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Autore: yua    09/07/2016    2 recensioni
«Voglio andare al mare» disse con un sorriso luminoso.
«C... cosa?» Balbettò l'altro.
Il numero due annuì con entusiasmo «voglio andare al mare, a vedere le stelle... voglio andare a vedere il mare di notte. Portami al mare, dai!» implorò con occhi ridenti. Non avrebbe potuto opporsi a quello sguardo – nessuno avrebbe potuto.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Koushi Sugawara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buondì!
Avevo bisogno di fluff. Di tanto fluff. Di una storiella leggera, semplice e che avesse loro due come protagonisti, perché devono essere felici e contenti e tutti devono amarli. O almeno, io li amo tanto. Okay, è la priima storia che scrivo in questa sezione, non so se ho gestito bene i personaggi, non so se sono finita nell'OOC, in caso spero qualcuno me lo segnali così da poterlo aggiungere tra gli avvertimenti o dove va quella cosa.
Che aggiungere? Dovrebbero esserci più gioia e felicità e fluff e daisuga nel mondo. Che qualcuno mi segnali ogni errore/problema e buona fluffolosa lettura!





Suga era depresso, Dachi non sapeva come altro interpretare quegli sguardi del suo amico.
Beh, definirlo depresso non era proprio semplice, continuava a sorridere, a incoraggiare tutti, ad essere gentile. Eppure c'era qualcosa... era il suo migliore amico, si accorgeva sempre se aveva un problema, nonostante le apparenze. I suoi occhi erano meno brillanti, per esempio, i suoi sorrisi più tirati, i suoi gesti più lenti e insicuri, agli allenamenti e in classe era più distratto che mai...
Sì, Daichi lo osservava e ne era sempre più convinto.
Era un venerdì pomeriggio, in palestra erano rimasti solo loro per il loro turno di pulizie e il capitano era immobile da diversi minuti ad osservare il suo vice; ancora una volta in quei giorni lo vide stanco, triste, ma aveva anche qualcosa... qualcosa di particolare, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso nella speranza di capire che cosa stesse nascondendo.
«Ehi» si decise ad attirare la sua attenzione.
«Ehi!» rispose il numero due alzando gli occhi, come colto di sorpresa.
«Me lo dici che hai?» Chiese il capitano, e vide che l'altro sgranava gli occhi, con le labbra appena socchiuse.
«Cosa?» domandò piano.
«Sei strano. Sei depresso, sei triste, sei sovrappensiero continuamente... che problema c'è?» provò ad insistere.
«Io...» balbettò. Daichi lo guardò male per la scusa che già immaginava avrebbe provato a rifilargli; lasciò da parte la scopa e si mise a sedere per terra, invitando Suga a fare lo stesso, che dopo un attimo di esitazione praticamente si lasciò cadere accanto al moro, rassegnato «Dovevo immaginare che te ne saresti accorto» borbottò.
Il moro gli sorrise «dimmi, dai. Altrimenti mi preoccupo»
«Il coach mi ha detto che sono affidabile, che su di me si può sempre contare, che non mi tiro mai indietro ogni volta che c'è bisogno. Il che significa che sono monotono, prevedibile, che sono un vecchio coi capelli bianchi, che tra l'altro ho davvero. Siamo all'ultimo anno di liceo e non ho mai fatto niente di... di... non lo so!» si lamentò, leggermente esasperato. 
Daichi lo guardava intensamente «e allora facciamo qualche cosa che nessuno si aspetta da noi» propose dopo qualche minuto di silenzio, in cui Suga si sentiva passato ai raggi x da quegli occhi scuri. Non capiva, l'alzatore, così il difensore si spiegò meglio «è questo sentirti prevedibile che ti fa stare male in questi giorni, giusto?» Suga annuì «e allora cominciamo a fare qualcosa che nessuno si aspetta... facciamo per una volta solo quello che vuoi tu. Per una volta facciamo che... facciamo qualcosa di stupido. E io sarò con te, e per una volta non dovrai essere quello disponibile per gli altri... potrai chiedermi quello che vuoi. Sarò ai tuoi ordini. Cominciamo adesso, cominciamo col lasciare tutto così, che ci importa di quello che dovremmo finire? Oggi siamo assolutamente imprevedibili» spiegò alzandosi.
Visto che l'altro restava seduto gli porse una mano e gli regalò un sorriso incoraggiante, che ebbe in risposta il più bello sguardo del mondo: Suga afferrò la sua mano e annuendo sereno. «Ma il coach ci sgriderà!»
«Sicuramente» confermò il numero uno con un tono di voce molto più eccitato di quello che avrebbe dovuto avere.
E quel buonumore, quell'ottimismo travolse Suga, che aveva occhi brillanti e un sorriso incredibile «allora andiamo!» esclamò con il corpo percorso da brividi.
Daichi Sawamura e Koushi Sugawara erano assolutamente due bravi ragazzi, sotto ogni punto di vista; studenti modello, erano il miglior capitano e vicecapitano che un allenatore o una squadra potessero desiderare: erano sempre disponibili, attenti, erano tranquilli, motivati ed erano davvero uno splendido esempio per tutti quelli che avevano intorno. Ma avevano anche quasi diciotto anni, e l'essere considerati da tutti responsabili e affidabili cominciava ad essere un problema.
«Che cosa facciamo allora?» chiese Suga guardando il compagno di squadra come in attesa di ordini, subito dopo essersi fermati da una corsa a perdifiato che voleva essere quasi una fuga dalla palestra – che comunque si erano premurati di chiudere, erano comunque due bravi ragazzi.
Il moro però gli rivolse un'occhiataccia «non lo so, sei tu che devi decidere! Che cosa ti piacerebbe fare invece di fare i compiti, studiare per gli esami, occuparti sempre degli altri?»
Suga arrossì un poco: erano solo le cinque del pomeriggio, che cosa avrebbe mai potuto voler fare? Cosa avrebbe fatto un altro al suo posto? Perché lui sarebbe tornato di corsa a rimettere a posto la palestra e poi sarebbe di corsa andato a studiare.
«Possiamo... possiamo andare in città» propose timidamente. Daichi gli sorrise incoraggiandolo ad andare avanti «e, non so, fare un giro?» domandò di nuovo insicuro.
Il moro cominciò a pensare che il suo amico fosse senza speranza, ma annuì «andiamo in centro e poi decidiamo, mi sembra un'ottima strategia» approvò.
Visto che non sembrava convinto dalla sua stessa proposta, il capitano gli prese la mano per convincerlo, e ricominciarono a correre verso la stazione più vicina, ridendo come due scemi. Salirono sul treno continuando a ridere «credo di volermi ubriacare. Non ho mai bevuto alcolici» ammise Sugawara mentre l'eco della risata si spegneva sulla sue labbra.
Daichi sorrise di nuovo, con rinnovato entusiasmo «allora berremo tanto da ubriacarci»
«Ma siamo minorenni, non possiamo comprare alcolici!» esclamò terminando il discorso in un sussurro.
«Ci sono dei posti in cui possiamo comprarne, te lo garantisco» ridacchiò il moro, lasciando Suga leggermente indignato «me l'ha spiegato un mio amico» si giustificò facendo di nuovo ridere il numero due «Scendiamo qui!» Esclamò all'improvviso scattando in piedi.
«Qui?» domandò il moro raggiungendolo.
«Qui. Non era questo il gioco? Si fa tutto quello che vuole Suga?» Chiese facendo ridere l'altro che annuì «scendiamo qui» confermò.
Erano nel centro della città, erano giovani, avevano abbastanza soldi con loro e l'intenzione di passare tutto il tempo necessario a divertirsi e basta, e per una volta potevano vantarsi di non avere nessun altro pensiero nella testa.
«Voglio andare a mangiare qualcosa» cominciò «qualcosa di dolce, qualcosa di grasso che non dovremmo mangiare» spiegò, cominciando finalmente ad abituarsi a quel ruolo di direttore della serata.
Il moro annuì e gli prese di nuovo la mano per portarlo da qualche parte senza davvero sapere dove; sapeva solo che voleva quel contatto, che aveva scoperto che gli piaceva, e allora non si faceva domande sapendo che finché l'altro non si sarebbe opposto lo avrebbe fatto ancora.
Vedere Suga abbandonare il suo abituale autocontrollo fu uno spettacolo meraviglioso, e quando il moro gli ricordò della sua voglia di bere alcolici erano già le dieci passate. Erano andati in una sala giochi, e poi al cinema a vedere un film tremendo prima di andare a cena. Avevano chiamato i loro genitori, mentendogli e dicendo che sarebbero rimasti a dormire con la squadra a casa di qualcuno; Suga aveva deciso che così avrebbero avuto modo di fare un'altra cosa che non aveva mai fatto: restare fuori tutta la notte.
Il ragazzo dai capelli bianchi si sentiva un completo idiota mentre entrava col compagno di squadra in un minimarket dall'aria poco raccomandabile e cercavano di mantenere uno sguardo serio e deciso. Daichi era assolutamente credibile, in quella veste di adulto - certo, probabilmente non avere addosso la divisa del liceo avrebbe aumentato anche la sua credibilità - lui era rimasto invece in disparte per non rovinare il gioco. Era ovvio che il tipo sapesse che non potevano essere maggiorenni, ma in quel momento sembrava davvero divertente pensare di essere riusciti a farla franca. Misero un po' di bottiglie assortite in una busta di carta e pagarono il conto per poi uscire lanciandosi sguardi complici: avevano una busta piena di pasticcini e una piena di alcolici, solo che adesso non sapevano dove andare. Daichi allora propose di tornare indietro, per rimanere in un posto conosciuto: che la città, di notte, poteva essere un posto pericoloso, e Suga fu ben d'accordo. Mentre tornavano, seduti vicini con quelle buste tra le mani, Suga si accorse una volta di più che l'altro era davvero bello: aveva uno sguardo magnetico, le spalle larghe, solide, che sembravano poter accogliere i problemi di tutti; le braccia muscolose, fatte per stringere forte, per accoglierti e proteggerti da tutto il resto.
Si accorse che lo stava fissando quando il moro ricambiò il suo sguardo «che c'è?» gli chiese ridendo ancora. «Non pensavo di poter andare in città a comprare alcolici» ammise con un sorriso appena più forzato di quanto avrebbe voluto. Il numero uno gli passò un braccio attorno alle spalle e se lo tirò vicino, lasciandolo spiazzato: solo un attimo prima stava pensando a quanto si poteva star bene tra quelle braccia e quel petto, e adesso che aveva preso posto lì si rendeva conto che non sarebbe mai stato capace di immaginarlo, non davvero. «Dove andiamo?» gli chiese.
«pensavo al parco, in realtà» il tono del capitano era leggermente imbarazzato; quella posizione era stranamente intima, forse tutta quella situazione lo era. Eppure era davvero contento di quello che stavano condividendo... avevano chiacchierato, si erano presi in giro, avevano giocato, si stavano davvero divertendo insomma.
Al parco a cui aveva pensato Daichi c'erano dei giochi per bambini che avrebbero permesso loro di rimanersene seduti e relativamente al coperto, di non stare letteralmente in mezzo alla strada. Era abbastanza lontano dalle loro case e dalla scuola, così non avrebbero nemmeno potuto rischiare di incontrare qualcuno.
Avevano comprato cose assolutamente a caso: avevano birra, ruhm, saké, vodka, e aprirono tutto, perché erano davvero convinti che sarebbero riusciti a finire. La birra non sembrava male, il sakè lo conoscevano, rhum e vodka furono un po' più impegnativi; a quanto sembrava a Suga piaceva di più il sapore forte dell'alcool – Daichi lo osservava bere dallo stesso collo della bottiglia da cui aveva appena bevuto lui, vedeva la labbra schiudersi e lasciar scivolare dentro quel liquido dall'odore fortissimo e poi socchiudere appena gli occhi ogni volta che scendeva in gola. Era abbastanza sicuro di essere alticcio, perché non riusciva a concentrarsi su nulla se non sulle labbra del suo migliore amico per più di un paio di secondi.
Le ore passavano, e loro due non riuscivano a smettere di ridere perché Suga aveva appena fatto una stupidissima battuta sui ragazzi del primo anno e sul fatto che erano un gruppo i pazzi esaltati.
«Il coach ci farà a pezzi domani, vero?» Rise Daichi.
«Credo andrò a vomitare» lo informò Suga.
Il moro andò con lui ridendo, gli tenne la testa mentre vomitava nei cespugli buona parte dell'alcool ingerito – considerando anche che aveva bevuto quasi tutto lui era incredibile quanto avesse resistito.
Gli porse la bottiglia d'acqua che aveva comprato insieme al resto, ma dopo averne bevuto un sorso ed essersi dato una sciacquata al viso decise che sarebbe stato divertente inzuppare l'altro, che era ancora troppo sobrio per i suoi gusti.
Dopo un attimo di sbalordito sconcerto il capitano reagì afferrandolo per i fianchi e riempiendolo di solletico e facendo sì che la notte fosse piena, per qualche momento, delle sue risate.
«Basta, basta, mi arrendo!» esclamò sconfitto, con le lacrime agli occhi e il respiro affannoso, le labbra che non riuscivano a lasciar andare il sorriso.
Allora Daichi lo lasciò, perché ebbe una chiara immagine -decisamente inopportuna - di se stesso che lo baciava e si convinse che era meglio tornare al loro posto prima di fare qualcosa di molto stupido. Era ubriaco, sicuramente era per quello. Ma la sua maglia era zuppa, così decise che sarebbe stato più intelligente toglierla: in fondo era estate, si sarebbe asciugata in fretta.
Sugawara Koushi era ubriaco. Non si era mai ubriacato prima, quindi non sapeva esattamente come funzionassero le cose. Ma nel momento in cui vide l'altro sfilarsi la t-shirt e lasciare scoperti gli addominali, i pettorali e tutto il resto sentì che tutto il sangue del corpo gli si stava spostando da qualche parte tra le guance e le gambe. Così si risolse dall'impiccio buttando giù una generosa dose di sakè. Non esattamente una mossa vincente in effetti, ma non poteva saperlo, ma il moro si rimise seduto accanto a lui e gli prese dalle mani quella stessa bottiglia; con un sorso lasciò vuota senza mai staccare gli occhi dai suoi.
«Sì, domani saremo sicuramente nei guai» rispondeva adesso ad una domanda posta non avrebbe saputo dire quanto tempo prima.
Continuavano a guardarsi, ma a quel punto era calato uno strano silenzio - un silenzio spesso e pieno - in cui non sembrava più il caso ridere o scherzare. Nonostante il tempo passato insieme negli anni non si erano mai trovati in una situazione simile, e sembrava impossibile che se ne stessero accorgendo entrambi. Era uno strano incantesimo quello in cui si sentivano intrappolati, incatenati da uno sguardo ad una distanza irrisoria senza però sfiorarsi nemmeno per sbaglio, probabilmente preoccupati per quello che sarebbe potuto succedere con tutta quella tensione a riempire lo spazio fra loro.
«Cosa vuoi fare adesso?» Chiese il capitano provando a rompere quella specie di bolla in cui si erano ritrovati. «Dobbiamo aspettare che si asciughi la tua maglia» gli fece notare sporgendosi istintivamente in avanti.
Anche l'altro si era allungato verso di lui, adesso potevano sentire l'uno l'odore degli alcolici sciolti nella bocca dell'altro. Daichi non se ne era accorto, ma adesso non toglieva gli occhi dalle sue labbra «sì» erano praticamente immobili, congelati, anche se Suga sentiva tutto il corpo fremere dalla voglia di toccare il suo capitano, di allungare la mano per sentire contro il palmo della mano quanto potesse essere calda la pelle di quel viso tanto conosciuto.
Stava per succedere qualcosa, ma Suga non era sicuro di voler aspettare - era troppo insicuro delle proprie reazioni, aveva troppo poco controllo sulle sue pulsioni in quel momento - così si tirò indietro di scatto «Voglio andare al mare» disse con un sorriso luminoso.
«C... cosa?» Balbettò l'altro.
Il numero due annuì con entusiasmo «voglio andare al mare, a vedere le stelle... voglio andare a vedere il mare di notte. Portami al mare, dai!» implorò con occhi ridenti.
Non avrebbe potuto opporsi a quello sguardo – nessuno avrebbe potuto. Sospirando come se stesse per affrontare un'impresa titanica richiuse le bottiglie, le rimise nella busta e si buttò su una spalla la maglia ancora bagnaticcia. Si alzò e porse anche all'altro la mano per farlo; l'afferrò e non la lasciò andare.
Si incamminarono ridendo e chiacchierando, alternandosi nel bere, e più lo facevano più ridevano. Bisognava prendere un autobus e poi fare ancora un pezzo di strada a piedi, ma non aveva voglia di rifiutargli nulla, Daichi, quella notte.
Erano già le tre e cominciavano ad accusare un po' di stanchezza, eppure quando arrivarono sulla spiaggia Suga aveva ripreso tutta la sua energia: si tolse subito le scarpe e gli riprese la mano, per andare a fare un giro sulla spiaggia, per andare a vedere il mare.
Era ubriaco, questo era chiaro, ma era piacevole vederlo così spensierato... «balla con me» gli chiese all'improvviso il ragazzo dai capelli bianchi «metti della musica, qualcosa a caso, e balliamo» propose.
«Ma io non so ballare» gli fece notare il moro, che però stava già prendendo il cellulare.
«Nemmeno io. Non ho mai ballato, non ci ho mai nemmeno provato» rise l'altro, che cominciò a volteggiare appena sentì le prime note. E quel buonumore era così contagioso... l'altro lo raggiunse e si unì a lui. Ridere non era mai stato così facile come in quel momento.
«Ah, Daichi, siamo due ballerini terribili» disse appena finì la musica accasciandosi sul petto del moro, che ne approfittò per passargli le braccia intorno alle spalle e tenerlo tranquillo qualche momento mentre si riprendeva da quella risata che gli aveva spezzato il fiato.
«Sì, direi che la danza non è nel nostro futuro» concordò sentendo il corpo dell'altro a contatto col proprio «hai qualche altro desiderio?»
Suga tirò su il viso e, dal basso, gli lanciò un'occhiata che non lasciava presagire nulla di buono «voglio fare un bagno» spiegò.
«ma.. ma... non abbiamo il costume, l'asciugamano, e... è notte!» tentò.
Ma l'altro non ne voleva sapere, si allontanò dalle sue braccia e si sfilò la maglia, lasciandola cadere sopra le scarpe. «Vieni con me, Sawamura!» chissà perché lo aveva chiamato così... ma vederlo mezzo nudo, che lo invitava a raggiungerlo mentre lo chiamava in quel modo... 
Sfilatosi anche i pantaloncini e rimasto in boxer andò direttamente a prendere il suo capitano «stanotte va così... fammi ancora questo regalo» ecco, di nuovo quegli occhi.
Non avrebbe mai, mai, mai potuto rifiutarsi. Non credeva, Daichi, che qualcuno avrebbe davvero potuto farlo. Così seguì il suo esempio e si tolse la maggior parte dei vestiti «però devi rimanere con me, sei ancora ubriaco» provò ad essere serio.
«E tu non lo sei abbastanza» rise prendendogli però nuovamente la mano mentre si dirigevano verso l'acqua, per immergersi piano, completamente.
Daichi lo fece uscire quasi subito, e già stava per lamentarsi, ma fu preceduto «non è divertente così, di corsa!» e così si misero a correre come due stupidi, per buttarsi con forza nell'acqua, per sentirsi avvolgere. Nuotarono per un po', vicini, continuando a ridere, a schizzarsi. Se ne erano resi conto entrambi che cercavano la vicinanza l'uno dell'altro molto più spesso del solito, che ogni contatto anche casuale procurava decine di brividi nei loro corpo. Usciti dall'acqua usarono le felpe per asciugarsi prima di rimettersi i pantaloni addosso; si sdraiarono sulla spiaggia, ignorando completamente la sabbia tra i capelli.
«deve essere tardissimo ormai» disse dopo un po' l'alzatore.
«sicuramente» confermò l'altro; però non voleva controllare l'ora. «Le vedi quante stelle, Suga? Sono stupende»
Ma Suga non stava più guardando le stelle, aveva il viso girato verso di lui e osservava il contorno del suo viso stagliarsi appena nella notte. Era bello, bello davvero. Era solido, era deciso; accarezzò il so profilo con lo sguardo - il naso dritto, la mascella squadrata, le labbra leggermente tirate in un sorriso sereno. Si avvicinò ancora un po' con la scusa di sentire freddo, con la scusa di essere ubriaco e di aver bisogno di scaldarsi. Il moro non oppose resistenza, anzi, gli fece alzare la testa per passare un braccio dietro la sua nuca e stringerlo contro il proprio corpo.
«Daichi, è quasi l'alba» fu il ragazzo dai capelli bianchi a notarlo per primo, che il cielo si stava schiarendo e le stelle pian piano sparivano. Forse si erano addormentati, a un certo punto, comunque era davvero ora di andare, di tornare a casa...
«Dobbiamo andare» disse il moro ma senza accennare a cambiare posizione «ma tra un attimo» aggiunse.
Suga ridacchiò girandosi leggermente contro la sua pelle abbronzata e salata, e con gli occhi socchiusi rise piano godendosi il ritmo costante del battito del suo cuore «come nelle favole al sorgere del sole l'incantesimo si scioglie?». Chiese quasi aggrappandosi al suo petto: l'incantesimo si stava sciogliendo, quel momento magico stava per concludersi e lui non era pronto a tornare al loro normale modo di interagire... si era accorto che gli piaceva quell'intimità, che gli piaceva sentire il cuore del suo capitano battere sotto il palmo della sua mano.
Il moro però si divincolò per girarsi sul fianco e guardarlo, realizzando che era molto più vicino al suo viso di quanto avrebbe potuto immaginare, e per un attimo si perse nei suoi occhi castani «più che altro dobbiamo tornare alla nostra seria e prevedibile realtà» rispose.
«Siamo davvero prevedibili, eh?» Chiese il numero due.
«No, stanotte non lo siamo stati, credo...» rispose il capitano.
Suga gli sorrise senza allontanarsi di un centimetro. E poi anche lui notò conto della vicinanza smettendo di sorridere e si accorse che nemmeno l'altro stava più ridendo, che anche lui era diventato improvvisamente serio. Si rese conto, Suga, che era la seconda volta in poche ore che si trovavano in quella stessa identica situazione: erano vicini, vicinissimi, e senza mai staccare gli occhi dai suoi il capitano alzò piano la mano e la posò delicatamente sui suoi capelli, per poi farla scivolare sul sopracciglio, e poi la tempia, e lo zigomo, e sull'angolo delle labbra indugiò un istante di più. Quelle mani erano grandi e calde, leggerissime sulla sua pelle. E Suga si sporse in avanti a riempire quell'irrisorio spazio che li separava ancora, per posare la propria incerta bocca sulla sua e poi ritrarsi subito, rendendosi conto di quello che aveva appena fatto. Daichi era rimasto evidentemente spiazzato.
Si alzò in piedi di scatto, prima di poter vedere un'altra qualsiasi reazione «nemmeno questo avevo mai fatto» spiegò recuperando anche la felpa e le scarpe dopo aver indossato nuovamente la maglia.
Il moro non poteva vederlo in viso adesso, ma era sicuro che fosse arrossito. Sentendosi tremendamente a disagio lo raggiunse in fretta, sentendo l'urgenza assoluta di guardarlo ancora, di non lasciarlo andare «Suga» lo chiamò con una voce stranissima che lo costrinse a voltarsi nonostante l'imbarazzo.
«Daichi, lascia perdere, è stata una cosa... scusami. Forse sono ancora un po'...» ma non finì la frase perché l'altro lo afferrò saldamente per le spalle e, confuso e impacciato, gli diede un altro bacio, spingendo le proprie labbra su quelle di lui e inducendolo ad aprirle, per dargli un bacio vero, stringendolo con forza contro il proprio corpo per sentire ancora quella vicinanza di cui già pensava non avrebbe più potuto fare a meno.
«Se bisogna... se bisogna farlo va fatto... come si deve...» provò a giustificare il suo gesto, ma era poco credibile anche alle sue orecchie, soprattutto mentre cercava quella bocca di nuovo, per baciarla ancora.
Non avrebbe saputo dire se ci avesse mai pensato, al fatto di voler baciare il proprio migliore amico, ma in quel momento lo voleva, sapeva di volerlo. E dopo lo smarrimento iniziale anche Suga si era sciolto, anche lui gli aveva dimostrato che... che lo voleva «Se vuoi... se vuoi resta con le altre cose di questa notte» propose il moro, con gli occhi che già sembravano urlargli di non farlo.
Suga sorrise di nuovo «è già l'alba» gli fece notare «la notte è passata»
Sul viso di Daichi si susseguirono una serie di espressioni incredibili mentre capiva tutte le implicazioni di quella frase prima di chiudere gli occhi e stringerlo per baciarlo ancora. Suga non voleva più muoversi adesso che era convinto di aver trovato la sua dimensione lì, sulla spiaggia, all'alba e tra le braccia del suo capitano.
«Credo che... credo che dovremmo tornare a casa adesso» sussurrò l'alzatore contro la spalla dell'altro, che lo strinse meglio tra le braccia e annuì, allontanandosi un poco e prendendolo per mano, per fargli di nuovo strada. Dopo un attimo di imbarazzo avevano ricominciato a ridere, e a scherzare, e a ridere ancora. Era tutto come prima, solo molto più bello e molto più giusto tra un bacio e l'altro - impacciato, timido, stentato; ci sarebbe stato modo di migliorare. 
E Suga, mentre correvano insieme nella direzione opposta al sorgere del sole, continuava a pensare a quanto il suo capitano fosse bello, bello davvero, a quanto fosse solido e rassicurante, a quanto fosse incredibile quello che gli aveva fatto fare quella notte, quanto fosse imprevisto il risvolto che aveva preso la storia.
Appena si misero a sedere sul pullman che li avrebbe riportati a casa, Suga si appoggiò alla spalla dell'altro e cominciò a sentire davvero la stanchezza di quella notte decisamente fuori dal normale. Aveva scoperto che gli piaceva stare così, completamente appoggiato a lui; stavano in silenzio da un po' quando a Suga venne da sorridere di nuovo ripensando a quello che era successo quella notte: alzò gli occhi su di lui per farglielo notare e dirgli che non era da lui fare i capricci, quasi pretendere di essere accontento come aveva fatto prima. Voleva chiedergli scusa, ma Daichi lo stava già guardando e lo vide arrossire quando si sentì scoperto, grattandosi la nuca con un sorriso colpevole. E l'alzatore si dimenticò improvvisamente di tutto quello che avrebbe voluto dire, ma si sciolse in un sorriso «grazie» riuscì soltanto a dire prima che il moro gli passasse un braccio intorno alle spalle, perché non sapeva in che modo fargli capire che... che... non lo sapeva nemmeno lui a dire il vero. L'altro si lasciò andare ad uno sbadiglio «sei stanco?» gli chiese.
Era evidente che fossero entrambi stanchi morti, erano quasi ventiquattro ore che non dormivano ma nonostante tutto si sentivano entrambi felici e incredibilmente sereni. Al posto giusto, insomma.
«Sai, mi sembra di... di... di essermi tolto un peso dal petto» sussurrò il capitano dopo avergli dato un bacio leggero sui capelli; erano soli sul pullman delle sei del mattino, non c'era nessuno che potesse vederli. Suga non sapeva a cosa si riferisse esattamente, ma sapeva di trovarsi d'accordo con lui: forse era stato il rendersi conto che si potevano fare anche cose inaspettate, forse era l'aver scoperto un lato di sé che non sapeva di avere. Ma molto più probabilmente era il fatto di stare così, con Daichi, il fatto di averlo baciato e di essere stato ricambiato, il fatto di aver trovato il suo posto nel mondo, che sarebbe stato ovunque purché avesse potuto continuare a sentire il calore del corpo dell'altro, purché fosse avvolto da quelle braccia muscolose.
«Mi sa che ho una tremenda cotta per te. Dal primo anno. E ho sempre... fatto finta di nulla.» confessò al suo capitano, e si accorgeva in quel momento di quanto fossero vero. Rimase talmente stupito, Koushi, dalla sua stessa confessione da non riuscire ad aggiungere altro, ma allungò il braccio per prendergli la mano senza spostarsi nemmeno un po'. Giochicchiò un poco con le sue dita, per poi incastrarvi le proprie e portando poi il dorso alle labbra, baciandola con leggerezza. Quando arrivarono in città cominciarono a ridere di nuovo, un po' per la stanchezza, un po' per il paradosso della situazione: a quel punto avevano giusto il tempo di andare a fare colazione e poi teoricamente avrebbero avuto un allenamento. No, non si sarebbero presentati... in quella mattina estiva dall'aria ancora fresca si sentiva l'odore di prodotti appena fatti da un qualche forno con pochissime persone ancora in giro, non avrebbero mai avuto il coraggio di correre ad allenarsi.
«Sai, se andiamo adesso possiamo dormire qualche ora nella stanza del club. Le chiavi ce le abbiamo solo noi in fondo, no?» Propose Sugawara, decisamente distrutto da quella prima notte senza sonno della sua vita.

Il giorno dopo si svegliarono all'improvviso al suono martellante di pugni che sbattevano contro la porta. Daichi si accorse di avere un mal di testa devastante – e nemmeno il suo stomaco sembrava stare proprio bene in realtà.
«Nh...» sentì gemere Koushi al suo fianco. Si erano addormentati vicini, appena recuperati due materassini per non dormire direttamente a terra. Si stava passando una mano sugli occhi, e poi tra i capelli. Non riuscì a trattenersi dal ridacchiare a quella vista: era davvero buffo tutto scomposto mentre evidentemente faceva i conti con tutto l'alcool che non era riuscito a buttar fuori dal suo corpo la notte prima. La voce squillante di Hinata, quella leggermente gracchiante di Tanaka, quella decisamente furibonda di Ukai... Evidentemente un pessimo risveglio.
Il capitano diede un bacio sul naso all'altro «alzati e preparati alla furia» disse solo prima di trascinarsi ad aprire la porta, chiusa a chiave dall'interno giusto un attimo prima che a qualcuno potesse venire in mente di buttarla giù. Suga si era messo seduto, cercando di rimanere nell'ombra perché la luce gli dava terribilmente fastidio: eccolo, stava per arrivare il confronto con la realtà dopo quella notte incredibile, eccolo, arrivava col suo carico di responsabilità. Ma nonostante non fu mai tanto imbarazzato nella sua vita, nonostante lo sguardo del coach sembrava dire che lui aveva capito assolutamente tutto – sì, compreso quello che era successo tra loro – si ritrovò a pensare che avrebbe rifatto ogni cosa.
«Adesso andatevene a casa. Avete delle facce orribili... e non ci si ubriaca il giorno prima di un allenamento!» li aveva sgridati.  Quando il capitano aveva provato a negare l'allenatore gli aveva lanciato un'occhiataccia che lo aveva subito fatto tacere. Li aveva lasciati andare. Si erano poi avviati, concedendosi qualche momento a testa bassa per dare l'impressione di essere terribilmente pentiti, ma Daichi aveva cominciato a ridere, e Suga aveva fatto lo stesso, colti di sorpresa dalla certezza che stavano pensando la stessa cosa. Il ragazzo dai capelli bianchi si fermò per guardare il capitano, che gli prese il viso tra le mani baciandolo senza mai smettere di sorridere: avevano fatto qualcosa di tremendamente stupido, assolutamente non da loro. Avevano raggiunto precisamente lo scopo. 


Poiché non ho riletto la storia prima di postarla, potrebbero esserci parecchi errori, spero solo di battitura. In caso fatemelo presente, così li faccio sparire! E non volevo scrivere una cosa seria, quindi non so assolutamente dove vivano loro, quanto sia distante dal mare e quanto da una grossa città... nè tantomeno se ci siano autobus o pullman che potrebbero portarli in giro alle tre del mattino, faccio mea culpa in caso non sia una situazione possibile!
  
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