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Autore: Made of Snow and Dreams    09/07/2016    3 recensioni
Strani eventi cominciano a disturbare la vita dei nostri killer: macabre scoperte, gente spaventata per un pericolo sconosciuto, corpi ammassati nella foresta. Cosa sta succedendo? Chi sta minacciando il territorio dei nostri assassini? Chi è il nemico?
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Un paio di avvertimenti è sempre meglio farli:
Il linguaggio, con la venuta di Jeff e l'alternarsi delle vicende, non sarà proprio pulitissimo.
Dato che il mio progetto include la presenza dei miei Oc (quindi ho detto tutto), saranno presenti scene di violenza varia con un po' di sangue (un po'? Credeteci pure...).
Spero vi piaccia.
P.S. Fate felice una scrittrice solitaria con una recensione, si sentirà apprezzata!
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Notti di noi





Supposizioni ed indecisioni





‘Freaky Circus. Freaky Circus… Freaky Circus. ‘
A giudicare dal nome, non si trattava dei nomi ricorrenti che Eyeless Jack leggeva di rado nei giornali abbandonati; era molto più probabile che qualcosa di molto più grande macerasse sotto terra, nel buio. Qualcosa che lui non era sicuro di voler scoprire, nonostante i rischi che corresse.
‘Freaky Circus… no, l’ultimo circo non aveva questo nome. No, proprio no. ‘ mugugnò tra sé e sé, rigirando il foglietto stracciato tra le mani. Era sollevato dal fatto che, almeno, non si trattasse dei soliti adolescenti che strappavano vene e arterie davanti ai suoi occhi, mentre li spiava incuriosito. Ne aveva adocchiati una decina, chi più conosciuto e chi meno, ma tutti possedevano una caratteristica che li rendeva, nel loro modus operandi, uguali agli altri: gli occhi stralunati e folli, colmi di freddezza mentre rovesciavano cassi toraciche per estrarne il contenuto. E non era un bello spettacolo, con tutto quello spreco.

Era uno strana visione, veder giocare dei serial killer con quei corpi morti o semicoscienti. Sembrava giocassero con delle bambole animate, pronte per essere spogliate, scucite, aperte. Una volta che le urla si affievolivano fino ad esaurirsi del tutto, in genere gli aggressori si allontanavano: muscoli rigidi, schiene violacee come dei lividi giganti e interiora riverse venivano lasciati agli animali o, se arrivava tempestivamente, alla polizia. In quei casi la scelta di battere in ritirata era più che giustificata, anche se spesso Eyeless Jack permetteva alle ombre di avvolgerlo per spiare le loro mosse. Era il metodo più veloce e semplice per rientrare nella società in cui una volta era appartenuto. Prima che…
Chernobog!
No! Non pensare…
Chernobog! Vieni, grande Signore Chernobog!
‘Ho detto di non pensare. Non voglio pensare a quando… a quando ero un po’ più umano di così. ‘ digrignò i denti il cannibale. Strizzò le palpebre tra loro, un rivoletto colò sulla superficie liscia e scivolosa della maschera.

Era frustrante non poter scappare da quel coro di voci fin troppo nitide e crudeli. Gli ricordavano sempre, in ogni attimo della giornata, che lui era cambiato. Una trasformazione irreversibile e dannatamente dolorosa, lui lo sapeva bene. Lo percepiva, il cucchiaio a scavargli nelle orbite, a scollegargli i nervi dei bulbi oculari per impedirgli di vedere, la sua vista che s’indeboliva sempre più, fino a spegnersi completamente. Come una vecchia televisione senza alcun collegamento.
E la sentiva ancora, quella mano intrusa. I polpastrelli che lisciavano le orbite vuote e sanguinanti, raggrinzite, desiderosi di riempirle con quel fango bollente che gli aveva fatto lanciare alte strida al cielo. Un dolore micidiale. Aveva creduto – sperato – di morire. E, in un certo senso, era accaduto proprio quello.

‘Un vero peccato. ‘ sussurrò Eyeless Jack, con l’accenno di un sorriso amaro. ‘E dire che non ero neppure niente male, prima. Tutti invidiosi, quelli. ‘ Accennò una risata, trattenne l’impulso di sfogare il suo risentimento sul primo essere vivente che era intenzionato a scovare. Strinse i pugni, i muscoli delle braccia guizzarono.
Non gli piaceva ricordare il suo aspetto precedente, quando la sua mente ingenua da adolescente non avrebbe mai potuto elaborare un futuro così irreale ed inaspettato. A quell’età le sue uniche aspirazioni riguardavano la sfera scolastica – come uscire incolume dalle lezioni di matematica, ad esempio – e quella sentimentale, come farsi la ragazza più bella e prorompente dell’istituto. E giocare ai videogiochi, una passione che, malgrado il cambiamento radicale, gli era rimasta inculcata dentro.

Per questo aveva deciso di osservare intimorito - ma anche eccitato – quel rituale anomalo a cui aveva avuto la fortuna - o la sfortuna? - di assistere. Di certo non poteva prevedere il resto: le sue orecchie dilatate per sfuggire dal dolore lacerante, concentrato su quell’assurda litania; il sangue copioso a scorrergli sul viso e sul collo; una presenza sconosciuta che era ancora in grado di percepire a penetrare con prepotenza nel suo corpo, a invadere le sue cellule entrando dalle cavità rosse, a radicarsi in ogni fibra del suo essere, a reclamare quel corpo ospite come proprio.
Un parassita.
La cosa che quei ragazzini evocavano senza sosta durante il loro assurdo rito,

Chernobog!
Vieni, grande Signore Chernobog!
Vieni! Vieni! Vieni! Vieni!
Vieni! Vieni! Vieni! Vieni!


era sempre con lui. Non lo abbandonava mai. Viveva in lui, si nutriva spasmodicamente dei suoi impulsi vitali, della sua umanità. Lo derideva, la sua sanguisuga. Viveva grazie a lui, in un involucro adatto a contenerlo per intero. Viveva grazie a lui, ma era stato qualche secondo dopo che Eyeless Jack aveva compreso – quelle sghignazzate ad azzittire qualsiasi altro suono – di essere sempre stato lui l’elemento simbiotico più fragile della coppia. I suoi sensi, ad eccezione della vista, erano quadruplicati. La sua sensibilità si era acutizzata, gli stimoli esterni erano eccitanti per le sue membra gelide. Forza, velocità ed equilibrio era aumentate esponenzialmente, battevano il secondo.

In cambio la ‘cosa’ aveva piena libertà di artigliargli la pelle interna, facendolo contorcere dal dolore se disubbidiva ai suoi ordini; biascicava viscidamente nelle sue orecchie la sua Fame, che lui doveva soddisfare divorando come una bestia affamata i reni di qualche povero malcapitato: sputava per terra i grumi di sangue in eccesso e lasciava masticate le parti più molli e acide dell’organo, rendendo il gesto simile a quello che i ragazzi usano compiere per gettare un chewing gum per terra. Si illudeva sempre di star sputando con soddisfazione una gomma da masticare, in un vano tentativo di rinnegare la realtà e sentirsi ancora Jack l’umano, non il nuovo Jack. Non Jack il cannibale. Non Eyeless Jack, il soprannome che era stato affibbiato dagli amanti del genere horror, quelli che si intrattenevano fino a tardi ad ascoltare il notiziario nero e i film con fantasmi – che ora non temeva più; sapeva di essere diventato estremamente potente.

Nella tasca destra della sua felpa teneva custoditi il bisturi che usava regolarmente, quando non aveva a disposizione molto tempo da impiegare nello sporcarsi le mani facendo il lavoro in prima persona, e il bigliettino che aveva trovato recentemente. Nella sinistra, invece, le sue dita carezzavano con dedizione e una cura che ostentava l’amorevolezza di un genitore, la custodia di un videogioco. Uno dei tanti che aveva arraffato di notte, nei negozi di elettronica.

Non gli interessava molto il genere, il nome, la copertina o la trama offerta dal suo nuovo passatempo; l’importante era che riuscisse a distoglierlo dai suoi pensieri cupi e possibilmente dal suo sempre presente istinto di scavare nei corpi altrui per divorare. Gli piaceva pensare, con un sorriso tirato e vagamente derisorio, che quando giocava a quegli effimeri svaghi anche il parassita accanto a lui - ma anche dietro, davanti, dentro di lui - si acquietasse e ridesse delle battute registrate su un pezzo di plastica. Il modo migliore per acquietare i suoi sensi di colpa e tornare, per una volta, umano.
 
 
 



Nina adorava le grandi metropoli. Erano i luoghi perfetti per acquattarsi nell’ombra come un gatto, attaccare da dietro l’angolo nei quartieri malfamati, spiare da dietro le finestre le famiglie benestanti. Le piaceva seguire gli adolescenti in piena crisi ormonale, le madri infagottate nelle loro tutine da passeggio, i padri con la cartella da lavoro in mano. Immergersi in quell’ambiente a tratti malsano e a tratti salubre era sempre affascinante e Nina stessa era conscia di trarne dei benefici.
Ma anche le foreste potevano fungere da gradevoli luoghi di ritrovo mentale. Le matasse di rami secchi a trattenere l’umidità fungevano da cortina contro i raggi del sole che i suoi occhi non potevano più sopportare. S’immergeva nella solitudine e osservava il paesaggio distrattamente. Per lo più pensava, ricordava.

La riempiva di orgoglio la sacra mansione ricevuta direttamente dal suo idolo. Era bastato uno sguardo e il testimone era passato a lei. Lo aveva letto in quegli occhi azzurrini, stralunati, malinconici, prima che Jeff si scuotesse e la fissasse con sadica soddisfazione. Occhi che dicevano senza parole: ‘ Sei come una neonata, ora impara a camminare da sola. ‘ E lei ci aveva provato.
Uno dei primi trionfi che era riuscita ad ottenere era giunto mentre osservava con stupore il sangue di quel ragazzo che aveva avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. L’aveva fissata terrorizzato, facendo schizzare le pupille da Nina al bambino mutilato che reggeva tra le braccia. Lei aveva sostenuto quello sguardo incredulo con pietà e tenerezza, e quando le mani del ragazzo, arraffanti per terra, aveva cessato di contorcersi, la rivelazione le era piombata addosso.
Si era accorta della somiglianza cromatica del sangue con il fuoco. Non a caso Jeff si era servito del combustibile per appiccarglielo addosso; lei si era semplicemente seduta, lasciando che capelli, pelle e abiti s’impregnassero di candeggina, e aveva atteso. Il fuoco era stato breve e temporaneo, la definizione stessa di transitorietà. Nato all’improvviso, le era danzato famelico come le fauci di una belva mentre la stoffa crepitava e soffi di fumo le avvolgevano gli occhi, bruciandole la vista. Si era appannato tutto, vedeva e sentiva come se fosse stata intrappolata da dietro una cortina di vetro. I pensieri le erano corsi confusi, veloci, disordinati, in una lei spaventata dalla vicinanza della morte. Quando l’avevano ritrovata, il fuoco aveva consumato la sua pelle annerita e increspata. Nessuna distruzione, se non momentanea. Purificazione.

Una sensazione strana, ma si era sempre sentita in dovere di ringraziare Jeff onorandolo con la sua morbosa ossessione. In pagamento della salvezza.
Scorrazzare in città comprendeva il vantaggio di poter arraffare i giornali locali per seguire le orme di Jeffrey Alan Woods, ma era tremendamente complicato saper anticipare le sue mosse per lei che voleva essere la sua allieva, la sua mano, la sua collaboratrice. Avevano definito Jeff come uno psicopatico instabile, deducibile proprio per l’imprevedibilità dei suoi attacchi – Attenzione: al fine di proteggere la Vostra incolumità, Vi invitiamo a seguire le seguenti norme di sicurezza. Inserire un allarme nella Vostra casa, accompagnare gli spostamenti con un veicolo mobile, collaborare con la Polizia.
Lei ci aveva riso sopra.
Instabile. Imprevedibile. Lo era anche lei, a modo suo. Si sforzava di reggere il confronto per farsi notare. Aveva anche preparato un copione da recitare in presenza di Jeff, con il cuore in gola per l’emozione, letteralmente. “Sono stata brava, Jeff? Mi sono comportata bene? Sono stata all’altezza dei tuoi insegnamenti? Avevi ragione, hai sempre avuto ragione. Voglio stare con te, la tua ombra al tuo fianco. Sei il mio maestro, il mio tutore, la mia ispirazione. Posso, Jeff? Posso? “ Un misto perfetto di adulazione e verità. Il minimo indispensabile per stuzzicare l’ego di Jeffrey Woods. L’avrebbe fissata dall’alto, non avrebbe proferito parola. Curiosità, soddisfazione, divertimento, interesse. “Ti prego, Jeff, ti prego. No lasciarmi da sola. Sono diventata più forte, ma mai quanto te. Posso, Jeff? Posso, posso? “
Nei suoi sogni più intimi lui acconsentiva. Una sgradevolissima sensazione le sussurrava all’orecchio che l’unica cosa che avrebbe ottenuto sarebbe stata una coltellata dritta al petto. Cassa toracica sfondata. No, il gioco doveva ricominciare. Nei suoi sogni, Nina resettava.

Nei suoi risvegli, le guance umide la distraevano dallo sfrigolare che si accaniva nel suo petto. Non era abituata al rifiuto, lei che voleva tutto e lo otteneva. Una ragazzina viziata ossessionata dal suo giocattolo.  Se Jeff si dimostrava testardo, lei avrebbe contrattaccato. La prima pagina di tutti i quotidiani parlavano di lei. L’attenzione solo su di sé. Altro combustibile da gettare nell’incendio della sua frustrazione. Nessuna risposta dal suo meraviglioso idolo.

Eccetto per quel fenomeno illogico anche per lei.
Un centinaio di vittime ritrovate ammucchiate le une sulle altre, come le api di un alveare avvelenato. Sventrate, dilaniate, spezzate. Voci di corridoio riferivano particolari ancor più scabrosi: organi sgranocchiati da qualcosa che la Scientifica aveva ipotizzato fosse l’operato di un cane randagio, attirato dall’odore; lembi di pelle completamente tirati via dal derma, ritrovati addossati ai volti delle vittime per simulare delle candide lenzuola; crani sfondati da un oggetto metallico di peso notevole, possibilmente rovente – e ciò spiegava il motivo delle bruciature trovate sulla fronte ustionata di una giovane donna. Il medico legale, a quanto si diceva, aveva fissato per dieci minuti buoni quella testa, esterrefatto, poiché in tutta la sua carriera non aveva mai notato i quattro semi delle carte stampate a fuoco su un corpo.
Insomma, l’allarme ‘serial killer’ aveva scatenato il panico generale nelle città limitrofe, tanto che Nina era stata costretta a spingersi verso i confini per non rischiare di essere rintracciata. Lo spostamento improvviso aveva aggravato notevolmente il suo umore e per i susseguenti tre giorni aveva girovagato come una trottola per la foresta più vicina, rimuginando su quanto aveva udito, macerando per il fastidio. Al quarto giorno si era calmata. Piena di buoni propositi, aveva riposto il coltello nella tasca della felpa e aveva riflettuto a lungo, godendo della brezza che le scuoteva i capelli. Era giunta a due conclusioni principali: la prima comprendeva la possibilità che si trattasse di qualche omicidio compiuto con una frequenza più elevata del normale – che si tratti del mio adorato Jeff? aveva pensato con un sorriso spontaneo, visualizzando l’immagine del ragazzo intento a squartare il ventre di un bambino senza volto. In quel frangente, la gente terrorizzata poteva aver contribuito ad ingigantire la vicenda senza alcun controllo da parte delle autorità – Perché tutti sono solo dei gran vigliacchi! – competenti, e se l’ipotesi prima o poi si fosse rivelata fondata avrebbe punito tutti senza pietà per il suo spreco di energia.

La seconda ipotesi era la meno preferita da Nina. Parecchio improbabile ma non impossibile, uno sterminio di tal fatta poteva davvero essere stato attuato da più artefici. Una prospettiva orribile. Presa dal panico si era ripromessa di contattare Jeff, ovunque si trovasse, per chiedere il suo aiuto nel cacciarli via dal loro territorio. Ne avrebbe approfittato anche per sputargli addosso quella rischiosa quanto maldestra dichiarazione.
E poi c’era l’ultima alternativa lasciata incompleta. Sogghignò, incassandosi nelle spalle mentre rallentava il ritmo delle sue ampie falcate. Come previsto. Non appena i suoi piedi posarono sul tappeto di foglie secche, il suono leggero di passi s’arrestò in quel medesimo istante, come se fosse stato sincronizzato con la sua andatura. Il ghigno sul viso di Nina s’allargò impercettibilmente, la pelle lucida si tese, le guance sporsero fino ad apparire due piccoli cumuli di ovatta. Le pupille ruotarono in tutto il globo oculare come gli occhi di un rettile – Un altro merito di Jeff! ricordò raggiante. Tra le tante capacità che aveva scoperto possedere in quel suo nuovo involucro, la visuale allargata era certamente da annoverare.

Le cellule sopravvissute delle sue palpebre erano talmente poche e rade che non le intralciavano la vista. Le era rimasto solo un velo sottilissimo di pelle a coprire l’occhio per mantenerlo umido, ma era talmente sottile da essere praticamente trasparente: in parole povere, il suo raggio visivo era molto più ampio del normale. Scoprire l’eventuale pedinamento era diventato un gioco da ragazzi.
Sbuffando, di scatto si voltò.
 
 
 
 

‘Chi seiiiii? Vieni fuoriiii! ‘
Eyeless Jack rimase interdetto e ancor più ammutolito quando quella voce intestina e stridula risuonò gracchiando davanti a lui, simile ad un prematuro canto funebre.
‘Vieni fuoriiiiiiiiiiii! ‘ cantilenò nuovamente la voce.
Il cannibale non indietreggiò. Si limitò a sporgere il capo incappucciato fino a scorgere la sagoma della figura dai tratti apparentemente normali. Studiava ogni singolo scatto e guizzo con indifferenza e scientifico distacco, attento ad ogni minimo particolare, e gli sfuggì una risatina soffocata quando la ragazza si girò su se stessa con la velocità di un cobra. La preda si stava innervosendo.

Ad Eyeless Jack non interessava minimamente la sua identità, oltre al fatto che un angolo remoto della sua mente ricordava quel volto deturpato che aveva intravisto con scarso interesse nei telegiornali. Aveva bisogno anche lui di risposte per il putiferio che si stava scatenando nelle città, che metteva a repentaglio la sua sicurezza. Quella caricatura di ragazza poteva fare al caso suo.
 ‘Vieni fuori! ‘ ripeté la voce con tono più aspro e perentorio. Attese una risposta che non arrivò. ‘Allora? Devo tirarti fuori io? Non ti piacerebbe, credo. Ma alla fine la scelta è tua. ’
Eyeless Jack sentì il fruscio dei suoi piedi sull’erba avvicinarsi sempre più. Si preparò allo scatto, ritirandosi nell’ombra quanto più poteva, e aspettò il momento buono. Quando il viso della ragazza uscì allo scoperto, con espressione confusa e infastidita e intimorita, azzannò il terreno con le dita per prepararsi allo slancio finale.
‘Ti conviene iniziare a correre…’ continuò lei, brandendo in mano un coltello che era grande tre volte il suo bisturi. Quell’arma sarebbe stata l’unico ostacolo alla sua vittoria, ma con un colpo ben indirizzato con la giusta dosa di forza sarebbe riuscito a farle perdere la presa.
‘Stai calma, non voglio combattere. ’ mormorò con voce suadente e pacata, evitando di ridacchiare nell’assistere alle reazioni di Nina, ora angosciata e disorientata. Era impossibile riuscire a vederlo. ‘Ti ho seguita perché ho bisogno di sapere delle cose. Le mie vittime le hanno ritrovate morte, e non sono stato certo io ad ucciderle. Tu c’entri qualcosa? ’
Nina, se avesse potuto, avrebbe strabuzzato gli occhi, ringhiando a quell’affermazione, concedendosi una bassa risatina gutturale. Non riusciva a scorgere il suo interlocutore lì, in mezzo all’ombra, eppure quella voce profonda - troppo profonda per essere umana - le giungeva alle orecchie come sussurrata da una manciata di centimetri di distanza. Era terribile possedere la consapevolezza di essere sotto scacco da tutte le direzioni possibili. Si voltò nuovamente, allarmata, e fece un giro su se stessa. Adocchiò ed esaminò tutti i possibili anfratti in cui poteva celarsi la creatura, e un brivido di puro timore – No, non posso avere paura proprio ora! Jeff non me lo perdonerebbe mai… - le attraversò l’intera colonna vertebrale quando appurò di essere veramente sola.

Jack rise apertamente nel pascersi nella paura che aleggiava sul volto della ragazza. Una paura che la rendeva debole come le sue vittime, lei che aveva avuto l’ardire di sfidarlo, lei e la sua spavalderia fasulla. Lei, che aveva mostrato tanta baldanza sfidando lui, Eyeless Jack, lei che si annichiliva come un cagnolino timido ed impaurito. Era davvero difficile resistere all’istinto di afferrarle il polso destro e torcerlo per farle perdere la presa sul manico dell’arma, rifilarle un potente calcio negli stinchi per piegarla in ginocchio e punirla per la sua audacia, rendendola un pasto soddisfacente alla sua Fame. Eppure lui doveva, doveva sapere…


‘Sono più vicino di quanto sembri, sappilo. ‘ E diamine, se lo sono! sghignazzò mentalmente pur mantenendo quel tono pacifico e neutrale, distaccato. ‘Ma, ti ripeto, non voglio farti nulla…per ora. Te ne farò se non risponderai subito alle mie domande. ’
A quelle parole Nina deglutì. Cercò di ricomporsi per recuperare la dignità rimasta, e replicò, stizzita ‘ Non ho nulla da dire al riguardo. Fottiti, io non so nulla. Non ti sto fregando le prede! ’
‘Ovvio che non sei tu a farlo, si vede. Sei troppo debole e codarda per poter mai tentare l’impresa. Chiunque sia, di certo non è al tuo livello…’ sussurrò con voce argentina Jack, incrociando le braccia al petto. Dai fori che lasciavano intravedere le cavità oculari, gli occhi sembrarono brillare di eccitazione improvvisa.
Nina ringhiò e l’altro giurò di aver intravisto una scarica di odio sfavillare nei suoi occhi folli, tanto che per un secondo temette che fosse in procinto di balzargli addosso e combattere alla cieca, facendo a pezzi arbusti e ramoscelli. Nonostante la vittoria di certo non sarebbe stata a suo favore.
‘Buffa affermazione. Specie se sostenuta da chi non possiede nemmeno il coraggio di farsi vedere. ’  Si contenne, contro tutte le previsioni. Ignorò l’ennesima risata che quello strano essere emetteva. Nascose entrambe le mani e il coltello nelle tasche della sua felpa, digrignò i denti e indurì la mandibola, come per ammonirlo di non provocarla oltre.
Ennesimo affronto!
Per un attimo Eyeless Jack prese in considerazione l’idea di togliersi la maschera di fronte a lei come soleva il piano, per rivelarle le orbite grondanti del liquido nero e viscoso che lui stesso non era ancora riuscito a identificare, la pelle grigio fumo e i denti affilati simili a piccole zanne.

‘Non penso saresti in grado di sopportare la mia vista. Ad ogni modo, non è questo il punto: dimmi cos’hai sentito a proposito degli omicidi. Sai, rispondere a una domanda è facile. O non sai fare nemmeno questo? ’
Nina non rispose. Si limitò a ridacchiare lievemente e ad incrociare le braccia, mentre si dondolava pigramente sul rigido ginocchio destro. Annuì distrattamente come se avesse appena risposto ad una domanda mai pronunciata, e sorrise.
Jack iniziò a fremere per l’irritazione che quella situazione gli stava creando. Si umettò le labbra senza controllarsi, come quando annusava nell’aria l’odore ferroso del sangue di un innocente passante.

Decise di passare alle maniere forti.
Con uno scatto ben congeniato, balzò come un felino su Nina, che ebbe appena il tempo di tastare la sua felpa alla ricerca del coltello. Il suo cuore perse un paio di battiti per la sorpresa. Si trattenne dall’urlare per lo spavento.
Eyeless Jack le afferrò i capelli crespi e fragili, tirandoli per non lasciarla scappare, e la scaraventò sul terreno umido. Le calciò con il ginocchio lo stomaco per poi lasciarla boccheggiante, piegata in due, a premersi il ventre con entrambe le mani. Nina gemeva per il dolore e lottava per respirare profondamente. Doveva riprendere fiato e trovare le energie necessarie per contrattaccare, ma il dolore pulsante le aveva momentaneamente annebbiato i pensieri. Ringhiò come un lupo quando il suo assalitore prese a girarle attorno come un grosso predatore, e trattenne il fiato quando questi intrufolò la mano destra nella tasca della felpa, fulmineo. Quando Eyeless Jack estrasse il suo bisturi alla luce della luna cosicché lei potesse scorgerlo nitidamente, lo fece roteare pericolosamente vicino alla gola dell’altra, mentre fendeva l’aria con un sibilo.

Nina ingoiò un fastidioso groppo alla gola e lo fissò con aria di sfida, sebbene la sua testa le stesse urlando di scappare via da quel posto e da quella creatura umanoide il prima possibile e alla massima velocità. Non voleva ritrovarsi agonizzante, con la gola tagliata.
La punta affilata del bisturi graffiava minacciosamente la pelle vicino il suo orecchio sinistro e, proprio quando sentì la pressione crescere e qualcosa di caldo e lento colarle fino macchiarle i capelli neri, la sua determinazione si sciolse in una manciate di parole sconnesse.
Sibilò, guardando in cagnesco la figura svettante sopra di lei. ‘So… ‘ tossì, ‘so solo che… i corpi sono stati ritrovati trovati con lacerazioni di varia natura. Più assassini. Ma… ma non so altro. Giuro. ’

Attimi di assoluto silenzio, scanditi dal respiro regolare della creatura accanto a lei, tesissima ma risoluta, conscia di aver detto tutta la verità che sapeva. Respirò piano per evitare di graffiarsi contro il bordo affilato del bisturi. Il petto le si abbassava e alzava impercettibilmente.
Poi, con una lentezza estenuante, la compressione esercitata sulla sua giugulare andò scemando, e, con un sospiro di sollievo, puntellandosi sui talloni e sui gomiti, Nina si rimise in piedi cautamente, non osando sperimentare la velocità della sua corsa. Troppo rischioso.
Fissava astiosamente il viso della creatura, nascosto dalla maschera blu.
 Bene, qual è la tua mossa finale?
Eyeless Jack, senza rivolgerle un’occhiata di più, le diede le spalle e sparì nella foresta, lasciandola sola e con mille dubbi nella mente, mentre lo osservava allontanarsi in rapide falcate.
Sospirò.
 
 
 
 
 
 
 
 


Angolo Autrice
Innanzitutto chiedo tremila volte (tremila? Ma che dico? Diecimila e infinite volte!) perdono per il mega ritardo che sono riuscita (coffcoff- come sempre –coffcoff) ad accumulare. Il punto è che essere siciliana e soprattutto abitando in Sicilia in piena estate, con 40 e passa gradi, ci si scioglie. Nel mio caso, ci siamo sciolti in due: io e il mio fidato computer, che ha smesso di funzionare.
Comunque, ecco il nuovo capitolo: Nina e Jackino-ino-ino si sono acchiappati e Jack ha una pista in più da seguire. Duecento vittime? Ma quanti sono questi nemici?!
E’ quello che si starà chiedendo lui e la povera Nina in questo momento.
Ora, sperando che il mio Pc non mi abbandoni un’altra volta, ci risentiamo al prossimo capitolo!
P.S. Il fatto che il nostro cannibale preferito giochi ai videogiochi… ehm… non voglio fare spoiler. Ma servirà per come andrà la storia in seguito, quindi non l’ho messo a random! ;)
Detto questo, alla prossima e spero vi stia piacendo l’intreccio!


Made of Snow and Dreams.
 



 
  
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