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Autore: Clockwise    11/07/2016    8 recensioni
La via per il cuore di un uomo passa attraverso il suo stomaco.
Sherlock Holmes ne è convinto. John se ne renderà conto presto.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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221b Bake Off Street
 


Inizia con dei muffin.
John si accorge subito che qualcosa non va: l’impasto è morbido e spugnoso, il sapore della cannella forte e deciso, il ripieno ricco e speziato. Non possono essere i soliti muffin della signora Hudson, sempre ottimi, sicuro, ma mai così lussureggianti; lei si limita a del cioccolato o delle mele, raramente i mirtilli.
John non si fa troppi problemi: se Mrs Hudson ha deciso di rivoluzionare la sua pasticceria e i risultati sono questi, a lui sta più che bene. Ne spazzola due prima di sentirsi in colpa; ne posa altri due su un piattino e li lascia sul tavolino accanto alla poltrona di Sherlock insieme ad una tazza di tè – sa che il suo coinquilino è troppo invischiato in qualunque cosa stia facendo sul suo laptop per accorgersene, ma magari il profumo invitante lo distoglierà dal suo lavoro per il tempo necessario a mangiarne almeno uno sovrappensiero. Altrimenti, tanto di guadagnato per John.
Non appena il medico gli volta le spalle, Sherlock alza gli occhi su di lui, aggrottando appena le ciglia. Deve impegnarsi di più.
 
La seconda volta, John nota subito i tartufini, e ne ha già mangiati due prima di accorgersi della torta. O meglio, quel che ne è rimasto.
«È passato Mycroft?» chiede in direzione del soggiorno, dove Sherlock è intento ad accordare il suo violino. Il detective indulge in un sorrisetto.
«Dovresti provarla. Strati di pan di spagna al cacao e crema al mascarpone con ciliegie mature imbevute di liquore, e sopra una decorazione alla meringa con ciliegie fresche e tartufini.»
Alla sola descrizione, John sente lo stomaco brontolare e si affretta a tagliarne una fetta, metterla su un piatto ed assaggiarla. Chiude gli occhi, quasi in estasi.
«Dio, Sherlock, è deliziosa. Com’è che si chiama?»
«Schwarzwälder Kirschtorte, Gâteau Forêt-Noire, o “Torta alle ciliegie della foresta nera”. È una ricetta tedesca, probabilmente inventata intorno al 1915 da un pasticcere di Bad Godesberg, anche se la sua popolarità si è diffusa–»
«Ok, ok, bafta cofì, Wikipedia» lo ferma l’altro, a bocca piena. «È squisita, mi basta questo. Quasi quasi vado per un altro pezzo… Tu ne vuoi?»
Sherlock scuote appena il capo, sistemandosi il violino sotto la spalla e posizionandosi come suo solito sotto la finestra. Accarezza appena qualche nota, pensieroso.
«Sai, la zona della Foresta Nera, che è il nome di un massiccio montuoso, fra l’altro, è particolarmente famosa per i ciliegi, da qui il nome della torta, e si dice che in passato ogni coppia di novelli sposi dovesse piantare un ciliegio, come simbolo della loro unione.»
Lancia un’occhiata al suo riflesso sul vetro: John sta masticando in silenzio un’altra fetta di dolce, in piedi accanto al tavolo della cucina, mentre lo ascolta attento. Sherlock dispiega un minuscolo sorriso e inizia a suonare con più forza.
«Quella che non ti va mandala pure a Mrs Hudson, altrimenti verrà sacrificata in nome della scienza.»
John spalanca gli occhi e trasalisce.
«Per carità!» lo sente borbottare, mentre ripulisce il suo piatto e prepara un pacchetto per Mrs Hudson. Ritenterà.
 
La terza volta, John sente il profumo di zucchero e cioccolato fin dalle scale. Trotterella giù in cucina stropicciandosi gli occhi, lo stomaco già perfettamente sveglio.
«Buongiorno a voi…»
Sembrano meringhe, anche se hanno una forma ovale e schiacciata, ma ad un’occhiata più ravvicinata la pancia di John fa i salti di gioia: sono meringhe ripiene, con strati di cioccolato fondente e panna montata, spruzzate di granella al pistacchio. Trova anche una ciotolina con del cioccolato fuso. Non perde altro tempo: si siede, intinge la prima meringa nel cioccolato e fa un salto nel Paradiso terrestre.
Non è mai stato particolarmente goloso, John, soprattutto di dolci: sua mamma era meglio se tenuta lontana dal forno, per il bene di tutti, il che era buffo visto che suo padre, il nonno di John, aveva lavorato come pasticciere e quando andavano a pranzo dai nonni, la domenica, era solito viziare lui ed Harry regalandogli scatole di biscotti o tartine o meringhe. Era morto quando John aveva otto o nove anni, ma ricorda ancora bene il profumo che si sprigionava quando apriva una di quelle scatole, l’immediato brontolio di piacere nel suo stomaco, la gioia genuina provata nel mangiare quei piccoli dolci, pian piano, uno alla volta, perché non finissero troppo in fretta.
Ma dopo la morte di suo nonno, John ha raramente avuto esperienza di buona cucina o di pasticceria: è cresciuto a pasti semplici ed economici, cibo da asporto, panini e surgelati quando era all’università, rancio militare e cibo da ospedale. È sicuramente una buona forchetta, ma non di certo un palato raffinato – mangia perché deve sopravvivere, tutto qui. Eppure, i dolci di questi ultimi giorni hanno mandato in visibilio le sue papille gustative, come… Beh, come poche altre cose finora. Più che altro, come poche altre persone. Effettivamente, deve aver letto da qualche parte che mangiare dolci (o forse era solo cioccolato?) rilascia endorfine esattamente come baciare o farsi coccolare da un’altra persona.  
Si riscuote dai suoi pensieri quando Sherlock entra in cucina indossando soltanto i pantaloni di una tuta, frizionandosi i capelli umidi con un asciugamano.
«Buongiorno, John.»
«Buongi–, per l’amor del cielo, Sherlock, mettiti una vestaglia! Ti prenderai un accidente!»
Sherlock si limita ad inarcare un sopracciglio dietro la frangia disordinata, sedendosi davanti all’altro.
«Il tuo interesse per la mia salute è commovente, John. Sono meringhe, quelle?»
John distoglie lo sguardo dalla pelle statuaria del detective, costellata di goccioline perlacee sfuggite ai suoi capelli, e sbatte le palpebre.
«Cos–? Oh, sì, sono meringhe ripiene, c’è anche il cioccolato…»
Si schiarisce la gola un paio di volte, prima di alzarsi ed iniziare a preparare il tè. Sherlock rimane con un sorrisetto compiaciuto incollato alle labbra per tutto il giorno.
 
La volta successiva, è cioccolata calda.
«Assaggia.»
John aggrotta le sopracciglia, abbassando il suo giornale. Una tazza di cioccolata calda dall’aria apparentemente innocente e terribilmente invitante fluttua davanti al suo naso; dietro, un detective in vestaglia sorridente e niente affatto rassicurante.
«Cos’è, vuoi avvelenarmi un’altra volta?»
Sherlock spalanca gli occhi con aria oltraggiata.
«Non lo farei mai… Non è una cosa che la gente fa, preparare da bere e da mangiare ai propri amici?» domanda, sbattendo gli occhi con fare angelico.
«Sì, ma stiamo parlando di te, quindi… Che c’è dentro?»
Il sorriso di Sherlock diventa compiaciuto e malizioso, come quello di un folletto dispettoso.
«Dovrai dirmelo tu. Niente di letale, promesso.»
John gli lancia un’ultima occhiata torva, prima di sbuffare e prendere la tazza. Sherlock si siede sulla propria poltrona, davanti a lui, proteso in avanti con i gomiti sulle ginocchia e le mani intrecciate fra loro. Osserva John soffiare piano sulla bevanda, lanciargli uno sguardo rassegnato e niente affatto divertito e poi assaggiare. Non appena le sue labbra lasciano il bordo della tazza, il dottore le lecca e le mordicchia, come per succhiare via anche l’ultima goccia di cioccolato. Quindi le increspa leggermente, al pari delle sopracciglia, mentre lascia che i sapori gli permeino la bocca. Il suo pomo d’Adamo sale e scende mentre deglutisce e si lecca le labbra un’altra volta. Sherlock prova una fitta di invida totalmente irrazionale nei confronti di quella tazza e del suo contenuto.
John chiude gli occhi, in parte per cercare di catalogare meglio i sapori, in parte perché gli occhi di Sherlock, attenti e indagatori, pronti a catturare ogni dettaglio, fissi su di lui come lo sarebbero su un campione al microscopio, lo mettono piacevolmente a disagio.
«È cioccolato fondente.»
«Cioccolato fuso, non in polvere, cacao al 75%. Poi?»
«Qualcosa di piccante. Peperoncino?»
«Sì.»
John spalanca gli occhi.
«Hai messo peperoncino nel cioccolato?»
Sherlock sorride felino.
«E un pizzico di pepe. Vai avanti.»
L’altro scuote la testa e beve un altro sorso, gustandolo a lungo.
«C’è qualcosa di dolce e un po’ amaro, tipo… Miele? Possibile?»
Sherlock annuisce.
«Altro?»
John ci pensa, prendendo un altro sorso.
«Sempre qualcosa di dolce… Non zucchero, vero?»
Il detective scuote la testa, lasciandosi andare contro lo schienale della poltrona, quasi sdraiato.
«Vaniglia.»
John fissa ammirato la sua bevanda.
«Non ci avevo mai pensato, sai, cioccolato e peperoncino… Te lo sei inventato?»
Sherlock scuote il capo.
«Un’antica ricetta Maya. L’unico modo per bere il cioccolato era aggiungerci delle spezie, secondo loro.»
John piega il capo, incuriosito, e beve ancora un sorso.
«È buono, è davvero buono.»
È più che buono, è meraviglioso, divino, spettacolare – non riesce a dirlo, tuttavia, con gli occhi sfavillanti di Sherlock che lo tengono sotto esame.
«Si riteneva fosse un afrodisiaco.»
Gli uomini non fanno le fusa, giusto? Apparentemente Sherlock – qualcuno dovrebbe vietare tonalità di voce così scure, per amore della sua sanità mentale.
John spalanca gli occhi e tossicchia nervosamente.
«Mh, suona bene. La userò la prossima volta che tenterò di rimorchiare qualcuno.»
Si trincera dietro il suo giornale e sorseggia il suo cioccolato, maledicendosi in turco. Davvero, John, complimenti, Sherlock non ti ha avvelenato, ti sta facendo le fusa e tu non lo ringrazi nemmeno, anzi, fai il Casanova borioso. Stupido, stupido John!
Sherlock si alza con un movimento fluido e sparisce, senza altri commenti.  
 
L’ultima volta, John lo coglie con le mani nel sacco. O meglio, nell’impasto.
«Cosa stai facendo?»
La cucina è un disastro. Ma contrariamente al solito, è un disastro commestibile.
Sherlock si immobilizza chino sulla teglia, la ciotola con l’impasto in una mano, un cucchiaio nell’altra, considerando rapidamente le sue opzioni. Quindi si raddrizza, stampandosi sul volto la sua migliore espressione impassibile.
«Oh, John. Non hai più fatto quello straordinario, vedo.»
«No, infatti. Che cosa–?»
John avanza di qualche passo nella cucina, cercando di vedere oltre la schiena di Sherlock cosa stia combinando.
«Oh, uhm, “Charlotte russa”, una variante della Charlotte francese, ora sto cercando di fare i savoiardi, quindi farò la bavarese e… Uhm, è per un caso.»
John solleva le sopracciglia, cercando di cogliere i suoi occhi, elusivi – il detective fa di tutto per dargli le spalle.
«Un caso? Con una torta?»
«Sospettato avvelenamento, sto cercando di capire se effettivamente è possibile nascondere del veleno nell’impasto di questa torta, che il mio sospettato aveva preparato alla vittima, il suo ultimo pasto – e finora pare che l’unico posto in cui abbia potuto efficacemente mettere del veleno sia la crema, sarebbe praticamente impossibile farlo nell’impasto dei savoiardi senza che essi non si deformino o abbiano la consistenza sbagliata, vedi, sono dei biscotti molto delicati, basta una goccia d’acqua mentre si montano gli albumi per rovinare tutto, quindi è impensabile che ci sia del veleno, mentre nella crema sarebbe più semplice, soprattutto se, al contrario di me e di quello che prevede la ricetta originale, l’assassino ha usato della comune crema pasticcera, più semplice della bavarese che voglio fare…»
Mentre parla, dispone metodicamente l’impasto sulla teglia in ovali allungati, per fare i savoiardi, inforna, quindi si dedica ai fornelli, muovendosi con la stessa sicurezza che usa al laboratorio del Bart’s o su una scena del crimine. John è senza parole, finché Sherlock non si sposta per aprire il frigo e il suo sguardo è attirato da quello che Sherlock indossa.
«Aspetta… è un grembiule, quello?»
Il detective si immobilizza di nuovo. Quindi ruota sui tacchi e allarga le braccia, rassegnato. Sul suo petto, un grembiule rosso orlato di balze e sporco di farina su cui campeggia la scritta, in una grafia tutti svolazzi e ghirigori, “Kiss the cook”.
John scoppia a ridere, mentre Sherlock mette il broncio.
«Mrs Hudson non aveva niente di più… virile.»
«Potevi anche metterti il suo vestitino a fiori, già che c’eri…» sghignazza John, asciugandosi gli occhi. La faccia di Sherlock è impagabile. Ed è arrossito.
«Davvero divertente.»
John continua a ridacchiare, mentre Sherlock torna davanti ai fornelli e aggiunge del latte in uno dei tegami. John si appoggia con il fianco al bancone, incrociando le braccia al petto, ancora sorridente. Non può fare a meno di pensare che quelle guance arrossate siano adorabili. Inoltre, si intonano con il grembiule.
«Ora cosa stai facendo?»
«La bavarese.»
«Ci metterai il veleno?»
Sherlock gli lancia un’occhiata obliqua.
«No, a meno che tu non voglia farti un giro al pronto soccorso.»
John piega il capo di lato.
«Perché, avrò l’onore di assaggiare la creazione culinaria di Sherlock Holmes?»
«Hai dubbi sulla sua qualità?»
John solleva le sopracciglia con fare eloquente.
«Ti conosco da anni e questa è la prima volta che ti vedo in cucina a cucinare, quindi sì, ho le mie riserve.»
«La cioccolata ti è piaciuta, l’altro giorno.»
E i muffin, e la torta, e le meringhe. Ingrato.
«Sì, beh, non ci vuole tanto a preparare una cioccolata… La saprei fare anch’io.»
«Sono un chimico, John, e un musicista. La cucina combina la logica matematica della chimica alla libertà creativa dell’arte» spiega, grattugiando un lime sulla crema che cuoce sul fornello.
«Vedi, questa è una deviazione dalla ricetta originale, ma so già che andrà bene.»
John annuisce distrattamente, troppo preso a notare quanto eleganti e ben modellate siano le mani di Sherlock, e quanto forti e vigorose, solcate dalle vene azzurrine, fibrillanti di energia…
«In fondo, una volta imparate le caratteristiche e i sapori particolari di ogni ingrediente, anche le combinazioni più ardite sembreranno perfettamente logiche… Assaggia.»
John distoglie lo sguardo dalle sue mani e lo posa sul mestolo di legno pieno di crema ambrata. Il detective ci soffia sopra e vi appoggia appena le labbra, prima di avvicinarlo a John.
«Attento, scotta» mormora. Il medico perde ancora qualche secondo ad osservare la punta rosata della lingua di Sherlock che raccoglie i residui di crema dalle sue labbra, quindi assaggia.
«Mh, scotta, ma è… Dio, Sherlock, è buonissimo.»
«Mh-mm. Cos’è?»
John aggrotta le sopracciglia, prima di provarne un altro po’.
«Un qualche tipo di frutto?»
Sherlock annuisce, tornando a mescolare.
«Frutto della passione.»
«Frutto della…»
John chiude gli occhi.
«Ok, prima l’afrodisiaco, poi “Kiss the cook”, ora il frutto della passione… Se non ti conoscessi meglio, direi che stai flirtando con me.»
Il sorrisetto divertito che aveva addosso scivola via quando coglie gli occhi di Sherlock e si rende conto della gaffe che ha commesso.
«Sherlock…»
Il detective controlla l’orologio e si china davanti al forno, quindi lo spegne ed estrae la teglia con i savoiardi.
«Sherlock, ascolta io…»
L’altro lo ignora, disponendo i biscotti intorno ad una teglia circolare.
«Lascia stare.»
«Aspetta.»
La proverbiale lampadina si accende nel suo cervello e il suo cuore raggiunge rapidamente le scarpe.
«Sei stato tu.»
Sherlock continua a sistemare i savoiardi.
«I muffin, le meringhe… Sei stato tu.»
«Mrs Hudson mi aveva lanciato una sfida…»
John scuote la testa.
«Cosa… Perché? Voglio dire…»
«Quando non c’è nessuno guardo tutte le repliche di Bake Off…»
«Sherlock.»
«In verità non è Mycroft il fratello goloso, sono io, lo sono sempre stato…»
«Sherlock
Il detective alza le mani al cielo in segno di frustrazione, lasciando cadere il biscotto che aveva in mano.
«Ok, benissimo, la verità? Avevo notato quanto ti piacciano i dolci, quelle rare volte in cui Mrs Hudson prepara qualcosa o abbiamo preso il tè fuori, nonostante sia evidente che tu non ci sia abituato, dato che non ne compri mai né manifesti il desiderio di averne di più, in parte perché sei un medico e sei abituato a queste cose sciocche come “una dieta equilibrata”, in parte perché nella tua famiglia non si usavano fare dolci spesso, quindi ho pensato di provare e vedere che effetto ti facevano…»
«Sherlock, Sherlock–»
Il medico alza una mano per fermare il flusso di parole, Sherlock si morde il labbro e tace. John deglutisce un paio di volte, cercando di venire a patti con tutto quanto. C’è una sola soluzione.
«Sherlock, credo che tu…»
Alza gli occhi verso di lui.
«Dovresti proprio assaggiare quella crema.»
Il detective aggrotta le sopracciglia, confuso. John, facendo del suo meglio per rimanere impassibile oltre il sorrisetto divertito che sente formarsi, si picchietta un indice sulle labbra.
«Sai c’era appena un accenno di lime che dava un tocco di–»
Sherlock gli è vicino prima che riesca a finire. I suoi occhi lo scrutano, attenti, quasi chiedendogli il permesso.
John sorride apertamente.
«Solo una cosa.»
Sherlock inarca un sopracciglio.
«Continuerai a fare dolci?»
«Dipende. Continuerai a mangiarli?»
«Dipende. Mi vorrai anche se dovessi ingrassare vergognosamente per colpa loro?»
«Finché morte non ci separi. Ora, può baciare il cuoco.»
John non se lo fa ripetere due volte – è il dolce più prelibato di tutti. 




 




Sinceramente? Ero giù di morale, mi sono messa a fare una torta ed è nato ciò. E per la cronaca, sono un'imbranata irrecuperabile in cucina, l'unica cosa che so fare è il ciambellone. 
Avevo bisogno di leggerezza ma ora ho soltanto fame.
Due paroline fanno sempre tanto tanto piacere – e se invece vi è venuta voglia di un po' di angst e sofferenza, qui ne avete a valanghe.
Le ricette non me le sono inventate, le ho copiate senza vergogna dal libro di Bake Off – il regalo di Natale meno azzeccato della storia, ma ci sono belle foto.
Spero vi sia piaciuta, almeno un po' – grazie di cuore se siete arrivati a leggere fin qui :) 
A presto!
-Clock
 
  
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