull'"ostile", nei confronti di Alina, anche se si sta già ammorbidendo. Da "Re degli Assassini", è diventato "Re dei Ribelli". Gli si addiceva di più.
Nel prossimo capitolo inserirò una nuova scena che per me sarà molto importante nel rapporto che si andrà a creare fra i due protagonisti. C'è un'altra figura che è stata accennata fin dall'inizio, cosa che nella prima versione già c'era, ma che non era stata sviluppata come si deve.
Anche con Mizar ho apportato alcune modifiche, a cominciare dal suo ingresso nella scena: nella vecchia versione arrivava solo a fine capitolo, e solo per un brevissimo istante. Giusto il tempo di presentarsi insomma.
Tante cose le ho cambiate, anche se il succo è sempre quello, e tante ancora ne dovrò cambiare.
Tanti personaggi devono ancora entrare in scena... abbiamo solo incominciato!
Spero stavolta di fare un buon lavoro.

Detto questo chiudo, alla prossima
Shera♥
  
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